giovedì 24 ottobre 2013

PREGHIERA - ORAZIONE





I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Preghiera (I)

Data: Domenica, 11 gennaio @ 08:11:52 CET
Argomento: Vita cattolica: Matrimonio, laicato...


1. La preghiera, e sua necessità. 
2. Esempio di Gesù Cristo e dei Santi. 
3. Eccellenza della preghiera. 
4. Efficacia della preghiera: 1° Gesù Cristo ci assicura che con la preghiera otteniamo tutto ciò che domandiamo; 2° La preghiera ottiene la saviezza e consola; 3° Chi prega sarà liberato dalle tribolazioni e dalle infermità; 4° Con la preghiera si ottiene la sanità dell'anima; 5° La preghiera opera una vera trasfigurazione nell'uomo; 6° La preghiera è onnipotente; 7° La preghiera è il terrore dei demoni; 8° La preghiera illumina; 9° Per la preghiera si ottiene la conversione dei peccatori; 10° La preghiera ci salva; 11° La preghiera contiene beni immensi. 
5. Facilità della preghiera. 
6. Bontà infinita di Dio nella preghiera.





1. LA PREGHIERA, E SUA NECESSITÀ. - La parola preghiera nel linguaggio della Chiesa si dice oratio, quasi oris ratio, cioè ragione della bocca. La ragione infatti si manifesta per mezzo della parola, specialmente della preghiera, perché la preghiera fu data da Dio all'uomo per supplire la ragione; quel che la ragione, oscurata dal peccato, non può comprendere, lo comprende la preghièra... Del resto, presa in se stessa, la preghiera è un'elevazione della mente a Dio, per la quale l'anima contempla, loda, ammira, ringrazia Iddio, ovvero gli espone i suoi bisogni, i suoi desideri, i suoi voti, e gli chiede che li soddisfi. Quanto e nell'uno e nell'altro senso sia necessaria la preghiera si vede facilmente se si getta uno sguardo sul Vangelo, su la dottrina dei Padri, su se medesimo: «Domandate, dice Gesù Cristo, cercate bussate» (MATTH. VII, 7). Ecco tre imperativi, e quando Dio parla in modo imperativo, la sua parola importa uno stretta dovere d'ubbidienza. «Bisogna pregare sempre e non stancarsi mai>> dice ancora il Salvatore (Luc. XVIII, 1). La preghiera è necessaria nello stato infelice di peccato per uscirne...; è necessaria nello stato di grazia per perseverarvi...; è necessaria per ottenere la grazia, senza la quale non siamo capaci di nulla...; è necessaria nelle tentazioni. Vegliate e pregate, ci ripete Gesù, come già agli Apostoli diceva: «Vegliate e pregate affinché non cadiate nella tentazione; perché pronto è lo spirito, ma inferma la carne» (MATTH. XXVI, 41). Chi non prega è come una città senza difesa, circondata, anzi già corsa da masnade di nemici.

   «La preghiera è per l'uomo, come l'acqua per il pesce», dice il Crisostomo (Lib. II, De orand. Domin.). La preghiera è per l'anima nostra, quello che il sole è per la natura, per vivificarla e fecondarla, quello che è l'aria per i nostri polmoni, il pane per la vita materiale, l'arma per il soldato, l'anima per il corpo... E come no? dice infatti l'Apostolo: «Noi non bastiamo da noi medesimi nemmeno a pensare cosa veruna come di propria nostra virtù; ma ogni capacità e sufficienza ci viene da Dio» (II Cor III, 5). Quindi pregate, ma pregate del continuo (I Thess. V, 17).

Ah! ben comprendeva la necessità della preghiera il profeta Davide il quale diceva: «A voi rivolgo, o Signore, la mia prece, esauditemi secondo la moltitudine delle vostre misericordie. Cavatemi dal fango, affinché non vi resti affogato. Campatemi dagli artigli dei miei persecutori, strappatemi al seno dell'abisso. La tempesta delle acque non mi sommerga, non m'ingoi il baratro, né si chiuda sul mio capo la bocca della voragine. Esauditemi, Signore, nella grandezza della vostra clemenza, e non torcete il volto dal vostro servo; io gemo tra angosce, affrettatevi a consolarmi. Venite, liberate l'anima mia, toglietemi al furore dei miei nemici (Psalm. LXIII, 14-19). Signore, siatemi propizio ed esauditemi, perché povero ed indigente sono io» (Psalm. LXXXV, 1). «Io ho steso le mie mani verso di voi, come terra arsa da lunga siccità, la mia anima ha sete di voi, o Signore; correte in mio soccorso, perché il cuore mi viene meno» (Psalm. CXLII, 6-7).

   «Chi vuole stare con Dio, deve pregare, dice S. Isidoro; ogni qual volta il peccato minaccia l'anima nostra, ricorriamo alla preghiera (Lib. de Summo bono)». «Figlio mio, dice l'Ecclesiastico, non lasciarti cadere d'animo nella tua infermità; ma prega il Signore, ed egli ti guarirà» (Eccli. XXXVII, 9). Quindi il profeta Gioele ordinava ai sacerdoti e ai ministri del Signore che piangessero tra il vestibolo e l'altare, e gridassero: Perdonate, o Signore, perdonate al popolo vostro, e non permettete che l'eredità vostra divenga oggetto di scherno (IOEL. II, 17). Perciò con ragione S. Tommaso insegna che «dopo il battesimo è necessaria all'uomo una continua preghiera»  (2.a, 3, q. 5, art. 8). 
   La preghiera è dunque necessaria perché Dio la comanda; è necessaria per trionfare dei nostri nemici, per uscire dai peccato, per non ricadervi, per lavorare alla nostra salute, per ottenere la grazia, senza la quale non vi è salute; è necessaria per corroborare la nostra fiacchezza, per praticare la virtù, per arrivare al cielo...



2. ESEMPIO DI GESÙ CRISTO E DEI SANTI. - L'Evangelista S. Marco dice di Gesù Cristo, che sto levava in sul fare del giorno e andava a pregare in un luogo deserto, ovvero saliva ad orare sopra un monte (I, 35), (Id. VI, 46). La medesima cosa attesta S. Luca, aggiungendo che nella preghiera spendeva le notti intere, e durante la preghiera avvenne la sua trasfigurazione (VI, 12, IX, 28). Da tutti gli Evangelisti poi sappiamo che non imprendeva mai opera di rilievo, non faceva. mai miracolo senza che vi facesse precedere la preghiera. Prega nel giardino degli Ulivi, prega su la croce; la vita sua intera non è che una continua preghiera.

   Da lui ammaestrati, gli Apostoli dicevano: «Noi ci consacreremo del tutto all'orazione»  (Act. VI, 4); e della moltitudine dei primi cristiani attesta S. Luca, che si erano tutti dati ad una continua preghiera comune (Ib. I, 14). E quando Pietro viene gettato, carico di catene, in prigione, l'assemblea dei fedeli non cessa più di porgere preghiere a Dio per la sua liberazione (Ib. XII, 5).

   «Noi preghiamo sempre per voi, scriveva S. Paolo ai Colossesi; e non ci restiamo mai dal domandare a Dio che vi riempia della cognizione della sua volontà, in tutta sapienza e intelligenza spirituale; affinché voi vi conduciate in maniera degna di Dio, cercando di piacere a lui in ogni cosa, fruttificando in ogni opera buona, e crescendo nella scienza di Dio».
   I Patriarchi, i Profeti, gli Apostoli i Santi tutti dell'antica e della nuova legge furono uomini di preghiera... Leggete le vite degli uomini di Dio, voi non ne trovate alcuno che non sia stato uomo di continua e fervente preghiera.


3. ECCELLENZA DELLA PREGHIERA. - Il pregio di un diamante è lo stesso, o che si trovi nelle mani di rozzo villano, o che si trovi nello scrigno di un gioielliere; così pure, dice S. Giordano, la preghiera è cosa tanto eccellente in se stessa, che tanto vale in bocca di un idiota quanto su le labbra di un dotto (SURIUS, In Vita). E infatti, udite l'elogio che ne tesse S. Efrem: «La preghiera è la custode della temperanza, il freno dell'iracondia, la repressione di un'anima orgogliosa, il farmaco contro l'odio? la giusta costituzione delle leggi  del diritto, la potenza dei regni, il trofeo e lo stendardo di una giusta guerra, la protettrice della pace, il sigillo della verginità, la custodia della fedeltà coniugale, il bastone dei viandanti, la guardiana di quelli che dormono, la fertilità per i coltivatori, lo scampo dei naviganti, l'avvocata dei re, la consolazione degli afflitti, la gioia di quelli che godono, il conforto di chi piange, il buon esito dei moribondi. Ah no! non vi è in tutta la vita dell'uomo tesoro paragonabile alla preghiera (Tract. de Orat.)».

   L'Apocalisse ci dice che gli Angeli in cielo stanno innanzi all'Agnello, tenendo ciascuno arpe e coppe d'oro piene di profumi che sono le preghiere dei Santi (Apoc. V 8). Le preghiere, quelle specialmente delle anime ferventi, sono paragonate ad un grato profumo sparso per l'atmosfera. Infatti, 1° la preghiera sale come il fumo d'incenso verso il cielo; 2° spande nello sprigionarsi tutt'attorno soavi olezzi; 3° come l'incenso caccia il fetore, così la preghiera caccia il pestifero lezzo del peccato, fuga i demoni, calma l'ira divina; 4° l'incenso brucia e fuma quando è messo sul fuoco; e la preghiera s'infiamma nel fuoco delle tribolazioni; 5° i profumi sono composti di aromi polverizzati, la preghiera deve partire da un cuore spezzato dall'umiltà e dalla mortificazione; così pure dobbiamo seppellire l'anima nella preghiera, perché più non ne esca e conservi l'incorruttibilità datale dalla grazia. Espressioni consimili a quelle di S. Giovanni adopera l'Ecclesiastico là dove dice che «l'oblazione del giusto (e quale più vera oblazione della preghiera?) impingua l'altare ed esala nel cospetto dell'Altissimo soavissimo, odore»  (Eccli. XXXV, 8).

   «La preghiera è, dice S. Agostino, la cittadella delle anime pie, la delizia del buon angelo, il supplizio del diavolo, grato ossequio a Dio, gloria perfetta, speranza certa, sanità inalterabile, comprende insomma tutta la lode e tutto il merito della penitenza e della religione (ad Prob.)». La preghiera è un colloquio con Dio; essa è il preludio della beatitudine eterna, l'occupazione degli Angeli, la soluzione di tutte le difficoltà, il rimedio di colui che è infermo, nella via del Signore, la correzione e la fecondità dell'anima, l'abbracciamento dello Spirito Santo, la gioia e l'allegrezza... I Padri della Chiesa e i teologi insegnano che vi sono tre specie di buone opere alle quali tutte le altre si l'annodano come membri al capo: la preghiera, il digiuno, la elemosina. La preghiera paga quello che è dovuto a Dio: il digiuno, quello che dobbiamo a noi medesimi; la elemosina, quello che dobbiamo al prossimo.

   La preghiera è paragonata alla rugiada. Come la rugiada tempera l’ardore dell'estate e rinfresca i corpi arsi dal calore solare, così la preghiera, questo familiare abboccamento con Dio, smorza le fiamme della concupiscenza e delle passioni: «Nella preghiera, scrive San Bernardo, si beve il vino celeste che rallegra il cuore dell'uomo; il vino dello Spirito Santo che bea l'anima e le fa dimenticare i piaceri carnali. Questo vino si confà ai bisogni di una coscienza arida e secca; converte nella sostanza dell'anima gli alimenti delle buone opere e ne informa tutte le facoltà rafforzando la fede, consolidando la speranza, dando vigore e ordine alla carità, gravità e fermezza ai costumi (Serm. XVIII, in Cant.)». La preghiera somiglia a fiori belli e soavi che dilettano lo sguardo di Dio, e il cui divino olezzo s'innalza fino al trono di Dio. Ha l’odore della viola, il candore del giglio, la bellezza e l'incanto della rosa. È un fiore d'oro tinto dei più vaghi colori e spirante i più squisiti profumi; rallegra Dio medesimo, e riempie l'anima di celeste delizia...

4. EFFICACIA DELLA PREGHIERA. - 1° Gesù Cristo ci assicura che con la preghiera otteniamo tutto ciò che domandiamo. - «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chi domanda, riceve; chi cerca, trova; e a chi picchia sarà aperto» (MATTH. VII, 7-8).  «Vi è forse un padre così crudele che a un figlio il quale gli domandi pane, dia una pietra? o gli dia invece di pesce, un serpente? Se dunque voi, cattivi come siete, sapete dare ai figli vostri cose buone, quanto più il Padre vostro che è nei cieli, vi darà quello che di buono domandate (Id. 9-11). State certi che tutto quello che dimanderete al Padre mio in mio nome, io lo farò; affinché il Padre sia glorificato nel Figlio. E anche, se a me domanderete cosa alcuna in mio nome, io la farò (IOANN. XIV, 13-14). «Sì, vi dò mia parola, che qualunque cosa domandiate a mio Padre in mio nome, egli ve la darà. Fino ad ora non avete chiesto nulla in nome mio: domandate e riceverete, affinché sia compiuta la vostra gioia» (IOANN. 23-24).

   Udite ora la conferma di queste promesse del Signore dalla bocca di chi ne parla per esperienza: «Io ho gridato al Signore, e mi ha esaudito» (Psalm. III, 5). «Mentre tuttora l'invocava, il Signore mi ha esaudito » (Id. IV, 2). «Il Signore mi esaudirà quando griderò a lui» (Id. IV, 4). «Il Signore mi ha inteso, si porse attento alla voce della mia preghiera» (Id. LXV, 19), (Id. XCVIII, 6). «Egli alzerà la voce verso di me, ed io l'ascolterò», dice il Signore (Id. XC, 15). «Il Signore sta vicino a coloro che lo pregano, a quelli che lo invocano con sincerità di cuore»  (Id. CXLIV, 18). Dietro queste molteplici testimonianze chiare, precise e positive della Sacra Scrittura, chi potrà dubitare che la preghiera non ottenga tutto ciò che domanda a Dio?


   2° La preghiera ottiene la saviezza e consola. - «Se vi è tra di voi, dice S. Giacomo, chi abbisogni di sapienza, la domandi a Dio, il quale la dà a tutti in abbondanza, senza rifiutare persona; e gli sarà data» (IAC. I, 5). «Io ho desiderato e mi fu data l’intelligenza, confessa di sé Salomone, io ho pregato, e in me venne lo spirito di saggezza» (Sap. VII, 7).
   «Geme alcuno di voi nella mestizia? preghi (e sarà consolato)»  (IAC. V, 13). La preghiera è rimedio efficacissimo a guarire ogni piaga, ogni miseria; asciuga le lagrime, mitiga i dispiaceri, addolcisce le amarezze...
   Gesù entra in una barca e prende mare, ed ecco che si leva improvvisa una tempesta, i venti soffiano, il tuono mugghia, le onde si accavallano e la barca già minaccia di sommergersi; in questo disperato frangente gli Apostoli si accostano a Gesù che placidamente dorme e svegliatolo gli dicono con l'accento del timore e dello spavento: «Salvateci, Signore, ché periamo». Ed egli dolcemente rimproveratili del troppo loro timore e della non abbastanza salda fede, si alzò, fe' cenno ai venti e alle onde, e incontanente il mare fu in bonaccia (MATTH. IX, 23-27). Grande miracolo fu certamente questo; ma notate che Gesù lo fece ad istanza degli Apostoli e dopo che la loro preghiera gli ebbe detto: Signore, salvateci, perché altrimenti andiamo tutti naufraghi. Noi possiamo dire di colui che prega, quello che di Gesù Cristo andavano tra di loro dicendo gli spettatori del miracolo: «Chi è costui, al quale obbediscono i venti e le onde?». Chi è colui che si fa obbedire dai venti delle tentazioni, e dalle onde della concupiscenza? È l'uomo che prega.


   3° Chi prega sarà liberato dalle tribolazioni e dalle infermità. ­ «Signore, esclama il real Profeta, io non sarò mai confuso, perché ho invocato voi». (Psalm. XXX, 20). «E chi mai invocò Dio, e non si vide da Lui guardato?», domanda l'Ecclesiastico (II, 12).
   «Tu mi hai invocato nella tribolazione, ed io te ne ho liberato», diceva il Signore a Davide (Psalm. LXXX, 8). E questi confermava la parola del Signore, esclamando: «In mezzo alle mie tribolazioni, ho levato le mie grida al Signore, ed egli mi ha esaudito» (CXIX, 1); né solamente io, ma quanti ricorsero al Signore nelle loro angustie, si videro liberati dalle loro miserie (CVI, 13).
   Se parliamo poi in particolare delle infermità guarite per la preghiera, innumerabili ne sono gli esempi. Un uomo coperto di lebbra, vedendo Gesù, si prostra per terra e grida: «Signore, se volete, potete mondarmi». Gesù, a quella preghiera, stende la mano, lo tocca e dice: «Lo voglio, sii mondato; e subito la lebbra scompare» (Luc. V, 12-13). Altri due lebbrosi, andando incontro a Gesù che entrava in un villaggio, gridano ad alta voce: «Gesù, maestro nostro, abbi pietà di noi»; ed eccoli guariti su l'istante  (Luc. XVII, 12-14).

   Due ciechi stavano su l'orlo d'una strada, odono un calpestio di gente che si avanza, domandano qual novità vi sia e udendo che passa Gesù Cristo cominciano a gridare: «Signore, figliuolo di David, abbi compassione di noi». Gesù si ferma, li chiama a sé, e domanda loro che cosa vogliono. Udita la loro preghiera, mosso da pietà verso di essi, loro toccò gli occhi ed a quel tocco essi ricuperarono la vista (MATTH. XX, 30-34).
   Marta e Maria pregano Gesù che abbia pietà di Lazzaro, loro fratello, giacente da quattro giorni nel sepolcro; ed a loro intercessione, Gesù lo risuscita (IOANN. XI). Innumerevoli altre miracolose guarigioni, dietro supplica dei malati, o per le preghiere di altre persone, operò Gesù Cristo: di modo che grandissimo era il numero di coloro che potevano dire: «A voi ho innalzato la mia voce, o Signore, e voi mi avete reso la sanità» (Psalm. XXIX, 3).
   Il re Ezechia cade mortalmente infermo; Isaia gli annunzia per parte di Dio la morte e gli dice: «Regola gli affari tuoi, perché morrai, e non vivrai più oltre». «Ezechia allora fa orazione al Signore». E questi manda di bel nuovo Isaia a dirgli che aveva udito la sua preghiera, e che gli concedeva quindici anni di vita (ISAI. XXXVIII, 1-3)... Quante guarigioni non ottennero i santi con le loro preghiere? quanti figli risanati per le orazioni di madri virtuose?


   4° Con la preghiera s'ottiene la sanità dell'anima. - «I medici corporali, dice S. Lorenzo Giustiniani, si fanno pagare la sanità che ci restituiscono, e non sempre loro riesce di darcela; ma Dio guarisce infallibilmente l'anima senza oro e senz'argento; non esige altro che la preghiera; e guarisce sempre l'anima che prega e per cui si prega, per quanto grave e mortale sia la malattia che la travaglia. La preghiera risana i malati spirituali; essa è pronto ed efficacissimo rimedio per colui che è fortemente tentato dai vizi. Ricorra egli a questo rimedio tutte le volte che ne ha bisogno, ed estinguerà il fuoco delle passioni e si purificherà. La preghiera smorza gli ardori della concupiscenza, come l'acqua spegne il fuoco (De inter. Conflic.)».

   «Il Signore, confessa di sé il real Profeta, si è abbassato verso di me ha inteso il grido del mio cuore; e mi ha ritirato dall'abisso della miseria e dal fango puzzolente» (Psalm. XXXIX, 3). Altra volta esclamava: «Questo peccatore vi ha domandato la vita, e voi gliel'avete data». (Psalm. XX, 5).
   Chi vuole liberarsi dal peccato e rompere le catene della vergognosa sua schiavitù, preghi: Dio spezzerà i suoi ceppi e gli farà misericordia. Il peccatore non può da solo convertirsi e ottenere salute, ma gli è necessaria la grazia di Dio; ora per mezzo della preghiera ottiene tutte le grazie...; la preghiera rende la vita all’anima; risuscita i morti spirituali: miracolo ben più stupendo che quello della risurrezione dei corpi. Perfino Plutarco lasciò scritto: «La preghiera è il vero medico dell’anima» (In morib.).


   5° La preghiera opera una vera trasfigurazione nell'uomo. - Narra San Luca che essendo salito Gesù sopra un monte accompagnato da Pietro, Giacomo e Giovanni, per fare orazione, mentre pregava, la sua faccia divenne tutt'altra, e le sue vestimenta apparvero di un candore splendente (Luc. IX, 28-29). Gesù volle trasfigurarsi nella sua preghiera per mostrarci quali sono i frutti dell'orazione; per farci comprendere che nell'orazione noi siamo circondati, penetrati, investiti e come trasfigurati dalla luce celeste, affinché di terreni diventiamo celesti e divini, di uomini ci cangiamo in Angeli.

   Infatti la preghiera è la trasfigurazione dell'anima: 1) perché l'anima riceve la luce di Dio per conoscerlo, e conoscere e sapere quello ch'essa deve fare; e questo in modo chiaro e visibile. La preghiera ottiene lumi per discernere gli autori e i libri buoni dai cattivi, o pericolosi, o inutili; ottiene che s'intende, si vede, si comprende quello che si legge, lo si ritiene a memoria, e se ne cava profitto. 
2) Per mezzo della preghiera si chiede e si ottiene da Dio la sua grazia, con cui tergere le macchie dell'anima, purgarla dai vizi, difenderla dalle tentazioni. Per la preghiera le consolazioni sottentrano alle ambasce, la forza alla debolezza, il fervore alla tiepidezza, la conoscenza al dubbio, il coraggio alla pusillanimità, la gioia alla tristezza, la veglia al sonno, la vita alla morte. Oh! preziosa trasfigurazione e ben degna che chi la prova esclami con Pietro, ebbro di felicità alla vista della Trasfigurazione del Signore: «Che fortuna è lo stare qui! facciamovi delle tende per rimanervi» (MATTH. XVII, 4). 
3) Per la preghiera l'anima s'innalza al di sopra di se stessa e, dirigendosi verso il cielo, ascende fino a Dio; là essa scorge e apprende che tutte le cose di quaggiù sono vili; da quell'altezza in cui la preghiera l'ha portata, essa le disprezza, perché comprende che i veri onori, le vere ricchezze, i veli diletti non si trovano che in cielo. 
4) Per la preghiera l'anima vede che tutte le croci sono lievi, che la povertà, le malattie, i rovesci, le prove, ecc. sono un peso leggero: quindi per mezzo della preghiera sopporta tutto; essa ripete con S. Paolo: «Stimo che i patimenti del tempo presente sono un nulla a confronto della gloria futura che sarà in noi rivelata» (Rom. VIII, 18). 
5) Per la preghiera l'anima si unisce a Dio, si trasforma in Dio, partecipa della natura del Dio. «Quando preghiamo, dice S. Isidoro, noi parliamo a Dio; quando attendiamo a pie letture, Dio parla a noi (Sentent.)».
   La preghiera fa di noi il popolo di Dio: «Egli invocherà il mio nome, dice il Signore, ed io lo esaudirò. lo dirò: Tu sei il mio popolo; ed esso dirà: Tu sei il mio Dio»  (ZACH. XIII, 9). Esso pregherà il Signore, dice Giobbe, il quale si placherà, e gli mostrerà la sua faccia»  (IOB. XXXIII, 26).
   Né può essere altrimenti, perché la preghiera, dice il Crisostomo, fa di noi altrettanti templi di, Gesù Cristo (De Orand. Dom. lib. II). Inoltre essa ci dà la purezza e la castità, ed è parola di Gesù Cristo che quelli i quali hanno il cuore mondo e puro vedranno Iddio. - E che l'orazione ci ottenga da Dio le dette virtù, lo dichiara espressamente Salomone per esperienza avutane: vedendo che gli era impossibile vivere continente, se Dio non lo soccorreva di sua grazia, a Lui fece ricorso con la preghiera (Sap. VIII).

   6° La preghiera è onnipotente. - «Niente al mondo vince in potenza l'uomo probo che prega», sentenzia il Crisostomo (In Matth.). La preghiera è così potente, i suoi frutti, i suoi effetti sono così grandi, che nessun ostacolo l'arresta, non vi è nulla che non ottenga: «La preghiera, osserva S. Giovanni Climaco, a considerarne la natura è una conversazione familiare, è l'unione dell'uomo con Dio. Ma a considerarne l'efficacia e la potenza, è la conservazione del mondo, la riconciliazione con Dio, la madre e la figlia delle lagrime; è la remissione dei peccati, il ponte sotto cui passano le onde delle tentazioni, la fortezza contro l'impeto delle afflizioni, la tregua e la cessazione delle, guerre, l'uffizio degli Angeli, l'alimento di tutti gli spiriti, la gloria futura, l'opera per l'eternità, la sorgente delle virtù, la riconciliatrice delle grazie divine, la perfezione spirituale, il cibo dell'anima, la luce dello spirito, il farmaco contro la disperazione, la dimostrazione della speranza, la consolazione nella mestizia, la ricchezza dei religiosi, il tesoro dei solitari, il freno della collera, lo specchio della perfezione religiosa, l'indice della regola, la manifestazione dello stato, la spiegazione delle profezie, il suggello della gloria eterna (Grad. XXVIII)».

   La preghiera è il respiro dell'anima; pregando, noi mandiamo verso Dio il soffio del desiderio e riceviamo da lui il soffio delle virtù; noi aspiriamo Dio... L'anima che prega è inespugnabile fortezza... Pietro è in carcere, carico di ferri; la Chiesa fa per lui orazione, ed ecco che la vigilia del giorno in cui doveva essere messo a morte da Erode, nel cuore della notte, gli compare un Angelo del Signore, un vivo chiarore splende nel carcere, Pietro è svegliato e, al suo svegliarsi, le catene cadono infrante; egli si trova libero, le porte si aprono ed egli passando in mezzo alle guardie esce di prigione senza che alcuno dei suoi nemici se ne accorga. Chi operò tanti prodigi? La continua, fervida preghiera dei divoti (Act. XII, 5-9).


   La preghiera 1) calma la collera di Dio; ma che dico? lo trae ad obbedire all'uomo... Prega Giosuè ed il sole si arresta nel suo corso (IOS. X, 13). 2) Gli Angeli assistono a quelli che pregano (DAN. IX, 21). Offrono essi medesimi a Dio le orazioni di chi prega e gli riportano il frutto della preghiera esaudita, dice Giobbe (IOB. XII, 12). 3) La preghiera libera l'uomo da mille mali; ottiene la grazia e la salvezza presente e futura. 4) Domina tutti gli elementi e le creature tutte; ferma il corso degli astri; fa piovere fuoco dal cielo (IV, Reg. I, 10). Divide il mare ed i fiumi (Exod. IV, 15-21; 108. 111, 16). Risuscita i morti, libera le anime dal purgatorio; ammansa le belve feroci; guarisce la lebbra, la febbre; tiene lontana la peste ed i malori, calma gli uragani, spegne gli incendi, ferma i terremoti; impedisce i naufragi; prende dal cielo tutte le virtù e le grazie e le porta su la terra; trionfa di Dio onnipotente ed in certo qual modo lo incatena a sé.

   Geremia pregando è rincuorato nella sua prigione... Daniele, nella fossa coi leoni, li rende mansueti come agnelli, e loro chiude le fauci con la preghiera... I tre fanciulli nella fornace ardente cantano le lodi del Signore e, a loro preghiera, le fiamme non toccano neppure le loro chiome... Giobbe sul letamaio, per mezzo della preghiera, trionfa di Satana e di ogni sua disgrazia... Con la preghiera, Giuseppe esce vittorioso della più terribile fra le passioni... Con la preghiera Susanna salva la sua virtù e la sua vita; è liberata dalle insidie dei due impudichi vecchioni i quali come calunniatori sono condannati a morte ignominiosa... Il buon ladrone, in virtù della preghiera, vola dalla croce al cielo... Stefano prega, e vede il cielo aperto e vi sale...

   Non vi è dunque né luogo né tempo in cui non si debba pregare. La preghiera è la colonna delle virtù, la scala della divinità, delle grazie, degli Angeli per discendere su la terra, e degli uomini per ascendere il monte eterno. La preghiera è la sorella degli Angeli, il fondamento della fede, la corona delle anime, il sostegno delle vedove, l'alleggerimento del giogo maritale. La preghiera è una catena d'oro che lega l'uomo a Dio, Dio all'uomo, la terra al cielo; chiude l'inferno, incatena i demoni; previene i delitti e li cancella... La preghiera è di tutte le armi la più forbita e gagliarda; dà sicurezza incrollabile; è il più ricco tesoro; il porto sicuro della salute; il vero luogo di rifugio... «La preghiera è, dice S. Gregorio Nisseno, la robustezza dei corpi, l'abbondanza, la ricchezza di una casa». (De Orat.).

   Il popolo ebreo nel deserto prega, ed alla sua preghiera gli uccelli del cielo véngono a farsi sua preda; la manna gli piove dall'alto ed un pane miracoloso gli serve di cibo (Psalm. CIV, 40). Il popolo ha sete, prega, ed alla sua preghiera Dio spacca i massi e le acque ne zampillano in abbondanza, un fiume corre a innaffiare un arido deserto  (Ib. 41). Giacevano sepolti nelle tenebre e nelle ombre di morte, incatenati dalla fame e dal ferro, e gridarono al Signore, ed esso li cavò dalle loro miserie. Li trasse fuori dal buia caliginoso della morte, infranse i loro ceppi, perché pregavano  (Psalm. CVI, 14).

   La preghiera si può paragonare alla torre di Davide, della quale è detto nei Cantici, che s'innalza coronata di merli, munita di ogni difesa, guernita di migliaia di scudi e di ogni genere di armi robuste (Sent. IV, 4). «La preghiera è un'arma celeste, scrive S. Cipriano, una cittadella spirituale, un giavellotto divino che ci protegge» (Lib. I, epist. I).  S. Efrem la chiama un arco col quale noi lanciamo verso Dio saette di santi desideri; con queste frecce noi feriamo il cuore di Dio e ne trionfiamo: can le medesime frecce trapassiamo e abbattiamo i nostri nemici (De Orat.).

   La preghiera fa discendere il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, nell'anima; dirò meglio, innalza l'anima nel più alto dei cieli e la colloca in seno alla gloria della Triade Augusta; tanto che S. Gerolamo osa affermare che ha forza di arrestare e cangiare i decreti di Dio (In Exod.). E infatti Mosè, come dice la Sapienza, resisté alla collera di Dio, impiegando la preghiera  (Sap. XVIII, 21); e quando già i cadaveri si alzavano a monti, egli con la preghiera si fece mediatore, disarmò la vendetta di Dio e la impedì di estendersi a quelli che ancora vivevano (Id. 23); la Sacra Scrittura afferma che se Abramo avesse trovato anche solo dieci giusti che avessero pregato, Sodoma non sarebbe perita (Gen. XVIII, 32).

   Volete altre prove dell'efficacia della preghiera? La storia del popolo ebreo ve ne somministra delle chiarissime ed innegabili. I Giudei peccano d'idolatria, adorando un vitello d'oro; il Signore sdegnato di tanta durezza, dice a Mosè che lo lasci (cioè, più non preghi per quella gente colpevole), ed egli li sterminerà nel furore del suo sdegno. Mosè non si arrende, ma con fervida preghiera si mette a scongiurare il Signore che gli perdoni e non adempia le sue minacce, affinché gli Egizi non possano dire, a ingiuria del suo nome, che egli li aveva cavati a bella posta dall'Egitto, per ucciderli nei monti, e sterminarli dalla faccia della terra. E il Signore si rappacificò col popolo e non fece quello che aveva stabilito (Exod. XXXII).

   Non diversamente avvenne quando il popolo ebreo mormorò contro Mosè. Anche allora Iddio disse a Mosè che se n'andasse via di mezzo alla moltitudine, e gli lasciasse libero il braccio per fulminarlo. Allora Mosè, adorato Iddio, corse da Aronne e gli disse: Prendi l'incensiere, e postovi del fuoco dell'altare con dell'incenso, va subito verso la folla, a pregare per essa, perché già la colera di Dio è scoppiata sul popolo e ne fa strage. Obbedì Aronne e corse tra la moltitudine che già la fiamma divorava; offerse i timiami e stando in piedi tra i vivi e i morti, pregò per il popolo, e la piaga cessò (Num. XVI, 41-48).

   Nell'Esodo si legge che essendo Israele stata combattuto e vinto da Amalec in Raphidim, Mosè ordinò a Giosuè che, fatta scelta di valorosi guerrieri, uscisse ed affrontasse Amalec, mentr'egli sarebbe asceso il dimani su la vetta del monte, tenendo in mano la verga del Signore. Adempì Giosuè l'ordine del duce il quale andò alla volta sua, con Aronne ed Ur, su la vetta del monte prima che Giosuè ingaggiasse battaglia con Amalec. Ora fu osservato che mentre Mosè teneva alte le mani, Israele trionfava, ma se le abbassava, Amalec vinceva. Osservato ciò e veduto a un certo punto che le braccia di Mosè non potevano più reggersi alte per la stanchezza, lo fecero sedere sopra un. sasso, ed Aronne ed Ur gli sostennero le braccia le quali perciò ressero in alto fino al tramonto del sole. E per questa preghiera di Mosè, Giosuè sbaragliò Amalec (Exod. XVIII, 8-13). « Mosè, dice il Crisostomo, stava sul monte, vicino al cielo, e quanto più alta era la montagna, tanto più la sua preghiera era vicina a Dio. Qual è il giusto che non abbia trionfato con la preghiera? qual è il nemico, che non sia stato vinto con la preghiera? Per mezzo della preghiera Daniele penetra e svela le misteriose visioni, le fiamme si estinguono, i leoni si spogliano della loro ferocia, i nemici cadono sgominati e vinti (Homil. XVI)».

   Scorrete la storia del popolo ebreo per tutto il tempo in cui fu governato dai Giudici, e se da una parte ci vedete una catena di cadute, d'infedeltà nel servizio del Signore, di delitti, d'idolatrie,e quindi di sciagure, di disastri, di schiavitù, dall'altra si ammira una sequela di perdoni, di benefizi, di liberazioni, rinnovatesi quante volte il pentimento gli mosse il cuore e gli aprì la bocca alla preghiera, Se Otoniele vinse Chusan e liberò Giuda da una servitù di otto anni, mantenendolo poi in pace, per quaranta; se Aod uccise Eglon, re dei Moabiti, e pose fine per Israele ad un servaggio di diciott'anni; se Debora mise in rotta l'esercito di Iabin, re di Canaan, freddandone di sua mano il capitano Sisara e tolse i figli di Giacobbe ad un'oppressione che durava da vent'anni; se Gedeone sconfigge i Madianiti, che da sette anni opprimevano Israele; se Iefte lo strappa alle mani dei Filistei i quali facevano pesare su di lui un giogo di ferro da oltre cinque lustri; e se Sansone lo libera di bel nuovo dalla servitù dei medesimi Filistei, prolungatasi per quarant'anni; alla preghiera, ed alle grida che la stirpe di Giacobbe mandava dal fondo del cuore a Dia, in quei crudeli frangenti, se ne deve il merito... Dio si moveva a pietà di loro e li perdonava sempre, quando pentiti facevano ricorso alla preghiera. Come tremendo è il peccato! come potente è la preghiera! Come l'iniquità è punita! come l'orazione è ricompensata!

   Dio suole dare più di quello che si dimanda. Salomone domanda solamente la sapienza e Dio oltre al concedergliela in sommo grado, vi aggiunge ancora molti favori temporali (Il Reg. III). Sara ed Anna sono sterili; pregano, e Dio le fa madri, quella d'Isacco, questa di Samuele. «Chi prega, dice il Crisostomo, ricava segnalati beni dalla sua preghiera, prima ancora che riceva quello che ha domandato; la sua preghiera reprime i tumulti dell'anima, calma l'ira, caccia la gelosia, spegne la cupidigia, scema l'affetto alle cose periture, dà la pace, e fa ascendere al cielo (In Psalm, CXXIX)».  
     
   Samuele prega per il popolo di Dio oppresso dai Filistei, e il Signore l'esaudisce  (I Reg. VII, 9). I Filistei combattono con Israele; ma Samuele prega, e Dio fa rombare con sì orribile fracasso il tuono su di loro, che colti di spavento cadono in faccia all'esercito giudeo. Prega il profeta Elia, e due volte il fuoco del cielo divora i nemici del Profeta, cinquanta per volta (IV Reg. l, 10). Il re di Siria vuole impadronirsi di Eliseo, e spedisce. a questo intento cavalli, carri e soldati scelti. Eliseo prega il Signore che accechi tutta quella truppa; e il Signore adempie immantinente la prece del profeta (Ib. II, 18). A proposito di questo fatto, S. Ambrogio osserva che «la preghiera si spinge a ferire più lontano che una saetta. Eliseo soggiogava i suoi nemici non con le armi, ma con l'orazione (Serm. LXXXVI)». Poi più avanti ripiglia: Eliseo prega e colpisce di cecità tutta la schiera nemica. Dove sono coloro i quali dicano che le armi degli uomini sono più potenti delle preghiere dei Santi? Ecco qua come alla preghiera del solo Eliseo, un numero grandissimo di nemici è fatto prigioniero; per la preghiera e per i meriti di un solo Profeta, tutto un esercito è sbaragliato e vinto. Dov'è l'esercito sia pure numeroso, agguerrito e valente, il quale possa impadronirsi di tutti i nemici, senza eccettuarne pur uno, e così all'improvviso? Ma la preghiera opera questo prodigio, s'impadronisce di tutti i nemici, e con un altro prodigio non meno grande, di questi nemici, quantunque vinti, nessuno è ferito (ut sup.).
   Il re Ezechia prega, e con la sua preghiera ottiene lo sterminio delle numerose falangi Assire; Sennacherib vi perde la vita insieme a cento ottantacinquemila uomini (IV Reg. XIX). Tobia prega, e ricupera la vista... Sara prega, ed è liberata da sette mariti bestiali. Giuditta desidera e stabilisce di liberare il suo popolo e di salvarlo dalle mani di Oloferne. Che cosa domanda ai suoi, per riuscire nel disegno? nient'altro se non che facciano orazione al Signore per lei, fino a tanto che non ritorni a portare loro delle notizie  (IUDITH. VII, 53). Armata della preghiera, parte; va al campo nemico, passa tra le file della soldatesca, entra nel padiglione del capitano, e sostenuta dalla preghiera, mozza il capo ad Oloferne, mette in fuga l'esercito assediante, libera Betulia. La santa donna Giuditta, dice S. Agostino, apre il cielo con le sue preghiere, con l'arte della preghiera fabbrica armi vittoriose con le quali abbatte il nemico e libera il suo popolo da spaventoso terrore. Betulia assediata da numerosa orda di barbari, più belve che uomini, gemeva nell'accasciamento e nella sfiducia. Tutti languivano, morivano di fame e di sete, tutti si figuravano già come caduti nelle branche di quei feroci. Ma ecco Giuditta che, santificata colla preghiera, col digiuno, con la cenere e col cilizio, si avanza, speranza del popolo, destinata a rendergli sicurezza. Tra le mura di Betulia essa è inquieta, ma sostenuta dalla preghiera, rimane impavida là dove per essa tutto è pericolo. Per mezzo della preghiera, conserva la sua castità, salva il suo popolo, abbatte il nemico. La preghiera è più potente che non tutte le armi: con la preghiera una donna salva una città intera ed una nazione, mentre un esercito intero, senza preghiera, non può salvare il suo duce (In 1udith.).

   Un decreto di morte è promulgato contro il popolo di Dio schiavo nella Persia. Ester prega, la sua preghiera cambia il cuore di Assuero, ed Israele è salva. Ai tempi di Geremia il popolo vilipende il Signore e il Profeta si volge a pregare Iddio. Questi, volendo punire il popolo colpevole, dice al Profeta: la tua preghiera mi lega le mani; non pregare per loro, non indirizzarmi né cantico né supplica in loro favore, non opporti a me (IEREM. VII, 16). Dio si sente come inceppato dalle preghiere dei giusti, e non può punire i cattivi, come già aveva detto a Mosè: «Lasciami libero di esercitare la mia giusta vendetta»  (Exod. XXXII, 10). Ma in verità Dio desidera che vi sia chi si opponga e trattenga la sua vendetta; si rallegra quando alcuno gli ferma il braccio vendicatore e gli lega le mani con la preghiera. Egli si lamenta, per, bocca del profeta Ezechiele, che non gli si fa violenza con la preghiera, che non si prega per disarmarlo (EZECH. XIII, 5). «Io ho cercato tra di loro un uomo il quale s'intromettesse come siepe tra me ed essi, e a me si opponesse per salvare questa terra, affinché io non la disertassi; e non l'ho trovato»  (EZECH, XXII, 30). «Perciò ho rovesciato sopra di loro il vaso del mio sdegno, li ho consumati col fuoco della mia collera (Id. 31). La preghiera è siepe e muro di opposizione alla giusta collera di Dio. Il mondo non sussiste se non per le preghiere delle anime ferventi. Perciò Gesù Cristo dice che alla fine dei secoli la fede sarà estinta; ed è perciò che verrà la fine del mondo. 
     
   Giona prega nel ventre della balena, e il Signore comanda al cetaceo di rigettare Giona su la riva (ION. II, 2-11). «Giona, commenta qui S. Gregorio, grida a Dio dal ventre del pesce, dal fondo dell'oceano, dal seno della disobbedienza; e la sua preghiera ascende fino alle orecchie di Dio, e Dio lo libera dalla balena e dalle onde, lo assolve della sua colpa. Gridi il peccatore, che la tempesta delle passioni ha allontanato da Dio e sconquassato e sommerso, che è divenuto la preda del maligno spirito, che fu ingoiato dai flutti del secolo; riconosca e confessi ch'egli giace in fondo all'abisso, affinché la sua preghiera giunga a Dio (In Psalm. VI, Poenit.)».

   Finalmente S. Agostino compendia così tutti questi prodigi della preghiera (Serm. XXII): «Per la sua preghiera Geremia è confortato in carcere; Daniele sta lieto in mezzo ai leoni; i tre fanciulli inneggiano allegri nella fornace ardente; Giobbe trionfa del demonio dal suo letamaio; il ladrone passa dalla croce al cielo; Susanna scampa al tranello dei vecchioni; Stefano, vittorioso dei suoi lapidatori, è ricevuto in cielo; non vi è dunque luogo in cui non si deva pregare. Preghiamo dunque sempre e in ogni luogo, e gli uni per gli altri, affinché ci salviamo. La preghiera è la santa colonna della virtù, la scada della divinità, lo sposo delle vedove, l'amica degli Angeli, il fondamento della fede, la corona dei religiosi, il sollievo dei coniugati».

   7° La preghiera è il terrore dei demoni. - «Vestitevi dell'armatura di Dio, suggeriva S. Paolo agli Efesini, affinché possiate stare fermi e saldi contro le insidie del demonio»  (Epist. VI, 11). A commento di queste parole, S. Bernardo scrive: «Fiere certamente sono le tentazioni che ci vengono dal nemico; ma ben più tremenda è per lui la nostra preghiera, che non per noi i suoi assalti (Serm. V, in Dedicat.)». Infatti, «non così presto, dice S. Giovanni Crisostomo, il ruggito del leone mette in fuga le belve, come la preghiera del giusto sbaraglia i demoni (In Eccles., c. XVIII)». Essa è tale saetta, dice S. Ambrogio, che va a colpire il nemico, ancorché lontanissimo  (Serm. LXXX, VI); e S. Agostino la chiama il flagello dei diavoli  (De Orat.). La preghiera caccia i demoni dal corpo e dall'anima; li costringe all'obbedienza ed alla fuga; assennatissimo quindi è il consiglio che dava ai suoi monaci l'abate Giovanni: «Che cosa fa un uomo, egli dice, quando vede qualche fiera venirgli incontro? O fugge o si arrampica sopra di un albero; così fate voi, quando il demonio vi tenta; fuggite verso Dio per mezzo della preghiera, montate a lui e sarete salvi; poiché la preghiera atterra le tentazioni e il tentatore, come l'acqua smorza il fuoco (Vit. Patr. l. III)».
   «Io loderò e invocherò il Signore, cantava il Salmista, e sarò liberato dai miei nemici»  (Psalm. XVII, 4). «Partiti da me, Satana» - Vade, Satana - comandò Gesù al diavolo che osava tentarlo (MATTH. IV, 10), e Satana si ritirò immantinente, e gli Angeli si accostarono a lui per servirlo (Ib. 11). I medesimi favori procura a noi la preghiera, caccia gli spiriti cattivi e ci avvicina i buoni. Diciamo sovente: Via da me, o Satana; questa sola orazione mette in fuga l'inferno e ci fa comunicare col cielo... Il demonio non ha mai potuto vincere chi prega sovente e come si conviene. Se dunque noi siamo vinti, è perché o non preghiamo, o preghiamo male.

   8° La preghiera illumina. - Si legge negli Atti Apostolici, che il Signore disse a un discepolo di nome Anania, che andasse nella contrada chiamata Retta e cercasse nella casa di Giuda, un certo Saulo di Tarso, «perché egli prega»;  significandogli nel tempo stesso che quell'uomo il quale pregava, era un vaso di elezione per portare il nome di Gesù Cristo in mezzo ai gentili, dinanzi ai prìncipi della terra ed ai figli d'Israele. Andò Anania, entrò nella casa indicatagli e vi trovò Saulo in orazione; imponendogli le mani, gli disse: Saulo, fratello mio, il Signore Gesù mi ha inviato a te affinché tu veda e sia riempito di Spirito Santo. E su l'istante ricuperò la vista (Act. IX, 10-18). Osservate che Saulo riceve la visita di Anania, lo Spirito Santo e la restituzione della vista, perché prega. - Vogliamo noi che Dio ci visiti egli medesimo, che i buoni Angeli ci assistano; desideriamo di essere illuminati dallo Spirito Santo? Imitiamo Saulo che prega.

   9° Per la preghiera si ottiene la conversione dei peccatori. - Basta a persuaderci di questo effetto della preghiera l'esempio di S. Monica il cui figlio Agostino era un grandissimo peccatore e pietra di scandalo. Essa prega, prega molto, prega sovente, non cessa di pregare, e continua per lunghissimo tempo a pregare, e si raccomanda a tutte le persone buone, che preghino per suo figlio; ma finalmente la sua preghiera fa di Agostino un gran santo ed uno dei primi Dottori della Chiesa; avverandosi quella parola di un vescovo alla madre: Andate tranquilla, ché il figlio di tante lagrime non può perire (In Vita). Si legge nella vita di S. Teresa, che essa ottenne con le sue preghiere la conversione di tanti peccatori, quanti ne aveva convertiti S. Francesco Saverio, Apostolo delle Indie, con le sue prediche e con i suoi miracoli (In Vita).
   Donde vengono quei subitanei cambiamenti, quelle stupende miracolose conversioni che avvennero in tutti i secoli e di cui noi siamo testimoni, e in vista delle quali noi dobbiamo dire: «Qui vi è il dito di Dio»?  (Exod. XVIII, 19). Dalle preghiere del giusto, dei religiosi, della Chiesa...

   10° La preghiera ci salva. - «I padri nostri, dice il Salmista, innalzarono le loro grida al Signore e furono salvati... Per me ho levato la mia voce verso Iddio, e il Signore mi salverà» (Psalm. XXI, 6), (Psalm. LIV, 17).
   «La preghiera del giusto, dice S. Agostino, è la chiave del cielo; la preghiera ascende al cielo, e la misericordia di Dio ne discende»  (Serm. CCXXVI); lo stesso dice S. Efrem, assicurandoci che la preghiera ha sempre l'adito aperto al cielo  (De Orat.). Queste sentenze si fondano su la parola medesima di Dio, trovando noi nell'Ecclesiastico, che la supplice preghiera sale fino alle nubi; che l'orazione di chi si umilia passa le nuvole e non si arresta finché non giunge al trono medesimo di Dio  (Eccli. XXXV, 20-21).
   Quale non dev'essere la forza e l'efficacia della preghiera, se monta fino al cielo, l'apre, e s'inoltra fino al trono di Dio? Notevole esempio ne abbiamo nel profeta Elia, il quale con la sua preghiera apre e chiude a suo volere il cielo!
   Per la preghiera, scrive il Crisostomo, noi cessiamo, anche nel tempo, di essere mortali; noi siamo per natura mortali, ma per la preghiera, per la nostra familiare conversazione con Dio, passiamo alla vita immortale. Colui che parla familiarmente con Dio, diventa necessariamente più forte della morte e di tutto ciò che è soggetto alla corruzione. La preghiera assicura la gloria immortale all'anima, e la risurrezione gloriosa ai corpi (In Eccles. c. XXVIII).


   11° La preghiera contiene beni immensi. - Dio ascolta, rischiara, illumina, dirige, fortifica, esaudisce chi prega. «Di quanti tesori di saggezza, di virtù, di prudenza, di bontà, di sobrietà, di eguaglianza di costumi non ci riempie la preghiera!», esclama S. Giovanni Crisostomo (In Eccles. c. XVIII). Nell'orazione si avvera quel detto di Dio al Salmista: «Apri la tua bocca ed io l'empirò»  (Psalm. LXXX, 11). Quanto più si domanda, tanto più si riceve; più si desiderano ricchezze e più Dio ne dà... «Grida a me, disse Iddio a Geremia, e ti esaudirò; e ti rivelerò cose grandi e certe che tu non sai»  (IEREM. XXXIII, 3).

   La preghiera è come lavoro in una miniera inesauribile; essa ottiene tutto ciò che vuole; siccome la miniera dei divini tesori non potrebbe mai essere esaurita, attingendovi tutto quello che si desidera, la miniera è sempre intera. A questo oceano di ricchezze, che è Dio, attingono da seimila anni tutti quelli che pregano; e questo mare che bagna e feconda la terra, non è diminuito neppure di una goccia. E’ sempre pieno, sempre ribocca su coloro che pregano. Diciamo di più, quelli che pregano stanno attorno a questo mare e la loro preghiera ve li immerge per l'eternità.

   Udiamo ancora alcuni tratti dei santi Padri su questo argomento: «La preghiera, così il Crisostomo, è la guardiana della temperanza, la repressione della collera, il freno della superbia, l'espiazione dei desideri di vendetta, l'estinzione dell'invidia, la conferma della pace (In Eccles. c. XIII)». Secondo S. Bernardo, «purifica l'anima, regola gli affetti, dirige le azioni, corregge gli eccessi, forma i costumi, costituisce la bellezza e l'ornamento della vita (Serm. in Cantic.). Rasserena il cuore, dice Cassiano, lo allontana dalle cose caduche, lo purifica dai vizi, lo innalza alle cose celesti e lo rende capace e degno di ricevere tutti i beni (Lib. Iustific.)». Insomma, come dice S. Agostino, «la preghiera è un sacrificio gradito a Dio; è un soccorso a chi prega; è il flagello di Satana (Ad Prov.)». 
 
5. FACILITÀ DELLA PREGHIERA. - La preghiera è cosa facilissima a tutti, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, vecchi e giovani e tutti possono facilmente pregare. La preghiera, mentre è il più efficace, anzi l'indispensabile meno di salute, è nello stesso tempo il più facile. Si può pregare in ogni tempo e luogo... Chiunque ha cuore, possiede tutto quello che occorre per pregare. Dare il cuore a Dio, questo basta: Dio non domanda altra cosa...
   Qualcuno alle volte si lamenta che non sa pregare. Come! Non sapete pregare! questo proviene dal fatto che voi non pregate; pregate, e voi saprete pregare; e quanto più pregherete, tanto più saprete pregare; nessuno diventa sapiente nella preghiera, se non a misura che prega: pregando spesso, s'impara a pregare.

   La preghiera è facile, perché può essere breve ed insieme efficacissima. Il Pater, che è la più ricca, la più perfetta di tutte le preghiere; il Pater che racchiude in sé tutte le altre preghiere, è una preghiera non lunga e da tutti conosciuta... Qual fu la preghiera del cieco? «Signore, fate che io veda!»  - Qual fu la preghiera del pubblicano? «Signore, siatemi propizio, perché io sono un peccatore». - Quale fu la preghiera degli Apostoli in pericolo di naufragare? «Signore, salvateci perché andiamo perduti». - Qual fu la preghiera del centurione? «Signore, io non sono degno che voi entriate in casa mia, ma dite una sola parola, ed il mio servo sarà salvo». - Qual fu la preghiera del buon ladrone su la croce? «Signore, ricordatevi di me quando sarete nel vostro regno». - Tutte queste preghiere sono brevi, facilissime e furono tutte esaudite immediatamente.
   La preghiera è facile, perché si può pregare in ogni ora, di notte e di giorno.
   La preghiera è facile, perché Dio che è sempre presente, è sempre disposto ad esaudirci, a soccorrerci, ad ascoltarci.
   La preghiera è facile, perché Dio è di facile accesso, benché infinitamente grande, vuole che ci rivolgiamo a lui con libertà grandissima.
   Facile riesce la preghiera, per le consolazioni che vi si gustano ed il sollievo che vi si trova a tutti i mali.

6. BONTÀ INFINITA DI DIO NELLA PREGHIERA. - L'apostolo S. Giacomo dice che chi ha bisogno «domandi a Dio il quale dà a tutti con abbondanza» (IAC. I, 5). Dice S. Giovanni Crisostomo: «Dio vuole che noi riceviamo per mezzo della preghiera quello che desideriamo; ah che felicità, che fortuna è mai questa per noi, di discorrere con Dio, di poter dimandare quello che ci abbisogna! (In Eccle. c. XVIII)». «Dio è tutto per noi, dice S. Agostino, noi troveremo in lui ogni cosa. Hai tu fame? è tuo cibo; hai tu sete? è tua bevanda; ti trovi a brancolare nel buio? è tua luce; sei tu nudo? è tuo vestimento per l'eternità (Tract. XIX, in Ioann.)». Diciamo pure anche noi con S. Bernardo: «Iddio si è dato tutto a me; si è speso tutto quanto a mio vantaggio»  (Serm. III, in Circumcis.).

   «Dio è vicino a coloro che lo invocano» (Psalm. CXLIV, 18); e quanti lo invocano, sono esauditi  (Psalm. XCVIII, 6). E il Signore medesimo impegna la sua parola, che esaudirà colui il quale leverà a lui le sue grida (Psalm. XC, 15); e si appellava all'esperienza del Salmista, dicendo: «Tu mi hai invocato nella tribolazione, ed io ti ho liberato»  (Psalm. LXXX, 8). Insomma, possiamo sfidare con l'Ecclesiastico tutto il mondo a direi chi mai abbia invocato Dio e non sia stato esaudito (Eccli. II, 12).

   È tanta la bontà di Dio, che più desidera egli di dare che non noi di ricevere; e pregato, molto più abbondantemente dà, di quel che non gli si chiegga. Iddio, come osserva S. Tommaso, dà 1° liberamente, non vende i suoi doni...; 2° generalmente, non a uno solo, ma a tutti...; 3° copiosamente...; 4° generosamente e senza rimproveri... Si vergogni dunque di se stessa l'indolenza umana; Dio è più disposto a dare che noi a ricevere; è nella natura di Dio il dare (In Epist. S. Iacob.).






Questo Articolo proviene da Pagine cattoliche

Commovente storia delle Apparizioni di Nostra Signora di COROMOTO. VENEZUELA.


La Storia

Nostra Signora di Coromoto è una Parrocchia unica nel suo genere perché il suo nome non indica un luogo bensì una persona a cui è apparsa la Madonna nel 1652. Si trattava di un capo indio di nome Coromoto che viveva in Venezuela, nei pressi di Guanare. Questa è la sua storia.

Poco dopo la fondazione della città di Guanare da parte di un capitano spagnolo (1591), si pose il problema di convincere gli indios, abituati a vivere in libertà, ad uscire dalla foresta e a coltivare la terra ma c’era una tribù, i Cospes, che dell’uomo bianco non ne voleva proprio sapere e preferì nascondersi tra le montagne. Di essi per vari decenni non si sentì più parlare, finchè al principio del 1652 (2 febbraio?) accadde qualcosa.

Il capo tribù, il cacicco chiamato Coromoto, un giorno camminava lungo il rio Guanare con la moglie, quando sulle acque apparve una bellissima signora, che teneva in braccio un bambino radioso di luce. Coromoto e la moglie rimasero come paralizzati dalla visione, ma la signora sorridendo li rassicurò rivolgendosi a essi nella loro stessa lingua. “Esci dal bosco”, disse a Coromoto, “e va nel posto dove abitano i bianchi per ricevere l’acqua sulla testa e poter così andare in cielo”. Queste parole furono pronunciate da Maria con tanta soavità e dolcezza che Coromoto si convinse immediatamente.




Quando poi l’estate seguente passò da quelle parti un coltivatore spagnolo, tale Juan Sanchez, l’indio gli si parò davanti per raccontargli quanto la bella Signora gli aveva ordinato un anno prima, aggiungendo che tutta la sua tribù desiderava ricevere l’acqua sulla testa. Dopo alcune lezioni di catechismo, gli indios furono battezzati, tutti tranne il cacicco, che rimpiangeva la vita della foresta e per amor di libertà non voleva legacci di sorta. A un capo indio, pensava, non si addiceva l’obbedienza all’uomo bianco, neanche davanti all’evidenza dell’apparizione cui aveva assistito.

La sera dell’8 settembre 1652, era un sabato, gli indios neoconvertiti erano tutti riuniti per pregare la S. Vergine. Lo spagnolo Juan Sanchez aveva invitato pure Coromoto, ma il capo indio, sdegnato, era andato a chiudersi nella sua capanna di paglia.Qui lo raggiunsero la moglie, la cognata e il figlioletto di quest’ultima, un piccolo indio di dodici anni. Erano passati solo pochi minuti quando l’umile capanna fu illuminata a giorno: all’ingresso c’era ancora quella Signora bellissima, che appariva luminosa come i raggi del sole a mezzogiorno. 

Coromoto credette che lei fosse venuta per impedirgli di tornare nella sua amata foresta e dentro di sé sentì crescere il disappunto. “Fino a quando mi perseguiterai?”, gridò. “Te ne puoi anche andare”, aggiunse, “perché io non farò mai quello che mi ordini!”. La moglie, vergognandosi di tanta mancanza di rispetto, lo ammonì: “Non parlare in questo modo alla bella Signora!”. Ma il cacicco, ormai in preda alla rabbia, afferrò il suo arco urlando: “Lascia che ti ammazzi!”. A questo punto la bella Signora, che finora era rimasta sulla soglia, entrò nella capanna. 

Il capo indio allora le si lanciò addosso, cercando di afferrarle il collo per strozzarla. Ma in quello stesso istante la visione celeste sparì e la capanna ripiombò nell’oscurità. L’apparizione era svanita, eppure Coromoto era sicuro di stringere qualcosa dentro il pugno. “L’ho presa!”, gridò alle due donne attonite. “La tengo qui nella mano!”. “Faccela vedere”, dissero queste. Il capo indio aprì allora le dita e la capanna fu di nuovo illuminata a giorno. La luce proveniva da un piccolo pezzo di pergamena su cui era impressa una immagine della Madonna col Bambino. Era grande non più di una moneta. Coromoto l’avvolse in una foglia e la nascose fra la paglia del letto. 

Il bambino indio di 12 anni, suo nipote, ebbe paura che lo zio volesse distruggere quella piccola pergamena e corse fuori della capanna fino alla casa di Juan Sanchez per raccontargli l’accaduto. Così lo spagnolo salvò l’immagine miracolosa.

Intanto però il cacicco aveva deciso di prendere la via dei monti, lontano dai bianchi e al sicuro, lui pensava, dalla bella Signora. Ma non riuscì ad allontanarsi dal villaggio: appena entrato nella foresta venne morso da un serpente velenoso. Era un castigo del cielo? Il capo indio lo interpretò come tale, e vedendosi ferito a morte decise finalmente di battezzarsi. Passava di lì per caso un creolo di Barinas, che – come è consentito a ogni cristiano in casi di estrema necessità – gli amministrò il battesimo. Coromoto entrò in agonia e morì di lì a poco, dopo aver raccomandato a tutti i suoi indios di rimanere con i bianchi.










L’immagine miracolosa della Vergine restò per più di un anno in casa di Juan Sanchez, finchè il primo febbraio 1654 fu trasferita con una solenne processione fino alla città di San Giovanni dello Spirito Santo di Guana Guanare. Lì è rimasta fino al 1949, quando è stata riportata sul luogo dell’apparizione, e dal 1985 si trova nella base di legno della statua della Madonna destinata al nuovo Santuario. È una pergamena in miniatura, grande 27 millimetri per 22, racchiusa dentro un ovale d’oro, e non dipinta da mani umane. Ho avuto la gioia di vederla con i miei occhi. Ultimamente però la reliquia fu trafugata.
Papa Pio XII, nel 1950, dichiarò Nostra Signora del Coromoto patrona del Venezuela. Il Papa Beato Giovanni Paolo II incoronò la statua nella sua visita al santuario mariano di Guanare e papa Benedetto XVI elevò il santuario nazionale di Nostra Signora di Coromoto al rango di basilica minore. 



Sia lodato Gesù Cristo!


Sua Ecc. Mons. Schneider alla Fondazione Lepanto

mons. Schneider(di Fabrizio Cannone) Il 30 settembre u.s. Sua Ecc. Mons. Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare di Astana in Kazakistan, ha tenuto una seguitissima conferenza presso la Fondazione Lepanto in cui ha presentato il contenuto della sua ultima preziosa opera, Corpus Christi. La Santa Comunione e il rinnovamento della Chiesa (Libreria Editrice Vaticana, 2013, pp. 100, euro 9).

Mons. Schneider ha colpito i numerosi presenti per il suo portamento davvero episcopale e degno di un Successore degli Apostoli, portamento in cui è facile scorgere la perfetta coerenza dell’uomo con l’insegnamento che appassionatamente ha profuso sulla retta ricezione dell’Eucaristia.

Dopo un sentito Sia lodato Gesù Cristo, il prelato ha iniziato la sua conferenza spiegando che lo spirito cristiano autentico è spirito di adorazione e di preghiera. Solo Cristo, ha detto, può adorare degnamente e perfettamente Dio e noi lo possiamo solo ad imitazione del Figlio. 

Tutta la Tradizione, secondo Schneider, dà una importanza capitale alle norme liturgiche le quali debbono essere rispettate da tutti senza eccezione: popolo e celebranti. Nell’Antico Testamento per esempio esistevano delle norme codificate per il culto divino e il Nuovo Testamento, benché fondato sul concetto della giusta libertà dei figli di Dio, possiede uno spirito liturgico chiaro e preciso.

Nella storia gli gnostici, gli albigesi, i calvinisti e certi protestanti hanno contrapposto le norme del culto con il suo spirito, ma si tratta di una falsa contrapposizione: le norme esterne di legge restano fondamentali e senza norme non esiste un vero spirito di adorazione legittima.

D’altra parte la Chiesa di Roma, a detta del Prelato, ha sempre rifiutato l’innovazione liturgica come tale, e ciò in nome della Tradizione Apostolica (così si espressero sia i Papi del medioevo che lo stesso Concilio di Trento). La bolla Quo Primum tempore di san Pio V è affatto contraria alle innovazioni arbitrarie e lo stesso afferma la Sacrosanctum Concilium (n. 50 del Concilio Vaticano II). Non si può negare però che dopo la svolta conciliare furono introdotte ovunque delle novità del tutto sconosciute prima come l’orientamento del celebrante verso l’assemblea, la comunione data da laici e da donne, le letture di laici all’ambone, le chierichette, le danze profane, etc.

Secondo il Vescovo è urgente ripristinare alcuni elementi liturgici che si sono persi nell’ultimo mezzo secolo come il silenzio, la genuflessione, l’incenso, il canto sacro: tutte cose che si trovano come tali nel libro dell’Apocalisse. Tutto ciò deve riportare ad un culto teocentrico e non più antropocentrico, come avviene comunemente oggi, con il celebrante che diventa il solo protagonista del rito.

In tale contesto di risacralizzazione non più procrastinabile, la santa Comunione, che è il Corpo di Cristo, deve essere ricevuta in modo degno e pio, e non come un qualunque cibo. Mons. Schneider parla di «opzione preferenziale per il Povero» per eccellenza, ovvero Gesù Sacramentato, spesse volte esposto al disprezzo e all’indifferenza nelle nostre chiese e basiliche. Davvero oggi Cristo Eucaristico è alla periferia esistenziale della Comunità. 
Il Presule auspica da parte della Santa Sede delle nuove norme che rimettano ordine nella liturgia, nel culto e nella preghiera cristiana. (Fabrizio Cannone)


mercoledì 23 ottobre 2013

Sant' Antonio Marí­a Claret



Biografía di Sant' Antonio Marí­a Claret

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Sallent_Nacimiento


Nascita e giovinezza
Nato in una famiglia profondamente cristiana di tessitori catalani con dieci figli. Con la sua mente di bambino pensa all'eternità e alla sorte dei peccatori. Questa idea sarà il pungolo del suo zelo apostolico.
Deve interrompere gli studi ed entrare come apprendista nel laboratorio di tessitura della famiglia.. Compaiono i primi desideri di essere sacerdote, ma al momento non è possibile seguirli. Si trasferisce a Barcellona per specializzarsi nell'arte tessili. Allo Lonja studia disegno, grammatica e francese. E' molto portato per la fabbricazione e si fa un nombre come tessitore. Gli propongo la direzione di una industria ma rifiuta.
Sallent_Obrero
Quando raggiunge la maturità tecnica entra in crisi sul senso della vita. La Vergine lo salva da una morte per annegamento. La sua vita si orienta decisamente verso il Signore all'interrogarsi: cosa vale guadagnare tutto il mondo se poi si perde l'anima?
Vocazione sacerdotale e missionaria
Desidera farsi frate nella certosa di Montealegre, ma la mancanza di salute glielo impedisce . È aggredito da una tentazione, che vince con l'apparizione della Vergina. Si intensifica la vocazione apostolica grazie alla lettura della Bibbia.
Viene ordinato nel 1835, a 28 anni. È nominato vicario nella parrocchia di Sallent. Va a Roma nel 1839 e si rivolge a Propaganda Fide per essere inviato come missionario in qualsiasi parte del mondo. Non potendo raggiungere questo obiettivo, entra come novizio tra i Gesuiti, ma dopo pochi mesi deve tornare in patria perché malato.
Per sette anni predica numerosissime missioni popolari in tutta la Catalogna e le isole Canarie conquistando un'immensa popolarità, anche come taumaturgo. La Santa Sede gli attribuisce il titolo di Missionario Apostolico. Sa mettere insieme la gente dando vita ad associazioni e gruppi.
Fondatore e arcivescovo
Sallent_Fundacin_2
Nel luglio 1849 con cinque giovani sacerdoti fonda una Congregazione apostolica: i Figli dell’Immacolato Cuore di Maria, oggi anche conosciuta come Missionari Clarettiani. Promuove la consacrazione di donne (religiose in casa) che chiama "Figlie del Cuore Immacolato di Maria", che poi diventerà l'Istituto secolare "Filiazione Cordimariana".


Nominato nel ottobre 1849 arcivescovo di Santiago di Cuba (all'epoca appartenente alla corona di Spagna), arriva in diocesi nel febbraio di 1851. 
Ripercorre la sua vasta diocesi per ben quattro volte missionando instancabilmente con un gruppo di santi missionari. Le sue preoccupazioni pastorali si riversano anche in gran parte nel potenziamento del seminario e nella riformazione del clero. Nell'ambito sociale, promuove l'agricoltura, anche con diverse pubblicazioni e creando una fattoria-modello a Camagüey. Oltre a questo crea in ogni parrocchia una cassa di risparmio, opera pioniera in America Latina.
Sallent_Holguin
Promuove l'educazione cercando Istituti religiosi e creando egli stesso insieme alla Venerabile Maria Antonia Paris la congregazione delle Religiose di Maria Immacolata (Missionarie Clarettiane). La sua strenua fortezza nel difendere i diritti della Chiesa e i diritti umani li crea numerosi nemici tra i politici e i corrotti. E così subisce minacce e attentati, tra i quali uno ad Holguin il 1 febbraio 1856, dove viene gravemente ferito al volto.
Confessore della Regina
Nel 1857 la regina Elisabetta lo richiama a Madrid come suo confessore personale. In questa tappa continua ad annunziare il Vangelo nella capitale, scrivi libri e oppuscoli, predica, dà corsi di esercizi spirituali, fonda l'assoziazione Accademia di S. Michele, fatta da scrittori, artiste, e promotori per rinnovare la società.... Con la Regina viaggia per tutta la penisola e predica nelle città e villagi che visita. 
Sallent_Escritor
Viene incaricato di riorganizzare strutture ed entità per il servizio dei poveri, il Monastero del Escorial; fonda bibliotecche popolari e parrocchiali, stimola e rileva l'importanza dei laici nell'apostolato. Ha uno sguardo critico sul suo tempo e ne indica i mali. È oggetto di colunnie sulla stampa; gli capitano degli incidenti strani, subisce attentati, però è anche tempo di grazie mistiche.
La Regina è costretta a riconoscere ufficialmente il Regno di Italia e Claret lascia la corte e va a Roma. Lo riceve Pio IX che li fa riprendere il suo servizio alla corte.
Esilio, Padre conciliare e morte

Esiliato in Francia nel 1868 arriva con la regina a Parigi e, anche qui, prosegue le sue predicazioni.



Poi partecipa in Roma al concilio Vaticano I dove difende con ardore l'infallibilità del Romano Pontefice.
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Interrotto il Concilio, parte per Prades (Francia) e vive con i suoi missionari. Perseguitato ancora dalla rivoluzione, si rifugia nel monastero di Fontfroide presso Narbona, dove spira santamente il 24 ottobre del 1870.

Sulla tomba nel cimitero dei monaci vengono scolpite le parole di papa Gregorio VII: "Ho amato la giustizia e odiato l’iniquità, per questo muoio in esilio".
Il suo corpo si venera nella Casa Madre dei Clarettiani a Vic (Barcellona, Spagna).
Glorificazione

E l’8 maggio 1950, Pio XII lo proclama santo, e dice del Claret: "spirito grande, sorto come per appianare i contrasti: poté essere umile di nascita e glorioso agli occhi del mondo; piccolo nella persona però di anima 
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gigante; modesto nell'apparenza, ma capacissimo d'imporre rispetto anche ai grandi della terra; forte di carattere però con la soave dolcezza di chi sa dell'austerità e della penitenza; sempre alla presenza di Dio, anche in mezzo ad una prodigiosa attività esteriore; calunniato e ammirato, festeggiato e perseguitato. E tra tante meraviglie, quale luce soave che tutto illumina, la sua devozione alla Madre di Dio".







NOVISSIMI: morte giudizio inferno Paradiso



I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Novissimi



Data: Domenica, 05 agosto @ 08:06:38 CEST
Argomento: Vita cattolica: Matrimonio, laicato...


1. Grande disgrazia è dimenticare i novissimi. 

2. Quanto è utile ricordarsi dei novissimi. 
3. Come dobbiamo ricordare i novissimi.





1. GRANDE DISGRAZIA È DIMENTICARE I NOVISSIMI. - I novissimi, cioè gli ultimi fini, sono la morte, il giudizio, il paradiso, l'inferno, 1'eternità. Dimenticare cose di tanta importanza, non prevederle, non prepararvisi, è la somma delle disgrazie che possa accadere ad un uomo. 

Infatti dimenticare la morte, vuol dire non pensare a prepararvisi, ed avventurarsi alla triste morte del peccatore: disgrazia irreparabile. 

Dimenticare il giudizio di Dio è un disprezzarlo; e allora sarà molto terribile questo giudizio.

Dimenticare il cielo è grande sciagura, perché così facendo non si fa nulla per guadagnarlo, e si perde; e perduto il paradiso, tutto è perduto. 

Dimenticare l'inferno, è un andarvi incontro; e chi vi si incammina, facilmente vi precipita. Dimenticare l'eternità, è lo stesso che perdere il tempo e l'eternità; si può immaginare disgrazia più tremenda? Ciò non ostante, oh come è comune nel mondo la dimenticanza dei novissimi! Per ciò Gesù fulminò quello spaventevole anatema: «Guai al mondo»! (MATTH. XVIII, 7). 


A quanti si possono rivolgere quelle parole del Signore nel Deuteronomio: «Gente senza consiglio e senza prudenza, perché non aprire gli occhi e comprendere e provvedere ai loro novissimi?» (XXXII, 28-29). E quelle altre d'Isaia: «Tu non hai pensato a queste cose, e non ti sei ricordato dei tuoi novissimi» (XLVII, 7). 



Terribile imprudenza che ha conseguenze fatali è quella di dimenticare le cose future, di non considerare i novissimi per arrivarvi preparati. Che onta, che rabbia non sarà per i figli del mondo l'udirsi rinfacciare dai demoni nell'inferno: O sciagurati! voi sapevate che c'era un inferno, e potendolo schivare con poco costo, vi ci siete tuffati a capo fitto! Voi avete dimenticato i novissimi, e avete perduto tutto. 


Ci si parla dei nostri novissimi; noi li conosciamo, vi crediamo, e intanto operiamo come se non ci riguardassero affatto e non ne diventiamo migliori! O cecità fatale! O follia incredibile! O uomini stupidi e da compiangersi! Non pensare, non penetrare, non temere cose tanto gravi, non prepararvisi! 


2. QUANTO È UTILE RICORDARSI DEI NOVISSIMI. - «In tutte le tue opere, dice il Savio, proponiti sotto gli occhi i tuoi novissimi, e non cadrai mai in peccato» (Eccli. VII, 40). La ragione è chiara, poiché il fine che uno si propone, diventa il principio e la regola di tutte le azioni; ora il fine di tutte le cose sta compreso essenzialmente nei fini ultimi, ossia nei novissimi. Tutte le persone operano per un fine; perché dunque non operare guardando ai fini ultimi?... 



Chi dice a se stesso, quando si sente tentato a offendere Dio: Al punto di morte, vorrò io aver commesso questo peccato? - tosto si mette su l'avviso e resiste. - Quando sarò innanzi al tribunale di Dio, quando il giudice divino mi peserà nella bilancia della sua giustizia, vorrò che il peso dei miei misfatti vinca quello delle mie virtù? Ebbene, schiverò il peccato e praticherò la virtù. Mi sta a cuore di passare dal tribunale di Dio al cielo? dunque mi studierò di guadagnarmi questo cielo. Forse che mi garberà udirmi al giudizio quella terribile sentenza: Partitevi da me, o maledetti, e andate al fuoco eterno? Dio me ne scampi! Dunque mi applicherò a chiudermi l'inferno per sempre, schivando soprattutto il peccato mortale. Quando entrerò nell'eternità, vorrò io aver perduto il tempo? Certo che no: conviene dunque che non ne perda un istante; - queste sono le salutari considerazioni che fa colui il quale non dimentica i suoi novissimi. 


Dunque chi non vede ch'egli diventa quasi impeccabile, compiendosi in lui il detto dello Spirito Santo: - Memorare novissima tua, et in aeternum non peccabis? - Il fine dell'uomo che è la beatitudine eterna, lo porta alla fuga del peccato e alla pratica della virtù, come a mezzi coi quali si ottiene la beatitudine. Perciò S. Agostino dice: «La considerazione di questa sentenza: - Ricorda i tuoi novissimi e non peccherai in eterno - è la distruzione dell'orgoglio, dell'invidia, della malignità, della lussuria, della vanità e della superbia, il fondamento della disciplina e dell'ordine, la perfezione della santità, la preparazione alla salute eterna. 

Se ti preme non andare perduto, guarda in questo specchio dei tuoi novissimi ciò che sei e ciò che sarai tu la cui concezione è macchia vergognosa, l'origine è fango, il termine è putredine. Davanti a questo specchio, cioè in faccia ai novissimi, che cosa diventano le delicate imbandigioni, i vini squisiti, le splendide calzature, il lusso del vestire, la mollezza della carne, la ghiottoneria, la crapula, l'ubriachezza, la magnificenza dei palazzi, l'estensione dei poderi, l'accumulamento delle ricchezze? (Specul. CI)». Prendiamo dunque il consiglio di S. Bernardo e nel cominciare un'azione qualunque diciamo a noi medesimi: Farei io questo, se dovessi morire in questo momento? (In Speculo monach.). 


Simile a quella di S. Bernardo è la regola di condotta suggerita da Siracide, per ordinare e santificare tutte le nostre azioni: «In ogni tua impresa scegli quello che vorresti aver fatto e scelto quando sarai in punto di morte». Fate tutte le vostre azioni come vorreste averle fatte il giorno in cui comparirete innanzi a tutto il mondo, per renderne conto al supremo tribunale di Dio. Non fate cosa di cui abbiate a pentirvi eternamente: schivate quello che vi farebbe piangere per tutta l'eternità, quello che vi toccherebbe pagare nell'eterno abisso dell'inferno. Studiatevi di fare benissimo e perfettissimamente ogni cosa, affinché abbiate da rallegrarvi di tutto ciò che pensate, dite, e fate; e ne riceviate una ricca mercede in cielo. Ora la memoria dei novissimi procura tutti questi vantaggi... 



Non dimenticate anche che sono prossimi i vostri novissimi...; che incerta è l'ultima ora... Chi non teme una cattiva morte come avrà paura del giudizio e dell'inferno? Ah! se gli uomini pensassero di frequente al giorno della loro morte, preserverebbero la loro anima da ogni cupidigia e malizia... O voi, che volete essere eternamente felici, pensate sempre a quella sentenza. - Parlando di Gerusalemme, Geremia dice che «ella si dimenticò del suo fine, per ciò sdrucciolò in un profondo abisso di miserie e di degradazione» (Lament. I, 9). Dunque, pensando agli ultimi fini non si cade, e chi è caduto, si rialza. «Noi cessiamo di peccare, dice S. Gregorio, quando temiamo i tormenti futuri (Moral.)». Ripetiamo anche noi col Salmista: «Ho pensato ai giorni antichi, ho meditato gli anni eterni» (Psalm. LXXVI, 5). 

3. COME DOBBIAMO RICORDARE I NOVISSIMI: - Perché il ricordo dei novissimi abbia tutta l'efficacia che ne promette lo Spirito Santo, conviene in primo luogo che non si fermi soltanto sopra di uno, ma li abbracci tutti. Per qualcuno infatti il pensiero della morte, invece di essere incentivo al bene può essere uno stimolo al male: «La nostra vita sfumerà come nebbia» (Sap. II, 3), dissero gli empi ricordandosi della loro morte imminente; ma da questo pensiero conclusero: « Venite dunque e godiamo finché abbiamo tempo» (Ib. 6). 

Perciò non dice il Savio nel citato testo: memorare novissimum tuum, bensì novissima tua; perché il pensiero della morte riesca proficuo, ricordiamoci che alla morte terrà dietro un duro giudizio (Hebr.. IX, 27); che al giudizio andrà annessa una sentenza o di eterna pena o di eterno premio (MATTH. XXV, 46). 

Dal ricordo dei novissimi trae pure un gran vantaggio la vita spirituale del cristiano, la quale consistendo nella pratica delle quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, trova nella meditazione dei novissimi un ottimo alimento. Infatti il ricordo della morte distrugge l'ambizione e la superbia, e così dà la prudenza. La memoria del giudizio, mettendoci dinanzi agli occhi quel giudice rigoroso, ci porta a usare giustizia e bontà col prossimo. Il ricordo dell'inferno reprime l'appetito dei piaceri illeciti e così avvalora la temperanza. La memoria del Paradiso diminuisce il timore dei patimenti di questa vita e così rinsalda la fortezza. 



Si richiede in secondo luogo, che questo ricordo sia fatto su la propria persona, come pare ci dica il Savio il quale non dice semplicemente: memorare novissima, ma vi aggiunge tua. Quanti vi sono, che ricordano i novissimi anche spesso, ora discorrendone nelle chiese, ora trattandone nei libri, ora disputandone su le cattedre, ora figurandoli o su marmi, o su bronzi o su tele? eppure non menano tutti una vita santa. Bisogna che chi ricorda i novissimi, pensi che proprio lui si troverà, e forse tra brevissimo tempo, al letto di morte... nella bara, al camposanto... Che proprio lui si presenterà al giudizio di Dio e a lui toccherà il castigo o il premio eterno. 



Conviene in terzo luogo che questo ricordo dei novissimi non sia cosa speculativa ma pratica, perciò lo Spirito Santo fa precedere al testo citato quelle parole: - in omnibus operibus tuis - in ogni tua azione. Se prima di ogni azione considerassimo i novissimi, non solo eviteremmo il peccato, ma troveremmo in quella considerazione la forza di praticare le più eroiche virtù. 

Sarebbe poi un errore il credere che il pensiero dei novissimi porti con sé la tristezza. Se lo Spirito Santo ci assicura che il ricordo frequente dei. novissimi basta a tenerci pura la coscienza: - In aeternum non peccabis - è cosa chiara che porta con sé la gioia del cuore che è la più grande di tutte le gioie. (Eccli. XXX, 16). E ne abbiamo infatti una conferma nel medesimo Ecclesiastico il quale dopo di aver detto in altro luogo: «Non abbandonarti alla tristezza, ma cacciala da te» (XXXVIII, 21), soggiunge subito - et memento novissimorum (Ib.). - e ricordati dei novissimi, quasi che il pensiero dei novissimi sia il più sicuro per tenere lontana dal cuore umano la tristezza.




Ave! Giglio bianco della Trinità, 
Rosa splendente che abbellisci il Cielo, Ave!
Da Te ha voluto nascere, da Te ha voluto prendere il latte
Colui che governa il Cielo e la Terra.
Deh! nutri le nostre anime con i tuoi divini influssi!