sabato 10 agosto 2013

Le due volontà


Le parabole di Gesù
(032)
Le due volontà (394.1)


Un padre perfetto aveva due figli. Amati ambedue di uguale e sapiente amore. Indirizzati ambedue su vie buone. Nessuna differenza nel modo di amare e di dirigere. Eppure sensibile differenza era nei due figli.
Uno, il primogenito, era umile, ubbidiente, senza discutere faceva la volontà paterna, sempre ilare e contento del suo lavoro. L'altro, benchè minore, era sovente malcontento, e aveva discussioni con il padre e col suo proprio io. Sempre meditava, e con molto umana meditazione, sui consigli e sugli ordini che riceveva.

E in luogo di eseguirli così come venivano dati, si permetteva di modificarli in tutto o in parte, come se chi lo comandava fosse uno stolto. Il maggiore gli diceva:

"Non fare così. Dài pena al padre!". Ma egli rispondeva: "Sei uno stolto. Grande e grosso come sei, e primogenito per giunta, adulto ormai, oh! io non vorrei rimanermene nel rango dove il padre ti ha messo. Ma vorrei fare di più. Impormi ai servi. Che capiscano che io sono il padrone. Sembri un servo tu pure, con la tua perpetua mansuetudine. Non vedi come in fondo passi inosservato con tutta la tua primogenitura? Qualcuno ti deride persino..."
Il secondogenito, tentato, più che tentato: allievo di Satana, di cui con attenzione metteva in pratica le insinuazioni, tentava il primogenito. Ma costui, fedele al Signore nel rispetto della Legge, si manteneva fedele anche verso il padre suo, che onorava con la sua condotta perfetta.


Passarono gli anni e il secondogenito, seccato di non poter regnare come sognava, dopo aver pregato il padre più volte: "Da' a me il comando di fare in tuo nome, per il tuo onore, in luogo di mantenerlo a quello stolto che è più mite di una pecorella", dopo aver tentato di spingere il fratello a fare più che il padre non comandasse per imporsi sui servi, sui concittadini e confinanti, disse a se stesso: "Oh! basta! Qui ci va di mezzo anche il nostro buon nome! Posto che nessuno vuol fare, farò io". E si mise a fare cose di sua testa, abbandonandosi alla superbia e alla menzogna e disubbidendo senza scrupoli.


Il padre gli diceva: "Figlio mio, sta' sotto al primogenito. Egli sa ciò che fa". Diceva: "Mi dicono che hai fatto questo. E' vero?" E il secondogenito diceva, scrollando le spalle, all'una e all'altra parola paterna: "Sa, sa! E' troppo timido, titubante. Perde le occasioni di trionfo." Diceva: "Io non l'ho fatto". Il padre diceva: "Non andare in cerca di aiuti di questo e di quello. Chi vuoi che ti aiuti meglio di noi a dare lustro al nome nostro? Sono falsi amici che ti aizzano per ridere poi alle tue spalle". E il secondogenito diceva: "Sei geloso che sia io quello che ho iniziativa? Del resto io so di fare bene".

Passò ancora del tempo. Sempre più il primo cresceva in giustizia e l'altro nutriva le male passioni. Infine il padre disse: " E' l'ora di finirla. O ti pieghi a ciò che è detto o perdi il mio amore." E il ribelle andò a dirlo ai falsi amici. "Te la prendi per questo? Ma no! C'è modo di porre il padre nell'impossibilità di preferire un figlio all'altro. Mettilo nelle nostre mani e noi ci penseremo. Tu sarai senza colpa materiale, e il possesso dei beni rifiorirà perchè, levato di mezzo il troppo buono, tu potrai dargli gran lustro. Non sai che è meglio un atto forte, anche se dà dolore, all'inerzia che è danno del possesso?" risposero loro.
E il secondogenito, ormai saturo di malavolontà, aderì all'indegno complotto.

(Spiegazione)
Ave Maria:
Rosa, Giglio, Ciclamino.

lndulto Perpetuo

 La storia è "magistra vitae"


historia-est-magistra-vitae

Corrispondenza romana del 9 agosto 2013

di Maria Pia Ghislieri

 

Commissariamento dei Frati Francescani dell’Immacolata continua a far parlare “opportune et importune”. Il mondo tradizionale teme, a ragion veduta, una recrudescenza di quella persecuzione che fu perpetrata contro il Messale di san Pio V nell’ormai lontano 1969, quando entrò in vigore il Nuovo Messale, una nuova creazione.

Giova allora rispolverare la storia di quegli anni tumultuosi, gli anni che seguirono un Concilio che non ha mai decretato né pensato di decretare un Novus Ordo Missae. Non lo poteva. La liturgia si evolve per lenta sedimentazione e non è mai un’invenzione di pochi fatta a tavolino. Per comprenderlo, basta riandare all’epoca del Messale di san Pio V. Nella XVIII sessione, il Concilio di Trento incaricò una commissione di esaminare il Messale, rivederlo e restaurarlo “secondo l’usanza ed il rito dei Santi Padri”.


L’essenza della riforma di S. Pio V fu, come quella di S. Gregorio Magno, il rispetto della tradizione. A tale Messale, che costituiva una barriera contro l’eresia, san Pio V concesse l’indulto perpetuo con queste solenni parole: «in virtù dell’autorità Apostolica noi concediamo, a tutti i sacerdoti, a tenore della presente, l’lndulto Perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa, senza scrupolo alcuno di coscienza o pericolo di incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso Messale, di cui avranno la piena facoltà di servirsi liberamente e lecitamente, così che Prelati, Amministratori, Canonici, Cappellani e tutti gli altri Sacerdoti secolari, qualunque sia il loro grado, o i Regolari, a qualunque Ordine appartengano, non siano tenuti a celebrare la Messa in maniera differente da quella che Noi abbiamo prescritta né d’altra parte possano venir costretti e spinti da alcuno a cambiare questo Messale».

Da cui si evince che la Bolla è irreformabile. «La Quo primum – scrive P. Paul L. Kramer – è stata dichiarata infallibilmente irreformabile poiché il rito della Messa codificato nel Messale tridentino è il rito ricevuto, approvato e tramandato dalla Santa Romana Chiesa… Pertanto, la Quo primum lungi dall’essere una questione meramente disciplinare di legge ecclesiastica, è un’applicazione definitiva della legge divina espressa dal magistero straordinario della Chiesa.  E perciò qualunque tentativo di revocare o sopprimere il Rito romano incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo».


E, infatti, per 400 anni, nessuno ha osato alterare questo venerabile Messale che il beato Ildefonso Schuster definisce «l’opera più elevata e importante della letteratura ecclesiastica, quella che riflette più fedelmente la vita della Chiesa, il poema sacro al quale ha posto mano cielo e terra», e Padre Faber «la cosa più bella da questa parte del cielo».

Nel 1969 entrò in vigore il Novus Ordo Missae. Una nuova creazione, dicevamo.Una forma di quel falso progresso (liturgico, in questo caso) che il grande Chesterton non esitò a definire «un continuo parricidio», quello vero consistendo nella continua riscoperta di ciò che i nostri padri hanno costruito e difeso nei secoli. Klaus Gamber, in merito al Novus Ordo Missae, nel suo pregevole studio La riforma della liturgia romana, dedica un intero capitolo alla spinosa domanda se un supremo pontefice può modificare un Rito. E risponde negativamente, il Papa essendo il custode e il garante della liturgia (come dei dogmi), non il suo padrone. «Nessun documento della Chiesa – scrive Gamber –, neppure il Codice di Diritto Canonico, dice espressamente che il Papa, in quanto Supremo Pastore della Chiesa, ha il diritto di abolire il Rito tradizionale. Alla plena et suprema potestas del Papa sono chiaramente posti dei limiti (…). Più di un autore (Gaetano, Suarez) esprime l’opinione che non rientra nei poteri del Papa l’abolizione del Rito tradizionale. (…).
Di certo non è compito della Sede Apostolica distruggere un Rito di Tradizione apostolica, ma suo dovere è quello di mantenerlo e tramandarlo».

Gamber afferma altresì che il Novus Ordo non può in alcun modo esser definito Rito Romano, ma tutt’al più Ritus modernus: «Noi parliamo piuttosto di Ritus Romanus e lo contrapponiamo al Ritus Modernus». E ci fermiamo qui. Che non fosse possibile por mano al Messale di san Pio V è stato confermato dal Summorum Pontificum (2007) di papa Benedetto XVI, il quale parla di esso come di un Messale «mai abrogato». Non poteva esserlo in forza dell’indulto perpetuo contenuto nella Quo primum.


Il caso FI si colloca alla fine di una lunga catena che si riannoda a questa vexata quaestio. Papa Paolo VI non ha mai abrogato il Messale di san Pio V. Con più precisione potremmo dire che vi è stata un’abrogazione “de facto”, ma non “de iure”, quest’ultima non potendo sussistere. Benedetto XVI ha confermato che il Messale tradizionale è pienamente in vigore e lo è sempre stato, nonostante le manipolazioni volte a far credere il contrario, manipolazioni che ‒ ahimè ‒ facevano impunemente leva sull’obbedienza al Papa (Paolo VI), obbedienza però mai manifestata “de iure”.

Il caso FI sembra ripresentare la situazione storica di 40 anni fa, con la differenza che – questa volta sì – la volontà del Papa (Francesco I) è manifestata in un certo qual modo “de iure”, ossia attraverso un decreto della Congregazione dei Religiosi che contraddice almeno 4 secoli di storia e di prassi liturgica. Corsi e ricorsi storici. Anche questa volta si fa impunemente leva sull’obbedienza al Papa. E tanto più impunemente in quanto si tratta di religiosi legati dal voto di obbedienza.

Ma anche l’obbedienza ha i suoi limiti. Anzitutto occorre ribadire che «non rientra nei poteri del Papa l’abolizione del Rito tradizionale». E se ciò vale per l’intera Chiesa vale anche nell’applicazione ad personam. Va altresì ricordata la regola basilare del diritto secondo cui «inferior non potest tollere legem superioris». Anche il Codice di diritto canonico tuttora in vigore afferma che «da parte del legislatore inferiore non può essere data validamente una legge contraria al diritto superiore» (can. 135  n. 2).
Nel caso in esame, siamo davanti alla Bolla irrevocabile Quo primum di san Pio V e un decreto della Congregazione dei Religiosi che riporta solo indirettamente la volontà del Santo Padre. Ora, se i sommi pontefici non hanno l’autorità per annullare il solenne decreto Quo primum, tanto più  non l’hanno i decreti dei dicasteri romani. Come non l’aveva il Messale di Paolo VI nel 1969. Ma i bravi Frati dell’Immacolata ora hanno un vantaggio: possono ora guardare col senno di poi agli errori e agli inganni d’un passato non molto lontano per non ripeterli e non ricadervi. E la storia è magistra vitae.

Virgo gaude, quia laude digna es et praemio:
Quae damnatis libertatis facta es occasio.

venerdì 9 agosto 2013

Parabola del buon coltivatore

 
Le parabole di Gesù
(027)
La parabola del buon coltivatore (il fico non fece frutti e fu tagliato) (338.6)


"Un ricco aveva una grande e bella vigna nella quale erano anche piante di fichi di diverse qualità. Alla vigna attendeva un suo servo, esperto vignaiolo e potatore di piante da frutto, che faceva il suo dovere con amore al padrone e alle piante. 

Tutti gli anni il ricco, nella stagione migliore, andava a più riprese alla sua vigna per vedere maturare le uve e i fichi e gustarne, cogliendoli con le sue mani dalle piante. Un giorno, dunque, si diresse ad un fico che era di qualità buonissima, l'unica pianta di quella qualità che fosse nella vigna. Ma anche quel giorno, come nei due anni precedenti, lo trovò tutto fogliame e niente frutta. Chiamò il vignaiolo e disse: "Sono tre anni che vengo a cercare frutta su questo fico e non trovo che foglie. Si capisce che la pianta ha finito di fruttificare. Tagliala dunque. E' inutile che sia qui ad occupare posto, e ad occupare il tuo tempo, per poi conchiudere niente. Segala, bruciala, ripulisci il terreno dalle sue radici e nel posto suo mettici una pianticina novella. Fra qualche anno darà frutto essa".

Il vignaiolo, che era paziente e amoroso, rispose: "Tu hai ragione. Ma lasciami fare ancora per un anno. Io non segherò la pianta. Ma anzi con ancor maggior cura la zapperò intorno il suolo, la concimerò, e la poterò. Chissà che non fruttifichi ancora. Se dopo quest'ultima prova non farà frutto ubbidirò al tuo desiderio e la taglierò.
Corozim è il fico che non dà frutti. Io sono il Buon Coltivatore. E il ricco impaziente siete voi. Lasciate fare al Buon Coltivatore."

"Va bene. Ma la tua parabola non conclude. Il fico, l'anno di poi, fece frutto?" chiede lo Zelote.

"Non fece frutto e fu reciso. Ma il coltivatore fu giustificato del recidere una pianta ancora giovane e fiorente perchè aveva fatto tutto il suo dovere.........."

AVE MARIA!

domenica 4 agosto 2013

Bianchi fiocchi di neve. MSM


Sant'Omero (Teramo), 5 agosto 1995. Festa della Madonna della neve.


Bianchi fiocchi di neve.

«Seguitemi, figli prediletti, sulla strada che Io vi ho tracciato, con i miei messaggi, se volete vivere sempre e perfettamente la consacrazione al mio Cuore Immacolato, che mi avete fatto.


- Sulla strada dei miei messaggi imparate ad abbandonarvi a Me come piccoli bambini ed a lasciarvi guidare con la semplicità, la fiducia e il completo abbandono dei figli.
Questo vostro abbandono mi è necessario, perché Io possa agire in voi e nella vostra vita.
Mio compito materno è di trasformarvi ogni giorno, perché possiate compiere in maniera perfetta la Volontà del Signore.
Così vi aiuto a liberarvi dal peccato, per camminare sulla via della grazia divina, dell'amore, della purezza e della santità.

Nel grande deserto in cui vivete, nel mare immenso di impurità che sommerge questo mondo posseduto dal Maligno, bianchi fiocchi di neve scendono dal mio Cuore Immacolato su voi, figli a Me consacrati, perché possiate diffondere ovunque il mio profumo di cielo e diventare segni
e strumenti della divina misericordia nel mondo.


- Sulla strada dei miei messaggi venite formati a proclamare, con coraggio e zelo, il Vangelo di Gesù.
Quanto soffre il mio Cuore di Mamma perché, di fronte al dilagare di errori e di eresie, di scandali e di cattivi esempi, si mantiene un grave silenzio, carico di indifferenza e di compromesso, da parte di coloro che hanno il dovere di parlare.
Mai, come ai vostri giorni, molti Pastori sono diventati "cani muti", che non difendono il gregge a loro affidato dall'essere minacciato, sedotto e 
divorato da molti lupi rapaci.
È per questo che il Vangelo di mio figlio Gesù viene lacerato e dilaniato in ogni sua parte.
Allora mio compito materno è quello di portarvi a credere al Vangelo, a lasciarvi guidare solo dalla sapienza del Vangelo, a vivere alla lettera il Vangelo.
Per questo vi guido, con dolcezza e con fermezza materna, per mezzo dei miei messaggi.

Così, nella grande apostasia che dilaga, bianchi fiocchi di neve scendono dal mio Cuore Immacolato su voi, figli a Me consacrati, perché possiate portare in ogni parte la luce della divina Parola e diventare strumenti, che ovunque fanno rifulgere, nel suo più grande splendore, tutta la Verità contenuta nel Vangelo di mio figlio Gesù.



- Sulla strada dei miei messaggi vi porto alla comprensione di ciò che è scritto nel Libro ancora sigillato.
Molte pagine di quanto è contenuto nell'Apocalisse di San Giovanni, da Me vi sono state già spiegate.
Sopra tutto vi ho indicato la grande battaglia che si svolge fra la Donna vestita di sole ed il Dragone rosso, aiutato dalla bestia nera, cioè dalla massoneria.
Vi ho anche svelato le subdole e diaboliche insidie tese a voi dalla massoneria, che è entrata all'interno della Chiesa ed ha posto il centro del suo potere là dove Gesù ha posto il centro ed il fondamento della sua unità. Non turbatevi, perché questo fa parte del mistero di iniquità,
che la Chiesa conosce fino dalla sua nascita. Infatti anche nel Collegio Apostolico è entrato Satana, che ha spinto Giuda, uno dei dodici, a diventare il traditore.
In questi vostri tempi, il mistero di iniquità si sta manifestando in tutta la sua terribile potenza.

Allora, nel momento presente della grande tribolazione, che è giunta per la Chiesa e per l'umanità, bianchi fiocchi di neve scendono dal mio Cuore Immacolato su voi, figli a Me consacrati, perché possiate portare a tutti la mia voce materna che vi conduce alla speranza ed alla fiducia.


Così voi potete prendere per mano tanti miei poveri figli, percossi ed oppressi dal vento impetuoso della grande tribolazione, e varcare insieme le luminose soglie della speranza, nella gioiosa attesa che scendano sul mondo, col trionfo del mio Cuore Immacolato, i bianchi fiocchi di neve della Divina Misericordia» .
AVE GRATIA PLENA