lunedì 22 luglio 2013

SANT’AGNESE vergine e martire

LA PASSIONE DI SANT’AGNESE

L’attribuzione di questa leggenda a sant’Ambrogio vescovo di Milano, è puramente tradizionale: come già avvertirono il Migne e il Baronio, si tratta di un omonimo vissuto in epoca posteriore. La riportiamo nel testo edito dal Battelli, il quale ha provveduto anche a integre alcuni passi (qui riportati fra parentesi) omessi dall’anonimo volgarizzatore del XIII secolo.



         Ambruosio, servo delle sacre vergini di Cristo: Questo è ’l sacro dì della festa di Agnesa, el quale dobbiamo celebrare con salmi et inni, e cantare lezioni; e tutto ’l popolo si debba rallegrare, e ’poveri di Cristo sovvenire. Tutti adunque ci rallegriamo nel Signore et a edificazione delle vergini [la passione di] Agnesa santissima a memoria riduciamo. El terzo decimo anno della sua età perdé la morte e trovò la vita, della quale dilesse el fattore. Nell’infanzia d’anni, Agnesa era giovana, ma della mente era vecchia et antica: del corpo era fanciulla, ma dell’animo era canuta: aveva bello visoma più bella fede [e castità più mirabile].

         Tornando Agnesa dalla scuola, el figliolo del prefetto della città di Roma s’innamorò di lei. Allora i parenti di quello garzone andarono a’ parenti d’Agnesa domandando di fare parentado con loro, offerendo molto largamente, [e più largamente promettendo]. Et offersero a beata Agnesa molti preziosi ornamenti, la quale, com’ella gli vidde, non gli apprezzò, ma avvililli come sterco. Allora quello giovano [per] questa recusazione che aveva fatto beata Agnesa di quelle vestimenta, più forte si accese de lo amore d’Agnesa, e pensando ch’ella volesse migliori e più preziosi doni di quelli, [le presentò ogni gloria di pietre preziose], e per se medesimo e per gli amici e noti e parenti cominciò [a stancar l’orecchie della vergine] promettendo le ricchezze della sua casa, le sue possessioni e la sua famiglia [e tutte le delizie di questo mondo] se non negasse al suo consentimento e consentisse d’essere sua sposa.

         Allora beata Agnesa a quello giovano rispuose e disse: “Parteti da me, imperocché da un altro amadore sono stata amata [innanzi], el quale a me molti migliori ornamenti assai che non soni questi m’ha ornata, e dello anello della fede sua me ha sposata e inguardiata, et è molto più nobile di generazione di te e di più dignità. Et ha ornato la mia destra di bello ornamento, e ’l collo e le braccia ha circondato di pietre preziose, e simile le mie orecchie di preziose perle. Tutta mi ha ornata di preziose [e corruscanti] gemme et ha posto un segno nella faccia mia, acciò che nissuno altro amadore abbi se non lui. Egli mi ha ornata di vestimenti [tessuti d’oro e di monili] preziosissimi, e mi ha mostro il suo tesoro che non ha simile, el quale m’ha detto che mi vuole donare se io persevererò ne’ suoi comandamenti...
         A Costui solamente servo la fede et a lui con tutta la divozione mi commetto, el quale, come io l’amo, casta sono, come io ’l tocco, monda sono, e come io ’l piglio, vergine sono. Né saranno [per mancare] dopo le nozze i figliuoli, ma ’l parto senza dolore si è [e tuttodì s’accresce la fecondità]”.

         Allora, udendo questo, quello insensato e pazzo giovano, accecato dall’amore, essendo in grande angustia d’animo e del corpo, gittossi in sul letto con grandi sospiri, e ’l suo amore aperse a’ medici, e’ quali el fecero noto al padre. Questi con paterna voce ripetè a petizione della vergine Agnesa tutto quello che aveva detto quello giovano, [ma ella rispose] che nollo voleva per nissuno modo per sposo, perché non voleva negare né violare il primo sposo, al quale aveva promesso e data fede. Allora il prefetto, padre di quello garzone, fece cercare chi fusse quello sposo el quale Agnesa tanto amava, per sapere se fusse di maggiore dignità di lui, ch’era prefetto. E uno de’ parasiti di lui disse come Agnesa era cristiana infine dalla puerizia e in arte magica tanto amaestrata che dice che Cristo si è ’l suo sposo.

         Udendo questo, el prefetto se ne fece lieto e subito mandò a fare richiedere Agnesa da tutta la sua corte ch’ella comparisse innanzi al suo tribunale. Et essendo venuta Agnesa, el prefetto imprima la cominciò con parole piacevoli a lusingare in segreto, e poi le cominciò a dire terribili parole. Allora la vergine di Cristo non per lusinghe si lassò isvolvere l’animo suo, né per parole di minaccie e terribili non mosse el suo volto e stette coll’animo fermo, cosi alle parole di lusinghe come alle parole terribili. E di tutto si rideva...

         Vedendo el prefetto che tutto quello ch’egli parlava era invano e senza frutto a lei, sedendo per tribunale comandò che Agnesa si fusse presentata; alla quale disse: “Le superstizioni de’ cristiani, del quale numaro tu sei, incantatrice di magiche arti, se da te non si partiranno, non potrai la pazzia dal tuo petto partirti, né prestare consenso a saggi consigli. E però bisogna che tu adori e facci reverenzia alla idea Vesta, e se ti piace di perseverare nella verginità, [dì e notte] e’ sacrifici reverendi ti bisogna fare alla idea Vesta”.

        Allora beata Agnesa disse: “Se ’l tuo figliuolo, [benché] d’amore iniquo tribolato, ma pur vivente, ho ricusato – un uomo [infine ragionevole] il quale vede e ode e palpa e va e ’l fiore di questa luce può godere [insieme co’ buoni] – se io per cagione dello amore di Cristo per nissuna ragione nollo posso guardare, gl’idoli sordi e mutoli, che non hanno anima né sentimento, in che modo gli posso adorare, e fare questo ad ingiuria del sommo Iddio, e inchinare il capo alle pietre, dicendo: – Iddio se’ tu? –”...

         Allora Simproniano prefetto disse: “De’ due partiti eleggi quale tu vuoli; o veramente tu colle vergini della idea Vesta sacrifica, o veramente tu colle meretrici andarai al luogo pubblico. E allora saranno a te di longa e’ cristiani, e’ quali t’hanno [così] insegnato l’arte magica, che questa calamità e miseria [tu confidi poter sopportare con animo intrepido]. E però anco ti dico, o tu sacrifica alla idea Vesta a laude della tua progenie, o veramente, a tua vergogna e de’ tuoi, andarai al luogo pubblico coll’altre meretrici a stare pubblicamente”.

         Allora beata Agnesa con grande constanzia disse: “Se tu sapessi qual è lo Iddio mio, tu non parleresti queste parole. E poiché io so la virtù del Signore mio Gesù Cristo, sono sicura, e non temo le tue minaccie. E sappi che io non sacrificherò agli idoli tuoi, e non sarò contaminata con li uomini del luogo, perch’io ho con esso meco il guardatore del corpo mio, cioè l’angelo di Dio. E l’unigenito figliuolo di Dio, che tu non conosci, egli è a me come muro che non si può passare, ed è mia guardia che mai non dorme, ed è mio difenditore che mai non manca; e’ tuoi iddii [o sono di bronzo, de’ quali meglio si fanno vasi ad uso degli uomini] o sono di pietra, le quali d’esse si fanno le strade per amore de’ fanghi. La divinità non consiste nelle pietre, ma in cielo; non in metalli, ma nel regno superno sta. E tu adunque, e quelli che sono simili a te, se non vi levarete dalla adorazione de’ vostri idoli, sarete conchiusi con pena, siccome loro, nel fuoco, e sì come loro sono posti nelle fiamme del fuoco acciò sieno fusi, così saranno quelli che gli adorano; in perpetuo saranno nel fuoco ardente consumati, e in eterno saranno confusi”.

         Allora lo senza sentimento giudice fece espogliare beata Agnesa ignuda, e comandò ch’ella fusse menata al luogo pubblico delle meretrici; e uno con la tromba andava innanzi bandendo e dicendo con grande boce: “Agnesa, sacrilega vergine, gli iddii ha bestemmiati, e per quello è data agli uomini che tengono il luogo pubblico delle meretrici”. E come beata Agnesa fu spogliata, di subito e’ suoi capegli crescerono, e in tanta quantità per la divina grazia le furono concessi, che pareva che fusse coperta insino a terra, e meglio stessero che una vesta. E intrata dunque beata Agnesa nel luogo turpissimo, l’angelo di Dio trovò a lei apparecchiato, acciò che la circondasse d’immenso lume, acciò che nissuno per quello grande splendore la potesse vedere né appressarsele.

         Risplendeva quella celletta dove fu messa beata Agnesa come el sole quando nella sua altezza è vertù del dì, e quando più gli occhi di quelli che erano circostanti cercavano di volerla vedere, tanto più i loro occhi erano obombrati che non la potevano vedere. E stando beata Agnesa in orazione all’altissimo Iddio, apparbe innanzi a lei uno vestimento candidissimo. Allora ella el prese, e d’esso si vestì e disse: “Grazie te rendo, Signore mio Gesù Cristo, che me hai annoverato nel numaro delle tue ancille et el vestimento mirabile comandasti che io avessi”. Et era quello vestimento a misura del corpo di beata Agnesa, et era tanto cando più che la neve, el quale non è a dubitare che per mano d’angeli fu fatto et apparecchiato. E in questo, quello luogo fu fatto come un oratorio, e tutti quelli che v’erano intrati adoravano e davano onore a quello immenso lume, e mondi uscivano fuore più che non v’erano intrati.

         E mentre che queste cose si facevano, el figliuolo del prefetto, el quale era stato cagione di questa scelleraggine, venne a quello luogo, co’ suoi compagni giovani, quasi per assaltare quella fanciulla, colla quale credeva la sua libidine esercitare. E avendo mandato innanzi a sé quelli furi e cattivi giovani, vedendo che uscivano pieni d’ammirazione e di venerazione, cominciò a farsi beffe di loro [giudicandoli vani e molli e impotenti]; e ridendosi di loro entrò sfrontatamente in quello luogo dove beata Agnesa orava, e vedendo quello lume intorno a beata Agnesa, non dette onore a Dio, ma gittossi in quello lume per mettere le mani addosso a beata Agnesa: e innanzi che la sua mano giongesse a lei, egli cadde in terra, colle mani al volto, e ’l diavolo lo strozzò, e cosi spirò...

         Il prefetto, come udì che ’l suo figliuolo era morto, di subito con grande furia e pianto venne a quello luogo dov’era morto e intrato in quello luogo dove el figliuolo suo giaceva morto, con grandi grida disse a beata Agnesa: “Crudelissima sopra a tutte le femmine, la quale sopra el figliuolo mio hai dimostrato le tue arti magiche!”. E dicendo il prefetto queste et altre parole, domandando della cagione della morte di quello suo figliuolo, disse allora beata Agnesa: “Colui al quale el tuo figliuolo lui voleva contrastare alla sua volontà, ed Egli in lui esercitò la sua potestà; e questi altri che a me sono intrati, sani ne sono usciti, perché tutti hanno dato onore a Dio, el quale mandò l’angelo suo che mi vestì questo vestimento della misericordia d’Iddio, ed ha guardato el corpo mio, che per insino che io ero nella culla, a Cristo fui consegnata e offerta. E tutti quelli che vedevano lo splendore dell’angelo, tutti si partivano senza lesione, ma questo tuo figliuolo impudente, fremitando, distese la mano verso di me per pigliarmi, e l’angelo di Dio el rimandò indietro, e come tu vedi è morto!”.

         Disse allora el prefetto: “In questo apparirà che tu non coll’arte magica questo hai fatto, e però prega quello angelo che restituisca a me el figliuolo sano”. Allora beata Agnesa disse: “Posto però che per la fede vostra questo io da Dio impetrare non merito; ma perché egli è tempo che la virtù del mio Signore Gesù Cristo si manifesti; e però uscite tutti fuore, et io sola in orazione starò”. Et essendo tutti usciti di quella celletta, e beata Agnesa si pose in terra in orazione e incominciò a pregare el Signore che risuscitasse quello giovano. Et orando beata Agnesa, apparbe a lei l’angelo di Dio e la rizzò dal pianto e confortò l’animo suo, e quello giovano risuscitò.

         Essendo risuscitato, el figliuolo del prefetto uscì subito fuore di quella cella, et incominciò con boce pubblica a gridare et a dire: “Uno è Iddio in cielo e in terra e in mare, el quale è lo Dio de’ Cristiani, e tutti gli iddii de’ templi sono vani e non possono aiutare loro propri né quelli che gli adorano”.
        A questa boce tutti gl’indivinatori de’ templi e i pontefici si conturbarono, e fu fatto rumore grande nel popolo. E gridavano: “Tolle la maga, tolle la malefica, la quale mente delli uomini muta e gli animi [aliena]”. Allora el prefetto, vedendo tali cose miracolose, fu stupefatto, ma temendo [la proscrizione se facesse centra a’] pontefici del tempio, e’ vedeva che non poteva liberare beata Agnesa dalla sua sentenzia, e nolla poteva defèndare. Allora el prefetto fece uno vicario [per la sedizione] del popolo, e poi si partì con tristezza e dolore perché nolla poteva defèndare dopo la resurrezione del suo figliuolo, e per quanto si era dolente.

         Allora quello vicario fatto dal prefetto, el quale si chiamava Aspasio, comandò che fusse fatto uno grande fuoco in presenzia di tutti, e comandò che beata Agnesa fusse gittata nel mezzo di quello fuoco. E subito el comandamento del vicario [fu eseguito]. E le fiamme allora si divisero in due parti, di qua e di là, e beata Agnesa istava nel mezzo e non sentiva nissuno incendio né caldo di fuoco, né nissuno male le fece el fuoco. Allora el popolo con boci grandissime incominciò a gridare dicendo: “Questo non è per divinità della vergine, ma per la sua arte magica e per li suoi incanti”.

         Et allora beata Agnesa, essendo in mezzo del fuoco, distese le mani sue al cielo, e in queste parole orò al Signore e disse: “Omnipotente, da adorare e da riverire e da temere, Padre del Signore mio Gesù Cristo, io benedicoti, el quale per lo figliuolo tuo io ho scampato le minaccie degli uomini impii, e la spurcizia del diavolo io ho passata, ed ecco ora per lo Spirito Santo la rugiada celestiale è venuta, e ’l fuoco intorno a me si è spento, e la fiamma divisa, e ’l calore e lo incendio si è andato a coloro che ’l facevano per me. Io Te benedico, Padre da predicare, el quale in fra la fiamma ti prego che Tu mi lassi a Te venire, imperò che quello che io credo io el veggo, e quello nel quale io spero già el tengo, e quello che desideravo l’ho abbracciato. Te confesso colla bocca mia, e col cuore e con tutto el corpo mio desidero. Ecco che a Te vengo, Tu che se’ vivo e vero Iddio, el quale col Signore nostro Gesù Cristo e collo Spirito Santo vivi e regni ora e sempre, per infinita secula seculorum, amen”.

         E come ebbe finita l’orazione, allora tutto el fuoco fu spento, e non vi rimase nissuno caldo di fuoco. Allora Aspasio, vicario della città di Roma, vedendo che ’l popolo non si fermava né rifrenava, comandò che a beata Agnesa fusse dato d’uno coltello nella gola. E subito usci el sangue suo come rose vermiglie. E in questo modo consacrò Cristo la sposa sua Agnesa, sua vergine e martire.

Da: SANT’AMBROGIO, La passione di Sant’Agnese, a cura di Guido Battelli.
Firenze, Giannini, 1921.c

Sant'Agata Vergine e Martire,

PASSIONE 
DELLA BEATISSIMA VERGINE E MARTIRE AGATA


1. Narriamo (con Tertulliano) la storia della passione della beatissima vergine e martire Agata, che soffrì nella provincia di Sicilia, nella città di Catania, il giorno delle none di Febbraio, al tempo di Decio imperatore, quando egli fu Console per la terza volta.  2. Quinziano consolare della provincia di Sicilia, venendo a conoscenza della fama intemerata di Agata, vergine consacrata a Dio, per diversi intenti e con molta insistenza cercava come arrivare a lei.  3. Infatti con ogni mezzo eccitava il depravato suo animo svegliando in sé le passioni dei vizi corrispondenti:  4. E come avido di gloria terrena, bramando di accrescere il suo prestigio, fece arrestare la serva di Dio, appunto perché nata da nobilissima famiglia,  5. mostrando così al popolo che era capace – egli nato come era da ignobile origine – di sottomettere al suo volere perfino le persone più ragguardevoli;  6. come libidinoso poi, voleva eccitare la concupiscenza dei suoi occhi all’aspetto della vergine bellissima;  7. come avaro sfrenava la sua cupidigia verso le ricchezze di lei:  8. e come idolatra e servo dei demoni, infiammato dalla sua empietà, non poteva neanche sentire il nome di Cristo. 


9. Travolto così dalla furia passionale fece arrestare dai suoi apparitori la beata Agata, come abbiamo già detto,  10. e la fece consegnare a una matrona di nome Afrodisia, che aveva nove figlie corrottissime, come era stata la loro madre. 11. Ciò fece perché esse per trenta giorni continuamente con blandizie la tentassero e ne mutassero i sentimenti:  12. ed ora promettendole gioie, ora minacciandole guai, speravano di distogliere la sua santa mente dal buon proposito.  13. Ad esse S. Agata diceva: La mia mente è saldamente fondata in Cristo:  14. le vostre parole sono venti, le vostre promesse piogge, le vostre minacce fiumi, che per quanto imperversino contro i fondamenti della mia casa, essa non potrà cadere, fondata com’è sopra pietra ben ferma.


15. Dicendo queste cose piangeva tutto il giorno e pregava:  16.E come l’assetato nell’ardore dell’estate desidera le fresche acque, così ella desiderava di giungere alla corona del martirio e sostenere per Cristo molti supplizi.  17. Accorgendosi Afrodisia che l’animo di lei restava immobile, andò da Quinziano.  18. E gli disse: È più facile rammollire i sassi, e cambiare il ferro nella morbidezza del piombo, che distogliere l’animo di questa fanciulla dall’idea cristiana.  19. Infatti io e le mie figliole, senza mai cessare, succedendoci a vicenda,  20. giorno e notte, nient’altro abbiamo fatto se non provarci a piegare il suo animo ad acconsentire al buon consiglio.  21. Io financo le ho offerto gemme ed ornamenti rari, e vestiti tessuti d’oro:  22. io le ho promesso palazzi e ville, le ho messo dinanzi mobili preziosi e servi d’ogni sesso ed età:  23. ma come terra, che calpesta coi piedi, ella invece tutto, tutto disprezza.

24. Allora Quinziano irato comandò che fosse condotta al suo tribunale e sedendo d’ufficio, così cominciò a parlare: – Di che condizioni sei tu?  25. La beata Agata rispose : Non solo nata libera, ma di nobile famiglia, come lo attesta la mia parentela.  26. Il consolare Quinziano disse: – E se attesti di esser libera e nobile perché mostri di vivere e vestire da schiava?  27. S. Agata disse: – Perché sono serva di Cristo, per questo mostro di essere schiava.  28. Quinziano disse: Ma se sei veramente libera e nobile, perché volerti far schiava?  29. S. Agata disse: La massima libertà sta qui: nel dimostrare di essere servi di Cristo.  30. Quinziano disse: E che perciò? Noi che disprezziamo la servitù di Cristo e veneriamo gli dei non abbiamo libertà?  31. S. Agata rispose: La vostra libertà vi trascina a tanta schiavitù, che non solo vi fa servi del peccato, ma  anche vi sottomette ai legni e alle pietre.  32. Quinziano disse: Tutto ciò che con pazze parole avrai bestemmiato, severe pene sapranno vendicarlo.  33. Ma prima di passare ai tormenti dimmi perché disprezzi la santità degli dei?  34. S. Agata disse: Non dire degli dei, ma piuttosto dici dei demoni. Demoni sono infatti questi, la cui immagine voi raffigurate in statue e le cui facce di gesso e di marmo coprite di oro.  35. Quinziano disse: Scegli ora una delle due, a tuo piacere, o da insipiente incorrere in varie pene con i condannati, o da sapiente e nobile, come la natura ti ha fatto, sacrifica agli dei onnipotenti, che sono veri dei come dimostra la loro vera divinità.


36. S. Agata rispose: Ti auguro che tua moglie sia quale fu la tua dea Venere, e tu sii tale quale fu Giove, tuo dio.  37. Quinziano ciò udendo comandò che fosse schiaffeggiata e le disse: Non ti rischiare a cianciare temerariamente in disprezzo del giudice.  38. S. Agata rispose: Hai detto che sono tuoi dei, quelli che la vera divinità dimostra di esser tali: sia dunque tua moglie tale quale Venere, e tu come Giove, perché anche voi possiate essere computati nel numero dei vostri dei.  39. Quinziano disse: È ben chiaro che tu scegli di soffrire vari tormenti, poiché mi insulti con ripetute offese.  40. S. Agata rispose: Mi meraviglio che tu, uomo saggio, sii giunto a tanta insipienza da stimare tuoi dei quelli, la cui vita non vorresti fosse imitata da tua moglie e da dire allo stesso tempo che ti fa ingiuria chi ti augura di vivere secondo il loro esempio.  41. Se infatti sono veri dei, bene ti ho augurato dicendoti che la tua vita sia tale quale si dice sia stata la loro. Se poi hai in orrore la loro compagnia, sei d’accordo con me.  42. Ed allora dillo chiaro che essi sono tanto pessimi tanto vilissimi, che volendo offendere qualcuno basta augurargli di esser tale, quale fu la esecrabile loro vita.  43. Quinziano disse: A che questo profluvio di parole? O sacrifichi agli dei, o ti si farà perire con vari supplizi.  44. S. Agata rispose: Se mi condanni alle fiere, queste, all’udire il nome di Cristo, si faranno mansuete; se mi darai alle fiamme, gli Angeli dal cielo mi appresteranno rugiada di salvezza, se mi darai ferite e percosse, ho dentro di me lo Spirito Santo, che mi darà forza di disprezzare ogni tuo tormento.  45. Allora Quinziano, scuotendo il capo, diede ordine di rinchiuderla nel carcere tenebroso dicendo: Pensa bene e pentiti, così potrai sfuggire gli orribili tormenti che ti dilanieranno tutta. 46. Agata rispose: Tu ministro di Satana, tu, pentiti, così potrai scansare i tormenti eterni.  47. E poiché lo confutava a voce alta innanzi al pubblico Quinziano ordinò che con grande prestezza la portassero via al carcere.  48. S. Agata poi piena di letizia e di fierezza entrò nel carcere e come invitata a nozze, accesa di gioia raccomandava a Dio con preghiere il suo combattimento.


49. Il giorno dopo l’empio Quinziano comandò che fosse ricondotta alla sua presenza e le disse: Che cosa hai deciso per, la tua salvezza?  50. S. Agata rispose: La mia salvezza è Cristo.  51. Quinziano disse: Fino a quando, trascini ancora o infelice questa tua vana idea? Rinunzia a Cristo, e comincia ad adorare gli dei, e provvedi alla tua giovinezza, evitando una amara morte. 52. S. Agata disse: Tu nega i tuoi dei, che sono pietre e legni, e adora il vero Dio, il tuo creatore che ti ha fatto; se lo disprezzerai sarai preda di severissime pene e del fuoco eterno.  53. Allora Quinziano adirato comandò che fosse sospesa e straziata su un grande eculeo.  54. Mentre la tormentavano Quinziano le disse: Abbandona quest’idea del tuo animo, così salverai la tua vita.  55. S. Agata rispose: Io in queste pene provo tanta gioia: come chi sente una buona notizia, o come chi vede colui che da gran tempo ha bramato, o come chi trova molti tesori, così anch’io, posta in queste sofferenze di poca durata, gioisco.  56. Infatti non può il frumento esser conservato nel granaio, se prima il suo guscio non viene aspramente stritolato e ridotto in frantumi: così l’anima mia non può entrare nel paradiso del Signore con la palma del martirio, se prima non farai minutamente dai carnefici dilaniare il mio corpo.



















Scene del martirio di S. Agata
 
57. Allora furioso Quinziano comandò che fosse torturata nella mammella e poi che le venisse lentamente strappata del tutto.  58. La beata Agata disse: Empio, crudele e disumano tiranno, non ti vergogni di strappare in una donna ciò che tu stesso succhiasti nella madre tua?  59. Ma io ho altre mammelle intatte nell’intimo dell’anima mia con le quali nutrisco tutti i miei sentimenti, e fin dalla infanzia le ho consacrate a Cristo Signore.  60. Allora Quinziano ordinò che fosse nuovamente condotta nel carcere e che nessun medico si permettesse di avvicinarla, e che non le si desse né acqua né pane.  61. Rinchiusa che fu nel carcere, ecco che circa la mezzanotte venne un vecchio (che era preceduto da un fanciullo con un lume) portando nella sua mano vari medicamenti,  62. Il quale, affermando di esser medico, cominciò a rivolgerle queste parole: Sebbene lo stolto consolare ti abbia troppo afflitto con tormenti corporali, tu con le tue risposte gli hai inflitto più gravi pene,  63. E poiché egli ti ha torturato e fatto strappare il seno, la sua ubertà gli è cambiata in fiele, e l’anima sua è riservata ad amarezza eterna.  64. E poiché io ero presente quando tu soffrivi tali cose, osservai e mi accorsi che la tua mammella può ricevere cura e salvezza.
65. Allora S. Agata gli disse: Mai ho apprestato al mio corpo medicina terrena e non conviene che perda ora quello che ho conservato fin dalla prima età.  66. Il vecchio le dice: Anch’io sono cristiano e conosco bene l’arte medica: non vorrei che tu abbia rossore di me.  67. Gli dice S. Agata: E che rossore posso io avere di te, che sei già vecchio e troppo avanzato in età? E poi quantunque io sia una ragazza, il mio corpo è talmente lacerato, che le mie stesse piaghe non permettono che alcuno stimolo sensuale ecciti il mio animo in modo che il mio pudore possa essere turbato.  68. Ma ti ringrazio o buon padre, perché ti sei degnato avere per me tanta sollecitudine: e ti ripeto che il mio corpo non sarà mai toccato da medicine fatte da uomini.  69. Le disse quel vecchio: Ma perché non permetti che io ti curi?  70. Agata rispose: Perché ho per salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale con la sola parola cura ogni cosa e la sola sua voce tutto ristora: questi se vuole può rendermi sana.  71. Allora sorridendo il vecchio le disse: Ed è proprio lui che mi mandò da te: io non sono che il suo Apostolo; e nel nome di lui sappi che devi essere sanata. Ciò detto disparve dai suoi occhi.  72. Allora prostrandosi in preghiera S. Agata disse: Ti ringrazio, o Signore Gesù Cristo, che ti sei ricordato di me, e mi mandasti il tuo Apostolo che mi ha confortato ed ha risanate le mie membra.  73. Finita la sua preghiera, osservando tutte le ferite del suo corpo, s’accorse che era salva in tutte le sue membra: infatti perfino la sua mammella era rifatta.  74. Intanto per tutta la notte nel carcere continuò a rifulgere una luce tale che i custodi scapparono impauriti e lasciarono il carcere aperto.  75. Allora le persone che erano chiuse là dentro dicevano a S. Agata di scappare.  76. Essa però rispose: Lungi da me questo pensiero: che io perda la mia corona e metta in angustie coloro che mi custodivano. Anzi, aiutata dal mio Signore Gesù Cristo, persevererò a testimoniare Colui che mi ha fatto salva e che mi ha consolato.


77. Dopo quattro giorni avvenne che Quinziano diede ordine che fosse nuovamente presentata al suo tribunale e le disse: Fino a quando ti farai pazza a resistere agli ordini degli invitti imperatori? Sacrifica agli dei, se no, sappi che sarai sottoposta a più gravi tormenti.  78. S. Agata rispose: Tutte le tue parole sono stolte, vane ed inique, i tuoi comandi appestano persino l’aria. Per questo sei misero e senza intelletto. Chi infatti vorrà invocare in suo aiuto una pietra e non il vero e sommo Dio, che si è degnato di curarmi tutte le piaghe da te fattemi, e perfino di ridonare al mio corpo perfettamente integra la mia mammella?  79. Disse Quinziano: Ma chi è che ti ha curato?  80. S. Agata rispose: Cristo il Figlio di Dio.  81. Quinziano disse: Ancora osi nominare Cristo?  82. Agata rispose: Io confesso Cristo con le labbra e col cuore non cesso giammai di invocarlo.  83. Quinziano disse: Vedrò ora se il tuo Cristo ti curerà. E comandò che fossero sparsi a terra acuti cocci, e sotto i cocci fossero messi carboni ardenti, e Agata vi fosse rivoltata a corpo nudo.  84. Mentre l’ordine veniva eseguito, subito il luogo, dove il santo corpo veniva rivoltato fu scosso e una parte di parete crollò e seppellì il consigliere del giudice, di nome Silvano, e l’amico di lui, di nome Falconio, col consiglio dei quali egli perpetrava scelleratezze.  85. Anche tutta la città di Catania fu scossa dalla veemenza del terremoto. Perciò tutti corsero al tribunale del giudice e cominciarono a tumultuare grandemente, perché tormentava con empi strazi la santa di Dio, e per questo tutti si trovavano in grave pericolo.  86. Allora Quinziano cercò di scappare, impaurito da un lato dal terremoto e dall’altro dalla sommossa del popolo.  87. Perciò comandò che fosse nuovamente portata nel carcere, ed egli dandosi alla fuga da una porticina segreta lasciò il popolo alle porte.  88. Sant’Agata entrata poi nuovamente nel carcere, allargò le sue braccia al Signore, e disse: Signore che mi hai creato e custodito dalla mia infanzia, e che nella giovinezza mi hai fatto agire virilmente;  89. che togliesti da me l’amore del secolo, che preservasti il mio corpo dalla polluzione, che mi facesti vincere i tormenti del carnefice, il ferro, il fuoco e le catene, che mi donasti fra i tormenti la virtù della pazienza;  90. Ti prego di accogliere ora il mio spirito: perché è già tempo che io lasci questo mondo per tuo comando e giunga alla tua misericordia. Dette queste parole alla presenza di molti con forte grido, rese lo spirito.


91. Ciò udendo le folle devote vennero con grande celerità e, portando via il corpo di lei, lo riposero in un sepolcro nuovo.  92. Avvenne poi, mentre il suo corpo veniva unto con aromi e con molta cura seppellito, che si avvicinò un giovane vestito di seta,  93. seguito da più di cento fanciulli, tutti adorni e belli, e nessuno mai prima lo aveva visto in Catania, né dopo alcuno lo vide, né altri si trovò che dicesse di conoscerlo. 94. Questi dunque venendo, entrò nel luogo, dove si componeva il corpo di lei e le pose vicino al capo una tavoletta di marmo, nella quale c’è scritto: MENTE SANTA, SPONTANEO ONORE A DIO E LIBERAZIONE DELLA PATRIA.  96. Chiuso poi il sepolcro se ne partì, e come abbiamo detto non fu più né visto né sentito parlare di lui nella contrada o in tutta la regione Siciliana.  97. Donde arguimmo che fosse il suo Angelo. 98. E quelli che avevano visto questa scrittura, divulgandola resero premurosi e ferventi tutti i Siciliani: tanto che sia i giudei, sia i gentili concordi ed insieme con i cristiani cominciarono a venerare il sepolcro di lei.


99. Allora Quinziano con i componenti del suo ufficio prese con furia la strada per andare ad investigare i poderi di lei, ed arrestare tutti quelli della sua parentela: ma per giudizio di Dio perì nel mezzo del fiume.  100. Difatti, mentre attraversava il fiume con una barca, due cavalli impennandosi e ricalcitrando l’uno gli si avventò coi morsi, l’altro, colpitolo con un calcio, lo scaraventò nel fiume Simeto: e non si è trovato più il suo corpo fino al giorno d’oggi.  101. Per questo crebbe il timore e la venerazione per S. Agata, e nessuno mai osò molestare alcuno della sua parentela. 


102. Perché poi si confermasse con evidenza quella scrittura che l’angelo del Signore aveva posato, dopo un anno, circa il giorno del natale di lei, il monte Etna eruttò un grande incendio, e come un fiume ardente così il fuoco impetuoso, liquefacendo e pietre e terra, veniva alla città di Catania.  103. Allora una moltitudine di abitanti dei villaggi, fuggendo scese dal monte, e vennero al sepolcro di lei, e preso il velo, onde era coperto il suo sepolcro, lo opposero contro il fuoco che veniva verso di loro: e nello stesso momento ristette il fuoco per virtù divina.  104. Il fuoco era cominciato il primo di Febbraio e cessò il 5 dello stesso mese, che è il giorno della sepoltura di lei:  105. affinché il Signore Nostro Gesù Cristo comprovasse che dal pericolo della morte e dal fuoco li aveva liberati per i meriti e le preghiere di S. Agata: a Lui perciò onore e gloria e potestà nei secoli dei secoli. Amen.




Riparazione e SS. Eucaristia

Non nobis Domine non nobis, sed nomini tuo da gloriam

Ci piace pubblicare il primo post con cui l'amico Simone Veronese apre il suo Blog 

Riparazione e Santissima Eucaristia
Inizio con questo post - prendendola un po' alla lontana, a dire il vero - a trattare un argomento che mi sta molto a cuore e che dovrebbe stare a cuore ad ogni buon cattolico, cioè il SS. Sacramento dell'Eucaristia e come negli ultimi decenni se ne stia smarrendo il vero significato, con conseguenze niente meno che nefaste.

Di recente in numerosi blog cattolici è stato ripreso l'ultimo editoriale di Radicati nella Fede (vedi qui) centrato sulla necessità della riparazione, altro aspetto smarrito nei meandri di un cattolicesimo volutamente considerato vecchio e da rinnegare.

Mi piace rileggere quell'editoriale anche alla luce di come la solennità del Sacro Cuore di Gesù viene oramai presentata e bistrattata: ho assistito - mio malgrado - a una celebrazione in cui il celebrante ha tenuto un'omelia al limite dell'oltraggioso. Mai e poi mai un fedele ignaro del significato vero e ultimo di questa festa avrebbe potuto tornare a casa con le idee ben chiare! Le uniche parole spese per il Sacro Cuore sono state per dire che il Cuore di Gesù è la sede del suo Amore per noi. Stop.
Nessun accenno a Santa Margherita Maria Alacoque, nessun accenno alla pia pratica dei primi nove venerdì del mese e alle promesse connesse, nessun accenno al significato delle spine che avvolgono il Sacratissimo Cuore e infine, per l'appunto, nessun accenno alla necessità di riparare alle offese e ai dolori che continuamente gli uomini Gli infliggono.

Recuperare il senso della riparazione è certamente fondamentale affinché la Chiesa esca da questa profondissima crisi, ma ritengo che primariamente andrebbe recuperato il senso vero e autentico della Sacra Eucaristia, altrimenti non avrebbe senso parlare di riparazione senza precisare la natura e l'entità dell'offesa da riparare e, ancora di più, senza avere piena coscienza di Chi è l'oggetto dell'offesa (ammesso si ritenga ancora l'uomo in grado di offendere Dio, cosa nient'affatto scontata!).

Infatti se davvero «il più grande di tutti i sacramenti è quello della Eucaristia, perché contiene non solo la grazia, ma anche Gesù Cristo, autore della grazia e dei sacramenti (§546 Catechismo Maggiore di San Pio X)», una sua comprensione distorta (ovviamente per quanto la ragione umana può comprendere, sappiamo bene come questo Mistero sia insondabile!) comporterà certamente, non solo una diminuzione del numero e della portata delle Grazie che altrimenti ne scaturirebbero, ma ben presto avrebbe anche fortissime ripercussioni su tutta la vita della Chiesa, dalle più alte gerarchie al più semplice dei fedeli, come pure a tutti coloro che ancora devono ricevere la Lieta Novella.

Mi sembra di poter dire che tanto sotto l'aspetto sacrificale, quanto sotto l'aspetto sacramentale, la tradizionale dottrina cattolica sull'Eucaristia ha subito delle variazioni sostanziali:

  • nel primo caso, già autorevoli teologi hanno praticamente detto tutto quanto c'era da dire, sia per quanto riguarda la dottrina dei quattro fini per i quali viene offerto l'Augusto Sacrificio della Santa Messa che non si considera, né la si insegna più, sia per quanto riguarda il concetto stesso di Sacrificio e di ripresentazione del Sacrificio della Croce, che si vorrebbero scansare con sempre maggior forza;
  • nel secondo caso, invece, mi sembra che sotto silenzio sia passato una variazione che, se per certi versi e in alcuni contesti, potrebbe apparire giustificata, per altri appare come una manovra destabilizzante, la quale ha pian piano generato molte delle aberrazioni liturgiche e dei travisamenti teologici dei nostri giorni. È oramai invalso l'uso di tradurre il concetto di Passione con quello certamente più ampio di Pasqua, col risultato che, laddove il fedele era portato a pensare alla Passione del Signore, iniziata nel Getsemani e conclusasi sul Golgota, ora il suo pensiero va direttamente al giorno della Risurrezione.
Un esempio? Si prenda il testo latino del celebre O Sacrum Convivium:

O sacrum convivium!
in quo Christus sumitur:
recolitur memoria passionis ejus:
mens impletur gratia:
et futurae gloriae nobis pignus datur.
Alleluia.

La cui traduzione ufficiale della Liturgia delle Ore CEI riporta:

Mistero della Cena!
Ci nutriamo di Cristo,
si fa memoria della sua passione,
l'anima è ricolma di grazia,
ci è donato il pegno della gloria, alleluia.

Quante sono invece le traduzioni che rendono "Pasqua" al posto di "Passione"?
Nelle recenti celebrazioni del Corpus Domini, il copione è stato lo stesso, l'orazione

Deus, qui nobis sub sacraménto mirábili passiónis tuæ memóriam reliquísti, tríbue, quæsumus, ita nos Córporis et Sánguinis tui sacra mystéria venerári, ut redemptiónis tuæ fructum in nobis iúgiter sentiámus. Qui vivis et regnas cum Deo Patre in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sæcula sæculórum.

viene resa con

Signore Gesù Cristo, che nel mirabile sacramento dell'Eucaristia ci hai lasciato il memoriale della tua Pasqua, fa' che adoriamo con viva fede il santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue, per sentire sempre in noi i benefici della redenzione. Tu sei Dio...

Certamente, qualcuno dirà, il Mistero Pasquale comprende Passione, Morte e Risurrezione, ma perché mai la Santa Madre Chiesa si sarebbe per secoli riferita all'Eucaristia in un modo, per poi improvvisamente corregger il tiro dopo secoli? Forse che volesse veramente intendere Passione e non Pasqua? Non credo sia un caso se il vecchio Catechismo di San Pio X, al punto 623, recitava:

Perché Gesù Cristo ha istituito la santissima Eucaristia?

Gesù Cristo ha istituito la santissima Eucaristia per tre principali ragioni:
Perché sia sacrificio della nuova legge. 
Perché sia cibo dell'anima nostra.
Perché sia un perpetuo memoriale di sua passione e morte, ed un pegno prezioso dell'amor suo verso di noi, e della vita eterna.


sabato 20 luglio 2013

I meriti e il fallimento

I meriti e il fallimento di Silvio 

berlusconi-riforma-giustizia

(di Danilo Quinto) Come abbiamo anticipato e previsto su queste colonne, l’impegno del Partito della Libertà sul tema della riforma della giustizia, si sta risolvendo, in queste ore, con la firma dei referendum proposti da Marco Pannella.

Non importa se quella firma traina anche referendum come quello sul divorzio breve, che massacra ulteriormente il matrimonio e la famiglia; quello che vuole abolire per gli immigrati il reato di clandestinità, sull’onda del più totale disprezzo dei diritti di chi vive in Italia; quello sulle droghe, in modo che sia evitato il carcere per chi le spaccia e che le detiene; quello sull’8xmille, che intende distruggere le opere caritatevoli della Chiesa Cattolica.
Del resto, è ampia nel centrodestra la disponibilità a promuovere quelle «conquiste di libertà» che intendono scardinare i principi del diritto naturale. Si pensi alle legge sull’incesto, a quella sull’omofobia, approvata di recente in Commissione alla Camera, ai progetti di legge sulle unioni tra persone dello stesso sesso.
Il merito storico di Silvio Berlusconi, quello di aver impedito, vent’anni fa, che il Paese fosse consegnato alla cultura e al potere post-comunista, viene seppellito – anche qui sul piano storico – da almeno tre fatti di cui è stato protagonista lo stesso Berlusconi.

Il primo riguarda, l’errore politico più grande che gli si può ascrivere: avere scelto di operare in politica con un metodo esattamente opposto a quello dell’imprenditore. Si è avvalso di meri esecutori – spesso rapaci ‒ non di collaboratori, capaci di consigliarlo e di conservare la loro autonomia. La conseguenza è stato il costituirsi di una classe dirigente ondivaga e evanescente e l’impossibilità di far crescere una leadership alternativa. Senza di lui, il centrodestra è morto e Berlusconi questo lo sa.

Il secondo fatto: l’incapacità di offrire al Paese un progetto di medio-lungo termine, diciamo pure una speranza di Riforme, che ponesse al centro la persona-cittadino nella sua integrità in rapporto all’azione della politica. Avrebbe coniugato, così, la sua “visione” liberale – proclamata, almeno – con quella di “servizio” e di “bene comune” e sarebbe divenuto l’erede politico della grande tradizione dei cattolici impegnati in politica, da Sturzo a De Gasperi, a Moro.

Il terzo fatto è stato rappresentato dalle vicende penali, che hanno accompagnato i primi due fatti, senza determinarli. I contraltari di Berlusconi, per vent’anni, si sono uniti nella logica autodistruttiva del nemico, senza proporre uno straccio di programma alternativo e sono persino riusciti a coprire scandali che riguardavano il loro assetto di potere, si pensi al caso del Monte Paschi di Siena, che avrebbero distrutto chiunque a qualsiasi latitudine.

Al vulnus alla Costituzione, rappresentato da un potere giudiziario che, a partire da Tangentopoli, ha determinato i processi politici, non si è contrapposto nulla per garantire, sul piano generale, la certezza del diritto e la separazione, che dev’essere netta in uno Stato di diritto, tra il potere legislativo e quello giudiziario. La scadenza del 30 luglio, giorno in cui la Corte di Cassazione si pronuncerà sulla condanna a quattro anni e sull’interdizione perpetua dai pubblici uffici a carico di Berlusconi, rappresenta solo, piaccia o non piaccia, l’epilogo di questi fatti. Dopo il 30 luglio, ci sarà un’altra sentenza e un’altra ancora.
La «pacificazione nazionale», di cui parla Berlusconi, non viene garantita dai provvedimenti del Governo Letta, che ha caratteristiche simili a quelle del suo predecessore, anch’egli sostenuto per un anno e mezzo dal centrodestra. Avrebbe potuto essere assicurata ai tanti moderati, cattolici e anti-comunisti che hanno votato centrodestra in questi anni e che hanno atteso invano che le promesse di Riforma sbandierate a lungo e disattese, diventassero realtà. (Danilo Quinto)

Ascoltate ancora, amici miei, quanta dignità conferisco ai sacerdoti al di sopra degli angeli e degli uomini: ho dato loro il potere di fare cinque cose:




I SACERDOTI


Parole con cui il Signore mette in guardia la sua sposa, affinché ella possa discernere la vera saggezza da quella falsa

I miei amici sono come degli scolari che hanno una coscienza e un'intelligenza, la saggezza che non hanno appreso dagli uomini ma da me, poiché io stesso l'insegno interiormente, dolcezze e gioie divine con cui dominano il diavolo. Ma ora gli uomini imparano alla rovescia e desiderano solo essere dotti per andarne orgogliosi ed essere ritenuti dei buoni chierici, acquisire ricchezze per progredire sulla strada degli onori e degli alti uffici. Per questo motivo quando entrano ed escono di scuola, mi allontano da loro, perché essi imparano per insuperbirsi di ciò che hanno appreso, mentre io ho insegnato loro l'umiltà. Vanno a scuola per la cupidigia di possedere, mentre io non ho avuto nulla, nemmeno un cuscino su cui appoggiare il capo. Vi si recano per ottenere cariche e dignità, invidiando chi passa loro davanti, mentre io venivo giudicato da Pilato ed ero lo zimbello di Erode. Dunque mi allontano da loro, perché non apprendono la mia dottrina. Ciononostante, essendo buono e mite, do quello che mi viene chiesto, perché chi mi domanda del pane l'avrà e chi mi domanda un letto lo riceverà. Chi apprende la mia mirabile saggezza, ossia come servirmi bene, viene servito dagli angeli buoni che lo nutrono di una consolazione indicibile e di un lavoro delizioso. Ma gli angeli cattivi assistono i saggi del mondo suggeriscono e suscitano in loro desideri inutili, secondo la propria volontà, ispirando loro pensieri tormentosi. In verità se si rivolgessero a me e si convertissero, potrei dare loro il pane senza fatica. Il mondo ne fornisce loro ma essi non ne sono mai sazi, poiché tramutano la dolcezza in amarezza». Libro I; 33




I sacerdoti custodi del corpo di Gesù

Il Figlio di Dio disse: «Sono simile al signore che, dopo aver combattuto con fedeltà nel paese in cui si è recato in pellegrinaggio, torna con gioia nella terra natale. Questo signore ha un tesoro molto prezioso, la cui vista dà gioia agli occhi lacrimosi, consola gli infelici, rinvigorisce gli infermi e resuscita i morti. Ma, affinché questo tesoro venga custodito con onestà e determinazione, viene edificata una casa con magnificenza e gloria, abbastanza alta e dotata di sette livelli attraverso i quali si accede al tesoro stesso. Ora, Dio ha mostrato questo tesoro ai suoi servitori e lo ha affidato loro affinché ne abbiano cura e lo custodiscano con purezza, in modo che vengano apprezzate la carità del signore verso i suoi servitori e la fedeltà dei suoi servitori nei confronti del signore. Ma dopo qualche tempo il tesoro inizia ad essere disprezzato, la casa viene frequentata di rado, le cure dei custodi diminuiscono e l'amore di Dio viene trascurato... Io sono quel signore che è venuto al mondo per umiltà come un pellegrino, sebbene fossi potente in terra e in cielo secondo la divinità; perché in verità sulla terra ho dovuto sostenere una lotta tale che tutti i nervi delle mie mani e dei miei piedi si sono rotti per la salvezza delle anime. Salendo in cielo, da cui non mi sono mai allontanato, ho lasciato al mondo un memoriale altamente degno, ossia il mio corpo santissimo; infatti così come l'antica legge si gloriava dell'arca, della manna, delle tavole del Testamento e di altre cerimonie, allo stesso modo l'uomo nuovo si rallegra di una legge nuova, ossia il mio corpo crocifisso, che era insito nella legge stessa. Affinché al mio corpo fossero tributati gloria e onore, ho istituito la casa della Santa Chiesa, dove esso sarebbe stato custodito e conservato. I sacerdoti sono dei custodi particolari, in un certo senso più eminenti degli angeli, poiché toccano con la bocca e le mani colui che gli angeli hanno paura di sfiorare, dato il rispetto che provano nei suoi confronti. Ho reso ai sacerdoti sette tipi di onore, corrispondenti a sette caratteristiche: i preti devono portare il segno del sacerdozio e distinguersi come miei amici per la purezza dello spirito e del corpo, perché la purezza è il primo livello per avvicinarsi a Dio, al quale non si addice nulla di corrotto; ai ministri della legge, che avevano il permesso di contrarre il matrimonio, non era concesso fare dei sacrifici, ma ciò non deve stupire: essi avevano solo la scorza e non il nocciolo. Ora, poiché questa figura è stata eliminata con l'avvento della verità, è necessario che si consacrino tutti alla purezza; il nocciolo, infatti, è più dolce della scorza... I chierici sono istituiti perché siano degli uomini angelici dotati di ogni sorta di umiltà; è vero infatti che con l'umiltà del corpo e dello spirito si entra in cielo e si vince la superbia del diavolo; a questo livello i sacerdoti vengono nominati per cacciare il diavolo, perché l'uomo umile è elevato al cielo da cui la superbia ha fatto sprofondare il demonio. I preti vengono ordinati per essere discepoli di Dio attraverso la continua lettura dei testi sacri; per questo motivo la sacra Scrittura viene data ai sacerdoti come la spada al soldato; essi, infatti, devono sapere come placare la collera di Dio con la preghiera e la meditazione, affinché il popolo non muoia. I sacerdoti sono designati custodi del tempio di Dio e studiosi delle anime; per questo motivo il vescovo consegna loro le chiavi: essi devono prendersi cura della salvezza delle anime dei loro fratelli, promuoverne il progresso con la parola e l'esempio e incitare gli infermi alla perfezione assoluta. A loro viene affidata la cura dell'altare, perché, servendo sull'altare, vivano dell'altare stesso e non si occupino affatto delle cose mondane, se non per ciò che attiene alla loro carica ecclesiastica. Vengono ordinati per essere uomini apostolici, che predicano la verità evangelica e conformano i loro costumi a ciò che predicano. Sono istituiti in modo da mediare fra Dio e l'uomo attraverso il sacrificio del mio corpo. Per questo motivo i sacerdoti sono in un certo modo superiori alla dignità degli angeli. Ora, mi lamento perché queste caratteristiche sono gravemente disattese, in quanto la superbia viene preferita all'umiltà, l'impudicizia alla continenza; non ci si attiene più ai libri di Dio, ma a quelli del mondo; gli altari vengono trascurati e la saggezza divina è reputata follia. Non ci si preoccupa affatto della salvezza delle anime e, come se non bastasse, si gettano via le mie vesti e si di-sprezzano le mie armi. E’ vero, sul monte Sinai ho mostrato a Mosè gli abiti che dovevano indossare i sacerdoti; questo non perché nella celeste abitazione di Dio ci fosse qualcosa di materiale, ma perché non si possono comprendere le cose spirituali senza quelle materiali. Quindi mostro ciò che è spirituale attraverso il mondo fisico: occorre sapere che a quanti detengono la verità viene richiesta la purezza e non una pura apparenza. A che scopo, dunque, avrei mostrato a Mosè un tale splendore di vesti materiali, se non perché attraverso esse si comprendessero lo splendore e la bellezza dell'anima?... Dall'oblazione dei ministri di Dio conseguono tre beni: la mia pazienza che è lodata da tutte le schiere celesti, perché sono la medesima Persona tra le mani di un prete buono e di uno cattivo; non traggo senso dalla persona, infatti questo sacramento non dipende dai meriti o demeriti di chi lo somministra, bensì dalle mie parole; tale oblazione è utile per tutti, indipendentemente dal prete che l'offre, inoltre giova anche a chi l'offre, sebbene cattivo; quando ho pronunciato le parole Io sono, tutti i miei nemici sono caduti all'indietro; similmente, all'udire le parole: Questo è il mio corpo, i diavoli fuggono via e cessano di tentare le anime che fanno queste sante oblazioni, né oserebbero tornare ad assediarle con rinnovata audacia se in esse non si insinuasse una propensione a peccare. Per questo la mia misericordia perdona tutti e li tollera, ma la mia giustizia grida vendetta: perciò io grido e quanti siano quelli che mi rispondono, lo vedi da te. Ciononostante invierò ancora la mia Parola: chi l'ascolterà, trascorrerà e terminerà i suoi giorni con una gioia così grande che non è possibile dire, né pensare la dolcezza della mia Parola senza farle torto...» Libro IV, 58


Il sacerdote deve avere un libro e l'olio

«Il sacerdote deve avere anche un libro e dell'olio: un libro per istruire gli imperfetti; infatti così come nel libro è contenuta la dottrina del corpo e dello spirito, allo stesso modo il ministro di Dio deve avere la saggezza... La scienza spirituale serve a istruire gli ignoranti, a correggere le persone dissolute e a spronare quelle progredite. Nell'olio sono la dolcezza della preghiera e i buoni esempi, poiché così come l'olio è più grasso del pane, allo stesso modo l'orazione d'amore e carità e gli esempi di una vita buona, sono più efficaci di qualsiasi altra cosa per attirare gli uomini a Dio e per placare Dio stesso. In verità ti dico, figlia mia, che il nome del prete è grande, poiché egli è un angelo e un mediatore; ma più grande ancora è il suo ufficio, in quanto egli tocca Dio, che è incommensurabile e tiene nelle sue mani le cose sante». Libro IV, 59


Il Signore ha rimesso il suo corpo nelle mani del sacerdote

«Io sono» dice la Saggezza eterna, «come un uomo che, dovendo abbandonare il mondo, lascia ai suoi amici più cari ciò che ha di meglio; io ho fatto lo stesso con i sacerdoti che ho scelto al di sopra degli angeli e degli uomini: ho offerto loro il mio corpo preziosissimo quando ho lasciato il mondo e ho affidato loro molti doni: la mia fede; due chiavi, quella dell'inferno e quella del cielo; la possibilità di tramutare il nemico in un angelo; di poter consacrare il mio corpo, cosa che non possono fare gli angeli e infine di toccare con le mani il mio corpo preziosissimo e purissimo. Ora, essi si comportano con me come gli ebrei, i quali negavano che avevo resuscitato Lazzaro e compiuto altre meraviglie. Mi accusavano sostenendo che volevo diventare re, che avevo vietato di dare i tributi a Cesare e che avrei ricostruito il Tempio in tre giorni; similmente i ministri di Dio non divulgano i miei prodigi né insegnano la mia dottrina, ma diffondono in ogni dove l'amore del mondo e ovunque predicano la loro volontà, poiché stimano meno di nulla tutto quello che ho fatto per loro. In secondo luogo, hanno perduto la chiave con cui dovevano aprire il cielo ai miserabili; amano e prediligono la chiave che apre l'inferno e la tengono avvolta in un panno pulito. In terzo luogo, fanno di un giusto un ingiusto, di un semplice un diavolo, di un sano un malato, perché oggi chi si avvicina loro con tre malattie, se ne allontana con una quarta in più; se qualcuno si reca da loro con quattro malattie, se ne parte con cinque, perché il peccatore, vedendo l'esempio cattivo e depravato dei sacerdoti, imbocca una nuova strada, si rafforza nel peccato ed inizia a gloriarsi del peccato stesso di cui aveva vergogna...In quarto luogo, quelli che mi dovevano santificare con la bocca, mi vendono per cupidigia; sono peggio di Giuda, perché Giuda in un certo senso ha riconosciuto il proprio peccato ed ha fatto penitenza, sebbene inutilmente. Essi si definiscono e si reputano giusti. Giuda, invece, ha riportato il frutto del suo peccato ai sommi sacerdoti e agli anziani, e questi hanno messo la sua confessione al servizio del loro ingegno e del loro uso. Giuda mi ha venduto prima che riscattassi il mondo, ma costoro mi vendono dopo e non hanno compassione del mio sangue che grida vendetta con maggior ragione che non il sangue di Abele. Giuda mi ha venduto per trenta denari, ma costoro mi vendono con ogni sorta di maldicenza, perché non si avvicinano mai a me se non per ricevere qualche vantaggio. In quinto luogo, si comportano come gli ebrei. Ora, cosa hanno fatto questi ultimi? Mi hanno posto sulle- gno della croce, ma costoro mi mettono su un torchio e mi stringono con forza. Ti chiederai: 'Come può accadere ciò, se la mia divinità è inattaccabile dalla sofferenza e Dio non è predisposto al dolore?' È vero, ma la volontà ostinata con cui i sacerdoti perseverano nel peccato è tale che ciò mi risulta ancora più duro e doloroso, proprio come se venissi posto su un torchio. Ora, questi preti hanno due peccati: la lussuria e la cupidigia e mi mettono e lasciano tra questi due vizi; tanto che, dopo aver fatto penitenza e aver celebrato la messa, sono nuovamente animati dalla volontà di peccare e di nuovo mi fanno sentire come se venissi stretto in una pressa...» Libro IV, 132



Il modo in cui il Signore onora i sacerdoti


Ascoltate dunque, eserciti ed angeli miei! Ho scelto dei sacerdoti al di sopra degli angeli e degli altri uomini e ho dato loro il potere di consacrare il mio corpo e di toccarlo. Se avessi voluto, avrei potuto affidare una funzione del genere agli angeli, ma amo a tal punto i sacerdoti che li ho innalzati a un simile onore e li ho ordinati affinché presenziassero davanti a me, disposti in sette livelli. 

Dovevano essere pazienti come pecore, costanti come muri dalle fondamenta stabili, pieni di vita e generosi come soldati, saggi come serpenti, pudichi come vergini, puri come angeli, animati da un amore ardente come quello di una sposa che si avvicina al talamo nuziale. 

Ora, si sono allontanati da me con cattiveria, sono selvaggi come lupi che rapiscono le pecore, imbattibili quanto a fame e avidità. Non onorano nessuno e non hanno vergogna di chicchessia. 
In secondo luogo, sono incostanti come le pietre di una muraglia in rovina, perché diffidano delle fondamenta, ossia del loro Dio, come se egli non potesse soddisfare le loro esigenze o non volesse nutrirli e sostentarli. 
In terzo luogo, sono sprofondati e sono stati avvolti dalle tenebre, come dei ladroni che camminano nella cecità dei propri vizi. Non hanno affatto il coraggio dei soldati, necessario per combattere per l'onore e la gloria di Dio, né hanno la generosità che occorre per compiere azioni eroiche. 
In quarto luogo, diventano pigri come asini che tengono la testa bassa: similmente sono stolti e insensati poiché pensano sempre alle cose mondane, senza rivolgere la mente al cielo e alle cose future. 
In quinto luogo, sono impudenti come cortigiane: mi camminano davanti con insolenza nei loro abiti im-pertinenti e tutte le loro membra esprimono la loro lussuria. 
In sesto luogo, sono sudici come la pece: tutti quelli che si avvicinano loro ne sono offuscati e imbrattati. 
In settimo luogo, sono abominevoli… Solo certi preti si accostano a me con dissimulazione, come se fossero dei traditori, Tuttavia io, che sono Dio e Signore di tutte le creature in cielo come in terra, vado loro incontro; dopo che il sacerdote ha pronunciato le parole Questo è il mio corpo sull’altare, davanti a lui io sono vero Dio e vero uomo. 
Mi affretto verso i miei ministri come uno sposo innamorato, per provare e gustare assieme a loro i sacri piaceri della mia divinità; ma, ahimè, non trovo posto nel loro cuore. 

Ascoltate ancora, amici miei, quanta dignità conferisco ai sacerdoti al di sopra degli angeli e degli uomini: ho dato loro il potere di fare cinque cose

legare e sciogliere in terra e in cielo; 

trasformare i miei nemici in amici di Dio, e i demoni peccatori in angeli virtuosi; 

predicare la mia parola; 

consacrare e santificare il mio corpo, cosa che nessun angelo può fare; 

toccare il mio corpo, cosa che nessuno di voi oserebbe fare». Libro IV, 133

COR MARIAE IMMACULATUM
INTERCEDE PRO NOBIS!