mercoledì 10 luglio 2013

1. Il Purgatorio nella rivelazione dei santi



IL PURGATORIO NELLA RIVELAZIONE DEI SANTI
Visto: nulla osta alla stampa.
Torino 10 marzo 1946 Sac. Luigi Carnino, Rev. Del.
Imprimatur.
Can. Luigi Coccolo, Vic. Gen.
INTRODUZIONE
Natura e valore delle rivelazioni private (1): Per rivelazione intendiamo la manifestazione di ve­rità, prima sconosciute. Se la manifestazione ha Iddio per autore, si ha la rivelazione divina.
Quando la rivelazione divina è fatta per il bene del­la Chiesa Universale, si dice pubblica; quando è fatta per l'utilità particolare di coloro a cui è rivolta, si dice Privata.
Rivelazioni private vi furono in tutti i tempi: la Chiesa, approvandole, non intende obbligare i fedeli a crederle, ma soltanto permette che siano pubblicate ad istruzione e a edificazione dei fedeli, e l'assenso ri­chiesto non è atto di fede cattolica, ma di fede umana, fondata sul fatto che esse sono probabili e piamente credibili (Benedetto XIV, De -sere. Dei beat., 1. 11, e 32, n. 11).
Per la pubblicazione di rivelazioni private è richiesta l'approvazione dell'autorità. ecclesiastica.
Le rivelazioni private possono avvenire in tre modi diversi: con visioni, con locuzioni soprannaturali, con tocchi divini.
Le VISIONI sunti percezioni soprannaturali di oggetti che l'uomo non può vedere naturalmente, e sono di tre specie sensibili (od anche corporali od oculari - appa­rizioni -), allorchè i sensi percepiscono una cosa reale naturalmente invisibile all'uomo: è ciò che accadde ai tre bimbi, nativi di Aljustrel, Lucia, Francesco e Giacinta, il 13 maggio 1917, quando prima un lampo, poi un altro li spaventarono, e finalmente videro tutti e tre, sopra un elce, una misteriosa Signora, dallo sguardo radioso, avvolta in un lembo di luce;
immaginative, quando è nell'immaginazione che Iddio produce la voluta impressione, e ciò nella veglia o nel sonno. Così accadeva a S. M. Maddalena de' Pazzi e a S. Francesca Romana di vedere il Purga­torio nelle sue divisioni, nei tormenti riservati alle anime, nella durata dell'espiazione, ecc. ;
intellettuali, allorchè la mente percepisce verità spirituali senza forme sensibili. Così la Beata Angela da Foligno ebbe la visione dei misteri della Somma Bontà, della Somma Bellezza, della Somma Giustizia, dell'Amore di Dio, di Dio nella tenebra, in cui vide Iddio con tanta evidenza e pienezza come nonmai.
Le LOCUZIONI sono manifestazioni del pensiero divino inteso dai sensi esterni o dagli interni o diretta­mente dall'intelletto. Quando i bambini di Fatima videro per la prima volta la Vergine, le parole di lei furono udite solo da Lucia e da Giacinta. Francesco vide, ma non udì nulla, Giacinta udì nel medesimo modo le parole di Lucia e dell'Apparizione.
I TOCCHI divini sono deliziosi sentimenti spirituali impressi nella volontà da una specie di contatto divino e accompagnati da viva luce intellettuale. " Mentre un giorno - racconta la beata Angela da Foligno nelle sue Mirabili Visioni e Consolazioni - ero in contem­plazione della croce di legno e dell'altra che vi faceva su il disteso corpo di Gesù Cristo, e gli occhi miei materiali si colmavano di questa vista, a un tratto, nell'anima mia, sentii accendersi una fiamma d'amore così fervente da ridondare, come una fiumana di leti­zia, su tutte le membra del corpo mio: Vedevo allora e sentivo Gesù Cristo abbracciare l'anima mia con quel braccio che fu per primo inchiodato sulla Croce, e ne provavo una gioia luminosa di una mai provata dolcissima verità. Fu così che conobbi e compresi in qual modo, in questa nostra carne mortale, si fac­cia l'unione con l'eternità di Dio. Da questa letifican­te, inenarrabile visione, da questa gioia durevole e chiara di evidentissima luce, mi venne tanta assicu­razione, tanta certezza di me stessa e di Dio, che non solo non posso avere alcun dubbio sulla elevazione, sulle visioni e sulle parole di Dio, per grazia sua concessemi; ma mi meraviglio come abbia potuto al­tra volta dubitare di queste divine ispirazioni. E se tutto il mondo mi dicesse di essermi ingannata, riterrei tutto il mondo nell'errore e me sola nella verità » (Op. cit. trad. L. Fallacara; Firenze 1926, pag. 121). Si danno delle regole per conoscere se una rivela­zione viene veramente da Dio o è prodotta da cause umane o naturali, o preternaturali ma non divine.
Premettiamo che abitualmente Dio sceglie per le sue rivelazioni persone particolarmente inoltrate per le vie della vita interiore, e che quindi l'indagine sulle qualità soprannaturali della persona che dice di aver avuto rivelazioni è la prima da farsi. Segue l'esame delle qualità naturali. E' persona fisicamente sana o affetta da malattie specialmente nervose? Il suo al­bero genealogico ha precedenti che possano far dubi­tare di vizi, di debolezze, di tare mentali, facilmente ereditabili? Per ciò che riguarda le sue capacità in­tellettuali, è normale, è esaltata, è ipersensibile? E’ priva di pregiudizi, è soggetta a illusioni? Moralmenate, è persona a posto, vi sono nella sua vita pre­cedenti che poco la raccomandano? E' sincera, calma, spassionata? E' umile ed obbediente, specialmente col direttore di spirito? Quale è il suo carattere?
Nei confronti poi della materia delle rivelazioni, per giudicare se sono veramente da Dio, occorre esami­nare se sono conformi alla fede e ai buoni costumi. Leggendo, p. e., relazioni di sedute spiritiche, accade di incontrare con tutta facilità quanto vi ha di più contrario alle verità della fede e alla morale cristiana.
Anche dagli effetti che le rivelazioni producono, si può trarre argomento per giudicare del loro valore. Le apparizioni di Lourdes non potevano produrre frutti migliori; le manifestazioni di Montefalco hanno attratto l'attenzione di numerosi fedeli sul bisogno che le anime del Purgatorio hanno di preghiere, e dove le manifestazioni ebbero luogo è stata inaugurata una cappella per il suffragio, divenuta ormai centro ar­dentissimo di pietà per le povere penanti ».
Diciamo, in ultimo, che non è escluso che una rivelazione, dall'esame delle circostanze che l'accom­pagnarono, risulti vera nella sostanza, ma contenga errori in qualche particolare: è l'elemento umano che si unisce al divino. Può trattarsi di errori scientifici propri dell'epoca della rivelazione, di errori storici, di pregiudizi di una data scuola di mistica, di un dato direttore di spirito, di false interpretazioni, ecc. Quel che interessa è la rivelazione, la verità della sua so­stanza.
Quale fede dobbiamo prestare alle rivelazioni Priva­te? La fede che meritano i loro testimoni e le circostanze ché l'accompagnarono. Trattandosi di Santi, la loro testimonianza è raccomandata dalla loro stessa santità, tuttavia nessuno esclude che essi talvolta si siano potuti ingannare. Quando poi i Santi non sono che testimoni indiretti - ciò che ci accadrà d'incon­trare qualche volta nel corso del nostro lavoro - noi non riponiamo la nostra fiducia in loro, che possono benissimo essere stati ingannati, ma nei testimoni che hanno loro riferito intorno a determinate rivelazioni.
Ai giorni nostri la critica è assai più severa che nel passato nel giudicare sul valore delle rivelazioni. Be­nedetto XIV, nel libro sulle Canonizzazioni, dettò re­gole precise sul modo di condurre le indagini e di vagliare i fatti, che rivestono caratteri straordinari. La Chiesa rimane in un rigoroso e savio riserbo, finchè i fatti non sono minutamente accertati, aspetta lungo, tempo prima di pronunziarsi, e non impone mai ai fedeli di accettare indiscutibilmente quei fatti, che ella permette solo che siano pubblicati.
A noi è richiesto il medesimo riserbo: non dobbia­mo essere dei faciloni, pronti a credere a chiunque dice di aver sentito, di aver veduto... Tuttavia quando la Chiesa permette la pubblicazione di certe rivelazio­ni, persuadiamoci che esse offrono argomenti di cre­dibilità tali, che possiamo prestar sicuramente la no­stra fiducia a chi asserisce di essere stato favorito da Dio di manifestazioni straordinarie.

CAPITOLO I
« NOVISSIMA TUA!... »
Sorella Morte

Eccoci al letto di un cristiano morente: la Chiesa gli ha già impartito l'ultima benedizione; per l'ultima volta ha sentito riposar sul suo cuore il Cuore san­tissimo di Gesù nel Sacramento dell'amore. Quel Dio che si era fatto amico di lui - e di quale amicizia! - fin da quando con la prima Comunione era disceso nel suo petto, sapendolo infermo ha lasciato il suo tabernacolo pervenire a visitarlo, e fra le mani del suo ministro ha percorso, inosservato le vie della città, ov­vero, seguito da pochi fedeli, gli aspri sentieri della campagna; ha fatto il suo ingresso in quella stanza funerea, trasformata per un momento in santuario, si è posato su quelle labbra che il soffio della morte ag­ghiaccerà fra brevi istanti, ed in un mistico ed intenso colloquio con la sua anima gli ha lasciato intravedere i misteri della vita avvenire e gli splendori della eter­nità beata. Indi l'estrema Unzione, come ad atleta che debba prepararsi alla pugna.
Intorno a quel letto i parenti mormorano a bassa voce parole e preghiere e se ne allontanano solo per dare sfogo alle lacrime. L'orecchio del morente è già stato ripercosso dal formidabile appello: - Parti adunque, o anima cristiana!... - Ed ecco all'improv­viso un movimento convulso scorrere per quel corpo irrigidito, ed un singhìozzo soffocato por fine al ran­tolo dell'agonia: esso ha esalato l'estremo sospiro morto.
Si sollevano allora da ogni parte i gemiti e i lamenti della famiglia, che si appressa a colui che or non è altro che un cadavere; gli vengono chiusi que­gli occhi che non si apriranno mai più fino al giorno dell'universale giudizio; gli vengono conserte le mani in attitudine di preghiera, e molte volte, per nascon­dere ai viventi l'orrore della morte, vien posto un velo su quel volto sfigurato; quindi gli amici e i vicini si allontanano tessendo l'elogio del defunto. Finalmente tutto piomba nel silenzio.
Questo è l'aspetto esteriore del gran dramma della morte, che per quanto ci possa sgomentare, non è davvero il più importante. Noi abbiamo considerato il defunto disteso sul letto funebre con le mani con­giunte, col Crocifisso sul petto, nell'attitudine così ben descritta da Lamartine, in quei suoi mirabili versi.
Dai sacri ceri ormai l'ultima fiamma guizzava, e il prete mormorava il canto sì dolce della morte, a lamentevole nenia simile, che la donna mormora al pargolo assopito. Di speranze la sua fronte le tracce serba ancora, e sul suo volto di beltà soave un raggio spira; il labile dolore la sua grazia v'impresse, e la severa sua maestate vi scolpì la morte.

Il Giudizio

Tutto questo per ciò che riguarda il corpo. Doman­diamoci adesso che cosa è accaduto dell'anima im­mortale ed incorruttibile, che poco fa l'informava. E’ questa e la questione veramente interessante per noi in questo studio del Purgatorio.
La Fede c'insegna che l'anima nell'istante medesi­mo in cui si è svincolata dal corpo è comparsa da­vanti al suo Giudice, e tutte le rivelazioni dei Santi ci confermano la verità del giudizio particolare, im­mediato e inappellabile. E siccome su tale argomento ci si presentano rnolte importanti questioni, cerchia­mo qui di studiarle e risolverle per ordine.
Ciò che sopra ogni altra cosa attrarrà l'attenzione, e farà fissare lo sguardo dell'anima, quel primo sguar­do misuratore dell'eternità, sarà la persona del Giu­dice. Dalla Sacra Scrittura apprendiamo che questo Giudice non sarà altro che Cristo. S. Giovanni ci dice che il Padre non giudicherà nessuno, avendo riser­vato al Figlio ogni giudizio: Pater non iudicat quem­quam, omne iudicium dedit Filio (Jo., 5, 22-23). Negli ­Atti degli Apostoli leggiamo che Cristo è stato costituito da Dio giudice dei vivi e dei morti: Constitutus est a Deo iudex vivorum et mortuorum (Act., 10,, 42). Ermete nel suo libro De Pastore, S. Gregorio Magno: nei suoi scritti, come pure S. Giovanni Damasceno, S. Giovanni Climaco, e in tempi a noi più ­vicini S. Geltrude, S. Lutgarda, S. Francesca Roma­na, S. Teresa e tutte le anime sante, alle quali Iddio ha fatto la grazia di contemplare i misteri dell'altra vita, ci confermano con le loro rivelazioni questa ve­rità di fede.
I teologi fanno questione se l'umanità di Cristo si manifesti visibilmente ad ogni anima, e su questo punto sono molto discordi. Il Card. Bona, nel suo, trattato De discretione spirituum, si esprime così “Alla fine del mondo comparirà Gesù Cristo nel suo corpo e nella sua gloria, quando verrà a giudicare i vivi e i morti; non è certo però se egli apparirà a cia­scun uomo in forma visibile, come taluni scrissero: Non è neppure accertato in qual maniera nostro Si­gnore compirà questo giudizio particolare di ciascun uomo; questo solo si sa che avverrà in un momento, in un batter d'occhio. Ed è perciò che un'apparizio­ne, dirò così, intellettuale di questo Giudice sovrano basterà a compiere tale giudizio” (Op. cit., cap. 20).
- Da ciò risulta che il sapiente Cardinale esita di pro­nunziarsi, quantunque evidentemente propenda per la sentenza negativa. Non mancano tuttavia teologi di merito i quali ritengono che il divin Maestro si sveli a ciascuno nella verità della sua carne trasfigurata e gloriosa, ed avvalorano la loro opinione con ragioni molto plausibili. Tuttavia qualunque sia il modo col quale il divin Salvatore si rivela all'anima, è certo. che nel momento stesso in cui gli occhi del corpo, si chiudono alla luce di quaggiù, lo sguardo dell'anima s'illumina ed intuisce e contempla l'adorabile figura di Cristo, suo Giudice.
Tutto questo ci porta a domandare dove si faccia il giudizio. La risposta è facile: il giudizio si farà in quel luogo medesimo in cui l'anima si separa dal corpo. Che bisogno infatti avrebbe questa di andare lungi di là, a cercare il tribunale che la dovrà giudi­care? La terra è del Signore, dice la Scrittura; ed egli riempie il mondo con la sua presenza. Ciò che a noi impedisce di vederlo, limitati come siamo, sono le mura di questa prigione di carne, che ci circonda, ma nell'ora della morte il velo che ci nascondeva le invisibili realtà si squarcia, e l'anima si trova allora immediatamente sotto lo sguardo del Giudice: Quale istante e quale sgomento sarà mai quello! Avrà luogo allora quel tremendo giudizio, il cui solo pensiero faceva tremare gli anacoreti nelle spelonche dei deserti. Allora l'anima con un solo sguardo abbraccerà tutti e singoli i suoi atti, con tutte le circostanze che li ac­compagnarono, dovendo rendere stretto conto di tutto, persino di una parola inutile, sia pure obliata. Chi potrebbe credere a tanta rigorosa esattezza, se la stessa eterna Verità non ce lo avesse avvertito? Omne verbum otiosum quod locati fuerint homines, reddent de eo rationem in aie iudicii (Matth., 12, 36).
E in qual modo potrà l'anima abbracciar con un solo sguardo il complesso degli atti di tutta quanta la vita? Essa li vedrà nella intelligenza infinita di Dio, al raggio di quel sole di verità, che tutti glie li rischiarerà e che non glie ne lascierà sfuggire alcuno. Al lume di quella luce divina leggerà quel libro, dove tutto è notato, e che le sarà posto sotto lo sguardo.
Liber scriptus proferetur In quo totum continetur Unde mundus iudicetur.
Vi riscontrerà ciascuna delle sue azioni, con tutte le circostanze da cui furono accompagnate, e ne mo­dificarono più o meno la moralità.
Il Giudice chiederà stretto conto di tutto: Redde: rationem villicationis tuae, iam enim non poteris vil­licare (Luc., 16-2). Il tempo del merito e del demerito è passato, la prova è finita, irrevocabilmente fi­nita. - Redde rationem Rendete conto di tutti i vo­stri peccati: io ero là presente quando voi li commet­tevate; io tutto vidi, poichè nulla mi si poteva celare i peccati contro Dio, i peccati contro il prossimo, i peccati contro voi stessi, i peccati contro i doveri del vostro stato, contro i vostri obblighi particolari... –­ Oh! qual cumulo immenso di peccati, dal primo che commettemmo quando incominciò a rischiararsi il lu­me della ragione, fino all'ultimo che commetteremo forse anche sul nostro letto di morte, nel momento di comparire alla presenza del divin Giudice! S. Agosti­no, nelle sue immortali Confessioni, si accusa di colpe che dice di aver commesso in tenerissima età. Tantil­lus puer et tantus peccator! E perchè non dovrà escla­marsi col Profeta, che il numero delle nostre iniquità sorpassa di molto quello dei capelli del nostro capo? iniquitates meae multiplicatae sunt super capillos ca­pitis mei (Ps., 37, 4)­
- Redde rationem. Rendete conto del bene che avreste dovuto fare e che non avete fatto. - Un sa­cerdote trovavasi sul letto di morte, e il suo confessore cercava invano di eccitarlo alla confidenza in Dio, par­landogli del bene che aveva fatto durante la vita, e delle anime che si era studiato di salvare. – Ahimè! - gridava il morente, con voce accorata - perché non mi parlate del bene che io avrei dovuto fare, che potevo fare, e che non ho fatto? - Sì, al tribunale di Dio, contrariamente a quel che avviene qui in ter­ra, al reo si chiede conto anche di quel che non ha fatto di bene, e che pure avrebbe dovuto fare. Iddio porrà da un lato tutte le grazie concesse all'anima: il battesimo, l'istruzione cristiana, le confessioni, le co­munioni, i buoni pensieri, gli ammonimenti, tanta fa­cilità di compiere il bene; e porrà dall'altro lato le nostre opere, e guai allora a colui le cui opere non corrisponderanno alle grazie ricevute, poichè molto sarà domandato a chi molto fu dato.
Ci sarà chiesto conto perfino del bene che abbiamo fatto, ma che non abbiamo fatto così bene come avremmo dovuto. - Vediamo un po' queste pretese virtù, delle quali andavate tanto superbo durante la vita. Oh! quanta lega è mescolata a quest'oro! - I farisei facevano opere buone, ma siccome agivano uni­camente per piacere agli uomini e per acquistarsi fama di virtuosi, il Signore disse di loro: Receperunt mercedem suam... (Matth., 6, 2): hanno ricevuto la loro mercede. Quanti atti virtuosi nel loro oggetto, saranno parimenti degni di disprezzo innanzi a Dio, per­ché compiuti in circostanze cattive, con tiepidezza o per mera abitudine, o perchè fatti di contrattempo, o alla sfuggita, o accompagnati da pensieri di vana compiacenza.
Eppure ancora non è detto tutto. Che sono infatti quelle voci che salgono dall'abisso? Son le voci di coloro che furono un giorno scandalizzati; sono le grida del sangue. - Giustizia e vendetta - gridano i dannati dal fondo dell'inferno - giustizia e vendetta contro quel padre e quella madre, la cui negligenza ci ha lasciato crescere nel vizio e ci ha fatto piombare quaggiù; giustizia e vendetta contro quell'amico, che ci ha messo a parte dei suoi colpevoli piaceri e che perciò deve partecipare ai nostri supplizi; giustizia e, vendetta contro quel miserabile, i cui empi discorsi ci impedirono di convertirci e di salvarci; ah! per sua colpa siamo dannati alle pene di questo carcere perpetuo: e dovrà egli forse salite al cielo, mentre noi bruciamo quaggiù nelle fiamme eterne? - Ahimè! che risponderà allora quella povera anima a tali for­midabili accuse? E non ne avrà ella abbastanza del pesante fardello delle sue colpe, perchè debba cari­carsi di quelle degli altri?
Ecco delineato il giudizio di Dio, tal quale avverrà per ciascuno di noi; ed è questo che fece provare ai Santi angoscie estreme e praticar loro le più rigide pe­nitenze; le storie delle loro vite ridondano di rivela­zioni sul rigore dei giudizi di Dio.
Si legge nelle vite dei santi Padri che un religioso, per nome Stefano, venne trasportato in ispirito al tri­bunale di Dio. Era egli ridotto in agonia sul suo letto di morte, quando eccolo turbarsi improvvisamente e rispondere ad un interlocutore invisibile. I suoi fratelli di religione, che circondavano il letto, ascoltavano­con terrore queste sue risposte: - Fedi, è vero, tale azione, ma mi imposi poi tanti anni di digiuno. - Io - non nego quel tal fatto, ma l'ho pianto per tanti anni. Ancor questo è vero, ma in espiazione ho servito il mio prossimo, per tre anni continui. - Indi, dopo, un momento di silenzio, esclamò: Ah! su questo non ho nulla a rispondere; voi giustamente mi accusate, e non ho altro per mia difesa che raccomandarmi, alla misericordia infinita di Dio. - S. Giovanni Climaco, che riferisce questo fatto, di cui fu testimone oculare ci fa sapere che questo religioso aveva vissuto qua­rant'anni nel suo monastero, aveva il dono delle lingue e molti altri privilegi, avanzava di gran lunga gli altri monaci per la esemplarità della sua vita e pei rigori delle sue penitenze; e conchiude con queste pa­role: Me infelice! che cosa mai diverrò, e qual cosa potrò sperare io sì meschino, se il figlio del deserto e della penitenza trovasi privo di difesa dinanzi a poche colpe leggere? Egli che ha passato una lunga serie di anni fra le austerità e la solitudine, egli ar­ricchito da Dio di privilegi e di doni straordinari, ab­bandona questa vita lasciandoci nella incertezza della sua eterna salute!l...
Ma forse, dirà qualcuno per confortarsi, non si sarà trattato in questo caso che di una visione intellettuale, e i terrori di quel buon monaco sul giudizío di Dio si potrebbero ritenere come effetto della sua immagi­nazione riscaldata dalaa febbre. Ad ovviare a questa difficoltà riferirò la storia della venerabile Angela To­lomei, religiosa domenicana e sorella del beato Gio­vanni Battista Tolomei.
Era ella cresciuta di giorno in giorno in virtù, e per la sua fedeltà nel corrispondere alla grazia divina era giunta ad un alto grado di perfezione, quando si am­malò gravemente. Il suo fratello, ricco egli pure di meriti innanzi a Dio, non poté con tutte le sue fervo­rose preghiere ottenerne la guarigione; ricevette ella perciò, con commovente pietà, gli ultimi Sacramenti, e poco prima di spirare ebbe una visione, nella quale osservò il posto che le era riservato in Purgatorio, in punizione di alcuni difetti che non erasi abbastanza studiata di correggere durante la vita; in pari tempo le furono manifestati i diversi tormenti che le anime soffrono laggiù; quindi spirò raccomandandosi alle preghiere del suo santo fratello. Mentre il cadavere veniva trasportato alla sepoltura, il beato Giovanni Battista, appressandosi al feretro, ordinò alla sorella di alzarsi, ed ella, quasi risvegliandosi da un sonno profondo, ritornò con strepitoso miracolo in vita. Nel tempo che proseguì a vivere sulla terra, quell'anima santa raccontava sul giudizio di Dio tali cose da far fremere di terrore, ma ciò che più di tutto confermò la verità delle sue parole fu la vita che menò, poìchè spaventevoli erano le sue penitenze, avendo perfino inventato nuovi segreti, oltre alle comuni penitenze, per martoriare il suo corpo. Leggiamo che durante l'inverno era solita tuffarsi fino al collo in uno stagno gelato, ove rimaneva per lungo tempo recitando il sal­terio; talvolta bruciava di proposito le sue povere carni, finché il suo corpo diveniva oggetto di orrore e di pietà. E poichè di ciò veniva talvolta ripresa e biasimata, avida com'era di umiliazioni e di contra­rietà, non se la prendeva affatto, ed a coloro che la rimproveravano, rispondeva: - Oh! se conosceste il rigore dei giudizi di Dio, non parlereste così! E che è mai quel che io faccio in confronto dei tormenti ri­servati nell'altra vita alle infedeltà che qui in terra osiamo commettere verso il nostro Creatore? Che è mai, che è mai ciò che io faccio, mentre dovrei fare cento volte di più? - Dopo alcuni anni di così orri­bili penitenze, la serva di Dio fu chiamata dal celeste Sposo all'altra vita, vivo lasciando tra le sue conso­relle il ricordo di sè, delle sue parole e delle sue penitenze.
Ciò che è da osservare in questa storia è che non si tratta di un peccatore che muore in disgrazia di Dio, ma di una fervente religiosa, tutta dedita ai do­veri del suo stato, e che per alcune imperfezioni di nessuna gravità secondo il giudizio degli uomini, subì i rigori del giudizio di Dio. Ahimè! se i giusti sono trattati in tal guisa, che cosa accadrà di noi pecca­tori?
Sono dunque tremendi i giudizi divini! E pensare che ad ogni battito del nostro cuore si rinnova la grande scena: anime ed anime si presentano al trono di Sua Divina Maestà per essere giudicate! Se pen­sassimo a ciò saremmo presi da immensa compassio­ne, e pregheremmo con fervore per tanti infelici che stanno per comparire davanti al loro Giudice.. Ma purtroppo. non vi pensiamo e continuiamo a vivere come se tanti nostri fratelli non ci chiedessero il soccorso delle nostre preghiere. Un giorno saremo anche noi sul letto della nostra agonia e allora sarà spesa per noi la medesima moneta che noi spendemmo per gli altri, saremo pagati con la medesima indifferenza. Adottiamo la santa abitudine di pregare per gli agonizzanti, affinchè un giorno vi sia chi preghi per noi in quell'ora tremenda nella quale tanto ne avremo bisogno.

La difesa
A questo punto sorge spontanea la domanda se nel­l'ora del giudizio l'anima si trovi sola davanti al suo Giudice, ovvero gli spiriti celesti siano presenti a quel­l'atto. Non v'è dubbio che l'Angelo custode accompa­gni ed assista l'anima, sulla quale vegliò durante la vita, come non è escluso che anche il demonio si trovi presente a quell'atto. Nelle rivelazioni di Santa Brigida si legge di un soldato pio e caritatevole, ma tut­tavia non immune da colpe. L'anima di costui com­parve, dopo morto, al tribunale di Dio: era alla sua destra l'Angelo custode in qualità di avvocato, ed alla sinistra il demonio accusatore. Grazie alla devozione avuta per la Vergine, il soldato era morto in grazia di Dio, e a nulla valsero le accuse del maligno (Santa Brigida; Riv., libro Vi, cap. 35).
Una celebre visione, scolpita sulla tomba di S. Dionigi in Francia, ci mostra il re Dagoberto condotto dai demoni all'inferno e strappato dagli artigli dei medesimi dai Santi Martiri Dionisio e Maurizio, coa­diuvati dal glorioso pontefice San Martino. Verso codesti Santi Dagoberto aveva avuto infatti una parti­colare devozione ed in loro onore aveva costruito son­tuose basiliche.
Quanto all'intervento della Vergine, molte sono le rivelazioni avute dai Santi, e qui basterà riferire quanto racconta Sant'Alfonso de' Liguori nella Parafrasi della Salve Regina. Una santa religiosa, per nome Suor Caterina e S: Agostino, aveva la bella abitudine dì pregare per tutti i defunti da lei conosciuti su questa terra. Or nel suo paese viveva una donna di cattivi costumi, per nome Maria, i cui scandali erano tali che gli abitanti del vicinato, indignati dalla sua condotta, la caccia­rono dal paese. Ella si diede allora alla vita dei bo­schi, e dopo qualche mese morì senza assistenza e senza sacramenti. Il suo corpo fu trattato come quello di una bestia e sepolto in un campo, senza una pre­ghiera. Nessuno dubitava che quella vecchia pecca­trice, dopo una simile fine, fosse immediatamente per­duta, e per conseguenza nessuno pregava per lei, nep­pure Suor Caterina. Passarono così quattro anni, alla fine dei quali la pia religiosa vide un giorno un'ani­ma del Purgatorio, che gemendo le disse: - Quanto sono infelice, Suor Caterina! Voi che avete il pio co­stume di raccomandare al Signore tutti i conoscenti trapassati, per me sola non pregate. - E chi siete? - domandò la suora. - Io sono la povera Maria, che morì abbandonata nella grotta. – Come, voi siete salva? - Si, io sono salva per intercessione della Vergine, allorchè mi vidi presso a morire, sola e sen­za aiuti, considerando il numero e l'enormità dei miei peccati, mi rivolsi con fiducia alla Madre dì Dio, di­cendole: O mia Regina, voi che siete il rifugio dei peccatori e dei derelitti, vedete in questo momento il mio supremo abbandono e venite in mio aiuto; voi siete l'unica mia speranza, voi sola potete soccorrer­mi. La Vergine santissima esaudì le mie preghiere e mi ottenne la grazia di una perfetta contrizione, sic­chè morendo fui salva. Ma la divina Madre non li­mitò a questo le sue misericordie, poichè quando fui al divino giudizio, mi ottenne dal suo Figlio divino che il mio purgatorio fosse notevolmente abbreviato, e siccome la giustizia di Dio non può nulla cedere al suoi diritti, così volle che soffrissi in intensità quel che avrei dovuto soffrire di più in durata. In questo momento non ho più bisogno che di qualche Messa, e appena queste saranno celebrate, io verrò liberata dalle mie pene. Siate dunque pietosa verso di me fa­cendornele applicare, ed io vi prometto che quando sarò in cielo non cesserò di pregare Iddio e la Vergine Santa per voi. - Suor Caterina si affrettò a far cele­brare le Messe implorate da quell'anima, e pochi gior­ni dopo la vide salire al cielo e ringraziarla della sua carità.
Questi esempi da noi riportati sono, è vero; convin­centi, ma posti a riscontro con gli insegnamenti della teologia non si può fare a meno di sentirsi scemare quella fiducia, che sembrerebbe dovessero ispirare. È certo che la sorte eterna dell'uomo è irrevocabilmente fissata nel punto della sua morte, e chi credesse che le preghiere dei vivi e l'intercessione della Vergine e dei Santi possano ottenere la salvezza a colui che muo­re in peccato mortale, s'ingannerebbe. Bisogna perciò interpretare le visioni or ora riferite e quelle dello stesso genere, come una espressione simbolica delle grazie ottenute per intercessione dei Santi al peccatore moribondo per condurlo alla penitenza e alla salute.

La sentenza
Non bisogna poi figurarsi questo giudizio come se si svolgesse gradatamente, in un ordine successivo, come nei tribunali di questa terra. La imperfezione della intelligenza umana non può arrivare che passo passo e per una serie di investigazioni alla conoscenza della verità, ma alla luce divina le cose vanno ben diversamente. « Un batter d'occhio »: In ictu oculi e la causa sarà bell'ascoltata. Non vi sarà bisogno di testimoni; perchè il giudice stesso era presente allor­ché furono commesse le colpe; non vi sarà bisogno dell'interrogatorio, poichè un solo sguardo basterà al­l'anima per rivedere tutte e singole le azioni della sua vita, tutte le sue colpe e tutti i suoi meriti, tutto ciò che servirà a condannarla e ciò che varrà ad assol­verla; non vi sarà bisogno di difesa: sarebbe inutile ogni tentativo per commuovere la persona del Giudi­ce. La sentenza sarà in relazione dello stato dell'ani­ma giudicata: Iddio non si lascia commuovere come gli uomini, egli agisce in base alla sua infinita giu­stizia ed ai suoi eterni decreti, e come ad una data misura di meriti sarà attribuito un dato grado di glo­ria, così ad una data misura di colpe sarà assegnato un grado corrispondente di castigo, sicchè l'anima nel momento stesso che conoscerà il suo stato, cono­scerà pure la sua sentenza.
Questa sentenza sarà differente secondo i vari stati in cui si troveranno le anime in punto di morte: Per colui che muore in peccato mortale, Iddio pronunzierà la sentenza dei reprobi: - Va, maledetto, nel fuoco eterno preparato per satana e per gli angeli ribelli. Tu preferisti obbedire a lui sulla terra, va dunque, mise­rabile, a partecipare dei suoi supplizi nell'inferno. -
Mentre a colui che muore nello stato di grazia, e che non ha da subire alcuna espiazione per i falli pas­sati, sarà riservata la parola dell'amore e della beati­tudine: - Coraggio - gli dirà il Signore, coraggio, servo buono e fedele, fosti fedele nel poco, ed ora ti pongo in possesso di un bene molto più grande: vieni a gustare la gloria del tuo Signore. -
Finalmente coloro che morendo bensì nello stato di grazia, hanno ancora macchie di peccati veniali, o non hanno espiato abbastanza le colpe passate, con le pa­role dell'amore udiranno che l'ingresso al Paradiso è differito: - Povera anima; dirà il Signore, un giorno tu godrai della mia gloria, poichè sei cara al mio cuo­re; ma siccome non sei ancora perfettamente pura, va a purificarti nel fuoco espiatore; la durata dei tuoi pa­timenti sarà proporzionata al numero e alla gravità dei tuoi falli. -

Il numero degli eletti
A questo punto è necessario trattare brevemente in merito alla questione del numero degli eletti, questio­ne grave e interessante, che tanto da vicino ci tocca, che fu sempre discussa e sempre rimase insoluta. « E' una questione, scrive il Faber (Il Creatore e la creatura, Parte III, cap. II), ché è un segreto di Dio, un segreto del supremo Giudice, un segreto che l'Altissimo ha riservato tutto a se stesso, ma nella quale egli permette che ci addentriamo solo nella speranza di trovare qualche nuova traccia dello sconfinato amore di Dio ». Dopo tutte le nostre supposizioni, le nostre congetture, le nostre induzioni, la verità sarà sempre, come prima, nascosta in Dio.
Numerosi teologi di grande autorità sono del pa­rere che il numero dei reprobi superi quello degli elet­ti; altri teologi, pure di indiscussa autorità, ritengono il contrario. Cornelio a Lapide riferisce che la mag­gior parte dei teologi che vivevano a Roma ai suoi tempi, riguardando al rilassamento generale dei costu­mi nella loro epoca, sostenevano l'opinione più seve­ra. Mentre i teologi più recenti pare che propendano per l'interpretazione più benigna. Gli argomenti addotti sono solidi da ambo le parti, afferma il Billuard (De Cert. praed., disp. IX, art..7).
Le prove della Sacra Scrittura assicurano il trionfo completo e nella forma più esplicita della opinione più benigna. E i rigoristi, a dire il vero, par che su­dino abbastanza nel tentare di ritorcere queste prove in loro favore (Faber, Op. cit.).
A proposito delle parabole evangeliche addotte co­me prova da ambo le parti, il Bergier si esprime in questo modo: «Se le parabole del Vangelo si possono addurre come prove, noi dovremmo concludere che è la maggioranza e non la minoranza che si salva. Gesù Cristo paragona la separazione dei buoni dai cattivi; nel giudizio finale, alla separazione del buon grano dalla zizzania; ora in un campo ben coltivato la zizza­nia non è' mai più abbondante del grano. La paragona ancora alla scelta tra i pesci buoni e i pesci cattivi; ora qual mai pescatore fu mai tanto disgraziato da pescare più pesci cattivi che pesci buoni? Delle dieci vergini invitate alle nozze, cinque sono ammesse alla festa insieme allo Sposo. Nella parabola dei talenti, due servi sono premiati, uno solo è punito; in quella del festino, di tutti gli invitati uno solo è scacciato » (Bergier, Traíté de la vraie Religion; t. x, pag. 356).
Coloro che sostengono l'opinione più severa sembra che si lascino sopraffare dalla considerazione del male nel mondo e della giustizia divina nei suoi confronti, senza riflettere abbastanza
a) che gli uomini furono creati per un piano di sconfinata misericordia e di sapienza divina, il quale sembrerebbe destinato a fallire, qualora il numero de­gli eletti non superasse quello dei reprobi;
b) che per dare nuovo assetto ai disegni di Dio, sconvolti dal peccato, Iddio stesso non solo si è fatto uomo, ma ha lavato il mondo col suo Sangue prezio­so, ed è morto aprendo le braccia sulla croce e implorando il perdono del Padre perfino sui suoi crocifis­sori ;
e) che fiumi di grazie si riversano continuamente sugli uomini, dopo il sacrificio del Calvario, in tutte le epoche della loro vita, in tutti i luoghi;
d) che insieme a tanto male, che del resto colpi­sce la nostra fantasia assai più del bene, c'è tra gli uomini molto bene; ci si fermi a considerare anche soltanto il bene fatto in seno alla Chiesa, ove per la comunione dei Santi le opere buone tornano a van­taggio di tutti.;
e) che gli uomini, se hanno un inferno che li at­tende nella vita futura, qualora se ne rendano meri­tevoli, hanno altresì la loro fornace di fuoco in questa vita, ove, volenti o nolenti, pagano un tributo di espiazione alla inesorabile giustizia divina. Che tanto fuoco e tanto sangue abbiano uno scopo ristretto nel tempo, nessuno riuscirebbe mai a farcelo comprendere. Non è raro il caso in cui gli uomini fanno insieme il male e la penitenza;
f) che la responsabilità morale degli uomini più spesso che non si creda è assai limitata. Le azioni degli uomini sono spesso assai più perverse del cuore che le commette » (Faber). Fu scritto che nessuno è tanto santo e tanto perverso come la dottrina che pro­fessa. Gesú, che meglio di tutti conosceva il cuore degli uomini, dopo aver implorato il perdono di Dio sui suoi crocifissori, aggiungeva: Non enim sciunt quid faciunt (Luc., 23, 34). Non è raro il caso di rimanere sorpresi per l'ignoranza di persone che frequentano la chiesa e i sacramenti, immaginiamo ciò che deve essere di quelli che sono sempre stati lontani dalla chiesa o non hanno avvicinato i sacerdoti che in cir­costanze rarissime; e ciò senza loro colpa. Special­mente ai giorni nostri, questi ultimi sono moltissimi. E ammirabile lo zelo del Clero per penetrare nelle officine, nelle miniere, nei cantieri, nelle industrie, nonostante le gravi difficoltà... Un numero enorme di creature umane, senza colpa o quasi, vive completa­mente lontano dalla vita e dai problemi dello spirito.


Noi rimaniamo impressionati, ed a ragione, ma Iddio che tutto conosce, giudica molto diversamente da noi;
g) che oltre all'Inferno c'è un Purgatorio, accesa per gli uomini dalla divina giustizia.
Confortiamoci perciò con la visione dell'Apostolo, che, trasportato dalla potenza divina nel regno degli eletti, racconta di aver veduto una infinita moltitudine di beati, di tutte le genti e tribù e popoli e lingue, stanti dinanzi al trono e all'Agnello, vestiti di bianche stole, con palme nelle loro mani, cantanti: Salute al nostro Dio che siede sul trono, e all'Agnello (Apoc, 7, 9, 10).
Tuttavia la grande maggioranza di quelli che si sal­vano, si ferma in Purgatorio. Ciò è ammesso da tutti, dottori e mistici. Nella vita di S. Teresa leggiamo “Osserverò solo - è la Santa che parla - che di tante anime elette da me conosciute in vita, ne ho viste tre sole volare direttamente al cielo senza passare pel Purgatorio: quella del religioso di cui ho parlato nel di­scorso di questo libro, quella del venerabile Pietro d'Alcantara e quella del padre Domenicano rammen­tato più sopra (si tratta del P. Pietro Ybanez, uno dei suoi confessori). Quando si pensi al gran nu­mero di visioni che la Santa ebbe sul Purgatorio du­rante la sua vita, e alla quantità di anime sante che fiorivano allora nella Chiesa di Dio, questa testimo­nianza della Santa ci dispensa da ogni ulteriore ricerca. Ma c'è di più: noi vediamo che gli stessi Santi ca­nonizzati dalla Chiesa non vanno sempre esenti dalle pene del Purgatorio. Si legge nelle opere di S. Pier Damiani che San Severino, Arcivescovo di Colonia, quantunque fosse stato in vita pieno di zelo apostolico e adorno di straordinarie virtù, dovette tuttavia rima­nere per qualche tempo in quel luogo di pene.
La storia riferita da S. Gregorio Magno nei suoi Dialoghi (Libro IV, cap. 40) circa il santo Diacono Pascasio è davvero, stranissima, poichè dopo la morte di costui, la sua dalmatica distesa sul feretro avendo operato molti miracoli, non c'era dubbio che egli si dovesse trovare tra i beati comprensori del cielo; ep­pure come rivelò egli stesso a S. Germano di Capua, gli rimaneva da fare una lunga espiazione in Purga­torio.
Dopo tutto questo chi potrebbe mai lusingarsi di sfuggire a quella pena? Approfittiamo almeno delle sofferenze della vita presente offrendole a Dio in espia­zione delle nostre colpe, onde voglia il Signore mise­ricordioso abbreviare il nostro soggiorno nel carcere tremendo del Purgatorio.

CAPITOLO II
ESISTENZA DEL PURGATORIO

La preghiera per i morti
Finora noi abbiamo supposto come ammessa da tutti l'esistenza del Purgatorio, ma siccome da molti non si crede purtroppo a questa verità, e i protestanti la considerano come una superstizione della Chiesa cattolica, bisogna fermarci alquanto sulle prove che stabiliscono questa verità, per trattare poi tutti i punti della dottrina cattolica riguardante il Purgatorio.
Noi partiamo dal principio a tutti evidente, che la preghiera per i defunti suppone il domma del Purgatorio. Infatti per i Santi del Paradiso non si prega, come non si può pregare per i dannati dell'Inferno, per quelli perchè non hanno bisogno e per questi perchè si trovano nella impossibilità di trar profitto dalle nostre preghiere. La preghiera per i morti sup­pone quindi uno stato intermedio fra la beatitudine del Cielo e la eterna disperazione dell'Inferno: stato di sofferenza, ma di sofferenza temporanea, durante la quale le anime tormentate possono ricevere sollievo dai suffragi dei vivi,
La preghiera per i morti suppone quindi l'esistenza del Purgatorio, e tale preghiera si è fatta in tutti i tempi e da tutti i popoli. Gli Ebrei conobbero tale preghiera, dal momento che vediamo Giuda Maccabeo fare una colletta per offrire sacrifici in memoria e a vantaggio dei soldati del suo esercito caduti combat­tendo. La sacra Scrittura, lungi dal biasimare questo atto, aggiunge nel riferirlo una riflessione opportuna Sancta ergo et salubris est cogitatio pro defunctis exo­rare, ut a peccatis solvantur (2 Mac., 12, 46)
A proposito del culto per i morti tra i popoli primi­tivi o pagani, abbiamo la storia e la letteratura che ne parlano. Si curò la sepoltura dei cadaveri, si offrirono sacrifici e si fecero ovunque preghiere, perchè le ani­me dei trapassati riposassero in pace. Ed è quanto si fa ancora oggi tra i popoli, ai quali non giunse ancora la luce del Vangelo.
Nella Chiesa poi i riti di suffragio risalgono ai tempi apostolici, come ne fan fede le antichissime liturgie, le quali prescrivevano che nel tempio, dopo essere stati letti sui sacri dittici i nomi delle persone viventi, con le quali v'era comunione di preghiera, si leggessero quelli dei defunti in modo particolare raccomandati; e il sacerdote, come del resto fa ai nostri giorni, rac­colto in orazione, invocava per i defunti locum refri­gerii, lucis et pacis. Tutte le liturgie antiche, senza eccezione, ci ricordano questo rito, il quale per le for­me con cui veniva fatto prese il nome di "preghiera sopra i dittici”- oratio super dyptichos.
Negli Atti di Santa Perpetua, scritti in gran parte dalla Santa medesima, è bellissimo il passo, che vogliamo citar per intero, nel quale si parla proprio della fede che avevano gli antichi cristiani nel Purgatorio. La Santa dopo aver parlato delle circostanze della sua cattura e dei primi giorni passati nel carcere in compagnia di altri confessori della fede, così prose­gue: «Mentre un giorno eravamo tutti in preghiera, mi venne sulle labbra il nome del mio Dinocrate, e ri­masi stupita di non essermi mai fino a quel punto ricordata di lui. Mi afflisse il dubbio della sua infe­licità e conobbi allora che ero degna di pregare per lui e che perciò bisognava pregassi. Incominciai quin­di a pregare fervorosamente, gemendo davanti a Dio e nella notte seguente ebbi questa visione.
«Vidi Dinocrate uscire da luoghi tenebrosi, dove molti altri stavano con lui. Egli era tutto arso e divo­rato dalla sete, sordido in volto, di aspetto pallido e con la faccia tuttora corrosa dall'ulcere di cui perì.
Questo Dinocrate era mio fratello secondo la carne, in età di sette anni morì di un cancro al volto, che lo rendeva oggetto di orrore a quanti lo guardavano. Per lui io avevo pregato. Sembravami dunque che una gran distanza corresse fra lui e me, in modo che fosse impossibile appressarci l'una all'altro. Vicino, a lui vidi un bacino pieno d'acqua, il cui orlo essendo più alto della persona del fanciullo, non poteva essendo Dino­crate in alcun modo essere raggiunto per quanti sforzi facesse, onde appressare le sue labbra a quell'acqua refrigerante. Oh! quanto mi addolorava quel suppli­zio. In questofrattempo io mi svegliai, e da tutto ciò conobbi che il mio fratello trovavisi in stato di pena, e sperai di poterlo sollevare. Incominciai dunque a pregare Dio giorno e notte con lacrime e con sospiri, perchè mi concedesse la grazia della sua liberazione, e continuai le preghiere finchè fummo trasferiti nella prigione del campo, per servire di pubblico spettacolo nella festa di Cesare Geta. Il giorno in cui fummo avvinti in catene per essere condotti alla festa, io ebbi un'altra visione, nella quale scorsi il medesimo luogo visto la prima volta, e Dinocrate col corpo mondo, ri­vestito di splendide vesti e senza neppure una lieve cicatrice nel posto dell'antica piaga. L'orlo del bacino si era abbassato fino ai fianchi del fanciullo, e presso di lui stava un'ampolla d'oro per attingere acqua. Ed essendosi Dinocrate avvicinato, incominciò a bere di quell'acqua, senza che essa scemasse, e quando ne fu sazio abbandonò tutto ilare il bacino per andare a giuocare, come è costume dei fanciulli di quella età. In quel mentre mi destai, e compresi da ciò che il mio fratello era ormai libero da ogni pena ». (Acta S. Perpetuae, apud Bolland. 7 Martii).
Si legge in Eusebio di Cesarea che Costantino diede ordine che il suo sepolcro sorgesse nella chiesa dei SS. Apostoli da lui fatta costruire a Costantinopoli, e ciò nella speranza d'esser messo a parte, dopo la sua morte, delle preghiere che sarebbero state fatte in quel luogo sacro, com'ebbe a dichiarare nel suo testamento.
Nel secolo V S. Agostino rende omaggio alla pietà di sua madre, S. Monica, con uno splendido passo delle sue Confessioni, che qui vogliamo citare, e che dimo­stra la fede ch'egli aveva nel Purgatorio, e quanto sperasse dalle preghiere fatte per la madre (S. Agostino, Conf., libro IX, cap. 9 segg.).
«Un giorno la mia diletta madre, assalita da im­provvisa debolezza, perdette i sensi: quando correm­mo ìn suo aiuto, essendo già ritornata in sè, guardò tutti noi che la circondavamo, riconobbe me e mio fra­tello e con voce piangente ci disse: - Dove ero io? - E poichè ci vedeva ìnerti e oppressi dal dolore, soggiunse: - Qui, o figli miei, lascierete vostra ma­dre. - Io non risposi, chè il pianto mi impediva di parlare, ma il fratello con parole di conforto le disse di sperare di ritornare nella terra dei padri suoi. Ella fissatolo con sguardo triste per mostrargli che aveva tutto compreso, volse gli occhi sopra di me, e mi dis­se: - Senti che cosa ha detto? - e poco dopo rivol­gendosi ad ambedue: - Voi comporrete questo corpo in quel luogo ove meglio vi piacerà; non ve ne pren­dete pensiero. L'unica preghiera che vi rivolgo è che dovunque vi troverete vi ricordiate di me nel Sacrifi­zio divino». A questo proposito S. Agostino fa queste belle riflessioni: «Ora che il primo dolore prodotto dall'affetto naturale è passato, io vi loderò, o Signore, in nome della vostra serva, ed altre lacrime spargerò dinanzi a voi, che non siano della carne, ma bensl dello spirito, lacrime che fluiscono spontanee dal ci­glio quando si pensi al pericolo nel quale si trovano le anime che peccarono in Adamo, poichè quantun­que la madre mia sia stata vivificata in Gesù Cristo e sia vissuta nella carne glorificando sempre il vostro santo Nome col fervore della sua fede e con la illibatezza dei suoi costumi, nondimeno io non ardisco affermare che dal giorno in cui voi, o mio Dio, la rige­neraste col santo Battesimo, non sia uscita dalle sue labbra alcuna parola contro i vostri comandamenti. Ma poichè voi non desiderate la ricerca dell'iniquità, nutro fiducia filiale che la madre mia abbia trovato misericordia davanti al vostro cospetto, e perciò, o Dio del mio cuore, io lascio da parte a bella posta le opere sante fatte dalla mia diletta genitrice, e delle quali mi consolo rendendo a voi grazie infinite, per domandarvi solo perdono dei suoi peccati. Esaudite­mi, ve ne scongiuro per le ferite sanguinose di Colui che mori per noi sul legno infame, e che ora assiso alla vostra destra intercede per gli uomini.
Lo so ch'ella fece sempre misericordia e rimise di tutto cuore i debiti ai suoi debitori; rimettete quindi ancora voi a lei i suoi, se qualcuno ne avesse contratto nei numerosi anni che trascorsero dal giorno in cui fu rigenerata col santo Battesimo, fino a quello del suo passaggio da questa vita. Perdonatela, perdona­tela, ve ne scongiuro, o Signore, e non entrate con lei in giudizio, poichè la vostra misericordia supera la vostra giustizia, le vostre parole sono veraci e promet­teste misericordia a chi avrà fatto misericordia. Questa misericordia io credo che voi l'abbiate già fatta, o mio Dio; ma tuttavia accettate l'omaggio delle mie lab­bra. Ricordatevi che nel momento del suo passaggio all'altra vita, la vostra serva non pensò a far rendere al suo corpo funebri onoranze con splendidi esequie - e con profumi preziosi, non domandò un sepolcro su­perbo, nè di essere trasportata in quello che aveva fatto costruire a Tagoste, sua patria, ma solo volle che noi ci fossimo ricordati di lei dinanzi ai vostri santi altari, nel mistero sublime al quale ogni giorno ella prese parte, poichè sapeva che in questo si di­spensa la Vittima immacolata, il sangue della quale ha annullato la sentenza fatale della nostra condanna.
«Ch'ella dunque, o Signore, riposi in pace presso le ossa del suo consorte, accanto a colui al quale ri­mase fedele nelle gioie della verginità e nelle tristezze della vedovanza, accanto a colui di cui erasi fatta ser­va per guadagnarlo a voi con la sua pazienza salu­tare. E voi, o mio Dio, ispirate ai vostri servi, che sono miei fratelli, ispirate ai miei figli spirituali, che sono miei maestri, poichè il mio cuore, la mia voce, i miei scritti sono al loro servizio, ispirate a tutti quelli che leggeranno queste mie parole di ricordarsi dinanzi ai vostri altari di Monica, vostra serva, e di Patrizio, suo sposo. Furono essi che mi introdussero nel mon­do; fate dunque che tutti coloro che vivono fra la luce ingannevole di questo secolo si ricordino piamente dei miei genitori, affinchè l'ultima preghiera di mia ma­dre morente sia esaudita anche più di quello che essa desiderava; e non abbia essa a ricevere soltanto il soc­corso delle mie preghiere, ma anche quello di molti altri ».
Ho voluto riferire quasi per disteso questa meravi­gliosa preghiera del santo Dottore a vantaggio della sua madre defunta, perchè quando si pensi alla san­tità di quella illustre matrona, che la Chiesa sollevò agli onori degli altari, quando si consideri che nel momento in cui il figlio scriveva erano trascorsi circa vent'anni dalla morte di lei, si scorgerà facilmente che cosa pensasse il grande Dottore della Chiesa latina sul Purgatorio e sulla severità della giustizia di Dio. S. Gregorio Magno coi suoi Dialoghi contribuì no­tevolmente a promuovere tra i cristiani la devozione verso le anime del Purgatorio. Il Padre Lefebvre era salito dire ché S. Gregorio Magno doveva essere amato ed onorato dai fedeli per molte ragioni, ma sopratutto perchè aveva esposto in maniera tanto chiara e com­movente la dottrina del Purgatorio, e credeva che se non avesse parlato con tanta eloquenza di quelle ani­me sante, la devozione nutrita verso di loro nei secoli posteriori sarebbe stata meno ardente, e quindi insie­me alla devozione verso le anime del Purgatorio in­culcava sempre nei fedeli sentimenti di riconoscenza verso il santo Dottore.
Nel sesto secolo si introduce l'uso dell'Ufficiatura dei Morti, e da allora in poi le testimonianze della tradizione si accumulano in modo che è impossibile citarle tutte.
Sul finire del decimo secolo nella Certosa di Cluny, per opera del santo abate Odilone ebbe origine la Commemorazione dei Morti, che da quel tempo si ce­lebra ogni anno dalla Chiesa cattolica il 2 novembre, giorno seguente a quello in cui si celebrano le gioie della Chiesa trionfante con la Festa di Tutti i Santi:
Due secoli più tardi il grande Alighieri, che va considerato come l'interprete e lo specchio del suo tempo, riassumendo nella sua magnifica epopea tutte le pie credenze dell'epoca, esponeva coi canti più sublimi e con le più commoventi ispirazioni le pene del Pur­gatorio.
Sappiamo d'altra parte quanta fosse nel medio evo la devozione verso i defunti. In alcune città quando scendevano le ombre della notte e ciascuno si ripo­sava dai lavori della giornata, si udiva per le strade la voce del banditore notturno, che in quel cupo si­lenzio andava ripetendo - O buoni fratelli che ve­gliate, pregate per i defunti. - Gli uomini dei nostri giorni, che aboliscono con tanta cura gli emblemi della morte, troverebbero certamente troppo lugubre un simile avvertimento, ma in quell'età di fede i popoli erano meno delicati. La Chiesa militante formava una sola famiglia con la Chiesa purgante: il ricordo dei poveri morti non turbava il sonno di nessuno; col pretesto della sensibilità non si cercava di farlo scom­parire dalla mente di coloro che i trapassati avevano amato. Ai nostri giorni tutto è cambiato. Il ricordo dei defunti spesso ci riesce importuno: rari i pellegri­naggi alle tombe, fievole la riconoscenza, pochi i suf­fragi. Si è tentato perfino di distruggere i corpi dei nostri trapassati, per impedire così le salutari lezioni che vengono dalle loro tombe: al rito cristiano della inumazione si vorrebbe sostituire quello pagano della cremazione.
Nel secolo decimoquinto il Concilio di Firenze si occupò lungamente della questione del Purgatorio. Non già che la Chiesa latina e la greca non si trovassero d'accordo circa l'esisteriza di codesto luogo di pena, ma la controversia era sorta sulla natura è sulla durata delle pene, e, come vedremo altrove, per non porre ostacolo alla desiderata unione della Chiesa greca alla latina, il Concilio si astenne dal pronunziarsi su questo punto.
Nel secolo seguente una voce blasfema si fece udire nella Chiesa, condannando per la prima volta la pre­ghiera per i defunti. Era la voce di Lutero, che voleva infrangere quei vincoli sacri, che ci uniscono ai fra­telli d'oltre tomba, soffocando la preghiera sulle lab­bra e la speranza nel cuore di coloro che rimpiangono dilette memorie. Non più Purgatorio, non più stato intermedio tra la beatitudine del Cielo e le pene eterne dell'Inferno; cose tutte contrarie, diceva l'eresiarca, ai sentimenti più santi, alle ispirazioni più commo­venti del cuore umano.
Per una felice incoerenza non pochi protestanti si riconobbero cattolici presso la tomba di persone a loro care, e malgrado i sofismi del loro spirito, uscì spon­tanea da quei petti la preghiera in suffragio dei morti. Tolte però queste eccezioni, è certo che il Protestan­tesimo non ammette la preghiera per le anime dei trapassati.
A codeste negazioni infondate, la Chiesa cattolica, vera madre delle anime, oppose, una splendida rea­zione, poichè dopo avere rivendicato solennemente nel Concilio di Trento l'antica fede sul Purgatorio, di­chiarando anatema chiunque negasse la sua esistenza e l'utilità dei suffragi pei morti (Sess. VI cap. 3o, Sess. XXII cap. 2, Sess. XXV decretum), essa promosse per ogni parte la formazione di pie Società con lo scopo di pregare per i defunti. Così vediamo a Roma Paolo V autorizzare. E incoraggiare la pia pratica di. comunicarsi in una domenica di ogni mese a suffragio dei defunti, e a Bruxelles stabilirsi una Congregazione il cui scopo è di pregare per la libe­razione delle anime del Purgatorio, poichè, dicono gli statuti di questa Congregazione, se vi sono nella Chiesa Ordini religiosi fondati col pio scopo di redimere gli schiavi, con più forte ragione devono esi­stere congregazioni e confratelli che si occupino non a liberare dai ceppi i corpi dei cristiani, ma a trarre le loro anime dalle pene del Purgatorio. Queste pie confraternite si moltiplicarono e diffusero per tutto il mondo cristiano, e dappertutto furono arricchite di privilegi e di numerose indulgenze dai Vescovi e dai Sommi Pontefici.
Pure ai nostri dì molto si prega per le anime sante del Purgatorio. La pratica dell'atto eroico a vantag­gio dei defunti, che nei tempi passati era in uso solo qua e là, quasi come eccezione, ai giorni nostri si è talmente generalizzata, che intiere comunità religiose hanno più volte rinunziato a tutto il merito delle loro opere buone per convertirlo a pro dei defunti, e in quasi tutte le parrocchie è invaso il pio costume di consacrare l'intero mese di Novembre a suffragare le anime del Purgatorio. Finalmente in questi ultimi anni si è formato un Ordine religioso con lo scopo di procurare per mezzo della preghiera e del sacrificio il sollievo di quelle povere anime.
Così il ricordo dei morti rimane, e rimane a dispetto della lotta ché si è fatto e si sta facendo a danno di quei cari, che, lasciandoci, sperarono nel nostro soc­corso, e non è un ricordo sterile, ma fatto di rimedi efficaci, di preghiere, di sacrifici, di opere buone, of-ferte alla giustizia divina, onde affretti il soggiorno beato della perpetua pace nella visione beatifica alle anime sante di coloro, che ci precedettero nel trava­glio della vita terrena.

Dov'è il Purgatorio?

Ecco tracciata a grandi tocchi la storia del culto dei morti; dal che risulta che le sentenze del Concilio di Trento, la Tradizione cattolica e le rivelazioni dei Santi sono concordi nello stabilire in modo irrefra­gabile la credenza del Purgatorio.
Ora si presenta l'altra questione importantissima del luogo ove il Purgatorio si trovi. La Chiesa non si è mai pronunziata su questo argomento, lasciando i teologi liberi nelle loro opinioni. Vedremo quello che pensano i mistici, c'intratterremo sulle rivelazioni dei Santi; intanto riportiamo una interessantissima pagi­na del prof. Chollet (I nostri defunti; P. II, cap. II).
« Fuor di dubbio il Purgatorio è luogo di prigionia e può dirsi pure che l'anima vi è in certo modo inca­tenata. Di fatti il Purgatorio è un castigo fatto di fuoco probabilmente materiale; ed ogni materia occu­pa dello spazio. Di più l'anima è preda di questo fuoco e vi è abbandonata per divina potenza nè può sfuggirne fino al momento della sua completa purifi­cazione. Tuttavia essa conserva dei contatti col mondo esteriore. Vedremo più tardi, che il fuoco della divina giustizia, sebbene terribile e materiale realtà, è for­nito di qualità che lo fanno ben differente da quello che consuma il legno arido o rende liquido il metallo
arroventato. Sopratutto è fenomeno che appartiene al di là, vale a dire ad un ordine materiale diverso da quello del nostro mondo sensibile. Al modo stesso che i corpi risuscitati, sia degli eletti che dei reprobi, sebbene corpi veri rivestiranno delle qualità assolutamente diverse da quelle della vita presente, così pure il fuoco che tormenterà questi ultimi possederà un carattere speciale. Chi impedisce d'altronde di conside­rare il fuoco del Purgatorio come una materia avente analogia nelle sue qualità spirituali con quelle dei corpi glorificati? E se così è, questo fuoco non po­trebbe avere come appunto i corpi glorificati, come il corpo eucaristico del Salvatore, una localizzazione di­versa da quella dei corpi terrestri?
«Oltre a ciò non è punto necessario supporre riu­nito in una sola massa ardente tutto il fuoco che tor­menta le anime; non v'è nessuna necessità di sostenere che il fuoco che purifica l'anima di Pietro abbia a trovarsi nel luogo stesso e insieme a quello che pu­ rifica l'anima di Paolo. Questo fuoco si apprende al­l'anima e la chiude fra le sue vampe; l'anima col suo senso misterioso è avviluppata dentro questo ardore; ma perché non potrebbe ella allo stesso tempo che vi è imprigionata raggiare al di fuori, e vedere intorno - a sè? Quel fuoco d'altronde non è assegnato, come pare, ad un luogo fisso. Aderente all'anima, la segue in ogni moto, l'invade tutta del suo misterioso ardore e con lei si trasferisce, a guisa di fornace accesa nel cuore, che il suo ardore diffonde in tutto l'organismo, circola nelle vene e nelle arterie, irraggia nei nervi e nei muscoli, in qualunque luogo divora la sua preda.
«Se così è, il Purgatorio parrebbe piuttosto uno stato che un luogo; e lo stato delle anime giuste ma non del tutto purificate, sarà simile alla condizione dolorosa dei figli che hanno offeso il padre e son privi per qualche tempo di vederne l'aspetto; al supplizio di cuori amanti, straziati dal rimorso delle offese che rammentano fatte al padre amato. Nello stesso modo sarà il castigo del fuoco. L'anima trascinerà seco il suo supplizio, come l'augellino ferito dal piombo mi­cidiale, porta seco infissa nel fianco la morte e corre l'aria con volo doloroso. Essa non avrà perduto perciò ogni contatto con questo mondo, come non l'ha per­duto col cielo ».
Ciò premesso, dato che, come si è accennato sopra, siamo in un campo assai libero, veniamo alle rivela­zioni dei Santi.

Santa Francesca Romana ci fa sapere che il Pur­gatorio, non è che uno scompartimento dell'Inferno, che secondo la Santa sarebbe diviso in quattro parti, la prima delle quali costituisce il vero e proprio in­ferno dei dannati, che trovasi al centro, mentre le altre parti costituirebbero il Purgatorio, il Limbo dei santi Padri, e il limbo dei fanciulli morti senza battesimo. La descrizione di Santa Francesca Romana è confor­me alla opinione di S. Tommaso, secondo il quale il fuoco del Purgatorio è tutto simile a quello dell'In­ferno.
Tuttavia non è escluso che la giustizia divina per­metta talvolta che le anime soddisfino alla pena dei loro falli nei luoghi stessi dove peccarono o vissero, o si rivelino comunque in determinati luoghi. Non mancano antiche rivelazioni narrate da S. Gregorio Magno (libr. 4 Dial. cap. 40 e 55) e da S. Pier Da­miani negli scritti intorno ai miracoli del suo tempo. Noi riferiremo quanto riporta Mons. Alfredo Vitali, nel suo volumetto Il Mese di Novembre a propo­sito di un'apparizione di questo genere.
«Era una fredda sera di Novembre del 1894 e il sacerdote D. Fabiano Battaglini in sulle due ore di notte; dopo le funzioni di chiesa, faceva ritorno alla sua abitazione sul colle Palatina.
Da più anni egli si occupava dell'Oratorio Notturno nella chiesa di S. Lorenzo in Fonte sulla via Urbana, ove nel Novembre si celebrava il devoto esercizio del Mese dei Defunti.
« Per fare ritorno alla sua casa il buon sacerdote doveva percorrere la via del Colosseo e poi volgere a destra e percorrere la breve stradicciola che mette sul­l'area del Tempio di Venere e Roma, alle spalle della Chiesa di S. Maria Nuova o S. Francesca Romana. In quell'epoca, al termine della stradicciola, per entra­re nell'area del tempio, si doveva attraversare uno stretto passaggio tra due bassi muriccioli, uno dei quali, quello di destra, si prolungava a fianco di un sentiero sassoso che, dolcemente salendo, portava ad un orto, che ancora esiste, di prospetto al Monastero di S. Maria Nuova. Costeggiava questo muricciolo una fila di colonne spezzate ed abbattute, quelle che ora formano riparo lungo il ciglio della platea del tempio, di prospetto al Colosseo ed alla via Sacra. Un custode notturno doveva vigilare, girando, quella zo­na solitaria e pericolosa; quindi non era infrequente caso che D. Fabiano trovasse seduto sopra uno dei due muriccioli l'uomo, cui toccava il turno di servizio.
« Il buon sacerdote, conosciuto da tutto il personale addetto agli scavi del Palatino, soleva talora intratte­nersi per breve tempo con il custode, scambiare con lui una parola ed offrirgli una presa di tabacco.­
- Buona sera, D. Fabià - era il consueto saluto d'ogni incontro.
- Buona sera - la risposta di quella buona pasta d'uomo, semplice e gioviale.
« Era dunque una sera di Novembre del 1894 e Don. Fabiano se ne tornava in casa questa volta in compa­gnia di un suo conoscente, un buon vecchio, impie­gato dell'Ufficio Scavi. Giunti entrambi al passaggio tra i due muriccioli, trovarono il custode, che col suo bastone, seduto, passava le sue ore di guardia. Lo sa­lutarono e, scambiando qualche parola, si allontana­rono alquanto, poi si fermarono, perchè lo sguardo di tutti fu richiamato da una figura bianco vestita, che con passo lento, il capo chino e i capelli disciolti lun­go le spalle, discendeva dal sentiero che costeggiava l'orto, di cui si è fatto cenno.
« Tutti silenziosi osservavano con attenzione, com­presi da una certa meraviglia, la strana figura. Sem­brava una donna, ma la fioca cuce del lontano fanale non ne lasciava discernere i lineamenti. Essa passò poco discosta dai tre, silenziosa, e s'incamminò len-tamente, come fosse stanca, alla volta delle colonne, distese lungo il muricciolo; e quando fu presso la se­conda, a breve distanza dai suoi osservatori, alzò in alto le braccia, accompagnandole con un moto del capo all'indietro e gridando con accento lungo, dolo­roso, straziante: « quanto soffro! » si abbandonò pe­santemente sulla colonna.
« A quel grido accorsero i tre, e: « Buona donna » dissero tosto, « che cosa avete ? »... Ma quale fu la loro sorpresa nel non vedere più alcuno!...
« La visione era sparita... Il custode allora disse che altre volte aveva veduto aggirarsi quei fantasma per quei luoghi, senza porvi mente e senza essere richia­mato all'attenzione da cenno o dà parola alcuna.
« In tutti rimase la persuasione trattarsi di una ap­parizione di anima del Purgatorio, e perciò, tanto il sacerdote che i due secolari si affrettarono a suffra­garla con Messe ed altre opere espiatorie.
« Questo fu narrato allo scrivente dal medesimo sa­cerdote, D. Fabiano Battaglini » (Op. cit., pag. 5 1 segg.).




Alcune volte, specialmente per quelli che muoiono di morte violenta, sembra che compiasi l'espiazione nel luogo stesso ove furono uccisi. Le leggende di tutti i grandi campi di battaglia e di tutti i luoghi nei quali il delitto ha fatto scorrere sangue umano, ci par­lano di pianti e di grida ascoltate durante la notte ed imploranti preghiere e suffragi.
Per quanto vogliasi gridare alla superstizione, non mi par possibile escludere tutti i fatti di questo genere, che si trovano raccontati nelle storie, tanto più che buon numero di essi son riferiti da autori seri ed imparziali. Tritemio, nella sua Cronaca (anno 1058), racconta il fatto di numerosi soldati che comparivano ad aldini religiosi sul campo di battaglia dove erano periti, per implorare suffragi; e in un'opera più re­cente, La vita del P. Giuseppe Anchieta, sopranno­minato, per il suo zelo, l'Apostolo del Brasile, si parla d'infelici assassinati che comparivano sulla sponda del lago nel quale erano stati gettati i loro cadaveri, per ottenere suffragi da un santo religioso dimorante in quei dintorni.
Altre volte infine la giustizia divina assegna a certe anime un luogo speciale di espiazione, senza che vi sia altra ragione tranne quella della volontà di Dio, la quale così permette per ammaestramento dei vivi o per procurare ai defunti quei suffragi dei quali hanno più bisogno. Per questo motivo, secondo la testimo­nianza di S. Gregorio Magno, il diacono Pascasio avrebbe fatto il suo purgatorio nei bagni di Capua, dove fu visto dal santo Vescovo Germano occupato a compiere gli uffici più vili finchè non fosse finito il tempo della sua espiazione. (Dialoghi, libro IV, cap. 40).
Con San Tommaso concluderemo dunque che in quanto al luogo del Purgatorio nulla è espressamente determinato nella Scrittura, ma che nondimeno è pro­babile e conforme al sentimento dei Santi ed a molte rivelazioni, che questo luogo sia duplice; il primo vi­cinissimo all'Inferno, di modo che il fuoco che in questo tormenta i dannati, in quello purifica i giusti; il secondo esistente quasi in forza di una specie di eccezione o dispensa, ed è per questo che noi leggiamo essere state punite delle anime in differenti luoghi, sia per ammonimento dei vivi, sia per sollievo dei morti, ai quali così riesce più facile implorare i nostri suf­fragi e veder diminuite le loro pene (III parte in suppl. De Purgatorio, art. 2).


CAPITOLO III
LE PENE DEI, PURGATORIO E IL LORO RIGORE

Pena del danno e pena del senso
Dopo, la divina sentenza, supposto che l'anima sia condannata al Purgatorio, il desiderio di purificazione invade l'anima stessa, che nella pena che le è riservata vede la via che la condurrà più presto in Paradiso. S. Caterina da Genova, nel suo meraviglioso Trattato del Purgatorio, dice che l'anima corre a precipitarsi in Purgatorio, tanto è grande l'orrore che concepisce dei suoi falli dinanzi alla purezza e alla santità di Dio e tanto è impaziente di purificarsi dalle sue sozzure. Ecco le parole della Santa: «Siccome lo spirito mondo e purificato non trova luogo, eccetto Dio, per suo riposo, essendo stato creato a questo fine; così l'anima in peccato, altro luogo non trova adatto, salvo l'Inferno, avendole ordinato Iddio quel luogo per fine suo: perciò in quell'istante in cui lo spirito e separato dal corpo, l'anima corre verso l'ordinato suo luogo, senz'altra guida che la natura del peccato, quando l'anima parte dal corpo in peccato mortale. E se l'anima non trovasse in quel punto quell'ordinazione (procedente dalla giustizia di Dio) rimarrebbe in un maggiore inferno; perciò non tro­vando luogo conveniente, nè di meno male per lei, per l'ordinazione di Dio vi si getta dentro, come nel suo proprio luogo.
« Così a proposito del Purgatorio, l'anima separata dal corpo, non trovandosi in quella purezza nella qua­le fu creata, e vedendo in sè l'impedimento che non le può essere levato se non per mezzo del Purgatorio, presto vi si getta dentro, e volentieri e se non trovas­se questa ordinazione, atta a levarle quell'impaccio, in quell'istante in lei si genererebbe un vero inferno, vedendo di non potere accostarsi (per l'impedimento) al suo fine, che è Dio, il quale le è tanto a cuore, che in comparazione al Purgatorio è da stimarsi nulla, benchè, come si è detto, sia simile all'Inferno (cap- 7)».
Le rivelazioni dei Santi confermano quanto dice S. Caterina da Genova. Leggiamo in S. Geltrude come una religiosa del suo monastero, nota per le sue austere virtù, essendo morta ancor giovane con senti­menti di edificante pietà, si manifestasse alla Santa, mentre questa stava pregando per lei. La defunta fu vista innanzi al trono dell'Altissimo circondata da una brillante aureola e ricoperta di ricche vesti tuttavia sembrava triste in volto e pensierosa, e teneva gli oc­chi bassi quasi si vergognasse di comparire innanzi a Dio. Sorpresa Geltrude, domandò al divino Sposo delle vergini la causa di quella tristezza e di quel ti­more, e lo pregò di invitare quella sua sposa presso a lui. Allora Gesù, fatto cerino a quella buona religiosa di avvicinarsi, le sorrideva con amore; ma ella sempre più turbata ed esitante, dopo aver fatto un grande inchino alla Maestà di Dio, si allontanò. San­ta Geltrude, più che mai stupita, rivolgendosi diretta­mente a quell"anima, le disse: - Figlia mia, perché egiti e ti allontani, mentre il Salvatore t'invita? Hai sempre desiderato questa suprema felicità durante la vita terrena, ed ora che sei chiamata a goderne, te ne rimani così fredda e impassibile? Non vedi forse che il buon Gesù ti aspetta? - Ma quell'anima rispose - Ah! madre mia, io non sono ancora degna di com­parire innanzi all'Agnello immacolato, poiché mi re­stano ancora alcune macchie da purificare. Per potersi avvicinare al Sole di Giustizia bisogna essere più puri della luce stessa ed io non ho ancora questa perfetta purezza che egli brama di contemplare nei suoi Santi. Anche se le porte del cielo fossero spalancate dinanzi a me e da me sola dipendesse il varcarle, non oserei giammai di farlo prima di essere intieramente purifi­cata dalle più piccole colpe; mi sembrerebbe che il coro delle Vergini, che seguono di continuo l'Agnello divino, mi dovesse scacciare lontano da lui per non esserne degna. - Ma come può esser ciò che mi dici, rispose la Santa, se io ti vedo, o mia figlia, circon­data di luce e di gloria? - Quanto voi vedete, rispose quella, non è che la frangia delle vesti sublimi del­l'immortalità. Ben altra cosa è il vedere Iddio, il vi­vere in lui e possederlo per sempre! Per conseguire però questa grazia è necessario che l'anima non abbia in sè la più piccola macchia. di colpa.­
Così, dopo il giudizio, si inizia la purificazione, hanno inizio le pene. E quali pene! Vicino alla bara di un nostro caro, che le sofferenze hanno consumato, ci confortiamo ordinariamente dicendo: - Almeno ha finito di patire!... - Oh! finissero veramente, col fi­nire della vita presente, le nostre pene! Il corpo cessa di soffrire, ma le sofferenze dell'anima possono conti­nuare, possono accrescersi, e continuano e crescono generalmente.
Inifatti secondo quello che insegnano i Dottori, i patimenti del Purgatorio non solo son riservati a quasi tutte le creature umane, ma per la loro intensità nep­pure sono da paragonarsi ai patimenti della vita pre­sente. Secondo S. Tommaso, il quale del resto non fa che riferire l'unanime insegnamento dei Padri, le pene del Purgatorio in nulla differiscono dalle pene dell'In­ferno, eccetto che nella durata. Altrettanto asseriscono i mistici. Ecco quel che leggiamo in S. Caterina da Genova
«Le anime purganti provano un tal tormento, che lingua umana non può riferire, nè alcuna intelligenza darne la più piccola nozione, a meno che Iddio non lo facesse conoscere per grazia speciale (Tratt. del Purg., cap. 2).
V'è nel Purgatorio, come nell'Inferno, doppia pe­na, quella del danno, che consiste nella privazione di Dio, e quella del senso. La pena del danno è senza paragone più grande, ed è tanto più intensa in quan­tochè quelle anime vivendo nell'amicizia di Dio; sen­tono più forte il bisogno di unirsi a lui » (Id.).
La Chiesa non si è mai pronunziata sulla natura della pena del senso. Nel Concilio di Firenze fu lungamente dibattuta anche questa questione fra i Greci e i Latini, ma per non porre ostacolo alla desiderata unione delle due Chiese, nulla venne deciso. Però sic­come tutti i teologi insegnano che questa pena è quella del fuoco, come pei dannati, sarebbe temerità allontanarsi da tale opinione. Secondo S. Gregorio Magno, S. Agostino e S. Tommaso, questo fuoco è sostan­zialmente uguale a quello dell'Inferno: la differenza consiste solo nella durata.
Agli insegnamenti dei Padri e dei Teologi, fanno eco gli insegnamenti dei Mistici e le rivelazioni dei Santi. Nella storia del Padre Stanislao Choscoa, do­menicano, leggiamo il fatto seguente (Brovius, Hist.Hist, de, Pologne, année 1590).
Un giorno, mentre questo santo religioso pregava per i defunti, vide un'anima tutta divorata dalle fiamme, alla quale avendo egli domandato se quel fuoco fosse più penetrante di quello della terra: - Ahimè!, rispose gridando la misera, tutto il fuoco della terra paragonato a quello del Purgatorio è come un soffio d'aria freschissima. -. E come ciò è possibile? sog­giunse il religioso. Bramerei farne la prova a condi­zione che ciò giovasse a farmi scontare una parte delle pene che dovrò un giorno soffrire in Purgatorio. - Nessun mortale, replicò allora quell'anima, potrebbe sopportare la minima parte di quel fuoco senza mo­rirne all'istante tuttavia se tu, vuoi convincertene, stendi la mano: - Il padre, senza sgomentarsi, porse la mano, sulla quale il defunto avendo fatto cadere una goccia del suo sudore, o almeno di un liquido che sembrava tale, ecco all'improvviso il religioso emettere grida acutissime e cadere in terra tramortito, tanto era grande lo spasimo che provava. Accorsero i suoi confratelli, i quali prodigarono al poveretto tutte le cure, finchè non ottennero che ritornasse in sè. Allora egli pieno di terrore raccontò lo spaven­toso avvenimento, di cui egli era stato testimone e vit­tima, conchiudendo il suo discorso con queste parole – Ah! fratelli miei, se ognuno di noi conoscesse il rigore dei divini castighi, non peccherebbe giammai facciamo penitenza in questa vita, per non doverla poi fare nell'altra, perché terribili sono quelle pene; com­battiamo i nostri difetti, e correggiamoli, e special­mente guardiamoci dai piccoli falli, poichè il Giudice divino ne tiene stretto conto. La maestà divina è tanto santa che non può soffrire nei suoi eletti la minima macchia. - Dopo di che si pose in letto, ove visse per lo spazio di un anno in mezzo ad incredibili sof­ferenze prodottegli dall'ardore della piaga che gli si era formata sulla mano. Prima di spirare esortò nuo­vamente i suoi confratelli a ricordarsi dei rigori della divina giustizia, e quindi morì nel bacio del Signore. Lo storico soggiunge che questo esempio terribile ria­nimò il fervore in tutti i monasteri, e che i religiosi si eccitavano a vicenda nel servizio di Dio, affine d'essere salvi da così atroci supplizi.
Un fatto quasi uguale avvenne alla beata Caterina da Racconigi (Diario Domenicano, Vita della Beata, 4 Sett.).
Una sera, mentre ella assalita dalla febbre stava co­ricata in letto si mise a pensare agli ardori del Pur­gatorio, e secondo la sua abitudine, rapita di lì a poco in estasi, fu condotta da nostro Signore in quel luogo di pena.
Mentre osservava con terrore quegli ardenti bracieri e quelle fiamme divoratrici, in mezzo alle quali son trattenute le anime che hanno ancora da espiare qual­che fallo, udì una voce che le disse: - Caterina, af­finchè tu con maggior fervore possa procurare la libe­razione di queste anime, sperimenterai per un istante nel tuo corpo le loro sofferenze. - In questo mentre una favilla di quel fuoco andò a colpirla nella guan­cia sinistra: le consorelle che si trovavano vicino a lei per curarla videro benissimo questo fatto, e nel tempo stesso osservarono con orrore che il viso di lei si gon­fiò in maniera spaventosa, mantenendosi poi per più giorni in quello stato. La Beata raccontava alle sue sorelle che tutti i patimenti da lei sofferti fino a quel momento (ed erano stati molti), erano nulla a para­gone di quello che le faceva soffrire quella scintilla. Fino a quel giorno erasi sempre occupata in modo tutto speciale di sollevare le anime purganti, ma d'al­lora in poi raddoppiò il fervore e l'austerità per acce­lerare la loro liberazione, poichè sapeva omai per espe­rienza il gran bisogno che quelle hanno d'essere sot­tratte ai loro supplizi.
Racconteremo ora quanto accadde a Sancio virtuo­sissimo re di Spagna, com'è riferito da Giovanni Va­squez. (Cronica, an. 940)
Questo principe, fervente cristiano, morì avvelenato da uno de' suoi vassalli. Dopo la sua morte la con­sorte Guda non cessava di pregare e di far pregare pel riposo di quell'anima: fece celebrare un numero immenso di Messe, e per non separarsi da quelle care spoglie, prese il velo nel monastero di Castiglia, dove era stato sepolto il corpo del consorte. Indi a qualche tempo mentre un sabato ella stava pregando con gran fervore la SS. Vergine per la liberazione del defunto, le apparve costui, ma oh Dio! in qual misero stato! Era vestito in gramaglia, e per cintura portava doppio giro di catene arroventate, e rivolgendosì a Guda, le dìsse: - Ti ringrazio delle preghiere che fai per me e delle Messe che facesti celebrare in mio suffragio, ma prosegui, te ne prego, in quest'opera caritatevole. Se tu sapessi quanto io soffro faresti certamente assai di più, e il tuo zelo nel sollevare me, che tanto amasti sulla terra e che non hai cessato di amare, aumente­rebbe d'assai. Per le viscere della divina misericordia soccorrimi, o Guda, soccorrimi, poichè queste fiamme mi divorano! - La pia Regina incominciò allora a raddoppiare preghiere, digiuni e buone opere affin di sollevare quell'anima si duramente martoriata. Per quaranta giorni non cessò di piangere a calde lacrime per ispegnere le fiamme che divoravano il suo povero marito; fece dispensare larghe elemosine ai poveri a nome del defunto, fece celebrare un gran numero di Messe, e a tal fine donò al monastero splendidi arredi. Passati i quaranta giorni le apparve nuovamente il Re, ma libero dalle catene di fuoco, e invece di gra­maglia, ricoperto di un manto candidassimo, nel quale Guda riconobbe con sorpresa quello da lei donato alla chiesa del monastero, e che scomparso all'improvviso - dalla sacristia, si credette involato dai ladri. - Ecco, le disse il Re; grazie a te, io son libero e non ho più nulla a soffrire; sii benedetta per sempre! Persevera nei tuoi pii esercizi, e medita spesso sul rigore delle pene dell'altra vita e sulle gioie del Paradiso, dove io vado ad aspettarti. - A tali detti la Regina, piena di gioia, volle tendere le braccia verso il defunto con­sorte, ma questo disparve lasciando in mano di lei il mantello, che ella rese alla chiesa cui lo aveva donato la prima volta.
Assai interessante il fatto seguente, che leggiamo nella vita di S. Nicola da Tolentino. Un sabato, di notte, mentre il Santo dormiva, vide in sogno una povera anima del Purgatorio, che lo supplicò di ce­lebrare nella mattina seguente il divin Sacrificio per lei e per molte altre anime che soffrivano in Purgato­rio. Il Santo, avendo riconosciuto la voce di chi gli parlava, senza potersi tuttavia ricordare a quale per­sona a lui nota appartenesse, domandò allo spirito chi - fosse. - Io sono il tuo defunto amico Fra Pellegrino da Osimo, che purtroppo sarei andato dannato senza il soccorso della divina misericordia; mi trovo in luogo di pena; ho bisogno del tuo aiuto, ed anche a nome di molte altre anime infelici vengo a supplicarti di voler celebrare per noi domani la santa Messa, dalla quale attendiamo la liberazione, o almeno un gran sol­lievo dalle nostre pene. - Voglia il Signore appli­carti i meriti del suo Sangue prezioso, rispose il San­to, ma in quanto a me, non posso soccorrerti domani col suffragio che mi domandi, perchè essendo offician­te di settimana, siccome domani è giorno di festa, non potrei celebrare all'altare del coro la Messa dei defun ti. – Deh! vieni, vieni almeno con me, gridò allora il defunto con lacrime e sìnghiozzi, te ne scongiuro per amor di Dio, vieni a contemplare le nostre soffe­renze, e non sarai più sì crudele da negarmi il favore che ti domando: so che il tuo cuore è troppo buono perchè tu possa più oltre lasciarci in tante pene. ­Parve allora al Santo di essere trasportato in Purga­torio, dove vide una vasta pianura, nella quale una moltitudine di anime di tutte le età e condizioni erano tormentate con vari ed atroci supplizi. E qui biso­gnerebbe la penna dell'immortale Alighieri, del can­tore sublime dell'Inferno e del Purgatorio per riferire i tormenti indicibili da cui vide il Santo afflitte quelle povere anime, e forse l'immaginazione stessa di Dante impallidirebbe dinanzi a tanto spettacolo di dolore. Non ci proveremo quindi a farlo, ma diremo solo che quegli spiriti penanti imploravano in coro coi gesti e colla voce gemente l'aiuto di san Nicola, al quale Fra Pellegrino disse: - Ecco, come vedi, la situazione di quelli ché mi hanno a te inviato: essendo tu caro al Signore, confidiamo che nulla rifiuterà egli all'obla­zione del santo Sacrificio compiuta dalle tue mani, e siamo sicuri che la divina misericordia ci libererà. - Sparita in tal modo l'apparizione, il Santo non potè frenare le lacrime alla considerazione di sì straziante spettacolo, e postosi in preghiera per tutto il resto della notte, appena albeggiato corse a trovare il priore per raccontargli l'accaduto. Questi, penetrato dalla descrizione di quelle pene, lo dispensò non solo per quel giorno, ma per l'intera settimana dall'ufficio di ebdomadario, onde potesse durante quel tempo offrire il divin Sacrificio a sollievo di quelle povere anime. Il Santo in quel giorno e per tutta la settimana celebrò la Messa con straordinario fervore, dedicandosi inol­tre giorno e notte alla pratica delle virtù e delle peni­tenze più austere, prolungando le sue veglie e le sue orazioni, digiunando a pane ed acqua, martoriando il suo corpo con discipline e portando una catena di fer­ro strettamente serrata ai fianchi. Al termine di quei sette giorni, il Santo ebbe la consolazione di vedersi nuovamente comparire Fra Pellegrino, non più in mezzo a quelle orribili torture, ma ricoperto di una veste candidissima e circondato di splendori celesti, in mezzo ai quali gioivano molte altre anime bene­dette, che tutte salutarono il Santo, chiamandolo loro liberatore, e cantando mentre salivano al cielo: Sal­vasti nos de af fligentibus nos, et odientes nos confu­disti! (Ps. 43, 7)
Un altro fatto assai impressionante si legge nelle cronache domenicane a proposito del fuoco del Pur­gatorio (v. Ferdinando di Castiglia, Storia di S. Do­menico, 2a parte, libro I, cap. a3).
A Zamora, città del regno di Leon in Spagna, vi­veva in un convento di Domenicani un buon religio­so, legato in santa amicizia ad un Francescano, uomo anch'egli di esimia virtù. Un giorno in cui i due frati s'intrattenevano fra loro di cose spirituali, si promi­sero scambievolmente che il primo che fosse morto sarebbe apparso all'altro, se cosa Dio fosse piaciuto, per informarlo della sarte toccatagli nell'altro mondo. Morì per primo il Francescano, e, fedele alla sua pro­messa, apparve un giorno al religioso Domenicano mentre stava preparando il refettorio, e - dopo averlo salutato con straordinaria benevolenza, gli disse di essere bensì salvo, ma che gli rimaneva ancora molto da soffrire per una infinità di piccoli falli, dei quali non si era emendato durante la vita. Poi soggiunse: - Niente v'è sulla terra che possa dare un'idea delle mie pene. - E perchè l'amico ne avesse una prova, il defunto stese la destra sulla tavola del refettorio, dove l'impronta rimase così profonda, quasi vi aves­sero applicato sopra un ferro rovente. Quella tavola si conservò a Zamora fino al termine del ‘700, epoca nel­la quale le rivoluzioni politiche la fecero sparire in­sieme con tanti altri ricordi di pietà dei quali abbon­dava l'Europa.

«Usque ad novissimum quadrantem!»
Ma forse, dirà qualcuno, supplizi così atroci saranno riservati ai grandi peccatori o a coloro che avendo accumulato quaggiù in terra colpe su colpe, si convertono solo in punto di morte senza far penitenza dei loro falli. Purtroppo non è così: i fatti sopra narrati e quelli che stiamo per raccontare dimostrano proprio il contrario, che saranno cioè puniti anche i falli leg­geri, anche le mancanze che crediamo trascurabili e nelle quali cadiamo tanto spesso e tanto volentieri, il­ludendoci di non doverne pagare poi pena alcuna nell'altra vita.
Si legge nella vita della ven. Agnese di Gesù, reli­giosa domenicana, che per più di un anno sottopose il suo corpo ad asprissime penitenze, ed innalzò a Dio molte e ferventi preghiere pel defunto padre del suo confessore. Quest'anima le appariva sovente implo­rando i suffragi di lei, e un giorno avendole toccata una spalla con la mano, ebbe a soffrirci per più di sei ore gli ardori intollerabili del Purgatorio: finalmente il defunto fu liberato dopo tredici mesi da quelle tor­ture. Sopra di che gli autori delle memorie sulla vita della madre Agnese fanno osservare il rigore dei di­vini giudizi; poichè il defunto avea santamente vis­suto nel secolo, era un confessore della fede, essendo stato perseguitato dai protestanti di Nimes, i quali si erano impadroniti de' suoi beni, l'aveano gettato in prigione e vessata con ogni sorta di angherie; prima di morire aveva sopportato con pazienza esemplare una lunga e dolorosa malattia; eppure nonostante tanti meriti acquistati, nonostante i digiuni, le pre­ghiere, le discipline della caritatevole Agnese, nono­stante le numerose Messe celebrate dal figlio suo, ei restò più di un anno in mezzo a quelle torture spa­ventose.
Ma udite un esempio ancor più meraviglioso. Allorchè questa stessa madre Agnese era priora del suo monastero, una delle religiose per nome suor Ange­lica, venuta a morte, il dì seguente, a quello in cui era spirata il confessore della comunità ordinò alla superiora che si recasse a pregare sulla tomba di lei. Vi andò ella infatti, e trovandosi là inginocchiata tutta sola e nel cupo della notte, fu assalita da un su­bitaneo timore, insinuatole forse dal demonio, che voleva distorla da quel caritatevole officio. Abituata però com'era alle sue astuzie, si tenne salda ed offrì a Dio quello spavento in espiazione per la defunta, rappresentandogli come non fosse curiosità ma obbe­dienza che la induceva ad interessarsi dello stato di quell'anima, e poichè era a lui piaciuto di farla cu­stode in vita di quella povera pecorella, fosse naturale ch'ella trepidasse per lei dopo la morte. Ed ecco ve­nirle innanzi la morta in abito da religiosa, emettendo dal capo come una fiamma ardente, il cui calore bru­ciava quasi il viso della priora, alla quale suor Ange­lica con grande umiltà domandò perdono dei dispia­ceri causatile durante la vita, ringraziandola dell'af­fettuosa assistenza che le avea prodigata nell'ultima malattia. La madre Agnese, da parte sua, tutta con­fusa, domandava perdono alla suora, pretendendo nel­la sua umiltà di non averle prestato tutte quelle cure, alle quali sarebbe stata tenuta nella sua carica di su­periora. Ma suor Angelica seguitava a ringraziarla e ad attestarle la sua riconoscenza, perchè in vita le aveva spesso inculcate quelle parole del Vangelo: «Maledetto colui che compie con negligenza l'opera di Dio». La spronava in pari tempo ad eccitare le suore a servir Dio con sollecitudine e ad amarlo con tutto il cuore, e soggiunse: - Se si potesse arrivare a comprendere quanto son grandi i tormenti del Pur­gatorio, si starebbe sempre all'erta per cercare di evi­tarli. -­
Tutti sanno quanto grande fosse il fervore delle prime compagne di S. Teresa, di quelle anime elette, che ella si era associate per la riforma del Carmelo. Eppure malgrado la loro santità e le loro eroiche pe­nitenze, quasi tutte dovettero provare le pene del Purgatorio. Ecco quanto racconta a tal proposito la Santa stessa (Vita S. Teresa, scritta da lei stessa, cap. 30).« Una religiosa di questo monastero, gran serva di Dio, essendo morta appena da due giorni e recitan­dosi per lei in coro l'Ufficio dei defunti, mentre una suora leggeva una lezione ed io ero in piedi per dire il versetto, alla metà della lezione vidi l'anima della suddetta uscire dal fondo della terra e salire al cielo. « Nello stesso monastero moriva, in età di diciotto o venti anni circa, un'altra religiosa vero modello di fervore e di virtù, la cui vita era stata una serie non interrotta di patimenti e di dolori sofferti con ammirabile pazienza. Io non dubitavo che sarebbe libera dalle fiamme del Purgatorio; eppure, mentre circa quattro ore dopo la sua morte recitavo l'Ufficio, vidi parimenti la sua anima uscir dalla terra e salire al cielo ».
Dalla vita della beata Stefanina Quinzana togliamo un esempio, che avvalora quanto stiamo asserendo. Una religiosa domenicana, chiamata Suor Paola, era morta a Mantova dopo una lunga vita menata nell'e­sercizio delle più eroiche virtù. Il cadavere di lei, portato in chiesa, era stato posto in mezzo al coro, e mentre, secondo il rito ecclesiastico, ne veniva fatta l'assoluzione, la beata Stefanina Quinzana, che era legata da stretta amicizia alla defunta, inginocchia­tasi presso la bara, si pose a raccomandare a Dio con tutto il fervore dell'anima la compianta amica. Quan­d'ecco questa all'improvviso lasciar cadere il croci­fisso che teneva fra le mani, tendere la sinistra, ed afferrando con questa la mano destra della beata, stringerla con tanta forza, da non poterla più svinco­lare. Per più di un'ora quelle due mani restarono così serrate, durante il qual tempo Suor Stefanina sentiva in fondo al suo cuore una voce inarticolata, che dice­va: - Soccorretemi, sorella mia, soccorretemi negli spaventosi supplizi che mi tormentano. Oh! se sape­ste la rabbia dei nostri nemici invisibili nell'ora della morte, e la severità del Giudice che esige il nostro amore, che esamina le nostre più indifferenti opera­zioni, e l'espiazione da farsi prima di giungere alla ricampensa! Se sapeste come bisogna esser puri per ottenere la corona immortale! Pregate molto per me, sorella mia; ponetevi mediatrice fra la giustizia di Dio e i falli di me meschina; pregate, pregate e fate pe­nitenza per me che non posso più aiutarmi. - Tutta la comunità rimase stupita a quel fatto, quantunque nessuno intendesse i lamenti della defunta; finalmente intervenne il superiore che in virtù di santa obbedien­za comandò a suor Paola di lasciare Stefanina. Ub­bidì subito la defunta, e la sua mano ripiombò inani­mata sul feretro. - La storia della Beata riferisce che ella fu fedele alla preghiera dell'amica, e si diè ad ogni sorta di penitenze e di opere soddisfattorie, fin­chè una nuova rivelazione le fece conoscere che suor Paola era stata finalmente liberata da quei tormenti ed ammessa alla gloria eterna.
Vorremmo che le anime pie restassero colpite da questi esempi e ne approfittassero per emendarsi, con­siderando che quelle piccole imperfezioni, quei difetti di ogni giorno, di cui si accusano sì spesso al santo tribunale della penitenza, senz'averne però quasi mai una sufficiente contrizione, trovano nell'altra vita una rigorosa espiazione. Il fatto seguente valga ad affer­mare quanto andiamo dicendo.
Cornelia Lampognana fu una santa matrona che visse a Milano, ad imitazione di Santa Francesca Ro­mana, nella professione perfetta dei tre stati di ver­gine, di sposa e di vedova. Essendo strettamente in santa amicizia con una religiosa del terz'Ordine di san Domenico, un giorno in cui s'intrattenevano delle co­se dell'altra vita, si promisero scambievolmente che se così fosse piaciuto a Dio, la prima di loro che morisse, apparirebbe all'altra. Dopo cinque anni Cornelia pas­sò da questa vita, e in capo a tre giorni si presentò alla sua compagna, mentre era in cella inginocchiata ai piedi del crocifisso. Stupita a tal vista, la religiosa esclamò: - O Cornelia, Cornelia mia, come sono fe­lice di rivederti! Dove ti trovi tu dunque? Certo sarai già nel seno di Dio, che servisti in questa vita con tanto zelo ed amore! – Ahimè! Ancora no, rispose l'altra. Vedi come sono diversi i giudizi di Dio da quelli degli uomini! Io sono in luogo di pena e vi dovrò restare ancora per qualche tempo in espiazione dei falli della mia vita, che avrebbe potuto essere più fedele e più fervente. - Prendendo poi per mano la sua amica, soggiunse: - Vieni con me, e ti farò ve­dere cose meravigliose. - E postosi in cammino, ar­rivarono in un vasto campo tutto ripieno di bellissime viti, sulle cui foglie erano impressi dei caratteri. - Leggi - disse Cornelia alÍ'amica. Si chinò allora la suora e con grandissima sorpresa avendo letto su quel­le foglie i propri difetti ed imperfezioni quotidiane, domandò attonita che cosa volesse ciò significare. Nulla di strano, sorella mia - rispose la defunta non hai forse letto spesse volte quelle parole pronun­ziate da nostro Signore nell'ultima cena: «Io sono la vite e voi i tralci»? Ogni nostra azione buona o cat­tiva è una foglia di questa mistica vigna; per entrare ­in cielo è necessario che le foglie del male siano di­strutte e consumate dal fuoco: ma, consolati, sorella mia, poichè guardando ben da vicino, vedrai che poco ti resta a distruggere, avendo tu fedelmente perseve­rato nelle tue promesse verginali, e servito con zelo il tuo buon maestro. Sono è vero ancor numerose le tue mancanze, ma non tanto quanto le mie che percorsi sulla terra stati sì differenti e te ne voglio far con­vinta. - E avanzandosi di pochi passi si trovarono di nuovo in una località ripiena di viti serpeggianti e intrecciantesi da tutte le parti, in maniera che le fo­glie ricoprivano il suolo; ed appressandosi ansiosa­mente la suora per vedere che cosa fosse scritto su queste: - Fermati, le disse l'amica: il mio divin Salvatore non permette che tu conosca fin d'ora le offese che io gli feci, e vuol risparmiarmi tanta vergogna. Leggi soltanto quel che troverai scritto sulle foglie che vedi vicine a te. - Allora ella posando lo sguardo su quelle che le erano più dappresso, vide registrate tutte le mancanze commesse dalla defunta nel luogo santo, le irriverenze, le distrazioni, i discorsi inutili fatti in chiesa. - O mio Gesù, gridò allora la religiosa, che s'avrà da fare per rimediare a tanti falli? Come mai dopo le tue confessioni e comunioni sì frequenti, dopo le indulgenze da te guadagnate ti resta ancor tanto da espiare? - Giusto è quanto dici, o sorella, ma sappi che per la mia tiepidezza e per l'abitudine presavi, io non trassi tutto quel frutto che avrei dovuto dalle mie comunioni e confessioni, e quanto alle indulgenze avendone guadagnate pochissime, tre o quattro al più, a motivo delle mie abituali distrazioni e della man­canza di fervore, bisogna che faccia ora quella peni­tenza che non feci quando pur mi sarebbe riuscito si facile. -
Ragionerebbe quindi da insensato colui che dicesse di non pregare per un defunto, perchè visse e morì da santo. Quante anime deploreranno amaramente in Purgatorio questi giudizi troppo favorevoli sulla loro sorte di oltretomba. Noi abbiamo visto che S. Ago­stino aveva tutt'altra idea del rigore dei divini giudi­zi, dal momento che dopo venti anni pregava tutti i giorni e scongiurava i suoi lettori pel riposo dell'ani­ma della sua santa madre Monica. A proposito dell'eccessiva facilità di giudicar santi alcuni defunti, ri­portiamo un esempio tratto dalla Cronaca dei Frati Minori. (Parte II, libro IV, cap. 7).
Nel convento dei Frati Minori di Parigi, essendo morto un santo religioso, che per la sua eminente pie­tà veniva soprannominato l'Angelico, uno de' suoi confratelli, dottore in teologia e uomo di molte virtù omise di celebrare le tre Messe solite a dirsi dai reli­gìosi alla morte di ciascun confratello, sembrandogli di far quasi ingiuria alla misericordia e giustizia di Dio pregando per la salvezza di un uomo sì santo e che, secondo lui, doveva già trovarsi elevato al più alto grado di gloria. Ma ecco che in capo a pochi giorni, mentr'egli stava passeggiando assorto in me­ditazione per un viale del giardino, gli apparve il de­funto tutto circondato di fiamme, gridando con voce lamentevole: - Caro maestro, ve ne scongiuro, ab­biate pietà di me e soccorretemi. - E qual bisogno avete de' miei poveri aiuti, o anima santa? rispose il religioso. – Ahimè! Ahimè! Io sono ancor trattenuto nel fuoco del Purgatorio, in attesa delle tre Messe che voi avreste dovuto celebrare per me. Se aveste esat­tamente soddisfatto all'obbligo che le nostre costitu­zioni c'impongono, a quest'ora sarei già nella celeste Gerusalemme. - E poichè il religioso allegava per iscusa la vita santa ch'egli aveva menato, le preghie­re, le penitenze, l'esattezza scrupolosa da lui usata nell'osservanza della regola e tante altre sublimi vir­tù, il defunto esclamò: - Ahimè! Ahimè! Nessuno crede, nessuno comprende con quanta severità Iddio giudica e punisce le sue creature. L'infinita purezza di lui scopre difetti in tutte le nostre azioni. Se i cieli medesimi non vanno esenti da imperfezioni davanti ai suoi occhi purissimi, come l'uomo, creatura tanto miserabile, potrà comparire davanti a lui? Occorre rendere conto a Dio fino all'ultimo centesimo, usque ad novissimum quadrantem. Se con tutta la scienza che possedete, voi aveste compreso un po' meglio la santità infinita di Dio, oh! non mi avreste trattato con tanto rigore! - E ciò detto scomparve. Affretta­tosi il buon religioso a celebrare le tre Messe doman­date, nel terzo giorno gli apparve di nuova quell'a­nima benedetta per ringraziarlo e per annunziargli che, finite le pene, se ne andava a ricevere la ricom­pensa delle sue virtù.
Da tutto questo dobbiamo concludere che purtrop­po non si pensa abbastanza ai rigori del Purgatorio e alla santità di Colui che non tollera la più lieve mac­chia nei suoi Santi. Se si meditassero un po' più spes­so queste verità si eviterebbero con maggior cura quei falli leggeri, di cui facciamo si poco conto, e si pre­gherebbe con più fervore per quelle povere anime martoriate, che mentre viviamo ci sarebbe tanto facile soccorrere.


CAPITOLO IV
I PECCATI E LE LORO PENE
Una visione di S. M. Maddalena de' Pazzi Se dalle considerazioni generali fin qui esposte sul rigore delle pene del Purgatorio, noi passiamo ad esaminare particolarmente le pene proprie a ciascun peccato, non potremo aver guida migliore delle rive­lazioni di santa Maria Maddalena de' Pazzi, la quale fra tutte le Sante canonizzate dalla Chiesa è quella che, dopo santa Francesca Romana, ci ha lasciato la descrizione più minuziosa, e per così dire, la più esatta topografia del Purgatorio. Una sera mentr'ella insieme con alcune suore passeggiava nel giardino del monastero, fu all'improvviso rapita in estasi ed intesa gridare più volte: - Sì ne farò il giro, sì ne farò il giro. - Colle quali parole voleva acconsentire all'in­vito che dal suo Angelo custode le veniva fatto di vi­sitare il Purgatorio. Così le sue consorelle la videro con ammirazione e terrore intraprendere quel doloroso viaggio di cui, cessata poi l'estasi, scrisse una splen­dida narrazione: - Per due ore continue fu veduta girare intorno al vasto giardino del monastero ferman­dosi con attenzione a considerare quanto probabilmen­te le veniva mostrato dall'Angelo, spesso torcendosi le mani dalla commiserazione e divenendo pallidissi­ma in viso. Inoltravasi colla persona curva verso terra e come schiacciata sotto un pesantissimo fardello, dan­do sì manifesti segni di orrore, che solo a guardarla faceva paura. Le consorelle la seguivano ascoltando con pia avidità le esclamazioni di terrore o di compassione che le sfuggivano di tratto in tratto. Talora si sentiva gridare: - Oh che pena! Misericordia, mio Dio, misericordia! Sangue prezioso del mio Salvato­re, scendete su queste anime e liberatele dai loro spa­simi. Povere anime quanto soffrite! eppure vi vedo ilari e contente fra i vostri tormenti! Eppure vi è an­cora chi soffre di più! - Una volta esclamò: - Come vorrei non rimirar da vicino quelle povere tormenta­te! - Nondimeno dovette obbedire e discendere eziandio in altri abissi. Ma dopo aver fatto alcuni passi eccola fermarsi ad un tratto spaventata e tre­mante e mandando alte grida esclamare: - Come! Sacerdoti e religiosi in questo luogo sì orribile! Ah! mio Dio, mio Dio, come li veggo tormentati! - E l'orrore e il tremito che agitava il suo corpo dava a conoscere l'intensità delle sofferenze che in quel momento contemplava.
Uscita dal carcere dei sacerdoti traversò luoghi me­no lugubri ed andò in quello delle anime semplici, dei bambini e di coloro, le cui colpe sono attenuate dall'ignoranza. Là non v'era che ghiaccio e fuoco, e le anime passavano alternativamente dall'uno all'altro. Ivi la Santa riconoscendo l'anima del suo fratello morto poco prima, fu intesa gridare: - Povera ani­ma del fratello mio, quanto soffri! eppure te ne con­soli: bruci eppur sei contenta, perchè sai che queste pene sono strada alla felicità. - Fatti altri passi an­cora, fece capire che stava contemplando anime assai più infelici, e gridò: - Ahimè quanto è orribile que­sto luogo! Come e pieno di schifosi demoni e di incredibili tormenti! Chi sono mai, o mio Dio, questi infelici tormentati? Oh! come li vedo trafitti da punte d'aghi acutissimi e quasi fatti a brani! - Allora le fu risposto che quelle erano le anime di coloro che in vita avevano cercato di piacere agli altri ed avevano tal­volta peccato di ipocrisia. Ancora più innanzi vide una turba spinta verso un dato luogo e quasi schiac­ciata sotto un enorme peso, e capì per rivelazione che quelle erano le anime impazienti e disobbedienti. Men­tre le guardava, faceva gesti svariatissimi, ora chinando il capo fino a terra, ora fissando l'occhio atter­rito su qualche punto, ora sospirando con atteggia­mienti di profonda compassione.
Dopo un pò di tempo sembrò anche più afflitta, ed emise un grido di spavento: entrava allora nella car­cere dei bugiardi. Dopo averla attentamente osserva­ta, disse ad alta voce che i bugiardi stanno in un luogo vicinissimo all'Inferno, che grandi sono le loro pene e che nella loro bocca viene versato piombo fuso, mentre stanno immersi in uno stagno ghiacciato, così che bruciano e gelano al tempo stesso.
Arrivata poi alla prigione di coloro che peccarono per troppa fragilità, gridò: - Ahimè! m'ingannai credendovi insieme a coloro che peccarono per igno­ranza, giacchè vi vedo bruciare in un fuoco assai più ardente. - Più lontano riconobbe gli avari che si li­quefanno come il piombo nella fornace. Quindi passò tra coloro che sono debitori alla divina giustizia per i peccati d'impudicizia, perdonati, ma non abbastan­za espiati in vita. La loro prigione era talmente sudi­cia e fetente, che solo a vederla da lungi chiudeva il cuore. La Santa passò oltre senza dire parola, ma alla fine del suo doloroso pellegrinaggio fu intesa grida­re: - Ditemi, o mio Signore Gesù, quale sia stata la vostra sublime intenzione nello svelarmi pene così or­ribili. Forse per appagare il mio desiderio di sapere dove fosse l'anima del mio fratello, o per spingermi a pregare di più per le anime del Purgatorio?... No ora comprendo: voi avete voluto così, onde conoscessi meglio la vostra immacolata purezza!
Dal carcere degli impudici, la Santa passò a quello degli ambiziosi e superbi, i quali soffrono acerbamen­te in mezzo a foltissime tenebre. - Miseri, disse, co­storo, che per aver voluto elevarsi sugli altri, sono ora condannati a vivere in tanta oscurità! - Vide poi le anime di quelli che, ingrati verso Dio e duri di cuore, non hanno mai conosciuto cosa volesse dire amare il loro Creatore, Redentore e Padre. Costoro sono immersi in un lago di piombo fuso, in pena di aver fatto rimanere sterili con la loro ingratitudine le sorgenti della grazia.
Finalmente in un'ultima prigione le furono mostra­te quelle anime che pur non avendo avuto in vita al­cun vizio particolare, si macchiarono di tanti piccoli falli, ed osservò che per pena dovevano subire tutti i castighi propri ai vizi stessi, ma in piccola propor­zione.
Dopo due ore di sì penoso e duro pellegrinaggio, la Santa ritornò in sè, ma in tale stato di debolezza e di prostrazione morale, che le occorsero parecchi giorni per rimettersi dall'impressione del terribile spettacolo che aveva avuto sott'occhi.
Tali particolarità sul Purgatorio, che troviamo nella vita di S. M. Maddalena de' Pazzi, le ritroviamo nelle rivelazioni di molti altri Santi, che con le anime pur­ganti ebbero particolare relazione.
Nella vita di S. Bernardino da Siena (Bollandisti, Vita S. Bernardini Sen., 20 Maji, in Supplemento) si legge il fatto seguente.
Un giovanetto, morto all'età di undici anni, men­tre gli si facevano i funerali, per la preghiera di San Bernardino si scosse come da un sonno profondo e postosi a raccontare quel che aveva veduto nell'altra vita, descrisse con straziante precisione i tormenti dei dannati nell'Inferno, raccontò quindi le gioie ineffa­bili dei beati in Paradiso e le pene delle povere anime del Purgatorio. A proposito di queste ultime, descris­se le precise particolarità che si trovano nelle rivela­zioni di quei Santi, i quali, come S. M. Maddalena de' Pazzi, S. Francesca Romana o la venerabile Ma­ria Francesca del Sacramento, ebbero particolarmente a cuore la causa delle anime purganti.
Nella vita del P. Nicola Zucchi della Compagnia di Gesù troviamo raccontato quanto segue.
Un cavaliere desiderava in matrimonio una nobile fanciulla romana, la quale dietro consiglio del P. Zuc­chi, suo confessore; aveva fatto voto a Dio della sua verginità, ed osava importunarla con le sue sollecita­zioni persino nel santo asilo dove ella aveva ricove­rato la sua innocenza. Un giorno il P. Zucchi, incon­tratolo per una strada di Roma, lo rimproverò aspra­mente per l'indegnità della sua condotta, minaccian­dolo di tutto il rigore dei castighi divini, ma inutil­mente. Quindici giorni dopo il cavaliere morì, e dopo qualche tempo la novizia s'intese un giorno tirar per le vesti, e udì una voce chele disse: - Venga al par­latorio. - Ella vi andò, e veduto un uomo che ivi passeggiava, gli chiese ansiosamente chi fosse, cosa fosse venuto a fare a quell'ora, e che cosa volesse da lei. Allora quegli, senza nulla rispondere, le si fermò davanti, sicchè essa ben lo riconobbe per quel cava­liere suo amante. A questo punto costui, aperto il mantello in cui era avvolto, le fece vedere delle catene di ferro, delle quali alcune gli pendevano dal collo, altre gli stringevano i polsi, ed altre le gambe sotto le ginoc­chia: castigo ben meritato da chi aveva voluto incate­nare una sposa di Cristo con amore profano. Quindi il cavaliere disse con voce lugubre: - Pregate per me - e disparve.

Pene particolari
Adesso entriamo ancora più addentro nelle partico­larità di tante sofferenze, e non contenti di questo, per dir così, panorama generale delle pene del Purgatorio, audíamo nelle rivelazioni dei Santi le pene speciali inflitte dalla gìustizia di Dio a quei falli, che la maestà sua ha più particolarmente in orrore.
Fra codeste mancanze Iddio punisce molto severa­mente la vanità. Citeremo qui due esempi che vor­remmo facessero rinsavire tanta frivola gioventù che consuma il tempo in acconciarsi ed abbellirsi per pia­cere in questa vita, accumulandosi tormenti inauditi per l'altra. Il primo è tratto dalle rivelazioni di santa Brigida (lib. VI, capo 52), la quale, in una delle estasi che le discoprirono il Purgatorio, osservò fra le altre una fanciulla di alto lignaggio, che le fece conoscere quanto penasse in espiazione dei suoi peccati di va­nità. Quel capo, che con tanta cura aveva coltivato, era divorato all'interno e all'esterno da fiamme cocen­tissime; quelle spalle e quelle braccia, che tante volte aveva amato di portar denudate, erano strette da ca­tena di ferro rovente; i piedi si agili nella danza erano avvinghiati e morsi da vipere, che li insozzavano colla loro bava immonda; tutte le membra, che in vita, era solita di sopracaricare di monili, di gioie, di perle, di fiori; erano torturate da spaventevoli pene. E andava gridando: - Madre mia, madre mia, quanto sei col­pevole verso di me! La tua soverchia indulgenza, peg­giore dll'odio più atroce che tu avessi potuto portarmi, mi ha fatto precipitare ìn queste orribili pene! Tu mi conducevi alle feste, ai balli, agli spettacoli, a tutte le riunioni mondane che sono la rovina dell'anima e per le quali ora soffro miseramente, e quantunque tal­volta mi consigliassi preghiere ed atti di virtù, questi si trovaron sempre superati e quasi perduti per i sol­lazzi e le compiacenze che io mi prendeva nella vita.
Nondimeno rendo grazie infinite al mio Dio perchè non permise la mia eterna dannazione. Prima di mo­rire, presa da pentimento, mi confessai, e quantunque lo facessi in considerazione delle pene che mi pote­vano essere riservate nel l'altro mondo, e quindi la mia confessione non fosse valida, nel momento però d'en­trare in agonia mi ricordai della dolorosa passione del Salvatore, e potei così formare un atto di vera contri­zione, promettendo, se ne avessi avuto tempo, di ri­parare colla penitenza alle mie colpe. - Lo storico soggiunge che la Santa avendo raccontato l'appari­zione ad una cugina della defunta, l'impressione da questa riportata fu tale, che rinunziato alle vane lusin­ghe del secolo, si rinchiuse in un monastero di auste­rissima penitenza, dove santamente visse e morì.
Il secondo esempio è tratto dalla vita della beata Maria Villani, scritta dal padre Maschi (lib. II, capo 5). - Mentre un giorno questa serva di Dio pregava per le anime del Purgatorio, fu condotta in ispirito nel luogo delle lor pene, e fra tutte quelle infelici sof­ferenti ne vide una tormentata più delle altre da orri­bili fiamme che da cima a pie' ravvolgendola, la con­sumavano continuamente. Interrogata dalla Serva di Dio sul perchè di tanto soffrire, e se avesse mai un momento di tregua fra quelle sofferenze, rispose: -­ Già da molto tempo mi trovo qui a scontare severa­mente, le mie vanità passate e il lusso scandaloso in cui vissi, ma fino ad ora non ottenni mai il benché minimo sollievo, avendo il Signore permesso nella sua giustizia che io fossi completamente dimenticata dai miei parenti, dai miei figlie dai miei amici, perché quando ero in vita, tutta dedita alle vanità del mondo, alle feste e ai piaceri, assai di rado pensavo a Dio e ai doveri del mio stato. Così ora Iddio permette che sia dimenticata da tutti. - E ciò detto disparve.
L'altro grave peccato che Iddio odia e punisce or­ribilmente è lo scandalo. « Maledetto colui per cui viene lo scandalo» disse il Maestro. « Se il tuo occhio ti scandalizza cavatelo e gettalo via da te; è meglio entrare nella vita eterna con un solo occhio, o con un sol piede, che andare all'Inferno con ambedue ».
Un pittore di fama e buon cristiano; essendosi la­sciato trascinare per qualche tempo dal cattivo esem­pio, aveva dipinto dei quadri sconci. Se ne era poi pentito e si era dato esclusivamente alla pittura sacra. L'ultimo suo lavoro fu un bellissimo dipinto in un Convento di Carmelitani Scalzi; terminato il quale, essendo stato colto da mortale, malattia, chiese in gra­zia al priore di essere sepolto nella chiesa del conven­to, lasciando alla comunità il prezzo assai alto della sua opera col patto che dai religiosi fossero celebrate altrettante Messe in suo suffragio. Era morto da po­chi giorni nel bacio del Signore, quando un frate ri­masto in coro dopo mattutino, se lo vide comparire tutto piangente e dibattendosi fra le fiamme. Sbalor­dito a tal vista, gli domandò se fosse veramente egli il buon pittore morto, poco prima, e perché lo vedesse ridotto in sì misero stato. - Allorchè resi l'anima a Dio, rispose il defunto, mi trovai al suo divin tribu­nale circondato da molte persone, le quali deponevano a mio svantaggio, perchè eccitate in vita a malvagi pensieri ad impuri desideri da un quadro osceno da me dipinto, erano state condannate al Purgatorio; ma quel che più mi atterrì si fu il vederne uscire altre dall'Inferno, gridando, che poiché io ero stato causa della loro eterna rovina, era giusto che subissi lo stes­so loro castigo. Per buona sorte accorsero dal cielo molti Santi a prender le mie difese, dimostrando il divin Giudice come quello fosse stato un lavoro di mia gioventù inesperta, compensato da tanti altri che ave­vano servito di edificazione a moltissime anime. Fui salvo allora dalla pena eterna, ma condannato bensì a soffrire tra queste fiamme, finchè quella maledetta pittura sia bruciata e non possa più dare scandalo ad alcuno. Vi prego adunque, mio buon Padre, di recar­vi dal proprietario del quadro, e dirgli in quale stato io mi trovi per aver ceduto alle sue premure, suppli­candolo da parte mia a disfarsi di quella pittura, get­tandola immediatamente alle fiamme. Che se rifiutas­se, guai a lui! In prova di quanto dico e in punizione del suo delitto annunziategli poi che fra, poco perderà i suoi due figli, e qualora mancasse di ubbidire agli ordini divini, egli stesso perirà di morte prematura. - Il possessore del quadro, sapute tali cose, tosto lo bruciò; tuttavia in meno di un mese vide morire i due suoi figli, per il quale castigo fu preso da tanto dolore, che passa il resto della sua vita nel far peni­tenza del fallo commesso coll'ordinare e conservare quella pittura scandalosa. (Vedi: Rossignoli, Meravi­glie del Purgatorio, lib. IV, cap. 9).
Altra colpa alla quale Dio riserba severa punizione sono i discorsi vani. Si quis in verbo non offendit, hic perfectus est vir (Iac. 3, z), disse l'apostolo S. Giacomo e ben a ragione, poichè la lingua è fomite di ini­quità. Senza parlare delle bestemmie, dei propositi licenziosi, delle maldicenze e calunnie, chi non ha da rimproverarsi tante e poi tante di quelle parole vane e leggere, delle quali il divin Maestro ha detto che ci domanderà conto nel giorno del giudizio? L'esempio che qui sotto riferiamo dovrebbe far riflettere quei fa­ceti, maldicenti per professione, i quali occupano il posto d'onore nelle conversazioni mondane e son sem­pre pronti a far ridere gli altri a spese del prossimo.
L'abate Durando, priore di un monastero di bene­dettini, indi Vescovo di Tolosa; era uomo di rara pie­tà, di singolare mortificazione e pieno di zelo pel suo spirituale avanzamento; però amava troppo lo scherzo e non sapeva frenare abbastanza la lingua. Fin da quando era semplice monaco, il suo abate Ugo lo ave­va parecchie volte ammonito, predicendogli che se non si fosse emendato di questo difetto ne avrebbe avuto a soffrire molto in Purgatorio, ma egli non die­de troppo ascolto a questo avviso e proseguì anche da vescovo a dire facezie e scherzi in abbondanza. Dopo morto però si vide quanto fosse giusta la pre­dizione dell'abate Ugo, poichè apparso Durando ad un religioso suo amico lo pregò vivamente d'interce­dere per lui, che trovavasi martoriato in Purgatorio da strazi acutissími a cagione dell'intemperanza usata nel parlare a carico altrui. Radunatisi allora tutti quei monaci, si stabilì che l'intera comunità avrebbe osser­vato per otto giorni un rigoroso silenzio in suffragio di quell'anima penante. Ma ecco in capo a questo tempo comparire di nuovo il defunto e lamentarsi, perchè uno dei monaci essendo venuto meno alla pro­messa del silenzio, era riuscito sterile per la sua libe­razione il frutto di quel suffragio. Si ripeté allora dal­la comunità la pia mortificazione, la quale, essendo stata osservata fedelmente da tutti, meritò al defunto vescovo Durando la liberazione dalle pene del Purga­torio.
Quanto al peccato della menzogna, abbiamo già ve­duto dalla rivelazione di S. Maria Maddalena de' Pazzi come sia punito in modo singolarmente terribi­le, poiché Iddio, eterna Verità, ha in orrore la bugìa. In molte apparizioni noi vediamo le povere anime raccomandarci di astenerci dalla menzogna, e dichia­rare che all'altro mondo quelle che da taluni si con­siderano come cose da poco o semplici esagerazioni sono severamente punite.
Raccomandano parimente quelle anime sante di astenersi dal fare i voti alla leggeaa e quando siano fatti, di osservarli scrupolosamente, poiché la giusti­zia di Dio è inesorabile. Sul qual proposito voglio qui raccontare il seguente fatto, tratto dalla vita del ve­nerabile Dionigi Cartusiano. - Questo santo religio­so stava assistendo un novizio moribondo, il quale parecchi anni prima avendo fatto voto di recitare per due volte l'intero Salterio e non avendo poi adem­piuto mai la sua promessa, si trovava molto perplesso sul letto di morte, paventando la severità dei divini giudizi. Allora Dionigi per incoraggiarlo e consolarlo in quei momenti supremi, gli promise che avrebbe soddisfatto a quell'obbligo in vece sua, ma, così forse permettendo la giustizia di Dio, dopo la morte del novizio il buon Padre dimenticò anch'egli la promes­sa, mentre intanto quello sventurato era trattenuto fra le fiamme del Purgatorio. Un giorno finalmente aven­dogli Iddio concesso di comparire a Dionigi per ri­cordargli l'impegno preso, il defunto mostrandosegli tutto mesto e addolorato, pronunziò sospirando queste due parole: - Pietà, pietà! - Stupito e desolato al­lora della sua dimenticanza, il buon Padre voleva spiegare a quell'anima la causa di tanto oblìo, ma il defunto con voce supplichevole gridò: - Ohimè! se voi soffriste la millesima parte de' miei tormenti non ammettereste scusa di sorta, anche se in apparenza legittima, e in quest'istante medesimo soddisfereste all'obbligo contratto in mio nome dinanzi a Dio. - E così dicendo scomparve.
Bisognerebbe che gli uomini del mondo, la cui vita molle e sensuale non è altro che una catena continua di peccati, pensassero per qualche momento alla pe­nitenza che dovranno fare nell'altra vita, prescinden­do dal grave pericolo di dannazione al quale espon­gono la loro anima. La venerabile suor Francesca di Pamplona, celebre per le sue visioni sul Purgatorio, vide una volta un uomo di mondo, il quale del resto era stato un buon cristiano, condannato a penare lun­ghi anni in Purgatorio, per aver desiderato troppo i comodi della vita. La causa di così gravi e lunghe pene è che in mezzo ad una vita dissipata e mondana è impossibile non commettere una gran moltitudine di difetti, i quali non venendo cancellati dalla peniten­za, accumulano un debito enorme davanti al tribu­nale di Dio, e così quello che avremmo potuto scontare facilmente in questa vita con qualche mortifica­zione o penitenza od opera buona, bisognerà pagare nell'altra vita inevitabilmente con un lungo Purgatorio.
Lo scrupolo non è un peccato di per sè, ma siccome disgraziatamente ne fa commettere molti alle anime per il troppo attaccamento alla propria volontà e per l'or­goglio di cui è quasi sempre figlio, perciò è punito da Dio molto severamente. La suddetta suor France­sca da Pamplona vide molte anime straordinariamen­te scrupolose essere tormentate in Purgatorio da dub­bi, da oscurità e da incertezze.
La tiepidezza ha pure la sua punizione in Purga­torio. Santa Maria Maddalena de' Pazzi, mentre un giorno pregava dinanzi al santissimo Sacramento, vi­de uscir di sotterra l'anima d'una religiosa, la quale avendo avuto l'unico difetto di omettere talvolta la comunione nei giorni stabiliti dalla regola, era coperta in punizione da un manto di fuoco, di sotto al quale mostravasi una veste candidissima, ed osservò che avvicinandosi all'altare con gran rispetto fece una profonda genuflessione passando dinanzi al santo ta­bernacolo; e la rimase un'ora in adorazione. Madda­lena conobbe poi per rivelazione che quell'anima, in pena della sua tiepidezza nel ricevere la santa Euca­ristia, era condannata a venire ogni giorno ad ado­rare la sacra Ostia con quel mantello di fuoco, per compensare così le sue passate freddezze; e che la veste bianca che la difendeva in parte da quel tor­mento significava la ricompensa dovuta alla sua per­fetta verginità. Continuò per vario tempo quell'anima in tale quotidiana adorazione, finchè le preghiere della Santa, unite alla propria espiazione, la condus­sero in Paradiso.
Più rigorosamente fu punito un ecclesiastico, per mancanza per ben più grave. (Vedi Michele Alix, Hortus pasto-rum, trait. VI, capo 2). Trovandosi egli in punto di morte, o sia perchè non volesse ricono­scere la propria posizione per quell'illusione troppo comune nei sacerdoti, abituati a veder morire, o sia perchè si trovasse sotto il dominio di quel fatale pre­giudizio che fa paventare a tanti malati gli ultimi Sacramenti, tanto tardò e temporeggiò che se ne morì senza i conforti della Chiesa. Mentre veniva condotto alla sepoltura, il misero sacerdote, aprendo gli occhi, fece intendere chiaramente queste parole: - In puni­zione del ritardo da me frapposto nel ricevere la gra­zia dell'estremo lavacro, mi trovo condannato a lunghi anni di Purgatorio. Se avessi ricevuto l'Olio San­to, come era mio dovere, io sarei scampato alla morte in grazia della virtù propria di questo Sacramento di ridare talvolta al malato la salute temporale, e così avrei avuto tempo di far penitenza, mentre ora sto soffrendo acerbi tormenti. - Ciò detto, richiudendo gli occhi, lasciò i presenti nella più grande costerna­zione.
A coloro poi, la cui vita intera trascorse abitual­mente in peccato mortale, e che differiscono la con­versione al punto di morte, sono riservate pene, delle quali il seguente esempio può dare appena una lan­guida idea.
Il barone Giovanni Sturton, nobile inglese, quantunque cattolico in fondo al cuore, per conservare le sue cariche a corte e per sfuggire alle ire del Re, as­sisteva regolarmente al servizio divino protestante, e apparentemente adempiva a tutti gli obblighi del culto anglicano. Teneva però nascosto in casa sua un prete cattolico a rischio dei più gravi pericoli, lusin­gandosi di potersi servire del suo ministero per ricon­ciliarsi con Dio in punto di morte. Colpito però da morte improvvisa, non ebbe tempo di mandare ad effetto il voto della sua tardiva conversione; nondi­meno la divina misericordia, tenendo conto di quanto egli aveva fatto per la Chiesa perseguitata nel suo paese, gli aveva concesso la grazia della perfetta con­trizione, e quindi la salvezza eterna, condannandolo però a pagare ben cara in Purgatorio la sua colpevole negligenza.
Molti anni passarono dal giorno della sua morte, durante i quali la vedova di lui tornata a seconde nozze ebbe due figlie: una di esse, testimonio ocu­lare del fatto, racconta quanto segue: - Un giorno mia madre pregò il P. Corneille della Compagnia di Gesù, uomo di molti meriti e che più tardi morì mar­tire della fede, di celebrare la Messa pel riposo del­l'anima del suo primo marito Giovanni Sturton: accettò egli l'invito, e mentre era all'altare, fra la con­sacrazione e il memento, restò lungo tempo assorto in orazione: finita poi la Messa, fece un'esortazione, nella quale raccontò: d'avere avuto in quel tratto di tempo ia seguente visione: Stendevasi dinanzi a lui un'im­mensa foresta in fiamme, in mezzo alla quale si di­vincolava il povero barone, emettendo grida compassionevoli, piangendo ed accusandosi della vita colpevole che aveva menata nel mondo e alla corte, e dopo aver fatta la confessione dettagliata delle sue colpe l'infelice aveva terminato con quelle parole che la Scrittura pone in bocca di Giobbe: Pietà, pietà almeno voi che mi siete amici, poichè la mano del Si­gnore si è aggravata sopra di me. Il P. Corneille nel raccontare queste cose piangeva a calde lacrime, e tutta la famiglia nostra e tutti i parenti in numero di ottanta persone piangevano pure, quando scorgemmo sul muro al quale era addossato l'altare, un bagliore simile al riflesso di carboni ardenti. - Tale è il rac­conto di Lady Arundell, che ognuno può leggere nella storia d'Inghilterra del Daniel.
I peccati poi che Dio sembra punire con rigore implacabile nell'altra vita sono quelli contro la giu­stizia e contro la carità. Quanto ai primi, pare che Iddio si attenga veramente all'assioma teologico: Non remittitur peccatum nisi restituatur ablatum:. - Non si rimette il peccato, se non si restituisce la cosa rubata. -
Un ricco signore, essendo morto senza porre in ordine le sue cose, comparve dopo qualche tempo al P. Agostino d'Espinoza, della Compagnia di Gesù, la cui santa vita era tutta dedicata a suffragare le anime del Purgatorio. - Mi riconoscete? - domandò il defunto. - Senza dubbio - rispose il Padre e - ben mi ricordo di avervi amministrato il Sacramento della Penitenza pochi giorni avanti della vostra mor­te. - Proprio così continuò il defunto - e perciò ho avuto dal Cielo la grazia di venirvi a trovare e a supplicarvi di rendermi propizia la divina clemenza con le vostre preghiere, e di più a chiedervi di porre in esecuzione certe opere necessarie alla mia libera­zione dal Purgatorio. Pertanto vi prego a compia cervi di venire ora con me per un breve viaggio. - Ottenuta licenza dal Superiore del Convento e chiesto ai confratelli che pregassero per lui, il P. Agostino seguì il defunto, dal quale fu condotto sopra un ponte discosto non molto dalla città. Qui il defunto pregò il Padre di fermarsi ed attendere, chè egli sarebbe corso a prendere alcune cose necessarie e avrebbe fatto sollecitamente ritorno. Quando il defunto tornò, por­tava tra le mani una grande borsa, piena di denaro, parte del quale trasse fuori, dicendo: - Padre, pie­gate per favore una falda dei vostro mantello e rice­vete questo denaro, chè l'altro lo porterò con me fino alla vostra camera, e là ve lo consegnerò. - Giunti che furono, il morto gli consegnò il resto dei denari, e, porgendogli una carta scritta, gli disse: - Da que­sto scritto scorgerete a chi ho da restituire e quanto. Impiegherete ciò che rimane in opere di suffragio per la mia anima. - Ciò detto disparve. Il P. Agostino fece diligente ricerca dei creditori, ai quali puntual­mente, e con grande loro meraviglia soddisfece ogni debito, ricevendo essi quei denari come inviati dal cielo. Il resto del denaro poi fu applicato in celebrazioni di Messe, in elemosine e in distribuzioni ai po­veri. Passati otto giornì, ecco nuovamente comparire al P. Agostino il defunto, per ringraziarlo dell'opera prestata a suo favore e per annunziargli la sua libe­razione dalle pene del Purgatorio.
Nella vita di S. Margherita da Cortona (Bolland., 22 Febbr.) si legge di due mercanti, passati all'altra vita lasciando impegni di giustizia non soddisfatti, i quali, per grazia di Dio, comparvero alla Santa chie­dendole che avvertisse i loro parenti di soddisfare per loro, poichè altrimenti non sarebbero passati alla glo­ria degli eletti.
Quando poi la restituzione riesce assolutamente im­possibile, trova Iddio, nei segreti della sua Giustizia, i mezzi per supplirvi. “Giusto è Iddio, e giusti sono i suoi giudizi e i suoi disegni” e senza numero sono le vie attraverso alle quali salva le anime.
Un giorno in cui S. Margherita Maria Alacoque stava pregando per due personaggi molto illustri e potenti in questo mondo, le fu rivelato che uno di essi era condannato per molti anni in Purgatorio, e che tutte le preghiere e le Messe numerosissime, che si celebravano in suo suffragio, venivano applicate dalla giustizia di Dio ad alcune famiglie, che da detto personaggio erano state rovinate o danneggiate per mancanza di carità e di giustizia, e siccome a quei disgraziati non erano rimasti mezzi per far celebrare Messe dopo morte, il Signore vi suppliva in questo modo. (Vita della Santa. Lettera della M. Greyfie sua Superiora).'
Quanto alle mancanze contro la carità, Iddio usa rigore estremo sopratutto quando son commesse da anime a lui consacrate; e la ragione è chiara. Dio: è amore, come dice san Giovanni, e quindi non v'è cosa che più gli dispiaccia quanto le inimicizie, i ran­cori, le maldicenze, i giudizi temerari e tutti que' falli contro la carità, che purtroppo si riscontrano spesso nelle persone più pie e di più esemplare con­dotta. - Nella vita della Santa Margherita si legge che due religiose, per le quali ella pregava dopo la loro morte, le furono mostrate giacenti nel carcere del Purgatorio, una di esse soffrendo pene incomparabil­mente più atroci di quelle dell'altra. Per la qual cosa ne ascriveva a colpa sopratutto quei difetti contrari alla carità reciproca e a quella santa amicizia che deve regnare nelle comunità religiose, ed alla quale avendo ella contravvenuto, erasi meritata, fra le altre puni­zioni, quella di non usufruire dei suffragi che la co­inunità faceva ed offriva a Dio per lei, ricevendo unico sollievo nei suoi mali dalle preghiere di tre o quattro persone della stessa comunità, per le quali ella vi­vendo aveva avuto meno stima ed affezione (Vita della Santa - Lettera della M. Greyfie).
Ecco dunque, secondo le più autentiche rivelazioni, i diversi castighi inflitti dalla divina Giustizia ai di­versi peccati. Domandiamoci adesso quale sarebbe il nostro posto in Purgatorio - ammesso di meritarci solo il Purgatorio - e procuriamo di non cadervi.

CAPITOLO V
PURGATORIO DI DESIDERIO
Sete di Dio
Abbiamo veduto quali sarebbero secondo le rivela­zioni di S. Maria Maddalena de' Pazzi le suddivisioni del Purgatorio; aggiungiamo ora dei particolari, che apprendiamo da una celebre visione di S. Francesca Romana (Bolland. Vita S. Franciscae, 9 Martii). Se­condo questa Santa dunque il Purgatorio risulta di tre parti distinte: nella regione superiore stanno le anime che soffrono la sola pena del danno o al più qualche pena mite e di poca durata; nella regione media, ove la Santa vide scritto la parola Purgatorio, soffrono le anime che commisero colpe leggere; final­mente in fondo all'abisso e precisamente in vicinanza dell'Inferno v'è la terza regione, ossia il Purgatorio inferiore, tutto ripieno di un fuoco chiaro e penetran­te, diverso da duello dell'Inferno, che è oscuro e te­nebroso. Questa terza regione si divide a sua volta in tre scompartimenti, ove le pene vanno gradata­mente aumentando, e sono riservati ai secolari il primo, ai chierici non ordinati in sacris il secondo, e il terzo ai sacerdoti e ai vescovi: Citi multum datum est, multum quaeretur ab eo (Luc., 12-48).
Che vi sia un Purgatorio superiore in cui le anime non soggiacciono a pene sensibili è confermato da molte rivelazioni anche dai Santi. Fu la Vergine SS. a rivelare a S. Brigida che esiste un Purgatorio spi­rituale, detto Purgatorio di desiderio, nel quale son trattenute alcune anime, che sebbene immuni da ogni peccato, nel tempo però della loro vita mortale non hanno sospirato abbastanza verso il loro Creatore. Altrettanto leggiamo presso altri Santi.
Nella vita di S. Maria Maddalena de' Pazzi si legge che una delle sue consorelle per nome Maria Benedet­ta Vittoria, religiosa di molte virtù, che le morì tra le braccia, mentre era in agonia fu vista dalla Serva di Dio aspettata da una moltitudine di angeli di aspet­to ilare e sereno che dovevano condurla nella celeste Gerusalemme, e nel momento poi in cui spirò vide quell'anima eletta sotto forma di colomba dalla testa dorata volare fra quegli spiriti celesti e quindi spa­rire. Tre ore dopo vegliando vicino al cadavere in compagnia d'un'altra suora per nome Pacifica di To­vaglia, questa interruppe le preghiere per domandare alla Santa dove si trovasse in quel momento la loro consorella, se in Paradiso o in Purgatorio. Nè in questo nè in quello, rispose la Santa. La suora stupì a tal risposta, e quasi se ne scandalizzò, ma poco dopo recitando con Maddalena l'Ufficio de' morti, essen­dole accaduto alla fine di un salmo di recitare il Glo­ria Patri invece del Requiem, ed avendo voluto riprendersi, la Santa le disse che bene avea detto, poi­ché non occorreva più implorare per quell'anima l'e­terno riposo. Suor Pacifica quantunque non arrivasse a comprendere il senso di quest'assicurazione, non osò interrompere la compagna. - La mattina del giorno dopo celebrandosi la Messa per la defunta, nel momento del Sanctus Maddalena fu rapita in estasi, nel­la quale il Signore le fece vedere quell'anima benedetta in mezzo alla gloria eterna. La sua fronte aveva una stella d'oro, segno di ricompensa alla sua ar­dente carità; le sue dita erano cariche di anelli pre­ziosi, e la corona che portava sul capo era pìù ricca di quella di un'altra religiosa di gran perfezione, morta poco tempo prima. Questa differenza proveniva dal gran desiderio di soffrire per Iddio, che Maria Bene­detta avea avuto in vita. Di più per la gran carità con cui avea sempre trattato il prossimo e le sue conso­relle godeva in cielo del singolar favore di accostare la sua bocca a quella del divin Salvatore e di berne a lunghi sorsi una bevanda deliziosissima. Il che ve­dendo, Maddalena si pose a felicitarla della sua sorte; indi chiese al Signore perchò appena morta invece di ammetterla immediatamente alla sua divina pre­senza, l'avesse trattenuta (com'era accaduto difatti) per cìnque ore non in Purgatorio, ma in un luogo par­ticolare, dove pur non soffrendo alcuna pena sensi­bile, era rimasta priva della vista di lui. I1 Signore le rispose che questa suora nella sua ultima malattia essendosi troppo compiaciuta delle premure e dei di­sturbi che si davano le consorelle nell'assisterla, aveva per qualche tempo interrotto quell'unione abituale e perfetta che aveva con Dio, e per ciò era stata in tal maniera punita.
La stessa Santa vide un'altra volta una religiosa della sua comunità, morta di recente, brillare di cele­ste chiarezza in tutto il corpo, fuori che nelle mani, a cagione di certe imperfezioni da lei avute contraria­mente al voto di povertà. Ma dopo pochi istanti le mani pure le s'irradiarono, ed entrò in pieno pos­sesso della gloria eterna.
Il P. Francesco Gonzaga, francescano e poi vesco­vo di Mantova, racconta un fatto consimile nel suo libro sull'origine della religione Serafica (Parte IV, N. VII).
Frà Giovanni de Via, religioso di molte virtù, cad­de malato e morì in un convento delle isole Canarie. Il suo infermiere, che si chiamava frate Ascerisio, anch'egli molto avanzato nella perfezione, stava un giorno pregando pel riposo di quell'anima, quando all'improvviso si vide comparire davanti un religioso del suo Ordine, circondato da raggi luminosi, che riempirono la cella di una dolce chiarezza; il frate fuori di sè dalla gioia non lo riconobbe in quel mo­mento, e non osò domandargli il nome; ma essendogli riapparso una seconda e poi una terza volta, fat­tosi finalmente coraggio, gli chiese, in nome di Dio, chi fosse e perché venisse. Io sono, rispose allora il defunto, l'anima di fra Giovanni de Via, e vengo a ringraziarti sinceramente per le preghiere che innalzi al Signore in mio suffragio e ad annunziarti che, gra­zie alla misericordia divina, io mi trovo in luogo di salvazione, fra i predestinati alla gloria; del che ti siano prova questi raggi che partono dal mio corpo. Tuttavia siccome non sono stato ancora giudicato de­gno di contemplare faccia a faccia il mio Dio, per­ché durante la mia vita dimenticai colpevolmente di recitare alcuni Uffici pei defunti, a' quali io era tenuto in forza della regola, ti scongiuro in nome dell'ami­cizia che mi hai sempre portato, anzi in nome dell'a­more che nutri per Gesù, di fare in modo che questi Uffici siano recitati in mia vece colla maggior solle­citudine, affinchè io possa quanto prima godere la vista del mio Signore. Frà Ascensio corse a raccon­tare l'accaduto al Guardiano, il quale ordinò che fos­sero immediatamente recitati gli Uffici. Ciò fatto, com­parve di nuovo l'anima di frà Giovanni, circondata di luce assai pù brillante, annunziando di essere en­trata in possesso della completa felicità.
S. Geltrude nelle sue rivelazioni racconta che una pia religiosa, morta nel fior dell'età e nel bacio del Signore dopo una vita passata in continua adorazione verso il SS. Sacramento, le apparve appena morta tutta sfolgorante di luce celeste, inginocchiata davanti al divino Maestro, che faceva partire dalle sue piaghe gloriose cinque raggi infiammati, che andavano a toc­car dolcemente i cinque sensi della pia suora. Ciononostante, sembrando la fronte di questa come offusca­ta da una nube di tristezza profonda, S. Geltrude, piena di meraviglia, domandò al Signore come mai, mentre egli favoriva la sua serva in modo tanto spe­ciale, questa sembrava che non godesse di una gioia perfetta. - Fino ad ora, rispose Gesù, quest'anima fu giudicata degna di contemplar solamente la mia Umanità glorificata e le mie cinque piaghe in conside­razione della sua devozione verso il Mistero Eucari­stico, ma non può essere ammessa alla visione beatifi­ca a cagione di alcune macchie leggerissime da lei contratte nella pratica della regola. - E poichè la Santa intercedeva per lei, nostro Signore le fece conoscere che senza numerosi suffragi quell'anima non avrebbe potuto così presto terminar la sua pena, esi­gendo così la giustizia divina; il che era tanto ben compreso dalla defunta, che fece segno a Geltrude di non voler essere liberata prima di aver soddisfatto in­teramente al suo debito; per la qual cosa il Signore, in segno di particolare benevolenza, le stese la mano sul capo e la benedisse.
Finiremo col raccontare la storia di un'anima, che dovette lungamente aspettare il giorno in cui finisse per lei la dura prova della privazione di Dio, e la citeremo per disteso affin di far conoscere i sentimenti interni dai quali sono animate quelle infelici. Possa­no i loro ardori di carità riscaldare il nostro cuore di ghiaccio, che nel tempo di questo misero esilio non sa comprendere che cosa sia aver fame e sete insa­ziabile di Dio.
Il giorno di tutti i Santi una giovane di rara pietà e modestia vide comparirsi dinanzi l'anima d'una dama di sua conoscenza, morta poco tempo prima, la quale le fece conoscere com'ella soffrisse bensì la sola pena della privazione di Dio, ma che questa pri­vazione era per lei così intensa, che le procurava un tormento intollerabile. In tale stato le si fece vedere più volte e quasi sempre in chiesa, poichè non potendo contemplar Dio faccia a faccia nel cielo, cer­cava di trovar compenso contemplandolo almeno sotto le specie eucaristiche. Sarebbe impossibile riferire a parole con che slancio di adorazione e con che umile rispetto rimanesse quell'anima davanti alla sacra Ostia. Quando assisteva al divin Sacrificio, nel momen­to dell'elevazione il suo volto si illuminava in tal mo­do, che si sarebbe detta un serafino; del che stupita la giovinetta, dichiarava di non aver mai visto spetta­colo più bello. Ogni volta che questa si comunicava, l'anima della matrona l'accompagnava alla sacra mensa e rimaneva poi accanto a lei per tutto il tempo del ringraziamento, quasi volesse partecipare alla sua felicità e godere anch'essa della presenza di Gesù. Le compariva ordinariamente vestita di bianco e con un lungo rosario in mano, in segno della sua divozione verso la Regina del cielo. Un giorno la pia fanciulla insieme con altre compagne, dopo aver decorato pia­mente l'altare della Vergine, s'inginocchiò con loro e propose che baciando i piedi della statua, tutte l'abbracciassero due volte, una per loro stesse, l'altra per­la defunta amica. Il che fatto, ecco venir questa tutta ilare e festosa à ringraziarla con indicibile affetto: che anzi in quel giorno le confidò come avendo una volta fatto voto di far celebrare tre Messe all'altare della SS.. Vergine e non avendo poi potuto adempierlo, questo debito sacro non soddisfatto aumentava la sua pena, e poichcè la pregò di adempierlo in vece sua, - cosa che la fanciulla fece subito - le apparve di nuovo tutta giuliva per ringraziarla, e in ricom­pensa della sua carità la consigliò a non far voti giammai, senza essere decisa a compierli all'istante, poichè la giustizia di Dio su questo punto è inesora­bile. - L'esortava poi sempre ad una tenera divozio­ne verso la Vergine, e specialmente al ricordo dei do­lori da lei sofferti sul Calvario, e le inculcava di sa­lutarne l'effigie colle tre invocazoni delle Litanie, Mater admirabilis, Consotairix af fictorum, Regina Sanctorum omnium; e diceva che più vivo è il no­stro amore in vita verso questa buona Madre, e più efficace sarà la sua assistenza nel finale giudizio. - La consigliava pure ad una gran carità e compas­sione verso le povere anime del Purgatorio, per le quali voleva che offrisse tutte le sue preghiere, pe­nitenze e buone opere. - Un giorno in cui la pia giovinetta, docile a' suoi consigli, recitava colle brac­cia aperte cinque Pater ed Ave pei defunti, quell'a­nima accorse a sostenerle le braccia già stanche e ad aiutarla nella sua preghiera. - Un altro giorno men­tre in chiesa le parlava, avendo inteso suonare il campanello dell'elevazione, corse tosto all'altare dove si celebrava il divin Sacrificio, e colla faccia a terra si pose ad adorare nostro Signore con profondo ri­spetto. Ogni volta che avesse pronunziato o inteso pronunziare i santi nomi di Gesù e di Maria, ella chinava il capo con angelico raccoglimento. - Pas­savano però in tal modo giorni e mesi, e malgrado i suoi ardenti desiderii e le preghiere dell'amica, quell'anima santa non veniva ammessa ancora alla contemplazione immediata di Dio. Finalmente il tre dicembre, festa di S. Francesco Saverio, la giovinetta dovendo andare a comunicarsi nella chiesa dei Padri Gesuiti, invitò la defunta a seguirla e questa, fedele all'invito, l'accompagnò alla sacra mensa e rimase vi­cino a lei per tutto il tempo del ringraziamento che fu molto lungo, dopo del quale affettuosamente rin­graziandola, le annunziò che la sua prova era finita. L'otto dicembre, festa dell'Immacolata Concezione, le riapparve un'altra volta, ma sfolgorante già di tal luce che l'amica non poteva fissare su di lei lo sguar­do. Finalmente il 10 dicembre, mentre si celebrava la santa Messa, la vide, fra splendori assai più intensi e sublimi, avvicinarsi all'altare genuflettendo, e dopo averla ringraziata un'ultima volta delle preghiere da lei fatte, salire al cielo in compagnia del suo Angelo custode.
È dunque provata dalle rivelazioni dei Santi e da­gli esempi riferiti l'esistenza di un Purgatorio supe­riore, o, se vogliamo, di un luogo intermedio fra il Paradiso e il Purgatorio propriamente detto, dove le anime compiono la loro purificazione immuni da tor­menti, ma accese dal desiderio di raggiungere Dio.
Sembra inoltre confermato come le anime purganti passino dalle regioni inferiori alle superiori man ma­no che va compiendosi la loro purificazione. E' celebre a questo proposito. l'interessantissima apparizione av­venuta dal settembre al dicembre 1871 nel monastero delle Redentoriste a Malines nel Belgio.
Il padre di una religiosa di quel convento, certa suor Maria Serafina, al secolo Angela Aubepin, es­sendo passato di questa vita, apparve per lo spazio di tre mesi consecutivi alla figlia per chiederle suf­fragi. Durante il primo mese, le compariva tutto circondatto di fiamme, gridando: - Pietà, figlia mia, abbi pietà di tuo padre! - Guarda, le disse un gior­no, questa cisterna di fuoco in cui sono immerso! Siamo qui a soffrire in parecchie centinaia! Oh! se si conoscesse che cosa sia il Purgatorio, si farebbe di tutto per evitarlo e per soccorrere le povere anime che vi son racchiuse. - Spesso poi in mezzo alle fiam­me da cui era ravvolto, gridava: - Ho sete, ho sete! - Dal 14 ottobre in poi il povero defunto, quantun­que tormentato sempre da atroci patimenti, parve che non fosse più circondato da fiamme; senza dubbio egli era passato nella regione media del Purgatorio. Durante questo periodo disse un giorno alla figlia che i teologi non esagerano affatto, insegnando che i tormenti patiti dai martiri sono inferiori a quelli delle anime del Purgatorio; e avendogli nella vigilia d'O­gnissanti domandato la religiosa, dietro comando del confessore, su quale argomento sarebbe stato meglio che questi avesse predicato nel giorno della festa se­guente, rispose: - Ahimè! gli uomini non sanno o non credono abbastanza che il fuoco del Purgatorio è simile a quello dell'Inferno; se potesse ogni mor­tale fare una visita sola in quel carcere, non si com­metterebbe più un sol peccato veniale, tanto è punito rigorosamente! - Il giorno 30 novembre la religiosa intese che il padre con un doloroso sospiro pronun­ziava queste parole: - Mi pare un'eternità che son qui, la mia pena più grande in questo momento è una sete di Dio che mi divora e un desiderio irrefre­nabile di possederlo; ed ogni volta che mi slancio verso di lui mi sento sempre respinto nell'abisso, poichè la mia pena non è ancora compiuta. - Dal che è da dedurre che fosse già passato nel Purgatorio superiore; tanto più che il 5 dicembre si manifestò tutto splendido attraverso un'aureola di tristezza. Dal 5 al 12 dicembre non apparve più, ma dal 12 al 15 si mo­strò sempre più splendente. Finalmente durante la Messa della mezzanotte e precisamente nell'intermez­zo dell'elevazíone, apparve il defunto per l'ultima volta, circondato di luce e di beatitudine, dicendo a sua figlia: - Il tempo dell'espiazione è compiuto, ed io vengo a ringraziare te e l'intera comunità delle preghiere e dei suffragi fatti per l'anima mia. Pre­gherò in cielo per tutte voi, e per te, mia cara figlia, impetrerò una sottomissione perfetta alla divina vo­lontà e la grazia di entrare in cielo senza passare per le pene del Purgatorio. - Queste furono le sue ulti­me parole; la religiosa potè appena vedere il volto del padre suo, tanto era immerso nella divina luce.

CAPITOLO VI
IL PURGATORIO DELLE PERSONE CONSACRATE A DIO
«Cui multum datum est...»
Nei precedenti capitoli si è visto come Iddio nella sua eterna giustizia punisca le anime in relazione alle grazie delle quali hanno abusato; è quindi naturale che le persone a lui consacrate abbiano a subire dopo morte tormenti gravissimi, proporzionati alla subli­mità della loro vocazione. Secondo S. Francesca Ro­mana il carcere dei chierici aspiranti al sacerdozio, dei religiosi e delle religiose, si trova nella regione infe­riore del Purgatorio, al disotto di quello dei laici che commisero gravi colpe; i sacerdoti poi stanno spro­fondati ancor più in basso e proprio sul confine del­l'Inferno, in punizione di non aver sufficientemente corrisposto colla loro condotta alla sublime dignità che rivestivano in vita e alla conoscenza maggiore dei loro doveri, della quale erano capaci a preferenza de­gli altri. Quantunque riuniti in un medesimo luogo, ciascun di loro è punito secondo il numero e la gran­dezza delle colpe commesse, e secondo il posto che occupò nella Chiesa di Dio. Alla stessa stregua si misura la durata della pena. - Queste rivelazioni di S. Francesca Romana ci sono confermate da molte altre visioni particolari. Diceva un'anima del Purga­torio ad una pia religiosa del Belgio: - Figliuola mia, vivi da santa, poichè il Purgatorio riservato alle religiose è terribile. - Vincenzo di Beauvais nel libro settimo del suo Speculum historicum racconta che ad un monaco Benedettino, mentre era moribondo, fu mostrato il Purgatorio dei religiosi, nel quale vide alcuni di questi ravvolti da fiamme divoratrici che pe­netravano nelle loro carni come acuti dardi; altri di­stesi sopra graticole ardenti, che facevano spavento a vedersi, ed altri in vari modi martoriati, e il suo An­gelo custode gli disse: - Quelli che tu vedi in preda a tanti strazi sono religiosi appartenenti a tutti gli Ordini, e che sebbene non abbiano commesso mai gravi falli, si resero però colpevoli di molte piccole negligenze, che stanno ora severamente espiando prima di essere ammessi alla divina presenza. - Santa Margherita Maria Alacoque, mentre pregava una volta per tre persone morte di recente, due delle quali reli­giose, la terza secolare, fu chiesto familiarmente da Nostro Signore: - Quale delle tre vuoi tu che io lasci libera? - Signore, rispose la santa, degnatevi voi stesso di fare questa scelta a seconda di ciò che torni maggiormente a vostra gloria e piacimento. - Allora nostro Signore liberò il defunto secolare, dicendo che a lui ispiravano minor compassione i religiosi, ai quali egli dona tanti maggiori mezzi di meritare il Paradiso e di espiare i loro peccati in questa vita colla perfetta osservanza delle loro regole.
Abbiamo già appreso da S. Francesca Romana che i semplici chierici, i religiosi e le religiose, quantun­que trattati con più rigore dei laici, sono però tor­mentati meno dei sacerdoti. I falli poi che in questi maggiormente punisce la divina Giustizia sono so­pratutto quelli che provengono da tiepidezza nel di­vino servizio. - Al quale proposito riporteremo qui un fatto importantissimo che si legge nella vita della ven. madre Agnese di Langeac.
Mentre questa un giorno stava in coro pregando, le apparve una religiosa a lei sconosciuta, col volto mesto e abbattuto e in quella foggia di vestito che di notte sogliono adoperare le religiose, e mentre atten­tamente la guardava, udì una voce che le disse: - ­Colei che ti sta presente è la suora d'Altavilla (tale era il nome d'una monaca del Puy morta dieci anni innanzi). In quel mesto atteggiamento la defunta non pronunziava parola, ma abbastanza dava a vedere quanto bisogno avesse d'esser soccorsa. La M. Agne­se si pose allora fervorosamente a pregare per lei, pro­seguendo, per più di tre settimane, durante le quali la povera defunta, sempre penante, apparivele ad ogni momento e in ogni luogo, specialmente dopo la comunione e l'orazione comune. La buona religiosa avendo creduto suo dovere di darne avviso al con­fessore, questi stimò di farne consapevoli le monache di S. Caterina del Puy, alle quali aveva appartenuto la religiosa defunta; ma siccome la M. Agnese diceva che avrebbero preso il racconto per un sogno, si decise di non farne parola ad alcuno, ma che invece essa avrebbe fatto straordinari suffragi e ferventi pre­ghiere per quell'anima. Tuttavia continuando la de­funta le sue apparizioni come se i suffragi a nulla giovassero, la M. Agnese incominciò a temer forte­mente di esser vittima d'un'illusione; ma dal suo An­gelo custode fu assicurata trattarsi veramente di un'a­nima del Purgatorio, la quale così soffriva per la sua tiepidezza nel divino servizio. Dopo quest'apparizio­ne dell'Angelo cessarono quelle della defunta, dimo­dochè non si potè mai sapere quant'altro tempo sia ella dovuta restare in quel luogo di pene.
Dalla vita della stessa Venerabile, scritta dal Lan­tages, desumiamo quest'altro racconto. - Essendo morta una religiosa di Langeac, chiamata suor Serafi­ca, il confessore ordinò alla M. Agnese di supplicare Iddio affinchè le facesse conoscere lo stato di quel­l'anima. Ubbidì ella difatti, e umiliata al Signore la sua domanda ed offertasi vittima a lui in luogo della religiosa, sentì tosto un grande ardore invaderle tutto il corpo; da ciò comprese che la povera suora sof­friva il fuoco del Purgatorio, e infatti essendo stata poi essa trasportata laggiù in ispirito, la riconobbe fra molte anime, che bruciavano in quelle fiamme, ed intese che con voce lamentevole le chiedeva soccorso. Le apparve poi la defunta un'altra volta per doman­darle la benedizione, che subito la M. Agnese le im­partì. Otto giorni dopo, la pia superiora dopo la co­munione essendo scesa in coro a prostrarsi sul sepolcero della defunta, e con gemiti e lacrime domandando allo Sposo divino che liberasse quella figlia dalle fiamme che la tormentavano, sentì una voce che le rispose: - Continua, continua a pregare, poichè non è ancora giunto il tempo della liberazione di Serafica. - Due giorni dopo però, mentre la M. Agnese assi­steva alla Messa, vide al momento della elevazione che quell'anima saliva al cielo con estremo gaudio e letizia.
Si è parlato precedentemente di una religiosa della Visitazione, la quale apparve a S. M. Maria Alaco­que per stimolarla a pregare per lei, onde fosse libe­rata dalle pene che soffriva; ebbene, questa povera suora si lamentava sopratutto della troppa facilità con la quale in vita si era fatta dispensare dalla osservan­za della regola e dagli esercizi comuni, e deplorava vivamente le soverchie cure che aveva posto nel pro­curarsi comodi e sollievi, soggiungendo che se non fosse stata la Vergine Santissima, ella sarebbe andata irrevocabilmente perduta. Un'altra religiosa apparsa quasi contemporaneamente alla Santa non chiedeva alcun sollievo fra i suoi tormenti; meravigliandosi S. M. Maria Alacoque di ciò, le fu risposto che alla defunta non era permesso chiedere preghiere in pu­nizione di non aver corrisposto in vita alle disposi­zioni che Dio le aveva dato per il puro patire, mentre invece aveva cercato con troppa cura il suo benessere e prosperità temporale.
Voglia Iddio che questi esempi producano una sa­lutare impressione su quelle anime religiose, le quali, dopo essersi dedicate a lui, languiscono nel suo santo servizio resistendo alle ispirazioni della sua grazia e menando una vita tiepida e oziosa. Riferiamo ancora qualche esempio, che ci dimostri con quanta severità siano punite da Dio le mancanze contro i voti di po­vertà e di obbedienza. Del voto di castità non par­liamo, poiché coloro che non temono di macchiare sacrilegamente il loro corpo dopo di averlo donato allo Sposo Divino, non hanno posto al Purgatorio, ma molto più giù.
Dagli Annali dei Padri Cappuccini togliamo il rac­conto seguente. Frate Antonio Corso, celebre per il suo zelo nella penitenza, mortificava continuamente il suo corpo più di quanto la regola non prescrivesse. Per molti anni portò giorno e notte sulla nuda carne un cilizio pungentissimo; per nutrimento non prende­va che poco pane, ed acqua per bere. Negli ultimi anni della sua vita limitò a tre volte alla settimana questo misero pasto e raddoppiò le sue preghiere e le sue penitenze. Nella Settimana Santa si disciplinava per cinque ore di seguito, dandosi colpi di cilizio nu­merosissimi. Or bene, chi non avrebbe creduto che quell'anima sarebbe scampata senz'altro alle pene del Purgatorio? Invece la sorte fu ben diversa. Dopo la morte apparve un giorno il defunto all'infermiere del convento, al quale svelò il suo stato con queste parole: - Grazie alla misericordia divina io sono salvo, quan­tunque per un peccato commesso contro la santa po­vertà, tanto raccomandata dal nostro serafico Padre, meritassi l'Inferno. La Vergine Santa mi ha ottenuto la liberazione, ed ora sono condannato soltanto ad espiare il mio peccato in Purgatorio, poichè Iddio non tollera macchia alcuna nelle anime che vanno presso di lui. -
S. Maria Maddalena de' Pazzi racconta di una re­ligiosa trattenuta per alcuni giorni in Purgatorio per mancanze che a noi sembrerebbero leggerissime, co­me quella di aver fatto senza necessità certi lavoretti da donna in giorni festivi o di aver portato troppa affezione ai suoi parenti. La pena sarebbe stata an­cora più dura se non l'avessero resa accetta a Dio la sua fedeltà nell'osservanza della regola, la sua purità di intenzione e la sua carità verso le consorelle.
A proposito poi delle mancanze di carità dei reli­giosi, nella vita di S. Luigi Bertrando si legge come essendosi il Santo trattenuto una notte dopo mattu­tino in coro a pregare, vide comparirsi un religioso, circondato di fiamme, che gettandosi ai suoi piedi lo supplicò di volergli perdonare una parola ingiuriosa, che vivendo aveva pronunziato contro di lui molti anni innanzi, e solo per la quale diceva di essere con­dannato da Dio in Purgatorio; implorava quindi da lui per carità una Messa sola, che sarebbe bastata a liberarlo da quelle pene. Avendo il Santo soddisfatto al desiderio del defunto, lo vide nella notte seguente glorioso e raggiante salire al cielo (Vita S. Ludovici, in Diario Dominicano, 10 Octobris). Questo esempio valga da solo a farci pensare seriamente all'espres­sione di N. Signore nel Vangelo: Chiunque dirà al suo fratello: Tu sei pazzo, sarà condannato al fuoco (Matt., 5, 22).
S. Margherita M. Alacoque vide in sogno una re­ligiosa morta molto tempo prima, la quale le disse di soffrire assai in Purgatorio, ma che la pena maggiore con cui Dio la castigava era quella di farle vedere di continuo una delle sue parenti precipitata nell'In­ferno. A tale rivelazione la Santa si svegliò tanto sof­ferente da sembrare che la defunta le avesse impresso nel corpo le sue pene, e siccome, trattandosi di un sogno, non voleva prestarvi troppa fede, quell'anima non le concedeva riposo e le ripeteva continuamente all'orecchio: - Pregate Iddio per me; offritegli le vostre sofferenze in unione a quelle di Gesù ed a sol­lievo dell'anima mia. Fate per me tutto ciò che po­trete fino al primo venerdì del mese in cui vi comu­nicherete in mio suffragio. - Tutto ciò fu eseguito dalla Santa con permesso della superiora; nondimeno le sue sofferenze aumentando la spossavano orribil­mente e non le permettevano più di prender riposo; e poiché per riparare le forze l'obbedienza l'avea co­stretta a stare in letto, ecco quell'anima venirle nuo­vamente vicino, e rimproverandole la sua pigrizia e le sue comodità, additarle il letto di fuoco su cui essa giaceva in Purgatorio, letto orribile e tormentoso, sul quale ogni più leggera mancanza contro la regola veniva punita severamente con speciale castigo; e sog­giungeva: - Vorrei che tutte le anime consacrate a Dio potessero vedere il mio stato; se potessi far loro conoscere la grandezza delle mie pene e quelle ancor maggiori riserbate a chi non corrisponde alla voca­zione avuta, camminerebbero tutte con ardore per la strada della virtù e dell'osservanza della propria re­gola.
Perciò le persone consacrate al Signore con la professione religiosa devono attentamente vigilare sopra ogni loro parola, sopra ogni loro azione e pensiero, per non rimanere un giorno colpite dalla severa giu­stizia di Dio.
Il Purgatorio dei sacerdoti Che dovrà dirsi poi di coloro che in forza del sacer­dozio sono divenuti altrettanti Cristi viventi in mezzo agli uomini? Come depositari della scienza sacra non varrà per loro la scusa dell'ignoranza; come dispen­satori dei Sacramenti, canali pei quali le grazie e le virtù divine si spandono sugli uomini, non potranno addurre per pretesto la loro debolezza; come elevati alla più alta dignità che esista sulla terra, infatti par­tecipi del sacerdozio eterno di Cristo, rivestiti della sua divina autorità sulle anime, non potranno sfug­gire al più alto grado di pena quando si rendano col­pevoli d'infedeltà e di prevaricazione. E ohimè! pur­troppo chi sa a quanti di loro possono applicarsi le terribili parole dell'Apostolo: Hic jam quaeritur inter dispensatores ut fidelis quis inveniatur! (1 Cor., 4, a) ­Quanto al Purgatorio ad essi riservato le rivelazioni de' Santi ci raccontano particolari veramente spaven­tosi. Suor Francesca da Pamplona, già citata altre volte, dice che ordinariamente i sacerdoti restano in Purgatorio più a lungo dei laici, e racconta di un prete rimasto per lunghi anni in Purgatorio per avere con colpevole negligenza, lasciato morire un giovane senza Sacramenti. Quanto è eccellente la dignità di un sacerdote, quanto gravi sono le sue responsabilità, altrettanto spaventose sono le pene riservategli in Pur­gatorio qualora trascuri qualcuno dei suoi doveri o si lasci trascinare in una rilassatezza non consona alla sua vocazione.
Al celebre Giovanni da Lovanio furono riservate pene durissime in Purgatorio per aver troppo deside­rato le dignità ecclesiastiche e per l'abuso, tanto co­mune a quei tempi, di aver posseduto più di un lauto beneficio contemporaneamente. Caritatevole come era, aveva fatto grandi doni a molti monasteri, e special­mente a quello di Ruremonde, dove allora era priore il ven. Dionigi Cartusiano, e dove il prelato volle es­ser sepolto per proseguir quasi a godere in qualche modo la compagnia di quei santi monaci ed usufruire delle loro preghiere. Or avvenne che durante i suoi funerali il catafalco, che sorgeva in mezzo alla chiesa, fu all'improvviso ravvolto in una nube nerissima, dalla quale uscivano fuoco e fiamme. Lo stupore dei presenti fu immenso, e insieme allo stupore il dubbio che il defunto fosse dannato. Il ven. Dionigi Cartu­siano per un anno intero offrì Messe e suffragi per l'insigne benefattore ed amico. Nel giorno anniversa­rio della morte di Giovanni da Lovanio la scena si rinnovò, ma questa volta una nube meno densa av­volgeva il catafalco, e nel di del secondo anniversa­rio, invece della nube, i monaci videro una splendida luce in mezzo alla quale saliva al cielo l'anima del prelato; libera ormai da ogni pena. (Bolland. - Vita Dionysii Carthus. 2 Martii).
Citiamo ancora un esempio che valga ad allontanare gli ecclesiastici dal desiderio delle dignità e degli onori.
La B. Giovanna della Croce religiosa francescana aveva conosciuto uno dei più illustri prelati de' suoi giorni, il quale per molto tempo l'aveva trattata con carità e rispetto singolare, ma poi in seguito ad un avvertimento da lei datogli da parte di Dio per invi­tarlo a correggersi da alcuni difetti di carattere, se ne offese per modo che cercò di perseguitarla in ogni maniera. Morì egli, e la Santa, per contraccambiare il male col bene, si pose a pregare per lui con tutto il fervore del suo spirito. Una notte mentre era in ora­zione, ecco apparirgli il defunto col viso abbattuto e piangente, con una mitra di fuoco sulla fronte, con un pastorale di fuoco in mano, e colle labbra serrate da catene roventi che gli permettevano appena di emettere soffocati singhiozzi. Egli che un giorno an­dava tanto orgoglioso della sua dignità, trovavasi ora umiliato oltre ogni credere, e in luogo de' suoi ricchi vestimenti era ricoperto appena da un abito lacero e sozzo: si trovava poi circondato da varie anime che pei suoi mali esempi erano state indotte alla rilassa­tezza. - Spaventata da quello spettacolo la B. Gio­vanna domandò al suo Angelo custode se le pene che il misero prelato soffriva fossero d'Inferno o di Pur­gatorio: - Dio te lo farà sapere a suo tempo, rispose quegli, e non aggiunse altro. - Nonostante questa incertezza in cui era rimasta, ella proseguì i suoi suf­fragi, e pochi giorni dopo vide comparire di nuovo l'anima del defunto, molestata da pene molto minori, la quale ringraziandola e supplicandola di continuare i suoi suffragi le chiese umilmente perdono della sua ingiusta condotta verso di lei. Giovanna allora si pose all'opera con maggior impegno di prima, e poco tem­po dopo ebbe la consolazione di veder quell'anima interamente libera da ogni pena salire al cielo. (Cron. dei Frati Minori, p. IV, lib. 11, capo 18).
Vediamo ora quali sono le colpe che Dio più seve­ramente punisce nei sacerdoti. - Se nei laici la tie­pidezza nel divino servizio è riprovevole, che dovrà dirsi dei ministri del Santuario, sul cuore de' quali ogni mattina riposa il Cuore di Gesù? S. Bernardo parlando della punizione toccata ad uno de' suoi mo­naci per esser caduto in questo difetto, racconta che mentre gli si celebravano le esequie, un vecchio mo­naco di esemplare santità intese un gruppo di demoni tutti allegri e festosi gridare: - Finalmente! anche in questo luogo abbiamo potuto trovare un'anima che apparterrà a noi! - E la notte seguente apparsogli lo stesso defunto e conducendolo sull'orlo di un pre­cipizio pieno di fumo e di fiamme: - Vedi, gli disse, ecco il luogo d'onde i demoni furibondi verso di me hanno da Dio il permesso di lanciarmi continuamente e ritrarmi dall'abisso senza lasciarmi un momento di tregua. - Appena albeggiato, il buon monaco corse a dar notizia della visione avuta a S. Bernardo, il quale durante la notte avendone avuta una simile, convocò immediatamente il capitolo, e colle lacrime agli occhi dato conto a tutti i monaci dello stato del loro confratello, li esortò a pregar vivamente pel suo riposo e a trar profitto dal triste esempio per avanzare con fervore nelle vie delta perfezione.
Una delle più importanti missioni del sacerdote è senza dubbio quella di essere sulla terra il ministro della preghiera della Chiesa. Mentre gli uomini del secolo attendono ai loro lavori, e si contentano appe­na di un breve ricordo innalzato a Dio mattina e sera, il sacerdote, qual novello Mosè sul monte santo, sol­leva al cielo per sette volte al giorno il suo pensiero ed il suo cuore, onde la benedizione di Dio scenda copiosa sul popolo eletto. Si rende perciò gravemente colpevole quel sacerdote, che trascura gli obblighi di questo gran ministero di intercessione, o almeno li compie con tal negligenze che la Chiesa resta priva del frutto che dovrebbe ricavarne. Un esempio con­facente a quanto diciamo è riferito da San Pier Da­miani nella lettera quattordicesima all'abate Deside­rio.
S. Severino arcivescovo di Colonia, il quale era stato insignito da Dio del dono dei miracoli, e per la sua vita apostolica, pel suo zelo ardente, per le grandi fatiche sostenute per l'accrescimento del regno divino sulle anime, arrivò a meritare gli onori sublimi della canonizzazione, dopo morte apparve ad uno dei cano­nici della cattedrale per implorarne suffragi. E poichè questo altamente meravigliavasi di sentire che soflrisse le pene del Purgatorio, ed allegava la vita esem­plare da lui menata e il concetto di santo in cui era tenuto dai fedeli, il defunto rispose: - Iddio mi ha fatto, è vero, la grazia di servirlo con tutto il cuore, ma la mia fretta soverchia nel recitare il breviario, ed il farlo talvolta in ore diverse da quelle che la Chiesa prescrive; a motivo delle mie grandi occupazioni, mi hanno condotto in questo luogo di pena, e poiché Dio mi ha permesso di venire ad implorare le vostre pre­ghiere, non vogliate, vi supplico, rifiutarmele. - La storia soggiunge che S. Severino restò più di sei mesi in Purgatorio per questa mancanza sì lieve.
Il beato Stefano, religioso francescano, essendo so­lito di passare ogni notte alcune ore davanti al SS.mo Sacramento, vide una volta seduto in uno degli stalli del coro un religioso, col volto nascosto nel cappuc­cio. Stupito per tal novità, gli si avvicinò, doman­dandogli che cosa mai facesse lì a quell'ora, mentre gli altri frati riposavano. Al che quegli con voce lu­gubre rispose: - Io sono un religioso morto in que­sto monastero e condannato dalla divina Giustizia a far qui il mio Purgatorio, meritato per le numerose negligenze da me commesse in questo luogo stesso nella recita del divino ufficio, e per la tiepidezza e le distrazioni volontarie da me usate nel pregare. - Avendo allora il Beato recitato in suffragio di quel­l'anima il De profundis e l'Oremus Fidelium, il de­funto parve ritrarne gran sollievo. Per molte altre notti poi seguitò ad apparire per eccitare la compas­sione di lui, finché una volta, dopo la recita del De profundis, Stefano lo vide abbandonare lo stallo con un gran sospiro di soddisfazione in segno che la sua prova era finita (Cron. dei Frati Min., lib. IV, c. 30).
Tuttavia il ministero più sublime e più delicato di un sacerdote è quello della celebrazione della Santa Messa. Quante cure si prende la Chiesa per formare dei preti compresi della loro dignità e delle loro responsabilità in ordine specialmente alla celebrazione del divin Sacrificio. Ogni abuso in proposito è senza dubbio punito severamente dalla Divina Giustizia, quindi le irriverenze e le mancate attenzioni nella ce­lebrazione del sacro Rito, l'accumular di intenzioni, che poi è impossibile soddisfare a tempo e luogo, non passeranno impunite dinanzi a Dio.
Apparizioni di sacerdoti defunti, che hanno inmplo­rato l'aiuto di anime pie e generose, ne potremmo ci­tare molte, basterà tuttavia ricordarne alcune a prova di quanto sopra abbiamo affermato.
Nell'anno 1859, nell'abbazia dei Benedettini di La­trobe, in America, accadde una serie di apparizioni delle quali il giornalismo americano ebbe molto a occuparsi, ma con tanta leggerezza, che l'abate Wim­mer, superiore di quel monastero, per far cessare gli scandali e ripristinare i fatti nella loro vera realtà, scrisse ai giornali la seguente relazione.
«Nella nostra abbazia di S. Vincenzo presso La­trobe il 18 settembre 1859 un novizio vide apparire un religioso che da quel giorno fino al 19 novembre si presentò regolarmente dalle undici del mattino fino al mezzodì, o dalla mezzanotte alle due antimeridia­ne. Il 19 di detto mese essendo stato lo spirito inter­rogato dal novizio in presenza d'un altro religioso di quella comunità, rispose che da settantasette anni stava penando per non aver soddisfatto all'obbligo della celebrazione di sette Messe; che era già apparso in diverse epoche a sette altri Benedittini di quel monastero senza che lo avessero mai potuto compren­dere, e che se il detto novizio non fosse venuto ora in suo soccorso, non avrebbe più avuto facoltà di comparire se non dopo undici anni. Domandava quindi che fossero celebrate le sette Messe, che il novizio per lo spazio di sette giorni dovesse fare esercizi spiri­tuali e conservare perfetto silenzio, e per trenta giorni dovesse recitare tre volte il dì il salmo Miserere coi piedi scalzi e le braccia aperte. Nello spazio dal 20 novembre al 25 dicembre, adempiute queste prescri­zioni del defunto, lo spirito dopo la celebrazione del­l'ultima Messa cessò di comparire. In tutto questo tempo erasi egli presentato con maggior frequenza, eccitando il novizio colle piú commoventi espressioni a pregare per le anime del Purgatorio, dicendo che queste infelici soffrono orribilmente e che sono gra­tissime a coloro che contribuiscono ad affrettare la loro salvezza. Soggiunse poi che di cinque sacerdoti morti fino allora nell'abbazia, nessuno era ancora sa­lito in cielo, e che tutti stavano soffrendo in Purga­torio». Questa relazione legalmente firmata dall'abate Wimmer, esclude qualunque commento.
Sempre a proposito di Messe dimenticate, leggiamo nelle Cronache dei Carmeilitani. Scalzi (tomo II, libro VII, cap. 64) che il P. Domenico della Madre di Dio, priore nel Monastero di Nostra Signora del Rimedio, quantunque avesse menato nel Chiostro una vita edi­ficante, nondimeno fu condannato a rigorose pene in Purgatorio, per non aver colpevolmente soddisfatto a un certo numero dì intenzioni: Qualche tempo dopo la sua morte, la divina misericordia gli permise di comparire a Fra Giuseppe di S. Antonio, religioso converso, uomo semplice e pio, il quale si dette pre­mura di avvisare subito il nuovo Priore delle pene che il P. Domenico soffriva in Purgatorio, e degli aiuti che chiedeva pel riposo della sua anima, specialmente di celebrazioni di sante Messe. Il Priore non volle prestare orecchio al racconto del fratello laico, e il povero defunto apparso di nuovo, scongiurò i suoi confratelli in nome della carità e della religione ad aver pietà del suo deplorevole stato soddisfacendo alle Messe da lui non soddisfatte. A questo secondo av­viso il Priore si arrese, e appena celebrate le Messe le apparizioni cessarono.
Per soddisfare ad obblighi di giustizia contratti con le anime del Purgatorio molti sacerdoti celebrano di tanto in tanto delle Messe per soddisfare agli obbli­ghi di Messe eventualmente non soddisfatte. Santa pratica, che vivamente raccomandiamo a tutti i nostri confratelli nel sacerdozio. Nè mancano da noi Asso­ciazioni di suffragio fra sacerdoti, dette Centurie, i cui ascritti si obbligano ad applicar delle Messe ogni volta che muore un confratello. Così i sacerdoti, spes­so dimenticati perfino dai parenti e dagli eredi, si assicurano i suffragi dopo morte. Bellissima cosa, me­ritevole di estendersi in tutte le Diocesi.

CAPITOLO VII
STATO SOPRANNATURALE DELLE ANIME DEL PURGATORIO
Meriti e soddisfazione in Purgatorio
Prima di compiere il miracolo della guarigione del cieco nato (Cap. IX di S. Giov.), Gesù uscì in questa espressione: « Me oportet operari opera eius, qui mi­sit me, donec dies est: venit nox, quando nemo potest operari - Bisogna che io faccia le opere di chi mi ha mandato, fintanto che è giorno: viene la notte quando nessuno può operare » (Id. IX, 4). Il giorno di cui parla il Signore è la vita terrena, la notte la morte del corpo. Finchè si vive quaggiù, si può me­ritare per l'altra vita, tosto che giunge la morte, è preclusa la via dell'acquisto dei meriti. Appena mor­to, il povero Lazzaro fu portato dagli Angeli nel seno di Abramo, mentre il ricco Epulone morì e fu tosto sepolto nell'Inferno (Luca, XVI, 19-22). « Coloro che vivono - scrive S. Girolamo - possono compiere opere meritorie, ma i morti nulla possono aggiungere ai meriti acquistati durante la vita terrena » (In Ec­cles., IX, 4). Il tempo della prova cessa col cessare della vita terrena e con lui il tempo utile per l'acquisto dei meriti. Il meritare è proprio solamente di quaggiù: in cielo gli atti soprannaturali non hanno valore meritorio; l'albero che ha raggiunto il suo pie­no sviluppo non cresce più. Tanto meno potrebbero avere valore soddisfattorio, perchè essendo compiuti in pieno possesso della felicità, manca loro l'elemento essenziale dello sforzo o del sacrificio, da cui sorge la virtù soddisfattoria. Nel Purgatorio neppure ha luogo il merito; la virtù soprannaturale è arrestata nel suo sviluppo finale e come rappresa. Una soddisfa­zione si dà, ma questa è inalienabile ed è assorbita per l'intero nell'espiazione dovuta a Dio da chi vi pena; questa non soddisfa nè può soddisfare che per se medesimo. Al momento in cui, pagato il debito, potrebbe essere in grado di donare della propria so­vrabbondanza, lo investe la gloria che rende impossi­bile ogni opera soddisfattoria » (J. A. Chollet, 1 no­stri Defunti, pag. 270)

Scienza delle anime del Purgatorio
La mente conserva tutta la sua attività in Pur­gatorio; l'intelligenza ha anzi un campo più aperto al sapere e una considerevole mèsse di cognizioni vi matura. E prima di tutto vi si raccoglie la messe dei ricordi. Difatti, come abbiamo dimostrato parlando degli eletti, anche nel Purgatorio si conserva la fa­coltà della memoria. Per qual ragione invero potreb­be essere soppressa? L'anima ha recato, seco, anzi mantiene in se stessa le tracce della sua vita terrena ogni giorno è descritto sulla pagina della coscienza a caratteri incancellabili, come sopra un foglio che non può perire; ogni pensiero, ogni volere, tutte le pa­role, tutte le azioni vivono nella memoria. Bisogne­rebbe che l'anima si separasse da se stessa e cambiasse la propria essenza, se dovesse distruggere ogni resi­duo della vita passata » (Op. cit., pag. 157).
Dopo la condanna da parte del Papa Leone X della dottrina di Lutero, che riteneva essere incerte le ani­me del Purgatorio della loro eterna salvezza, tutti i teologi sono d'accordo nell'insegnare, e la dottrina è certa, che le anime purganti sono sicure della loro salute eterna, ed è probabile che esse conoscano altresì la durata della loro medesima pena, come siamo indotti a credere dalle molte rivelazioni a questo pro­posito. Del resto quando l'anima è stata giudicata, ci sembra naturale che Iddio le faccia conoscere la sua sentenza. La durata della pena potendo variare da un tempo minimo a lunghissimi anni, non vedia­mo come mai il divin Giudice dovrebbe ritenersi come un segreto una cosa di sì grande interesse per le anime.
Ora ci possiamo domandare quale conoscenza ab­biano le anime del Purgatorio delle cose di questa terra. Conoscono esse le nostre condizioni, sono al corrente di quanto facciamo per loro! Ecco come ri­sponde lo Chollet: « Fra le fiamme o nella luce del cielo, in Purgatorio o in Paradiso, l'anima possiede la stessa natura mantiene colla terra gli stessi rap­porti di conoscenze se gli avvenimenti di questa vita possono essere noti agli abitatori del cielo, lo soro ugualmente per gli eletti trattenuti in Purgatorio.
Quelli che noi abbiamo perduto e che piangiamo, non ci hanno del tutto abbandonato. Divenuti imma­teriali, non essendovi per loro questione alcuna di luogo o di distanza, essi ci sono vicini; fatti chiaro­veggenti, poichè non ha luogo per essi questione al­cuna di ostacolo a conoscere o di ignoranza, ci rico­noscono, ci seguono in ogni passo, e con la delica­tezza d'un amore che diviene sempre più puro, col­l'attenzione d'uno sguardo che si fa sempre più chia­ro, ne circondano della loro sollecitudine e affezione. Come volentieri farebbero passare in noi quell'ardore di carità che li divora e li trasporta, quella sicurezza della salute che li fa beati! (Op. cit., pag. 163).
Come si vede, il chiaro autore ammette che le ani­me del Purgatorio abbiano una conoscenza diretta degli avvenimenti di questa vita; altri autori, come il Suarez, risolvendo diversamente altre questioni stret­tamente unite con la presente, ammettono che le ani­me purganti siano si al corrente degli avvenimenti di quaggiù, ma indirettamente, essendone informate dai loro Angeli custodi.
Inoltre in Purgatorio si conosce lo stato delle anime dannate. « Nulla impedisce alle anime purganti di spingere l'occhio spaventato nelle profonde, eterne, disperate tenebre dell'Inferno. Anche i dannati e i demoni sono sostanze immateriali, oggetto per conse­guenza della cognizione di ogni intelligenza spiritua­le. Qualunque spirito può vederli, riconoscerli; essi nell'onta del proprio supplizio sono sempre uno spet­tacolo agli occhi degli abitatori del Purgatorio e del Cielo. L'anima purgante osserva dunque l'anima dannata e confrontando il proprio col supplizio di quella, attinge da tal considerazione un sentimento di sicu­rezza per se medesima, di riconoscenza verso Dio, di orrore sempre più vivo per il peccato che ha acceso e mantiene quella doppia fornace della giustizia di­vina (Op. cit., pag. 162).
Alla domanda, in ultimo, se le anime del Purgato­rio conoscano i futuri contingenti, rispondiamo che possono conoscerli soltanto se Iddio li comunica loro, ma mai di scienza propria. L'esame delle rivelazioni ci fa conoscere che qualche volta Iddio ha messo a conoscenza delle anime purganti i futuri contingenti. La regina Claudia, moglie di Francesco I di Francia, apparsa alla beata Caterina Racconigi, le annunziava che i francesi, capitanati dal loro Re, sarebbero scesi in Italia, e che il Re sarebbe stato vinto e fatto pri­gioniero a Pavia; come difatti avvenne pochi mesi dopo.

Le anime del Purgatorio sono sante
Passando ora dall'ordine intellettuale a quello mo­rale, possiamo affermare che le anime del Purgatorio sono sante. « in Christo quiescunt », « dormiunt in sommo pacis ». Questo contro la tesi di Lutero, che voleva le anime del Purgatorio in stato di continuo peccato. E non solo esse sono sante, ma la loro san­tità è eternamente durevole, perché sono confermate in grazia e si trovano nella felice impotenza di peccare, potendo nello stesso tempo esercitare le più belle virtù cristiane. « Allorchè l'anima entra nel Purgatorio per la ragione che essa vi giunge in unione con Dio, ed oltre a ciò apprende per l'intelligenza imme­diatamente e in un colpo d'occhio i rapporti di tutte le cose col loro Creatore, aderisce irrevocabilmente a Dio e a tutto quello che di divino si riscontra nelle creature. Ella non può più non amare Iddio, non pre­ferire le virtù che conducono e piacciono a lui, non, accettare i suoi comandamenti, non amare in sè l'o­pera e la creatura di Dio, non amare il prossimo in cui è l'immagine di Dio » (Chollet, I nostri defunti, parte II, cap. III). Questo che andiamo affermando sembra paralizzare la libera volontà dell'anima umana ddpo la morte del corpo, dal momento che le è tolta ogni scelta tra bene e male, tra virtù e peccato, tra più perfetto e meno perfetto, tra la scelta di un mezzo a preferenza di un altro. Riflettiamo, e ogni dubbio sarà dissipato.
"La volontà è la facoltà del bene, nè può volere che il bene; e quando pure si volge al male lo ap­prende come bene e come vantaggio; che sebbene falso questo bene e questo vantaggio, e semplice­mente apparente, solo a motivo di questa sua appa­renza la volontà vi si attacca. Nel Purgatorio invece l'intelligenza è rischiarata e vede le cose tali quali sono; il male è male, il bene è bene davanti ad essa; ogni velo è strappato e le false apparenze del bene a quella luce si dileguano; la nebbia seduttrice che na­sconde il male che produce come una vertigine nello spirito, che fa cedere la volontà, è dissipata. La vo­lontà che di sua natura è facoltà di scegliere fra le varietà dei beni che le sono proposti, non può volgersi più a cose che sono fuori dell'orizzonte del be­ne; non può scegliere più il male, giacché non le si presenta ormai che come male».
«Dov'è dunque la diminuzione della libertà? Non è questa condizione piuttosto un miglioramento del libero arbitrio, un'elevazione della volontà, che è po­sta nella impossibilità di sbagliare? E' forse più per­fetto l'occhio, perché può coprirsi con le palpebre e non veder più, ovvero perché può essere avvolto nel buio o paralizzato nella sua attività visiva?... Un oc­chio cui sia permesso di non vedere, è preferibile certamente a quello che può essere eclissato. Nello stesso modo la volontà che non può volere se non il bene vero, è più perfetta di quella che può attaccarsi al male e subire così delle fatali eclissi».
Del resto, Dio pure è libero, infinitamente libero, anzi è la libertà essenziale; e tuttavia tanto meno che alle anime del Purgatorio gli è possibile volere il male o l'imperfezione. Diciamo dunque che nel Purgatorio le anime godono di una libertà superiore, somiglian­te, nei limiti che convengono alla creatura a quella stessa di Dio. Questa libertà si esercita nella scelta dei beni reali, e fra gli atti d'amore verso Dio; nelle pa­role adatte a testificarglielo, negli slanci che confer­mano il pentimento, nelle grazie domandate per gli amici loro lasciati nell'esilio, che è dovere di soccor­rere. Vasto è il campo adunque che resta alla libertà, il cui pregio è conservato ed anzi moltiplicato » (Idem).
Le virtù teologali sono naturalmente praticate dalle anime del Purgatorio, e in grado eminente. Praticano la fede, non essendo ancor giunte a quel termine, nel quale le ombre della fede si dissipano alla chiarezza dell'eterna luce. Hanno la virtù della speranza, anzi essa possiamo chiamarla virtù del Purgatorio per ec­cellenza. Prive attualmente del cielo, anelano di pos­sederlo al più presto, attendono con santa impazienza il giorno in cui vedranno schiudersi le porte del Pa­radiso. Conoscendo poi a perfezione le gioie della ca­rità, come non potrebbero non amare Dio di tutto cuore? Chi potrà dire gli atti di amore purissimo che in ogni istante si sollevano da quelle fiamme, e che compensano ampiamente per la gloria di Dio le grida di rabbia, che di continuo emettono i dannati nell'in­ferno? Un'anima del Purgatorio rivelò un giorno a un santo religioso esser solita di fare continuamente i tre seguenti atti di amore:
- O mio Dio, datemi l'amore di cui bruciano i Serafini!
Datemi ancor di più: l'amore, cioè, di cui avvampa il cuore della SS. Vergine!
O mio Dio, fate che io possa amarvi di quell'amore di cui voi amate voi stesso!
Ma ascoltiamo a questo proposito gli ammirabili insegnamenti di S. Caterina da Genova. «Io rilevo, essa dice, una conformità così grande fra Dio e l'ani­ma del Purgatorio, che per ricondurre questa alla sua purezza originale il Signore le imprime un movimen­to d'infocato amore attrattivo, sufficiente per annichi­lirla se non fosse immortale. Quest'amore e quest'at­trazione unitiva agiscono continuamente e potente­mente su di lei, tanto che se essa potesse scoprire un altro Purgatorio più terribile di quello in cui si trova, vi si precipiterebbe volentieri, spinta vivamente dalla impetuosità di quell'amore, e questo affine di liberarsi più presto da tutto ciò che la separa dal sommo Be­ne » (Tratt. del Purg., capo 9).
Possiamo quindi ritenere che le anime del Purgatorio praticano le virtù della fede, della speranza e della carità in grado eminente: il che per noi poveri peccatori così tiepidi e fiacchi, deve riuscire di grande consolazione.
Quanto abbiamo detto delle virtù teologali, si può ripetere delle virtù morali: rassegnazione alla divina volontà, gratitudine, spirito di orazione, amore del prossimo, pazienza, umiltà, ecc.
A proposito della rassegnazione alla divina volon­tà, S. Caterina da Genova scrive: «Queste anime vi­vono così intimamente unite alla volontà di Dio, e sì completamente trasformate in essa, che sono sempre soddisfattissime di quanto da lei è sapientemente di­sposto».
«Le anime del Purgatorio non hanno elezione pro­pria; esse possono volere e disvolere solo quello che Dio vuole o non vuole. Esse accettano di buon grado tutto ciò che Dio loro dà, e né i piaceri nè le pene fanno loro esaminare come vengano e perchè venga­no» (Tratt. del Purgatorio, capi 13 e I4).
Questa completa ed eroica rassegnazione alla vo­lontà di Dio, la quale pena non esclude in esse una continua e perfetta contrizione per le offese fatte ad un Signore sì grande e buono, va unita per solito alla più profonda umiltà. Il P. Faber dice che sebbene molti Santi abbiano avuto in questo mondo più amore per Iddio che non molti Beati del cielo, il più gran santo della terra pera non è mai arrivato al grado di umiltà delle anime del Purgatorio.
A Dole, nella Franca-Contea, nel 1629 un'anima del Purgatorio, apparsa ad un malato per 40 giorni continui, si pose al suo servizio, venendo due volte il giorno a visitarlo e prestandogli tutte quelle cure che il più fido domestico gli avrebbe potuto prodigare. Un giorno l'infermo commosso e riconoscente per tanta bontà le domanda chi ella fosse, che sì caritate­volmente lo assisteva. - Io sono, rispose quella, la tua defunta zia Leonarda Colin che morì 17 anni fa lasciandoti erede del suo patrimonio. Per misericor­dia di Dio e per grazia della SS. Vergine, verso la quale ebbi in vita una tenera divozione, mi trovo in luogo di salute. Il Signore mi ha ora permesso di venire presso di te a servirti per 40 giorni, dopo i quali io sarò liberata dalle mie pene se tu farai tre pellegrinaggi a tre diversi santuari di Maria Santis­sima. - Il malato dubitando della realtà dell'appari­zione volle consultarne il confessore, e dietro il con­siglio di questo, dopo avere inutilmente sperimentato le invocazioni e gli esorcismi della Chiesa, fece alla defunta quest'obbiezione: - Come è possibile che voi siate la mia zia Leonarda, la quale in vita era irascibile e severa, mentre vi veggo così mite, così compiacente e piena di pazienza? - Ah! mio caro nipote, rispose l'anima, diciassette anni di Purgato­rio son più che adatti ad insegnare la pazienza, la dolcezza e la tolleranza dei difetti del prossimo! E poi non siamo noi confermate in grazia e contrassegnate coll'impronta degli eletti, e quindi incapaci di più peccare? (V. Teofilo Raynaud, Heterocliti spiritus, pars II, sect. III, cap. 5).
E siccome la carità verso Dio va sempre accompa­gnata all'amore del prossimo, le anime del Purgato­rio godono del bene degli altri, nè, per esempio, provano invidia per la sorte di quelle loro compagne che, più felici di loro, stanno per finire il tempo della prova, ma anzi se ne rallegrano e fanno festa quando le vedono salire al cielo. Specialmente poi verso viventi esse esercitano la bella virtù della carità. San­ta Caterina da Bologna quando voleva ottenere qual­che grazia speciale si rivolgeva alle anime del Pur­gatorio, sicura di esserne esaudita, e diceva anzi che molte grazie che dai Santi del Paradiso aveva implo­rato invano, le ricevette poi sempre per intercessione delle anime del Purgatorio. Racconta il Baronio che un tale, il quale in vita era stato devotissimo di quelle anime, assalito in punto di morte da forti tentazioni, e ormai disperato della sua eterna salute, vide com­parirsi davanti buon numero di spiriti celesti, i quali gli dichiararono di essere venuti a liberarlo da quel pericolo e condurlo in cielo per gratitudine della de­vozione da lui avuta verso di loro mentre erano in Purgatorio.
«Or sono circa 20 anni (il libro da cui togliamo il racconto fu stampato nel 1929), così racconta un pio e dotto gesúita, già Professore dell'Università di Georgetown in Columbia, io accompagnavo un certo numero di membri molto ragguardevoli della nostra Compagnia. I Padri portavano preziosi documenti, il denaro per il viaggio, l'obolo di S. Pietro e preziosi doni per le opere della Compagnia. Noi dovevamo valicare gli Appennini e non ignorando come le gole di quei monti fossero infestate da banditi, avevamo avuto cura di scegliere un cocchiere onesto. Prima di partire era stato stabilito che ci saremmo messi sotto la protezione delle Anime del Purgatorio, recitando ogni ora un «De Profundis». Luigi, il cocchiere, aveva ricevuto la consegna di battere, in caso di pe­ricolo, tre colpi distinti sull'imperiale della vettura, col manico della frusta.
«Per tutto il giorno viaggiammo tranquillamente, non soffermandoci se non per prendere, noi e i nostri cavalli, il necessario nutrimento. Al crepuscolo erava­mo giunti sulla vetta di un'atta montagna. Assorti nella contemplazione della bella e selvaggia natura, fummo chiamati alla realtà da tre colpi sulla coper­tura della carrozza. Prima che avessimo avuto il tempo di interrogare Luigi, questi aveva somministrato ai cavalli delle frustate così vigorose, che i medesimi precipitandosi con vertiginosa rapidità, po­co mancò che non ci gettassero fuori della vettura. Demmo un'occhiata all'infuori e con meraviglia, non scevra di orrore, scorgemmo sui due lati della via una dozzina di banditi armati di fucili in atto di tirare. Ma, caso strano, li vedemmo altresì restare immobili nel loro minaccioso atteggiamento, al pari di statue, sino a che non apparvero più ai nostri occhi che quale punto impercettibile sull'orizzonte.
«Nessuno di noi aveva fiatato, ma tutti ci eravamo internamente raccomandati all'Onnipotente. Alla fine il cocchiere potè fermare i cavalli, bianchi di schiuma e così ansanti, che ci parve impossibile di vederli riprender lena.
«Un miracolo! - esclamò Luigi, - facendosi il se­gno della croce. - Che Iddio e la Madonna ne siano lodati! Ve lo assicuro, Padri miei, è un miracolo se non siamo morti!
« - È vero, disse il Superiore, siamo stati oggetto di una particolare protezione della Divina Provviden­za, e ne dobbiamo ringraziare Iddio con tutto il no­stro cuore.
« - Ve lo garantisco, rispose bruscamente Luigi erano uomini terribili! Non ho mai visto sguardi più feroci.
« - Allora, interruppe il Superiore, sarà bene di proseguire il viaggio appena i cavalli potranno cam­minare. Dovrete poi cambiarli prima di giungere al luogo ove dobbiamo fermarci ?
« - Non occorre; e poiché i banditici sono alle cal­cagna, il meglio che ci resti da fare è quello di avan­zarli quanto più si può.
« - Ebbene, disse il Superiore rivolto a noi nel mentre riprendevamo posto nella vettura; domani ognuno di noi celebrerà la Messa in rendimento di grazie. - Tutti acconsentimmo ben volentieri.
«Due anni dopo, trovandomi al Collegio Romano, fui chiamato per disporre alla morte un povero con­dannato. Visitai il detenuto molte volte... Per meglio guadagnarlo a Dio feci sembiante di ascoltare con interesse gli aneddoti della sua vita di brigantaggio: Un giorno nel quale mi parlava dei suoi ultimi anni, fui non poco meravigliato, udendo raccontare l'epi­sodio medesimo, che forma il soggetto di questa sto­ria. Nel riandare il fatto da me narrato, ei mi spiegò come sul punto d'impadronirsi della nostra vettura, tanto egli che i suoi compirci si sentirono rattenere le braccia da una forza invisibile e irresistibile. Allora svelai al mio penitente come io fossi uno di quelli cui la Provvidenza aveva sottratto a quel pericolo e gli partecipai la nostra promessa di recitare ogni ora un « De profundis » per le anime del Purgatorio, le quali certamente compensarono in tal guisa la nostra carità a loro riguardo. Egli cadde ginocchioni, pianse a lun­go amaramente, e in fine mi chiese perdono.
Lo preparai alla sorte spaventevole che lo atten­deva, ed ho quasi la certezza ch'egli morisse in pace con Dio. Mi concesse volentieri, su mia richiesta, il permesso di raccontare i particolari di questa ultima parte della mia storia.
«Così il pio Gesuita, che non lasciò occasione di narrare questo prodigio delle Anime Sante del Pur­gatorio ». (Mons. Alfredo Vitali, Il Mese di Novern­ bre, Roma 1929)..
Tali sono le virtù praticate in Purgatorio, tale è lo stato di quelle anime confermate in grazia, incapaci di peccare, adorne delle più belle virtù in grado sl sublime, a cui pochi Santi sono arrivati durante la loro vita. Dice il P. Faber, che se il dolore soppor­tato in silenzio, con rassegnazione e dolcezza è spet­tacolo ammirabile sulla terra, in quella regione deso­lata e penante della Chiesa dovrà essere mille volte più edificante e meraviglioso, poichè laggiù ciascuno è muto e silenzioso nei suoi patimenti, non emette un grido, nè una mormorazione, come Gesù nella sua passione divina. L'amore verso Iddio e verso Maria si manifesta in quelle anime con tali trasporti inau­diti di rassegnazione, che il trono della Vergine sem­bra brillare in quelle tenebre come l'astro della notte, e diffondere la sua luce dolcissima su quella plaga del dolore; gli angeli fanno scintillare per quell'aere buio le loro ali d'argento, e la faccia divina e soavis­sima di Gesù, quantunque materialmente invisibile, è sempre presente all'intelletto di quelle eroine.

CAPITOLO VIII
LE GIOIE DEL PURGATORIO
Motivi di conforto nella pena
A chi domanda se insieme a tanto dolore può es­servi gioia e conforto in Purgatorio, risponderemmo volentieri col Poeta, rapito dal canto di Casella
Lo mio Maestro, ed io, e quella gente Ch'eran con lui, parevan sì contenti Com'a nessun toccasse altro la mente. (Purg., II, 115, segg.).
Se il solo canto di Casella bastava a ricolmar di gioia le anime dei trapassati, condannate alle pene del Purgatorio, cosa dovremmo dire di altri e assai più forti motivi che quelle anime hanno di rallegrarsi? Gli autori che trattano del Purgatorio si dividono in due schiere, a seconda del modo sotto cui conside­rano quel carcere di dolore. Gli uni, dominati dal­l'idea di allontanare gli uomini dal peccato spaven­tandoli, hanno insistito sul rigore dei castighi mo­strandoceli simili in tutto a quelli dell'Inferno, salvo la disperazione dell'anima e la eternità delle pene; gli altri, più sensibili dal lato morale, si sono occu­pati specialmente dei sentimenti dai quali son domi­nate quelle anime in mezzo alle loro indicibili soffe­renze, e sotto questo rapporto dimostrano tutto esser luce in quel baratro del dolore. Tuttavia, non poten­do concludere da tutto ciò che fra gli autori vi sia contraddizione, per formarsi un'idea esatta di quel re­gno del dolore, bisogna considerarlo contemporanea­mente sotto ambedue i rapporti, facendo la sintesi di essi e trattandoli insieme esaurientemente. Noi abbiamo già parlato a lungo delle pene, ora rimane a trat­tare delle gioie del Purgatorio.

Confermati in grazia
La prima gioia di quelle anime è di sentirsi confermate in grazia, e quindi sicure della loro eterna salute e nella felice impotenza di più peccare, mentre per un'anima veramente cristiana, finche vive su que­sta terra, non v'è croce più pesante che l'incertezza della sua eterna sorte. Angosciosa incertezza, che amareggia la vita quaggiù, e fa sospirare il giorno in cui - a Dio piacendo - sarà dissipata, mentre contemporaneamente fa temere quel giorno, che può rappresentare il principio di una tremenda certezza! Quando noi in una meravigliosa notte stellata solle­viamo gli occhi alla volta celeste, che, secondo l'e­spressione del Salmista; non è che lo sgabello del trono di Dio, e pensiamo che oltre quegli spazi senza limiti vi è il trono del Signore, il soggiorno di Gesù, della Vergine e dei Santi, e che là dovrebb'essere il nostro posto assegnatoci fin dal giorno del battesimo, e là dovremo un giorno vivere eternamente felici con Dio e co' suoi Santi, sentiamo sollevarci lo spirito e il povero nostro cuore struggersi dal desiderio e dal­l'amore; ma mentre pregustiamo di quelle gioie, ecco una voce che dall'intimo della coscienza ci grida che forse non arriveremo lassù, che forse non saremo fe­deli in tutta la nostra vita, forse non persevereremo nel bene e quindi demeriteremo quel gran premio? Oh! come allora il cuore ci si stringe e quanta ama­rezza proviamo in mezzo a questo dubbio! Allora la nostra mente scende ad investigare la coscienza, e scoprendo tanti falli che commettiamo ogni giorno per quella tendenza malvagia, che è insita nell'uomo, sia­mo costretti a dubitare della nostra sorte futura: e dire che se arriveremo a salvarci sarà solo in grazia della misericordia infinita di Dio. Per le anime purganti invece la cosa va ben diversamente: per loro tutto è finito e finito felicemente. Sanno di scontare la pena dei peccati passati, sanno che non peccheranno mai più, hanno la certezza che il loro avvenire è assicu­rato e che, spente un giorno quelle fiamme espiatrici, incomincerà per loro l'eterna beatitudine. Questa gioia vera e sublime deve compensare largamente tutte le pene di quel carcere, e diremo col P. Faber, che vorremmo occupare uno degli ultimi posti in quel sog­giorno di sicurezza, piuttosto che fruire di tutti i go­dimenti incerti e fallaci di questo mondo. La storia della Chiesa di Polonia ci fornisce un episodio, di cui alcuni particolari comprovano quanto stiamo asserendo. Nell'anno 1070 era vescovo di Cracovia San Stanislao, contro il quale il principe Boleslao aveva mosso un'accanita persecuzione. Fra l'altro l'iniquo principe riuscì ad eccitare contro il santo Vescovo gli eredi di un certo Pietro Milés, che era morto tre anni prima lasciando una delle sue terre alla Chiesa. Co­desti eredi, sicuri dell'appoggio del Re, intentarono un processo al Santo, e avendo subornato o intimidito i testimoni, ottennero che Stanislao fosse condannato alla restituzione del terreno. Il Santo vedendosi man­care la giustizia degli uomini si appellò allora fidu­ciosamente a quella di Dio, e fatta sospendere la con­danna, promise che avrebbe fatto comparire come te­stimonio il defunto testatore che da tre anni giaceva nella tomba. Infatti, dopo tre giorni di digiuni e di supplicazioni, il santo Vescovo recatosi con tutto il clero sulla tomba di Pietro Milés, ordinò che venisse aperta; ma rinvenute, come era da prevedersi, solo poche ossa, fra un mucchio di polvere, gli avversari ne gioivano tenendosi sicuri della vittoria, quand'ecco il Santo ordinare al cadavere di sorgere in nome di Colui che è risurrezione e vita. Ad un tratto quelle ossa si avvicinarono, si riunirono, si ricoprirono di carne, e al cospetto della moltitudine stupita fu ve­duto il morto, tenendosi per mano al Vescovo, andare dinanzi a Boleslao e certificare la verità della fatta donazione, confondendo in tal modo quei malvagi che si credevano già sicuri del trionfo. Ma quel che più si affà al nostro argomento è la seguente circostanza. Quando Pietro Milés ebbe fatto la sua deposizione, avendogli domandato S. Stanislao se preferisse di ritornar nella tomba o di vivere ancor qualche anno in questa terra, rispose che sebbene a cagione de' suoi numerosi peccati si trovasse in Purgatorio, dove mol­to soffriva, amava meglio di tornare a morire piut­tostochè restare in una vita così miserabile, nella qua­le potrebbe sempre correr pericolo di dannarsi eter­namente. Indi implorate le preghiere del santo Ve­scovo onde più presto potesse esser libero da quel carcere, e ricondotto processionalmente alla sepoltura, il suo corpo ritornò nello stato primiero. Questo esem­pio mostra come un'anima, anche dopo avere speri­mentato i supplizi del Purgatorio, preferisce questi all'incertezza in cui siamo di salvarci finchè viviamo su questa terra.

Il conforto dell'espiazione
La seconda gioia che provano le anime del Purga­torio è quella dell'espiazione. Per comprenderla adeguatamente bisogna avere provato almeno una volta un vero pentimento delle proprie colpe, perchè allora soltanto si prendono a cuore gl'interessi della giustizia di Dio oltraggiata per tanto tempo, allora soltan­to il penitente non contento di sopportare cristiana­mente le pene e i dolori quotidiani della vita, che devono servire a supplire alla penitenza sacramentale, si fa da se stesso esecutore della divina giustizia. Allora appariscono le discipline, i cilizi e tant'altri strumenti di mortificazione che han fatto stupire il mondo assai più che le raffinate voluttà del pagane­simo; e quando pure il cristiano abbia così castigato il suo corpo e mortificato i suoi sensi, deplorerà an­cor sempre di non aver fatto abbastanza per pacifi­care la collera divina. Questo spirito di penitenza che induce l'uomo a farsi giustizia da sè ed espiare con gioia i propri falli, questo bisogno innato di ve­dersi purificato dalle colpe e riabilitato davanti a Dio e davanti alla propria coscienza, esiste nel Purgato­rio in un grado molto superiore a quello dei peni­tenti di questo mondo, e con ciò si spiega come quelle anime sante divorate dal desiderio di espiare i loro peccati, provino gioia nei loro stessi supplizi. Ma la­sciamo che parli a tal proposito S. Caterina da Ge­nova, la quale sull'argomento delle gioie del Purga­torio ha ricevuto tante speciali illustrazioni. – “Io vedo, essa dice, quelle anime stare nelle pene del Pur­gatorio col riflesso di due motivi. Il primo è che pa­tiscono volentieri quelle pene, e sembra loro che Dio abbia usato ad esse gran misericordia, considerando quelle maggiori che meritarono, e conoscendo la grandezza e santità di Dio, poichè, se la sua bontà non temperasse la giustizia colla misericordia (soddi­sfacendola col prezioso sangue di Gesù Cristo), un solo peccato meriterebbe mille perpetui inferni; e per­ciò patiscono questa pena così volentieri, che non vor­rebbero vederla diminuita di un solo minuto, cono­scendo giustamente di meritarla ed essere essa bene ordinata. L'altro motivo è il vedersi nell'ordinazione di Dio e l'ammirare ciò che l'amore e la misericordia divina operano verso di loro. Queste due viste Iddio le imprime in quelle menti in un istante, e siccome sono in grazia, l'intendono e capiscono secondo la loro capacità, e ne riportano gran contento, il quale non manca mai, anzi va crescendo tanto in loro, quanto più si approssimano a Dio. E quelle anime non lo provano in loro, nè per loro, ma in Dio, nel quale sono più assai intente che nelle pene che sof­frono, e del quale fanno assai più stima senza com­parazione; poichè la più piccola intuizione che si pos­sa avere di Dio eccede ogni pena ed ogni gaudio che l'uomo possa immaginare, e benchè la ecceda non leva loro però una scintilla di gaudio o di pena. In tal modo le anime del Purgatorio accettano con gioia i loro tormenti, perchè così purificandosi e trasfor­mandosi veggono avvicinarsi il momento in cui an­dranno a goder Dio nel cielo. Quando l'anima si tro­va in via di ritornare a quel suo primo stato, tanto è il desiderio di doversi trasformare in Dio, che quel­l'istinto acceso ed impedito forma veramente il suo Purgatorio. Non credo, dice la stessa, che si possa trovare contentezza da paragonare a quella di un'a­nima del Purgatorio, eccetto quella dei Santi del Pa­radiso: questa contentezza va crescendo di mano in mano che si va consumando l'impedimento dell'in­flusso di Dio. Come un oggetto coperto non può cor­rispondere alla riverberazione del sole, non per difetto del sole che di continuo risplende, ma per l'ostacolo della copertura; così la ruggine delle anime, cioè del peccato, si va consumando col fuoco del Purgatorio, il quale quanto più consuma tanto più fa corrispon­dere l'anima al vero sole che è Iddio, e quindi tanto più fa crescere la contentezza; così l'uno cresce e l'al­tro manca, finchè sia finito il tempo della prova. E non solamente quelle anime accettano con gioia i loro tormenti, ma se la giustizia di Dio lo permettesse, desidererebbero di soffrire ancor di più, e se potes­sero purgarsi per contrizione, in un istante paghe­rebbero tutto il loro debito, tale è l'affocato impeto di dolore che loro verrebbe, e questo pel chiaro lume che hanno della gravità di quell'impedimento, il qua­le non le lascia congiungere col loro fine ed amore che è Dio”.

Il conforto dell'amore
Finalmente la terza gioia delle anime purganti è quella dell'amore. L'amore rende ogni cosa facile ed ogni sofferenza sopportabile. Ubi amatur non labo­ratur, aut si laboratur, labor amatur, scrisse S. Agostino. Malgrado l'imperfezione e la miseria del no­stro povero cuore, noi arriviamo a comprendere questa verità anche sulla terra. Chi non ha amato alme­no una volta in vita sua, e chi nelle gioie di un amore - corrisposto non ha sognato immolazione e sacrificio intero fino alla morte? - Quale è quel sacerdote che nelle gioie del suo ministero sublime non ha invi­diato la sorte del martire che dà a Dio in testimo- nianza d'amore il proprio sangue? Soffrire per espia­re, soffrire per testimoniare il proprio amore, sono i due poli della vita cristiana, disse Lacordaire. E que­sto duplice sentimento si trova in Purgatorio. Aven­do già parlato delle gioie dell'espiazione, diremo ora delle gioie pure ed intime dell'amore, ed affinchè le espressioni siano adeguate al sentimento, lasciamo parlare l'ardente eroina Santa Caterina da Genova, fedele interprete dei sentimenti delle anime purganti. « Io vedo, essa dice, che questo Iddio d'amore, lan­cia sulle anime certi raggi infuocati così penetranti che annienterebbero, se ciò potesse essere, non solo il corpo ma perfino l'anima. Esse poi provano una gioia sì grande nel vedersi interamente affidate alla volontà di Dio, che compie su loro tutto ciò che a lui piace e come meglio piace, che al loro spirito non si pre­senta mai un pensiero capace di aumentare le loro sof­ferenze, e solamente vengono l'operazione della divi­na bontà e quella ineffabile misericordia che usa Dio verso l'uomo, facendo che il Purgatorio gli serva di strada, per condurlo a lui. Quanto a ciò che può tor­nare a loro interesse, o pena o bene che sia, è loro assolutamente impossibile di fermarvi lo sguardo, im­perocchè se ciò potessero, la loro carità non sarebbe più cosa pura. Quelle anime poi hanno una volontà in tutto conforme a quella di Dio; così Dio nella sua bontà fa sentire loro l'amore infinito che per esse nu­tre, per cui dal lato della volontà, sono veramente e completamente felici. E nondimeno soffrono orribil­mente, poichè l'amore non vale ad impedire che sen­tano di soffrire. Anzi il loro amore verso Dio si con­verte in istrumento di sofferenza, perchè possedute come sono dal desiderio di vederlo e di unirsi a lui, tanto più soffrono quanto più quella vista e quell'u­nione vengono ritardate.
« Perciò questo ritardo che trovano le anime ca­giona loro pena intollerabile; poichè mentre dalla grazia sono loro mostrate quelle perfezioni, non potendole esse raggiungere, e sapendo tuttavia di esser destinate a possederle, ne soffrono immensarnente. La stima ch'esse hanno di Dio cresce in relazione della conoscenza che ne hanno, e questa conoscenza au­menta a misura che l'anima si spoglia dei residui del peccato. L'anima dunque è felice in questo sta­to, ma felice come il martire sul rogo, felice di una felicità tutta pura, tutta soprannaturale, e che il mondo non può arrivare a comprendere. Come il marti­re, prosegue a dire la Santa, che si lascia uccidere prima di offender Dio, sente dì morire, ma disprezza la morte per lo zelo che il Signore gli dà; così l'ani­ma conoscendo le disposizioni di Dio a suo riguardo, stima più queste che tutti i tormenti interiori ed este­riori per terribili che possano essere, e questo perchè Dio, pel quale essa agisce così, eccede infinitamente ogni cosa che sentire e immaginare si possa. E poi­chè l'occupazione che Dio dà all'anima di sè la tiene tanto assorbita nella contemplazione della sua mae­stà, avviene che l'anima d'altro non può fare stima, d'altro non può curarsi che di lui ». - Or che do­vremo concludere da tutto ciò? Forse che dovremo vi­vere spensieratamente senza preoccuparci della nostra sorte avvenire? Giammai, perchè questo sarebbe un disprezzare e contraddire gli avvertimenti de' Santi. Finiremo dunque con quell'ardente esortazione che S. Caterina da Genova rivolge a tal proposito a tutti gli uomini che vivono nel mondo: «Vorrei, essa dice, poter gridare sì forte, che tutti gli uomini che sono sopra la terra mi udissero e si spaventassero, e vorrei dir loro; Oh miseri! perchè vi lasciate così accecare da questo mondo, da non pensare a premunirvi da quelle grandi e crudeli necessità nelle quali vi trove­rete in punto di morte? Voi vi credete al coperto sotto la speranza della misericordia di Dio, la quale dite essere tanto grande; ma non vedete che appunto tanta bontà di Dio vi aggraverà nel giudizio? Miserabili! Voi agite contro la volontà d'un tanto buon Signore. La sua bontà vi dovrebbe consigliare a sottomettervi a tutti i suoi comandi e a non disubbidirgli colla spe­ranza del perdono, poiché la sua giustizia non potrà mancare, ma bisognerà che in un modo o nell'altro sia soddisfatta pienamente. Non vi illudete dicendo: io mi confesserò, guadagnerò un'indulgenza plena­ria, sarò in quel punto purgato da tutti i miei peccati, e così andrò salvo. Pensate che la confessione e con­trizione tanto necessarie per guadagnare tale indul­genza, sono così difficili ad aversi, che se lo sapeste appieno, tremereste dalla paura e sareste più certi di non averle che di poterle guadagnare».

CAPITOLO IX
DURATA DELLE PENE DEL PURGATORIO
È un segreto divino?
E' mera curiosità quella di indagare la durata delle pene delle anime purganti? Se così fosse, tralasce­remmo di trattarne, in ossequio ai moniti del Concilio Tridentino: « Ea vero quae ad curiositatem quandam - nella trattazione della dottrina del Purgatorio aut superstitionem spectant... tanquam scandala et fidelium offendicula prahiheant n (Sess. XXV, I. c.).
Riteniamo invece salutare alle anime nostre inda­gare quanto a lungo la divina giustizia protragga i suoi castighi, per paventarli maggiormente e, se è possibile, per evitarli. Naturalmente soltanto Iddio, nella sua giustizia, conosce la qualità e la durata delle pene dovute ai peccati di ciascuna anima. Se qualche cosa è stato rivelato ne ringraziamo Iddio, perchè ciò è tutto a nostro vantaggio, a vantaggio, diciamo, di noi viventi, onde veniamo a capo di logiche conce­guenze e di salutari proponimenti.
Da quello che leggiamo nelle rivelazioni dei Santi e delle anime pie, siamo indotti a concludere che assai lunga è la durata delle pene del Purgatorio, poichè di pochissimi spiriti sappiamo del loro breve soggior­no tra quelle pene, mentre di molti altri si ebbe la rivelazione di lunghissimi anni di Purgatorio. Se qualcuno sentendo parlar di secoli se ne meraviglias­se, legga con attenzione il fatto seguente riferito dal P. Nieremberg (Trophaeus Marianus, lib. 4, cap. 29). Una nobile donzella di Aragona, che viveva al tem­po di S. Domenico, avendo inteso questo Santo pre­dicare in una chiesa la divozione del Rosario, volle ascriversi alla confraternita da lui stabilita; ma dedita com'era alle vanità del secolo, non tardò molto a di­menticarsi dei suoi santi propositi e degli obblighi assunti. Or accadde che due giovani cavalieri, suoi corteggiatori, si batterono per lei in duello ed uno di essi rimase ucciso. I parenti del morto, per vendicarsene, sorpresa la fanciulla in una sua villa di cam­pagna, la uccisero e ne affogarono il cadavere in un pozzo. S. Domenico, che allora si trovava a predi­care il santo Rosario in un'altra città, avendo per rivelazione saputo il fatto, si condusse immantinente in quel luogo, e giunto all'orlo del pozzo nel quale era stato gittato il cadavere dell'infelice fanciulla, si pose a gridare ad alta voce: - Alessandra, Alessan­dra - chè tale era il nome di lei; - ed ecco il capo del cadavere, che era spiccato dal busto, riunirsi al­l’istante, e la fanciulla uscire viva dal pozzo, tutta coperta di sangue, e confessarsi al Santo con un pro­fluvio di lacrime. Visse ancora due giorni recitando continuamente Rosari, che S. Domenico aveale dato come penitenza delle sue colpe. - Avendola poi que­sti invitata a dire che cosa le fosse accaduto dopo morta, essa parlò di tre cose segnalatissime, e cioè: 1° che senza i meriti del santo Rosario, pei quali ot­tenne la grazia della contrizione perfetta, sarebbe stata immancabilmente condannata all'Inferno, non avendo avuto il tempo di confessarsi; 2° che nel mo­mento in cui spirò, una turba di demoni schifosissi­mi erano corsi a prenderla per portarsela nell'Infer­no, e l'avrebbero indubbiamente fatto se la Vergine Santissima non l'avesse strappata dalle loro mani; 3° (e questo fa al nostro proposito) che per l'omicidio di cui era stata causa, avrebbe dovuto fare 200 anni di Purgatorio. Questo tempo è credibile però che ve­nisse poi abbreviato per le preghiere del Santo. – Il ven. Beda riporta esempi di molte anime che sareb­bero rimaste a penare fino alla fine dei secoli se non fossero state soccorse dalle preghiere dei vivi. - San Vincenzo Ferreri aveva una sorella chiamata France­sca, la quale in vita era stata un po' troppo dedita alle cose mondane. Essendosi però in punto di morte confessata con sincero pentimento, fu salva. Pochi giorni dopo comparve al suo fratello mentre celebrava la Messa, tutta circondata di fiamme e straziata da or­ribili sofferenze, dicendogli che era stata condannata a quelle pene fino al giorno del giudizio, ma che po­trebbe esserne sollevata assai ed anche liberata com­pletamente se egli avesse celebrato in suo suffragio le trenta Messe di S. Gregorio. Si affrettò il Santo a sod­disfare questo desiderio della sorella defunta, e in capo al trentesimo giorno ella gli apparve fra uno stuolo di angeli mentre saliva al cielo. - Leggendo queste cose non si sa se ammirare maggiormente gli splendori della divina misericordia o la severità della sua giu­stizia, poichè ambedue vi si rivelano ugualmente a grandissima gloria di Dio.
La durata del Purgatorio è dunque ordinariamente assai lunga, quantunque sempre proporzionata al nu­mero e alla gravità delle colpe commesse; poichè, dice S. Agostino, colui che più invecchiò nel peccato im­piegherà maggior tempo a traversare quel fiume di fuoco e in proporzione della colpa la fiamma accre­scerà il suo castigo. In quelle fiamme tutto sarà pu­rificato, tutto abbruciato e consumato.

Calcoli di anime in pena
Ciò non ostante vi è qualche cosa che ci atterrisce ancora di più, e cioè la durata dei Purgatorio non più considerata in se stessa, come si è fatto finora, ma considerata secondo la stima che ne fanno le anime. Pensandovi un po', noi vedremo che un'ora sola di Purgatorio sembrerà più lunga di un secolo a quelle povere infelici, sia per l'impazienza estrema in cui vivono di vedere Iddio, sia per il rigore dei loro sup­plizi.
Riferiamo in proposito la seguente curiosissima sto­ria che si legge negli Annali dei Padri Cappuccini (Tomo III, anno 1618).
Il P. Ippolito da Scalvo essendo stato eletto Guar­diano e Maestro de' Novizi in un convento di Fiandra, si sforzava di eccitare nei suoi figli spirituali le virtù proprie del loro stato sublime. Ora accadde che uno de' novizi che avea fatto grandi progressi nella via della perfezione morì mentre il Maestro era as­sente, per la qual cosa questi provò gran dolore, e la sera del giorno in cui il giovane era morto, essen­do ritornato al convento, mentre dopo mattutino si era fermato in coro a pregare, vide farglisi innanzi un fantasma ravvolto tra le fiamme, il quale così gli parlò: - O mio amorevole e buon Padre! impartite­mi, vi prego, la vostra benedizione. Per una leggera mancanza da me commessa contro la regola, mi tro­vo ora in Purgatorio per soddisfare alla divina Giu­stizia; la bontà del mio Gesù m'ha permesso di ri­volgermi a voi, affinchè m'imponiate la necessaria punizione, che io eseguirò in isconto del mio fallo, per essere libero da queste pene. - Rimase atterrito il buon Padre a quella vista e a quei detti, e data di tutto cuore la benedizione al defunto, soggiunse: - Quanto alla penitenza che io, come mi assicurate, debbo imporvi pel vostro fallo, vi darò quella di ri­manere in Purgatorio fino all'ora di Prima (circa le otto del mattino). - Udito ciò il novizio, come un disperato si mise a correre per la chiesa e ad urlare Padre snaturato! Cuore durissimo e senza pietà! Come mai volete punire tanto severamente un fallo che in vita avreste appena giudicato degno d'una leggera disciplina? Voi dunque ignorate l'atrocità dei miei tormenti?! Oh penitenza imposta senza carità!
- E ciò dicendo sparì. - Il povero Guardiano che avea creduto di essere stato molto indulgente nell'imporre quella penitenza, si sentì drizzare sulla testa i capelli per lo spavento e pel dispiacere, ed avrebbe voluto rimediare a tanto errore a costo della propria vita, ma non essendo in suo potere il farlo, pensò di suonare la campana del dormitorio. Si svegliarono i frati e corsero in coro, ove udirono il racconto di quanto era accaduto. Si dettero perciò premura di dire subito Prima, nella speranza che ciò giovasse ad abbreviare le pene del povero defunto, ma il povero Guardiano portò scolpito nel cuore per tutta la vita il ricordo di quella scena orribile, e confessava spesso che fino allora aveva avuto un'idea molto imperfetta delle pene del Purgatorio.
Un altro fatto dello stesso genere è citato dal Ros­signoli. - Due religiosi si amavano come fratelli e si eccitavano a vicenda alla pratica della santa vita prescritta dalla regola. Ad uno di essi poco prima di morire apparve l'Angelo custode dicendogli che era salvo e che sarebbe rimasto in Purgatorio finchè fosse stata celebrata una Messa in suo suffragio. Chiamato perciò l'amico, con volto ilare lo scongiura di non lasciarlo dopo morte soffrire a lungo nel Purgatorio e di celebrare immediatamente quella Messa. Questi promette, con le lacrime agli occhi. Infatti, appena morto l'amico corse a celebrare per lui. Era appena tornato in sacrestia, dopo la celebrazione, quand'ecco comparirgli l'amico tutto raggiante di gloria, ma col volto atteggiato a malcontento, rimproverandogli di aver dimenticato la promessa e d'averlo lasciato più d'un anno in Purgatorio! - Com'è possibile quanto dici, rispose il religioso meravigliato, se appena tu sei spirato son corso a soddisfare la mia promessa celebrando il santo Sacrificio, che appena ora ho ter­minato? Se non credi vieni con me e te ne darò la prova facendoti toccare il tuo cadavere ancor caldo. - Allora il defunto quasi svegliandosi da profondo sonno esclamò: - Come sono spaventevoli, ohimè, le sofferenze del Purgatorio! Un'ora sola di pena mi apparisce più lunga d'un anno! Benedetto sia Dio che ha così abbreviato la mia prova, e grazie mille volte a te, o fratello mio carissimo, della premura e carità che mi hai usato. Io salgo ora al cielo, e pre­gherò Dio che presto ci unisca lassù come fummo uniti sulla terra. -
Da ciò si vede quanto siano insensati coloro che non si curano affatto di far penitenza in questo mon­do, aspettando di scontare i loro falli in Purgatorio. - Dell'iniperatore Maurizio racconta la storia eccle­siastica che avendo commesso quand'era sul trono molti e gravi peccati, e avendogli Dio inviato un angelo per chiedergli se sceglieva di scontarli in questo mondo o nell'altro, rispose: - In questo mon­do, in questo mondo, o Signore, poichè la mia pena sarà sempre inferiore a quella che patirei nell'altra vita. - Poco tempo dopo uno de' suoi generali per nome Foca, impadronitosi dell'impero, fa condurre l'Imperatore nel circo, lo fa coricare in terra e pre­mendogli col piede la gola, presente tutto il popolo costanti nopolitano, gli fa sgozzare davanti agli occhi tutti i figli, dopo di che uccide colla spada anche lui. Durante quell'orribile carneficina il pio Imperatore non cessava di ripetere il versetto del Salmista: Ju­stus es, Domine, et judicia tua aequitas.
Dagli esempi citati dobbiamo trarre la conclusione che la durata delle pene del Purgatorio è ordinaria­mente assai lunga e che il calcolo di noi, che ancora viviamo, è ben diverso dal calcolo che le anime pur­ganti fanno delle loro pene. Tanta è l'intensità dei divini castighi in Purgatorio, che un'ora sola può sembrare una eternità a quelle anime in pena.
Queste riflessioni ci ispirino un salutare terrore del Purgatorio ed una più viva compassione per le po­vere anime purganti, che spesso dimentichiamo con troppa facilità. La infinita santità di Dio non soffre macchia nei suoi eletti, mentre ordinariamente le ani­me giungono al tribunale di Dio talmente indebitate con la giustizia divina da inorridire al solo pensarvi. i Misericordia Domini, quia non sumus consumpti! » (Lament. Ier. 3; 22) Salve unicamente per grazia di Dio; rimane da soddisfare ai debiti contratti con la divina giustizia.
E neppure dobbiamo meravigliarci e tanto meno lamentarci con Dio, allorchè sembra che dia fondo ai suoi castighi con gli uomini, finchè vivono. Merite­remmo che Iddio aggravasse la mano assai di più... Comunque son pene risparmiate per l'altra vita!



Parabola dei dieci comandamenti


Le parabole di Gesù
(040)
Parabola dei dieci comandamenti (452.8 - 452.9 - 452.10)
Un padre di famiglia aveva due figli, ugualmente amati e dei quali egli voleva essere in uguale misura benefattore. Questo padre aveva, oltre alla dimora che erano i figli, dei possessi dove erano grandi tesori nascosti. I figli sapevano di questi tesori ma non sapevano la via per andarvi perchè il padre, per motivi suoi propri, non aveva rivelato ai figli la via per giungervi e ciò per molti e molti anni. Però, ad un certo momento, chiamò i suoi due figli e disse:
"E' bene che ormai voi conosciate dove sono i tesori che il padre vostro a messo da parte per voi, per poterli raggiungere quando io ve lo dirò. Intanto conoscetene la strada e i segnali che ho messo in essa, perchè voi non smarriate la via giusta. Sentitemi dunque. I tesori non sono in pianura dove stagnano le acque, arde il solleone, sciupa la polvere, soffocano gli spini e i triboli, e dove facilmente i ladri possono giungere per derubarvi. I tesori sono in cima a quell'alto monte, alto e scabro. Io li ho collocati là in cima e là vi attendono. Il monte ha più di un sentiero, anzi ha molti sentieri. Ma uno solo è buono. Gli altri, quali finiscono in precipizi, quali in caverne senza uscita, quali in fosse d'acqua melmosa, quali in serpai di vipere, quali in crateri di zolfo acceso, quali contro muraglie insuperabili.
Quello buono, invece, è faticoso, ma giunge alla vetta senza interruzione di precipizi o altri ostacoli. Perchè voi lo possiate riconoscere io ho messo lungo di esso a distanze regolari dieci monumenti di pietra con sopra incise queste tre parole di riconoscimento: <Amore, ubbidienza, vittoria>.
Andate seguendo questo sentiero e raggiungerete il luogo del tesoro. Io, poi, per altra via, nota a me solo, verrò e ve ne aprirò le porte perchè siate felici".
I due figli salutarono il padre che finchè potè essere udito da loro ripetè: "Seguite la via che vi ho detto. E' per il vostro bene. Non lasciatevi tentare dalle altre anche se vi sembrano migliori. Perdereste il tesoro e me con esso..."
Eccoli giunti ai piedi del monte. Un primo monumento era alla base, proprio all'inizio del sentiero che era al centro di una raggiera di sentieri, che salivano alla conquista del monte in ogni senso. I due fratelli iniziarono la salita sul terreno buono. Era ancora molto buono nel primo tempo, benchè senza un filo d'ombra. Dall'alto del cielo il sole vi scendeva a picco inondandolo di luce e di calore. La candida roccia in cui era tagliato, il terso cielo sul loro capo, il caldo sole ad abbraccio delle loro membra: ecco ciò che vedevano e sentivano i fratelli. Ma ancora animati da buona volontà, dal ricordo del padre e delle sue raccomandazioni, salivano gioiosi verso la cima. Ecco un secondo monumento.... e poi ecco il terzo. Il sentiero era sempre più faticoso, solitario, ardente.
Non si vedevano neppur più gli altri sentieri nei quali erano erbe e piante o acque chiare, e soprattuitto salita più dolce perchè meno ripida e tracciata nel suolo non già sulla roccia.
"Nostro padre ci vuol far giungere morti" disse un figlio giungendo al quarto monumento. E cominciò a rallentare il passo. L'altro lo confortò a proseguire dicendo: "Egli ci ama come altri se stessi e più ancora perchè ci ha salvato il tesoro così meravigliosamente. Questo sentiero nella roccia che senza smarrimenti sale dal basso alla cima lo ha scavato lui. Questi monumenti li ha fatti lui per guida nostra. Pensa, fratello mio! Lui, da solo, ha fatto tutto questo, per amore! Per darlo a noi! Per fare che vi giungiamo senza sbaglio possibile e senza pericolo."
Camminarono ancora. Ma i sentieri lasciati a valle ogni tanto si riaccostavano al sentiero nella roccia, e sempre più lo facevano più il monte avvicinandosi alla cima si faceva più stretto nel suo cono. E come erano belli, ombrosi, invitanti...
"Io quasi prendo uno di quelli" disse il malcontento giungendo al sesto monumento. "Tanto anche quello va alla cima".
"Tu non lo puoi dire... Non vedi se sale o se scende.."
"Eccolo lassù!"
"Non sai se è questo. E poi il padre lo ha detto di non lasciare l'onesto sentiero... "
Di male voglia lo svogliato proseguì.
Ecco il settimo monumento: "Oh! io me ne vado proprio":
"Non lo fare, fratello!"
Su per il sentiero veramente difficilissimo, ormai. Ma la cima era ormai prossima.
Ecco l'ottavo monumento e vicino, proprio rasente il sentiero fiorito. "Oh! lo vedi che, se non in linea retta, va proprio su anche questo?"
"Non sai se è quello".
"Si. Lo riconosco."
"Ti inganni".
"No. Io vado".
"Non lo fare. Pensa al padre, ai pericoli, al tesoro".
"Ma vadano in perdita tutti! Che me ne faccio del tesoro se giungo in cima morente? Quale pericolo più grande di questa via? E quale odio più grande di questo del padre che ci ha beffati con questo sentiero per farci morire? Addio. Giungerò prima di te, e vivo..." e si gettò nel sentiero attiguo, scomparendo con una esclamazione di gioia dietro i tronchi che l'ombreggiavano.
L'altro proseguì tristemente... Oh! la via nel suo ultimo tratto era proprio tremenda! Il viandante non ne poteva più. Era come ubriaco di fatica, di sole! Al nono monumento si fermò ansante appoggiandosi alla pietra scolpita e leggendo macchinalmente le parole incise. Vicino era un sentiero d'ombra, d'acque, di fiori.. "Quasi, quasi.... Ma no! No. Lì è scritto, e l'ha scritto mio padre: <Amore, ubbidienza, vittoria>. Devo credere. Al suo amore, alla sua verità, e devo ubbidire per mostrare il mio amore.... Andiamo.... L'amore mi sorregga..."
Ecco il decimo monumento...Il viandante esausto, arso dal sole, camminava curvo come sotto un giogo... Era l'amoroso e santo giogo della fedeltà che è amore, ubbidienza, fortezza, speranza, giustizia prudenza, tutto... Invece di appoggiarsi si gettò seduto a quella larva d'ombra che il monumento faceva al suolo. Si sentiva morire.... Dal sentiero accosto veniva un rumore di ruscelli e odor di bosco... " Padre, padre, aiutami col tuo spirito, nella tentazione.... aiutami a essere fedele sino alla fine!"
Da lontano, ridente, la voce del fratello: "Vieni, ti aspetto. Qui è un eden... Vieni..."
"Se andassi?..." e gridando forte: Si sale proprio alla vetta?"
"Si, vieni. C'è una galleria fresca che porta su. Vieni! La vedo già, la vetta, oltre la galleria nel masso..."
"Vado? Non vado? Chi mi soccorre? Vado..." Puntò le mani per rialzarsi e mentre lo faceva notò che le parole scolpite non erano più sicure come quelle del primo monumento: "Ogni monumento, le parole erano più leggere... come se il padre mio, spossato, avesse faticato ad inciderle. E... guarda! .... Anche qui quel segno rosso bruno che già era visibile al quinto monumento.... Solo che qui esso empie il cavo di ogni parola ed è scolato fuori, rigando il masso come di lacrime scure, come... di sangue..."
Grattò col dito là dove era una macchia vasta quanto due mani. E la macchia si sfarinò lasciando scoperte, fresche, queste parole: "Così vi ho amato. Sino a spargere il sangue per condurvi al Tesoro".
"Oh! oh! Padre mio! E io potevo pensare a non fare il tuo comando?! Perdono, padre mio! Perdono". Il figlio pianse contro il masso, e il sangue che empiva le parole si rifece fresco splendendo come rubino, e le lacrime furono cibo e bevanda al figlio buono, e forza.... Si alzò... per amore chiamò il fratello, forte, forte... Voleva dirgli la sua scoperta... l'amore del padre, dirgli: "Torna". Nessuno rispose...
Il giovane riprese l'andare, quasi a ginocchi sulla pietra rovente, perchè era proprio sfinito nella carne dalla fatica, ma lo spirito era sereno. Ecco la vetta... E là ecco il padre.
"Padre mio!"
"Figlio diletto!"
Il giovane si abbandonò sul petto paterno, il padre lo accolse coprendolo di baci.
"Sei solo?"
"Sì... Ma presto giungerà il fratello..."
"No. Non giungerà più. Ha lasciato la via dei dieci monumenti. Non vi è tornato dopo i primi disinganni ammonitori. Vuoi vederlo? Eccolo là. Nel baratro di fuoco... E' stato pertinace nella colpa. Lo avrei ancora perdonato e atteso se, dopo aver conosciuto l'errore, fosse tornato sui suoi passi e, sebbene con ritardo, fosse passato per dove l'amore è passato per primo soffrendo sino a spargere il suo sangue migliore, la parte più cara di se stesso per voi."
"Egli non sapeva..."
"Se egli avesse guardato con amore le parole scolpite nei dieci monumenti avrebbe letto il loro vero significato. Tu lo hai letto sin dal quinto monumento e lo hai fatto notare all'altro dicendo: <Il padre qui deve essersi ferito!> e lo hai letto nel sesto, settimo, ottavo, nono... sempre più chiaro, sinchè hai avuto l'istinto di scoprire ciò che era sotto il sangue mio. Sai il nome di quell'istinto? <Tua vera unione con me>. Le fibre del tuo cuore, fuse alle mie fibre, hanno trasalito, e ti hanno detto: <Qui avrai la misura di come ti ama il padre!>. Ora entra nel possesso del Tesoro e di me stesso, tu, amoroso, ubbidiente, vittorioso in eterno."