sabato 13 aprile 2013

L'AVE MARIA!




DIGNARE ME LAUDARE TE VIRGO SACRATA
DA MIHI VIRTUTEM CONTRA HOSTES TUOS


L'Ave Maria



L'Ave Maria si compone di due parti: la prima parte, biblica, è di lode, la seconda parte, di origine ecclesiale, è di supplica. La lode è espressa con le parole che le sono state rivolte dall'angelo Gabriele "Ti saluto, o Piena di Grazia, il Signore è con te" (Lc 1,28) e da Elisabetta: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo" (Lc 1, 42).  Fu il Papa Urbano IV (1261-1264) che ordino l'aggiunta di "Gesù" come conclusione della prima parte. La seconda parte, è più recente. Solo in un breviario certosino risalente al XIII Secolo, infatti, troviamo per la prima volta l'invocazione: "Sancta Maria ora pro nobis", a cui segue, un secolo dopo, l'aggiunta "peccatoribus" e, verso il 1350,  la parte finale: "Nunc et in hora mortis. Amen." Questa parte, che ha subito diverse aggiunte e modifiche in tempi diversi, fu codificata nella forma attuale:  "Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Amen", da Papa San Pio V nel 1568. 
“Rallegrati Maria, Piena di grazia “



Rallegrati





San Luca, che ha scritto il suo vangelo in greco, usa il termine: Kàire. Questo termine, legato etmologicamente a Kàra (gioia) e Kàris (grazia), ha nel contesto lucano una connotazione gioiosa ed è quasi un comando a gioire, a far festa: Rallegrati, Maria! In lei, infatti, Dio fedele attuerà le sue promesse, compirà le sue profezie e, per mezzo suo, non deluderà la speranza di salvezza del suo popolo. E' lo stesso invito "obbligato" alla gioia, per la presenza salvifica del Signore, rivolto alla Figlia di Sion.
Maria
L'aggiunta del nome "Maria" alle parole dell'angelo, più che arbitraria, intende racchiudere e condensare il mistero della Donna a cui il saluto è rivolto, svelarne la natura e precisarne il senso della missione. Secondo l'interpretazione più comune il nome "Maria" ha due radici: una egizia - "Myr" - che vuol dire "amata"; l'altra ebraica - " yam" - che è l'abbreviazione di Iahvè. "Miryàm" significa, dunque, "l'amata di Iahvè", "la prediletta di Dio". Il suo nome appare, di conseguenza, già indicativo del suo destino eccezionale, della sua vita straordinaria e della sua missione singolare e unica: "Miryàm", sarà per sempre la Tuttasanta, la Figlia prediletta del Padre, la Madre amorosa e sempre vergine del Figlio, la dimora e il tempio vivo dello Spirito Santo.

Piena di grazia
L'angelo non la chiama Maria, ma "Kekaritoméne". Il termine originale greco è quasi intraducibile, perché ha un contenuto molto più profondo di quello che normalmente esprimiamo con i termini: favorita, gratificata, privilegiata, santificata da Dio. Ella è "Piena di grazia" perchè lo Spirito Santo scende in lei per innalzarla a quell'altezza sublime che le permetterà di generare il Figlio eterno del Padre secondo la carne: non poteva anche per un solo istante essere senza pienezza di grazia, colei che doveva generare Cristo, Redentore e Salvatore del mondo. In lei lo Spirito rende tangibile l'opera di amore e di redenzione di Dio per gli uomini, un Dio che eleva l'uomo, lo libera dal peccato, lo unisce nella figliolanza alla sua stessa vita divina. Come per l'antico Israele, Dio "ricordandosi della sua misericordia", farà "grazia" a Maria che così, diventa  figura e compimento di Israele e insieme archètipo e primizia della Chiesa e di ogni cristiano.


“Il Signore è con te “Nella Bibbia, la formula «il Signore è con te» ricorre in due contesti diversi: di alleanza e di vocazione. Nell'Antico Testamento il Signore si sceglie un popolo e stringe con lui un'alleanza. Si impegna ad assicurargli una propria presenza amorevole e fattiva di cui l'arca è il segno concreto e visibile. C'è un evidente parallelo fra l'arca dall'alleanza e Maria. Basta un piccolo esempio, fra i tanti: - Davide, confuso e spaventato per la vicinanza dell'arca, esclama: «come potrà venire a me l'arca dell'alleanza?». - Elisabetta si domanda stupita: «a che debbo che la madre del mio Signore venga a me?». Maria, invocata come «arca dell'alleanza», è il «luogo» dove lo Spirito Santo realizza in maniera perenne la propria presenza e dal quale irradia la sua azione. Maria è la donna che attualizza e garantisce la presenza del Figlio di Dio che, nel suo sangue versato sulla croce, rende perfetta e perenne l'alleanza di Dio con il suo popolo. È con te perché tu non abbia timore. Nella storia biblica il sarò con te si ritrova in racconti nei quali Dio chiama qualcuno ad una particolare missione. Un esempio. Dio chiama Mosè: «"va'! io ti mando dal Faraone Mosè disse a Dio: "Chi sono io per andare dal Faraone e per fare uscire dall'Egitto gli Israeliti?". Rispose: "Io sarò con te"». Mosè incalza: «"io non sono un buon parlatore;... sono impacciato di bocca e di lingua". Il Signore gli disse "Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire». Di dialoghi come questi è piena la Bibbia, e su questa linea si muove il dialogo dell'angelo con Maria. A Gabriele che chiede l'adesione ad un piano misterioso, Maria pone un'obiezione più che naturale: «Come è possibile?». Si sente piccola, povera, sproporzionata alla grandiosità di quel piano. Ma l'angelo la rassicura: non temere, abbi fiducia, non far conto su di te, ma sulla potenza del Signore!“Tu sei benedetta fra le donne”

Non appena Maria si affaccia sulla soglia di casa, Elisabetta prorompe in un grido di gioia ed esclama «a gran voce: "Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo"». La gioia delle due madri è subito posta in riferimento ai figli: «il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo!». Elisabetta, illuminata dallo Spirito Santo, è immediatamente introdotta nel mistero ed esclama: «Tu sei benedetta!». Nell'Antico Testamento, ricorre spesso la parola «benedizione» (bera'ha), che significa: comunicazione di vita da parte di Dio. È Dio che benedice, che dà vigore, forza, successo, discendenza numerosa, pace, sicurezza... Dove c'è la vita, c'è il Creatore in azione; così che la benedizione non è un atto sporadico, ma un'azione incessante di Dio. La benedizione è dunque il segno del favore di Dio impresso nella creatura: non un vago augurio, ma un segno efficace che raggiunge lo scopo per cui è dato. Anche l'uomo può benedire. Dio soltanto ha il potere di benedire. Quando l'uomo benedice, lo fa in nome di Dio, come suo rappresentante. Ma esiste anche una benedizione ascendente, ed è quella che l'uomo fa quando benedice nella preghiera. Diciamo nella Messa: noi ti lodiamo, ti benediciamo.E «benedirlo» significa: riconoscere che tutti i beni di cui abbiamo il possesso vengono da Lui e a Lui debbono ritornare. Tipica è la benedizione della mensa: il pane, il vino e i frutti della terra, per il fatto che esistono, sono già benedetti. E «benedirli» significa: riceverli da Dio, Donatore supremo e quindi lodarlo, ringraziarlo e impegnarsi a utilizzarli secondo il fine per cui Egli ce li ha dati... Maria è la benedetta per eccellenza. Su nessuna creatura Dio ha riversato ricchi doni di natura e di grazia come su di lei. Dio la benedice in modo singolare e Maria, a sua volta, lo benedice magnificando la grandezza della sua misericordia: «grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome!». A Lui la lode, la benedizione «nei secoli dei secoli». Maria non è Dio, ma è elevata dallo Spirito Santo a un rango divino tale da essere Madre per eccellenza, in cui è prefigurata la maternità stessa della Chiesa e svelato in immagine il volto femminile di Dio.

“E benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù.“


E benedetto è il frutto del tuo seno
Elisabetta, dopo aver proclamato Maria «benedetta fra tutte le donne», subito aggiunge: «e benedetto è il frutto del tuo grembo». L'angelo aveva già indicato le prerogative uniche di questo frutto: «Colui che nascerà sarà Santo e chiamato Figlio di Dio». E questo, grazie a un intervento che supera ogni immaginazione e possibilità umana: «lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo». Gesù, dunque, prima di essere «frutto» di Maria, è «frutto» dello Spirito Santo. E sarà Lui a proclamarlo, rifacendosi alla nota profezia di Isaia: «lo Spirito del Signore è sopra di me.. Gesù è «frutto benedetto» perché nato dall'azione dello Spirito Santo «che è colui che dà la vita»; è maturato nel seno di Maria che è tempio vivente dello Spirito; ed è la benedetta fra tutte le donne. Gesù è frutto del seno di Maria nel senso più pieno e reale. Soprannaturale è il concepimento, ma normale la gestazione. Per nove mesi, come ogni altra donna, Maria custodisce il Verbo fatto carne nel proprio utero, lo sente, lo «vede» crescere, ne avverte i movimenti, l'alimenta con le proprie viscere, gli trasmette il proprio sangue e la propria vita. Questo «frutto» meraviglioso è stato provocato dall'azione dello Spirito, ma è legato alla carne, al sangue, alla materia. Ha avuto bisogno del normale grembo di una donna. Maria non ha accolto il Verbo nella propria anima, ma nel proprio corpo. Gli ha impresso il colore della propria carne e dei propri occhi; ha trasmesso al suo bambino qualcosa dei suoi lineamenti, del suo carattere, della sua sensibilità, del suo somso... Dio sceglie la strada più naturale e vitale per crescere e svilupparsi, e si rende, per così dire, visibile, prima di tutto attraverso la rotondità di un ventre. Madre e figlio sono quindi due realtà indissolubili e complementari; due realtà che insieme realizzano ciò che nel mondo vi è di più grandioso e di più misterioso. Ciò vale quindi anche per Maria che ha portato sotto il suo cuore un Bimbo delizioso e questo bimbo delizioso si chiama Gesù

Gesù 
Siamo nel cuore dell'«Ave Maria» La prima parte della nostra preghiera si apre col nome di Maria e si chiude con quello di Gesù. Il nome di Gesù rappresenta il punto d'arrivo normale e imprescindibile. La vicenda di Maria di Nazaret porta a questo necessario sbocco per lei e per noi. Tutta la storia della salvezza prepara e irraggia questo nome santo che sta al centro del mondo, della storia e del cuore di ogni uomo.Gesù, il salvatore Gesù, nome frequente per gli Ebrei, significa letteralmente «Iahvè salva». Gesù è quindi il nome che indica «la salvezza operata dal Signore attraverso il frutto del seno di Maria». Gesù ci salva: ci redime cioè dal peccato e dalla schiavitù di Satana, ci fa passare dalla morte alla vita (sia spirituale che fisica), ci libera dallo stato di asservimento al male e ci dona la grazia, che è partecipazione alla vita divina e diritto all'eredità eterna con Lui in Paradiso. Gesù, nome che è al di sopra di ogni altro nome È il nome che è al di sopra di ogni altro nome, ma è anche il nome di un Dio che si è fatto umile e povero per salvarci tutti. Gesù è un nome da invocare di frequente, più con il cuore che con le labbra. La spiritualità orientale antica ci ha trasmesso una invocazione semplice e ricca di contenuto: «Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore». È la così detta «preghiera del cuore». È una preghiera intensa e accorata che riempie il cuore e si oppone alle preghiere prolisse, che svuotano e dissipano la mente. Sovente, in Oriente, viene sostenuta da un rosario di corde con cento nodi.

“Santa Maria, Madre di Dio “


Santa Maria
Chiamiamo Maria Santa e dobbiamo capire il significato di questo attributo. Santo è, nella Bibbia, uno dei tanti attributi di Dio; è un altro nome per dire Dio. Lo ricorda la stessa etimologia: sanctus è participio passato del verbo sancire, e significa «essere separato, distinto». «Dio Santo» è Colui che trascende l'uomo e il mondo; che «abita una luce inaccessibile» ed è distinto dall'uomo. Più che una qualità morale, il termine santo indica l'essenza di Dio e la sua autorità: Dio è totalmente diverso, superiore, distinto... anche se presente e non distaccato dalle cose. Lui solo è Santo! Il Signore, che è il solo Santo, può tuttavia partecipare, e di fatto partecipa, la sua santità. Noi vediamo infatti che sono detti santi: il popolo di Israele, i Profeti, gli Apostoli, Giovanni Battista; santa è la Chiesa e santi tutti i Cristiani, partecipi della vita e della missione di Cristo. Sante sono dette sia le persone che le cose che assumono una funzione divina: i ministri del culto, il tempio, l'altare, il sacrificio, Gerusalemme, Sion. Le cose in sé sono profane, ma siccome entrano in relazione con Dio che è santo e servono il Santo, partecipano di questa santità. Ma soprattutto la santità si ha quando si imita la santità di Dio. Nell'Antico Testamento, Dio dice di essere santi, perché Lui è santo; e nel Nuovo: «questa è la volontà di Dio: la vostra santificazione»; «siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli». Gesù, il Santo di Dio in mezzo a noi, costituisce il modello di tutte le virtù, e l'imitarlo è il modo più vero per raggiungere quella perfezione che ci consente di essere uomini maturi e integrali. Alla base di questa imitazione di Dio di cui Gesù è il modello supremo c'è un dono fondamentale, che eleva la sostanza stessa dell' anima rendendola partecipe della santissima natura divina. Questo dono si chiama molto significativamente «grazia santificante». Essa è ricevuta nel battesimo e rende l'anima splendente e luminosa: per questo è simboleggiata dalla veste candida. Ora, questa grazia santificante che noi riceviamo nel battesimo è stata ricevuta con sovrabbondanza dalla Vergine Maria al momento della sua Immacolata Concezione. Per questo ella è chiamata dall'Angelo: «Piena di grazia». La sua anima dunque ha avuto sin dal primo istante una bellezza e uno splendore abbaglianti. La grazia santificante, oltre a trasformare la sostanza dell' anima fa sì che essa diventi tempio dello Spirito Santo. Quindi Maria è santa anche perché lo Spirito Santo abita in lei e l'ha assunta come strumento e luogo della sua attività divina. Ella è santa quindi non tanto e solo per la conquista di una eminente santità personale, ma perché porta in sé lo Spirito Santo. Attraverso lei, lo Spirito realizza per così dire una dimensione storica; e Maria diviene, in un certo senso, la proiezione nel tempo dell' attività specifica dello Spirito: è infatti la sua santità che in lei vive e opera. È santa anche perché assunta a servizio del disegno santo di Dio di salvare l'umanità attraverso l'incarnazione del suo Figlio. Lei è stata scelta e messa a parte per diventare la Madre del Salvatore. E come tale non poteva essere contaminata dal peccato comune a tutti gli uomini. Nella sua vita Maria ha esercitato tutte le virtù proprie di una donna e di una cristiana.

Madre di Dio 
Maria genera una Persona che è Dio dall'eternità.. Gesù non è Dio per il fatto che è stato generato da Maria (sarebbe un assurdo pensare a Maria come madre della natura divina!): Maria è madre di Dio perché nelle sue viscere e dalle sue viscere comunica al Verbo una natura umana simile alla sua. Come nella generazione umana ordinaria la donna genera una persona e non una natura, così Maria genera la Persona del Verbo, il quale, pur conservando la natura divina, diviene suo vero Figlio solo quanto alla natura umana. Maria è quindi «Theotòkos», madre di Dio, perché il Figlio eterno di Dio si fa uomo da lei e per mezzo di lei. L'espressione «Theotòkos», madre di Dio, applicata a Maria Santissima, fa sì che ella possa venire chiamata «vincitrice di tutte le eresie». Infatti le eresie, cioè gli errori che riguardano il mistero dell'incarnazione del Verbo, si possono ricondurre alla negazione o della vera divinità di Gesù, o della sua vera umanità, o dell'unione della divinità con l'umanità nell'unica Persona divina del Verbo. Ora, dicendo che Maria è madre di Dio noi riconosciamo: 1) che Gesù è veramente Dio; 2) che è veramente uomo (altrimenti Maria non sarebbe sua madre); 3) che in Lui c'è la sola Persona divina (altrimenti Maria sarebbe madre della persona umana di Gesù, e quindi non più madre di Dio). In breve, Gesù è vero Dio e vero uomo: - dicendo che Maria è madre di Dio, noi affermiamo la divinità di Gesù; - dicendo che è madre di Dio, noi affermiamo la umanità di Gesù. Nessuna creatura umana è stata pensata, «progettata», assunta, elevata a così alta dignità. Lo dice il Vaticano Il con incisive parole: «redenta in modo sublime in vista dei meriti del Figlio suo, e a Lui unita da uno stretto e indissolubile vincolo, Maria è insignita del sommo ufficio e della eccelsa dignità di Madre del Figlio di Dio, e perciò prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo. Per questo dono di grazia eccezionale, precede di gran lunga tutte le creature celesti e terrestri». Ovviamente, per questa altissima dignità Dio l'ha adeguatamente preparata «arricchendola di tutti i doni consoni a tanto ufficio». «Dio volle che l'accettazione della predestinata Madre precedesse l'Incarnazione, perché, così come una donna aveva contribuito a dare la morte, così una donna contribuisse a dare la vita. Ciò vale in modo straordinario per la Madre di Gesù, la quale ha dato al mondo la Vita stessa che tutto rinnova». Noi siamo debitori a lei della vita nuova portata da Cristo; è lei che con il suo "sì" ha contribuito al disegno della redenzione, quello cioè di costituire Gesù Cristo come l'unico Mediatore e Salvatore di tutti gli uomini.
“Prega per noi peccatori, adesso”

Prega per noi peccatori
Ecco allora l'invocazione: prega! Maria, prega, fa qualcosa per noi! Dì una parola in nostro favore! Intercedi presso Dio! Intercedere significa intervenire a vantaggio di qualcuno; mediare, fare dei passi a suo vantaggio; "strappare" una grazìa. Maria può intercedere, vuole intercedere, perché è dalla parte di Dio e dalla parte nostra. È stata definita: «l'onnipotenza che intercede», «l'onnipotenza supplice». Solo Dio è onnipotente, ma la potenza di Maria consiste nell'ottenere da Dio ciò che è bene per quei figli bisognosi che Dio stesso le ha affidato. Quando ci affidiamo a lei, la nostra causa, anche se disperata, è in buone mani. Ci rivolgiamo a lei consapevoli del nostro stato di «poveri peccatorì». Non abbiamo titoli e meriti da rivendicare, se non quelli di essere «iscritti nella lista dei poveri». È questa la condizione che ci dà garanzia di essere esauditi: riconoscere che siamo bisognosi di tutto, e che nulla siamo senza l'aiuto del suo divin Figlio e senza quella intercessione che ella può caldeggiare con materno amore. Prima ancora di chiedere «una grazia», poniamoci fiduciosi davanti a lei, «rifugio dei peccatori» e «madre della divina Grazìa». Poniamo la nostra «posizione personale» nelle sue mani, e, con le nostre frequenti invocazioni, chiediamole di condurci per quelle strade che lei conosce come sicure e orientate al nostro vero bene!

Adesso Prega per noi, adesso... L'adesso dell' "Ave Maria" richiama l'oggi del "Padre nostro": «dacci oggi il nostro pane quotidiano». La nostra fragile vita ha bisogno di quel nutrimento essenziale che è il pane. Ma proprio perché la vita umana è all'insegna della fragilità e della precarietà, ha bisogno di essere coperta e assicurata in ogni momento, e quindi adesso. Troppo spesso viviamo con lo sguardo rivolto al passato, o proiettato verso il futuro... e così perdiamo gli appuntamenti decisivi, quelli dell'oggi. Viviamo di ricordi, di rimpianti, di nostalgie... Oppure di sogni vaghi o di attese illusorie. In tal modo non sappiamo afferrare l'adesso, il momento favorevole, il messaggio di oggi, la grazia di oggi. Ma l'uomo maturo e illuminato non è distratto nei confronti del presente: lo alimenta con la memoria del passato e con l'attesa del futuro, ma lo vive intensamente, responsabilmente, nella certezza che è proprio il presente ciò che conta, e che... questo presente non tornerà mai più. Non esistono solo le rare grandi occasioni della vita; esistono invece le minuscole, modeste, normali, occasioni quotidiane... E sono tutte preziose, tutte importanti; tutte da vivere e da sfruttare con intensità gelosa: momento per momento, e quindi adesso! In questo prezioso attimo presente imploriamo l'aiuto di Maria: una presenza quindi costante, abituale, lungo il filo dei giorni feriali, nell'ambito del quotidiano. Non solo nei momenti di emergenza, quando le cose si mettono male e siamo nella disperazione, perché l'intervento della Madre non può essere sporadico, occasionale, frammentario. Una presenza familiare, che ce la rende presente nella gioia e nel dolore, nei momenti nei quali vivere è facile e in quelli nei quali il cammino si fa arduo e oscuro. Pregando adesso e per l'adesso, noi chiediamo a Maria di non «abituarci alla vita», ma di scoprirla ogni giorno per quello che realmente è: uno splendido dono che si riceve e che si deve rendere. La vita è miracolo, è sorpresa. È un evento sempre nuovo, sorprendente, inaudito. È un prodigio unico e irripetibile. Il giorno che spunta oggi non è qualcosa di scontato, di banale... dal momento che c'è stato quello di ieri. La vita è creazione, è invenzione dell' «Amore». Ogni giorno è la «prima  volta». Non esistono giorni ordinari: ogni giorno è straordinario, insolito, «mai visto», ed è carico di novità e imprevedibilità a non finire. Maria, aiutaci a celebrare la vita con stupore e riconoscenza, ogni giorno e in ogni istante. Per non renderlo banale, inutile e triste. Per non disperderlo, per non svuotarlo, per non sciuparlo. Per ricuperare il senso della gratuità e della lode, per ritrovare la freschezza del canto, per gustare la felicità di donarla con amore e per amore. Aiutaci. Adesso.
“ e nell'ora della nostra morte “



L'ora della morte è l'ora più temuta e il più possibile allontanata. Ma è un'ora che inesorabilmente verrà... e per tutti. Siamo sicuri che, nella successione degli adesso, verrà un «adesso» che segnerà la fine, e, con essa, la partenza da questo mondo. A questa realtà costantemente ci richiama l'Ave Maria, anche se la recitiamo distrattamente e quasi scivolando sulla parola che non vorremmo mai pronunciare: la morte. Nell'Ave Maria quell'ora suprema si chiama proprio morte, senza camuffamenti ed eufemismi. Si chiama col suo termine immediato e vero, perché, dato la persona a cui ci rivolgiamo, non serve a nulla nascondere la realtà di un evento che è il più decisivo. Nulla ci angoscia più del pensiero della morte. Essa si presenta come una realtà assurda e scandalosa, da evitare accuratamente, da non far entrare nei discorsi abituali fra persone «normali». Ci fa paura anche se abbiamo fede Cristo, morendo, ha distrutto la nostra morte, e, risorgendo, ha ridato a noi la vita. Col suo mistero di morte e di resurrezione, ha trasformato la morte in amore di vita immortale. Ce lo dice la Fede: e per questo sappiamo che morire non è finire, ma entrare in quella vita vera, per la quale siamo nati. Tentiamo di persuaderci che la morte, sul piano fisico, è un evento biologico normale, e, sul piano cristiano, il momento più prezioso che dà senso e coronamento alla nostra esistenza.. Anche Gesù, sulla Croce, accolse la morte con terrore gridando al Padre tutta la sua angoscla. Che cosa possiamo fare? Possiamo continuare così ad allontanare, a minimizzare, a sottovalutare l'evento più importante e decisivo della nostra esistenza? Evidentemente no! Meglio accettare la realtà delle cose: accettare fin d'ora, per allora, quello che accadrà, e, fin d'ora prepararlo con responsabilità ed equilibrio. E proprio... con l'aiuto di Maria. Con Maria, la vita illumina la morte e la morte illumina la vita Maria, invocata con fiducia, rende tutto più semplice, più comprensibile, più accettabile, più sereno. Essa ci garantisce per l'adesso una presenza materna dolce e insostituibile. Ma mentre ci sostiene nel presente, ci dispone con serenità al futuro e a quell'ora suprema. Ci prepara alla morte, insegnandoci a vivere. La morte illumina la vita, e la vita prepara la morte, perché essa, come diceva P. Kolbe, «non si improvvisa, ma si merita con tutta la vita». Il pensiero della morte richiama l'urgenza di non sciupare nulla di quello che la vita offre nel suo scorrere quotidiano e di sfruttare per il meglio ogni attimo che via via essa ci dona nel suo rapido dispiegarsi. Vita e morte così mirabilmente si intrecciano in un'armonia che dona responsabilità, impegno e serenità. L'Ave Maria, unendo nella preghiera 1' «adesso» e 1' «ora della morte» è il ricordo e lo stimolo migliore a realizzare questa armonia salutare. All'appuntamento con la morte, tutti ci lasceranno, ma non Maria. Ad aprire quella porta sarà lei e soltanto lei. Nel momento nel quale avverrà il nostro personale incontro col suo Figlio, Giudice e Salvatore, sarà lei a parlare per noi, come madre, come amica, come avvocata potente. Entreremo nella vita eterna con l'aiuto e la protezione della mamma. Anzi: in sua compagnia! Sarà lei a prenderci per mano, a facilitarci il passaggio, a parlare con noi. Non ci ricaccerà, non ci abbandonerà, perché a lei Gesù ha detto: «ecco tuo figlio!». Di una cosa siamo sicuri: che non ci deluderà, se noi l'avremo invocata, se noi l'avremo chiamata e pregata recitando ogni giorno, in vita, la preghiera dei figli: l’Ave Maria.
“Amen “


L'Ave Maria, come tutte le preghiere termina con la parola Amen. È un' acclamazione ebraica intraducibile che, dalla Bibbia, fin dai primi tempi, passò nella Liturgia cristiana. Arriva dalla radice àman, ed esprime: sicurezza e verità. Per questo, Dio è chiamato l'Amen, e Gesù è detto l'Amen perché «è il testimone della verità». Amen è anche il termine col quale esprimiamo l'assenso a ciò che altri fanno o dicono a nome di tutti, specie in un contesto liturgico. Amen: così è.


















Grazie carissimo Papa Benedetto XVI

Gracias querido Papa Benedicto XVI




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AD MULTOS ANNOS SANCTE PATER

LETTERA APOSTOLICA IN FORMA DI MOTU PROPRIO "PORTA FIDEI"



LETTERA APOSTOLICA
IN FORMA DI MOTU PROPRIO
PORTA FIDEI
DEL SOMMO PONTEFICE
BENEDETTO XVI
CON LA QUALE SI INDICE L'ANNO DELLA FEDE

1. La “porta della fede” (cfr At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita. Esso inizia con il Battesimo (cfr Rm 6, 4), mediante il quale possiamo chiamare Dio con il nome di Padre, e si conclude con il passaggio attraverso la morte alla vita eterna, frutto della risurrezione del Signore Gesù che, con il dono dello Spirito Santo, ha voluto coinvolgere nella sua stessa gloria quanti credono in Lui (cfr Gv 17,22). Professare la fede nella Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo – equivale a credere in un solo Dio che è Amore (cfr 1Gv 4,8): il Padre, che nella pienezza del tempo ha inviato suo Figlio per la nostra salvezza; Gesù Cristo, che nel mistero della sua morte e risurrezione ha redento il mondo; lo Spirito Santo, che conduce la Chiesa attraverso i secoli nell’attesa del ritorno glorioso del Signore.


2. Fin dall’inizio del mio ministero come Successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo. Nell’Omelia della santa Messa per l’inizio del pontificato dicevo: “La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza” [1]. Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato [2]. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone.


3. Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta (cfr Mt 5,13-16). Anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente, zampillante di acqua viva (cfr Gv 4,14). Dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli (cfr Gv 6,51). L’insegnamento di Gesù, infatti, risuona ancora ai nostri giorni con la stessa forza: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la via eterna” (Gv 6,27). L’interrogativo posto da quanti lo ascoltavano è lo stesso anche per noi oggi: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” (Gv 6,28). Conosciamo la risposta di Gesù: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Credere in Gesù Cristo, dunque, è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza.



4. Alla luce di tutto questo ho deciso di indire un Anno della fede. Esso avrà inizio l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà nella solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il 24 novembre 2013. Nella data dell’11 ottobre 2012, ricorreranno anche i vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, testo promulgato dal mio Predecessore, il Beato Papa Giovanni Paolo II[3], allo scopo di illustrare a tutti i fedeli la forza e la bellezza della fede. Questo documento, autentico frutto del Concilio Vaticano II, fu auspicato dal Sinodo Straordinario dei Vescovi del 1985 come strumento al servizio della catechesi [4] e venne realizzato mediante la collaborazione di tutto l’Episcopato della Chiesa cattolica. E proprio l’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi è stata da me convocata, nel mese di ottobre del 2012, sul tema de La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Sarà quella un’occasione propizia per introdurre l’intera compagine ecclesiale ad un tempo di particolare riflessione e riscoperta della fede. Non è la prima volta che la Chiesa è chiamata a celebrare unAnno della fede. Il mio venerato Predecessore il Servo di Dio Paolo VI ne indisse uno simile nel 1967, per fare memoria del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo nel diciannovesimo centenario della loro testimonianza suprema. Lo pensò come un momento solenne perché in tutta la Chiesa vi fosse “un'autentica e sincera professione della medesima fede”; egli, inoltre, volle che questa venisse confermata in maniera “individuale e collettiva, libera e cosciente, interiore ed esteriore, umile e franca” [5]. Pensava che in tal modo la Chiesa intera potesse riprendere “esatta coscienza della sua fede, per ravvivarla, per purificarla, per confermarla, per confessarla”[6]. I grandi sconvolgimenti che si verificarono in quell’Anno, resero ancora più evidente la necessità di una simile celebrazione. Essa si concluse con la Professione di fede del Popolo di Dio [7], per attestare quanto i contenuti essenziali che da secoli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti hanno bisogno di essere confermati, compresi e approfonditi in maniera sempre nuova al fine di dare testimonianza coerente in condizioni storiche diverse dal passato.


5. Per alcuni aspetti, il mio venerato Predecessore vide questo Anno come una “conseguenza ed esigenza postconciliare” [8], ben cosciente delle gravi difficoltà del tempo, soprattutto riguardo alla professione della vera fede e alla sua retta interpretazione. Ho ritenuto che far iniziare l’Anno della fede in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano IIpossa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari, secondo le parole del beatoGiovanni Paolo II, “non perdono il loro valore né il loro smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all'interno della Tradizione della Chiesa … Sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre”[9]. Io pure intendo ribadire con forza quanto ebbi ad affermare a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a Successore di Pietro: “se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa”[10].


6. Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato. Proprio il Concilio, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium, affermava: “Mentre Cristo, «santo, innocente, senza macchia» (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr 2Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio», annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr 1Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce” [11].
L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati (cfr At 5,31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore introduce l’uomo ad una nuova vita: “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita” (Rm 6,4). Grazie alla fede, questa vita nuova plasma tutta l’esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella misura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo vengono lentamente purificati e trasformati, in un cammino mai compiutamente terminato in questa vita. La “fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo (cfr Rm 12,2; Col 3,9-10;Ef 4,20-29; 2Cor 5,17).


7. “Caritas Christi urget nos” (2Cor 5,14): è l’amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare. Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per proclamare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra (cfr Mt 28,19). Con il suo amore, Gesù Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole l’annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede. Nella quotidiana riscoperta del suo amore attinge forza e vigore l’impegno missionario dei credenti che non può mai venire meno. La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia. Essa rende fecondi, perché allarga il cuore nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare: apre, infatti, il cuore e la mente di quanti ascoltano ad accogliere l’invito del Signore di aderire alla sua Parola per diventare suoi discepoli. I credenti, attesta sant’Agostino, “si fortificano credendo” [12]. Il santo Vescovo di Ippona aveva buone ragioni per esprimersi in questo modo. Come sappiamo, la sua vita fu una ricerca continua della bellezza della fede fino a quando il suo cuore non trovò riposo in Dio [13]. I suoi numerosi scritti, nei quali vengono spiegate l’importanza del credere e la verità della fede, permangono fino ai nostri giorni come un patrimonio di ricchezza ineguagliabile e consentono ancora a tante persone in ricerca di Dio di trovare il giusto percorso per accedere alla “porta della fede”.
Solo credendo, quindi, la fede cresce e si rafforza; non c’è altra possibilità per possedere certezza sulla propria vita se non abbandonarsi, in un crescendo continuo, nelle mani di un amore che si sperimenta sempre più grande perché ha la sua origine in Dio.

8. In questa felice ricorrenza, intendo invitare i Confratelli Vescovi di tutto l’orbe perché si uniscano al Successore di Pietro, nel tempo di grazia spirituale che il Signore ci offre, per fare memoria del dono prezioso della fede. Vorremmo celebrare questo Anno in maniera degna e feconda. Dovrà intensificarsi la riflessione sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole ed a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto in un momento di profondo cambiamento come quello che l’umanità sta vivendo. Avremo l’opportunità di confessare la fede nel Signore Risorto nelle nostre Cattedrali e nelle chiese di tutto il mondo; nelle nostre case e presso le nostre famiglie, perché ognuno senta forte l’esigenza di conoscere meglio e di trasmettere alle generazioni future la fede di sempre. Le comunità religiose come quelle parrocchiali, e tutte le realtà ecclesiali antiche e nuove, troveranno il modo, in questo Anno, per rendere pubblica professione delCredo.

9. Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un'occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia, che è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia” [14]. Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata [15], e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in questo Anno.
Non a caso, nei primi secoli i cristiani erano tenuti ad imparare a memoria il Credo. Questo serviva loro come preghiera quotidiana per non dimenticare l’impegno assunto con il Battesimo. Con parole dense di significato, lo ricorda sant’Agostino quando, in un’Omeliasulla redditio symboli, la consegna del Credo, dice: “Il simbolo del santo mistero che avete ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno per uno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la fede della madre Chiesa sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore … Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore”[16].


10. Vorrei, a questo punto, delineare un percorso che aiuti a comprendere in modo più profondo non solo i contenuti della fede, ma insieme a questi anche l’atto con cui decidiamo di affidarci totalmente a Dio, in piena libertà. Esiste, infatti, un’unità profonda tra l’atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso. L’apostolo Paolo permette di entrare all’interno di questa realtà quando scrive: “Con il cuore … si crede … e con la bocca si fa la professione di fede” (Rm 10,10). Il cuore indica che il primo atto con cui si viene alla fede è dono di Dio e azione della grazia che agisce e trasforma la persona fin nel suo intimo.
L’esempio di Lidia è quanto mai eloquente in proposito. Racconta san Luca che Paolo, mentre si trovava a Filippi, andò di sabato per annunciare il Vangelo ad alcune donne; tra esse vi era Lidia e il “Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo” (At 16,14). Il senso racchiuso nell’espressione è importante. San Luca insegna che la conoscenza dei contenuti da credere non è sufficiente se poi il cuore, autentico sacrario della persona, non è aperto dalla grazia che consente di avere occhi per guardare in profondità e comprendere che quanto è stato annunciato è la Parola di Dio.
Professare con la bocca, a sua volta, indica che la fede implica una testimonianza ed un impegno pubblici. Il cristiano non può mai pensare che credere sia un fatto privato. La fede è decidere di stare con il Signore per vivere con Lui. E questo “stare con Lui” introduce alla comprensione delle ragioni per cui si crede. La fede, proprio perché è atto della libertà, esige anche la responsabilità sociale di ciò che si crede. La Chiesa nel giorno di Pentecoste mostra con tutta evidenza questa dimensione pubblica del credere e dell’annunciare senza timore la propria fede ad ogni persona. È il dono dello Spirito Santo che abilita alla missione e fortifica la nostra testimonianza, rendendola franca e coraggiosa.
La stessa professione della fede è un atto personale ed insieme comunitario. E’ la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede. Nella fede della Comunità cristiana ognuno riceve il Battesimo, segno efficace dell’ingresso nel popolo dei credenti per ottenere la salvezza. Come attesta il Catechismo della Chiesa Cattolica: “«Io credo»; è la fede della Chiesa professata personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del Battesimo. «Noi crediamo» è la fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Concilio, o più generalmente, dall’assemblea liturgica dei fedeli. «Io credo»: è anche la Chiesa nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a dire «Io credo», «Noi crediamo»” [17].
Come si può osservare, la conoscenza dei contenuti di fede è essenziale per dare il proprio assenso, cioè per aderire pienamente con l’intelligenza e la volontà a quanto viene proposto dalla Chiesa. La conoscenza della fede introduce alla totalità del mistero salvifico rivelato da Dio. L’assenso che viene prestato implica quindi che, quando si crede, si accetta liberamente tutto il mistero della fede, perché garante della sua verità è Dio stesso che si rivela e permette di conoscere il suo mistero di amore [18].
D’altra parte, non possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un autentico “preambolo” alla fede, perché muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio. La stessa ragione dell’uomo, infatti, porta insita l’esigenza di “ciò che vale e permane sempre”[19]. Tale esigenza costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nel cuore umano, a mettersi in cammino per trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto incontro[20]. Proprio a questo incontro la fede ci invita e ci apre in pienezza.


11. Per accedere a una conoscenza sistematica dei contenuti della fede, tutti possono trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolicaun sussidio prezioso ed indispensabile. Esso costituisce uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II. Nella Costituzione Apostolica Fidei depositum, non a caso firmata nella ricorrenza del trentesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, il Beato Giovanni Paolo II scriveva: “Questo Catechismo apporterà un contributo molto importante a quell’opera di rinnovamento dell’intera vita ecclesiale… Io lo riconosco come uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e come una norma sicura per l’insegnamento della fede” [21].
E’ proprio in questo orizzonte che l’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede.
Nella sua stessa struttura, il Catechismo della Chiesa Cattolicapresenta lo sviluppo della fede fino a toccare i grandi temi della vita quotidiana. Pagina dopo pagina si scopre che quanto viene presentato non è una teoria, ma l’incontro con una Persona che vive nella Chiesa. Alla professione di fede, infatti, segue la spiegazione della vita sacramentale, nella quale Cristo è presente, operante e continua a costruire la sua Chiesa. Senza la liturgia e i Sacramenti, la professione di fede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che sostiene la testimonianza dei cristiani. Alla stessa stregua, l’insegnamento del Catechismo sulla vita morale acquista tutto il suo significato se posto in relazione con la fede, la liturgia e la preghiera.


12. In questo Anno, pertanto, il Catechismo della Chiesa Cattolicapotrà essere un vero strumento a sostegno della fede, soprattutto per quanti hanno a cuore la formazione dei cristiani, così determinante nel nostro contesto culturale. A tale scopo, ho invitato la Congregazione per la Dottrina della Fede, in accordo con i competenti Dicasteri della Santa Sede, a redigere una Nota, con cui offrire alla Chiesa ed ai credenti alcune indicazioni per vivere quest’Anno della fede nei modi più efficaci ed appropriati, al servizio del credere e dell’evangelizzare.
La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più che nel passato a una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che, particolarmente oggi, riduce l’ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche. La Chiesa tuttavia non ha mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità [22].


13. Sarà decisivo nel corso di questo Anno ripercorrere la storia della nostra fede, la quale vede il mistero insondabile dell’intreccio tra santità e peccato. Mentre la prima evidenzia il grande apporto che uomini e donne hanno offerto alla crescita ed allo sviluppo della comunità con la testimonianza della loro vita, il secondo deve provocare in ognuno una sincera e permanente opera di conversione per sperimentare la misericordia del Padre che a tutti va incontro.
In questo tempo terremo fisso lo sguardo su Gesù Cristo, “colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2): in lui trova compimento ogni travaglio ed anelito del cuore umano. La gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua Incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione. In lui, morto e risorto per la nostra salvezza, trovano piena luce gli esempi di fede che hanno segnato questi duemila anni della nostra storia di salvezza.
Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credette all’annuncio che sarebbe divenuta Madre di Dio nell’obbedienza della sua dedizione (cfr Lc 1,38). Visitando Elisabetta innalzò il suo canto di lode all’Altissimo per le meraviglie che compiva in quanti si affidano a Lui (cfr Lc 1,46-55). Con gioia e trepidazione diede alla luce il suo unico Figlio, mantenendo intatta la verginità (cfr Lc2,6-7). Confidando in Giuseppe suo sposo, portò Gesù in Egitto per salvarlo dalla persecuzione di Erode (cfr Mt 2,13-15). Con la stessa fede seguì il Signore nella sua predicazione e rimase con Lui fin sul Golgota (cfr Gv 19,25-27). Con fede Maria assaporò i frutti della risurrezione di Gesù e, custodendo ogni ricordo nel suo cuore (cfrLc 2,19.51), lo trasmise ai Dodici riuniti con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo (cfr At 1,14; 2,1-4).

Per fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire il Maestro (cfr Mc 10,28). Credettero alle parole con le quali annunciava il Regno di Dio presente e realizzato nella sua persona (cfr Lc 11,20). Vissero in comunione di vita con Gesù che li istruiva con il suo insegnamento, lasciando loro una nuova regola di vita con la quale sarebbero stati riconosciuti come suoi discepoli dopo la sua morte (cfr Gv 13,34-35). Per fede andarono nel mondo intero, seguendo il mandato di portare il Vangelo ad ogni creatura (cfr Mc 16,15) e, senza alcun timore, annunciarono a tutti la gioia della risurrezione di cui furono fedeli testimoni.
Per fede i discepoli formarono la prima comunità raccolta intorno all’insegnamento degli Apostoli, nella preghiera, nella celebrazione dell’Eucaristia, mettendo in comune quanto possedevano per sovvenire alle necessità dei fratelli (cfr At 2,42-47).

Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare la verità del Vangelo che li aveva trasformati e resi capaci di giungere fino al dono più grande dell’amore con il perdono dei propri persecutori.

Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo, lasciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, segni concreti dell’attesa del Signore che non tarda a venire. Per fede tanti cristiani hanno promosso un’azione a favore della giustizia per rendere concreta la parola del Signore, venuto ad annunciare la liberazione dall’oppressione e un anno di grazia per tutti (cfr Lc 4,18-19).

Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età, il cui nome è scritto nel Libro della vita (cfr Ap 7,9; 13,8), hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù là dove venivano chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella professione, nella vita pubblica, nell’esercizio dei carismi e ministeri ai quali furono chiamati.
Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo del Signore Gesù, presente nella nostra esistenza e nella storia.


14. L’Anno della fede sarà anche un’occasione propizia per intensificare la testimonianza della carità. Ricorda san Paolo: “Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!” (1Cor 13,13). Con parole ancora più forti - che da sempre impegnano i cristiani - l’apostolo Giacomo affermava: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede»” (Gc 2,14-18).

La fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio. Fede e carità si esigono a vicenda, così che l’una permette all’altra di attuare il suo cammino. Non pochi cristiani, infatti, dedicano la loro vita con amore a chi è solo, emarginato o escluso come a colui che è il primo verso cui andare e il più importante da sostenere, perché proprio in lui si riflette il volto stesso di Cristo. Grazie alla fede possiamo riconoscere in quanti chiedono il nostro amore il volto del Signore risorto. “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40): queste sue parole sono un monito da non dimenticare ed un invito perenne a ridonare quell’amore con cui Egli si prende cura di noi. E’ la fede che permette di riconoscere Cristo ed è il suo stesso amore che spinge a soccorrerlo ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della vita. Sostenuti dalla fede, guardiamo con speranza al nostro impegno nel mondo, in attesa di “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt 3,13; cfr Ap 21,1).


15. Giunto ormai al termine della sua vita, l’apostolo Paolo chiede al discepolo Timoteo di “cercare la fede” (cfr 2Tm 2,22) con la stessa costanza di quando era ragazzo (cfr 2Tm 3,15). Sentiamo questo invito rivolto a ciascuno di noi, perché nessuno diventi pigro nella fede. Essa è compagna di vita che permette di percepire con sguardo sempre nuovo le meraviglie che Dio compie per noi. Intenta a cogliere i segni dei tempi nell’oggi della storia, la fede impegna ognuno di noi a diventare segno vivo della presenza del Risorto nel mondo. Ciò di cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno è la testimonianza credibile di quanti, illuminati nella mente e nel cuore dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire il cuore e la mente di tanti al desiderio di Dio e della vita vera, quella che non ha fine.

“La Parola del Signore corra e sia glorificata” (2Ts 3,1): possa questo Anno della fede rendere sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo. Le parole dell’apostolo Pietro gettano un ultimo squarcio di luce sulla fede: “Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime” (1Pt 1,6-9). La vita dei cristiani conosce l’esperienza della gioia e quella della sofferenza. Quanti Santi hanno vissuto la solitudine! Quanti credenti, anche ai nostri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre vorrebbero ascoltare la sua voce consolante! Le prove della vita, mentre consentono di comprendere il mistero della Croce e di partecipare alle sofferenze di Cristo (cfr Col 1,24), sono preludio alla gioia e alla speranza cui la fede conduce: “quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10). Noi crediamo con ferma certezza che il Signore Gesù ha sconfitto il male e la morte. Con questa sicura fiducia ci affidiamo a Lui: Egli, presente in mezzo a noi, vince il potere del maligno (cfr Lc 11,20) e la Chiesa, comunità visibile della sua misericordia, permane in Lui come segno della riconciliazione definitiva con il Padre.
Affidiamo alla Madre di Dio, proclamata “beata” perché “ha creduto” (Lc 1,45), questo tempo di grazia.

Dato a Roma, presso San Pietro, l’11 ottobre dell’Anno 2011, settimo di Pontificato.
Benedetto XVI


VIRGO MARIA, SINE LABE ORIGINALI CONCEPTA
ORA PRO NOBIS



 

[1] Omelia per l’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma (24 aprile 2005)AAS 97(2005), 710.[2] Cfr BENEDETTO XVI, Omelia S. Messa al Terreiro do Paço, Lisbona (11 maggio 2010)Insegnamenti VI,1(2010), 673.
[3] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 113-118.
[4] Cfr Rapporto finale del Secondo Sinodo Straordinario dei Vescovi (7 dicembre 1985), II, B, a, 4: in Enchiridion Vaticanum, vol. 9, n. 1797.
[5] PAOLO VI, Esort. ap. Petrum et Paulum Apostolos, nel XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (22 febbraio 1967): AAS 59(1967), 196.
[6] Ibid., 198.
[7] PAOLO VI, Solenne Professione di fede, Omelia per la Concelebrazione nel XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, a conclusione  dell’ “Anno della fede” (30 giugno 1968): AAS 60(1968), 433-445.
[8] ID., Udienza Generale (14 giugno 1967)InsegnamentiV(1967), 801.
[9] GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 57: AAS 93(2001), 308.
[10] Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005)AAS98(2006), 52.
[11] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8.
[12] De utilitate credendi, 1,2.
[13] Cfr AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, I,1.
[14] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgiaSacrosanctum Concilium, 10.
[15] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 116.
[16] Sermo 215,1.
[17] Catechismo della Chiesa Cattolica, 167.
[18] Cfr CONC. ECUM. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolicaDei Filius, cap. III: DS 3008-3009; CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 5.
[19] BENEDETTO XVI, Discorso al Collège des Bernardins, Parigi (12 settembre 2008)AAS 100(2008), 722.
[20] Cfr AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, XIII, 1.
[21] GIOVANNI PAOLO II, Cost.  ap. Fidei depositum  (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 115 e 117.
[22] Cfr ID., Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), nn. 34 e106: AAS 91(1999), 31-32, 86-87.
 
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ATTENZIONE alla menzogna distruttiva


Sotto la protezione di Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein)




Chiediamo tutti protezione e aiuto
a Santa Teresa Benedetta 
della Croce
(Edith Stein),
la santa che, davanti alla Croce,
ha esclamato:
 Per la prima volta mi apparve visibilmente
la Chiesa, 
nata dalla Passione di Cristo
e vittoriosa sulla morte.

In quel momento stesso la mia
incredulità cedette,

il giudaismo impallidì
ai miei occhi,
mentre si levava dal mio cuore
la luce di Cristo”


“Illustre figlia di Israele e, allo stesso tempo, figlia del Carmelo”: 

così il Beato Giovanni Paolo II definì Santa Teresa Benedetta della Croce, di cui la Chiesa celebra la memoria liturgica il 9 agosto. Patrona d’Europa insieme a Santa Brigida e Santa Caterina da Siena, Edith Stein era ebrea di nascita, ma dopo un lungo cammino di ricerca scelse di convertirsi al cattolicesimo. 

Diceva: 

“Chi cerca la verità cerca Dio, che lo sappia o no”.

“Suor Teresa Benedetta della Croce dice a noi tutti: 
Non accettate nulla come verità che sia privo di amore. 
E non accettate nulla come amore che sia privo di verità! 
L'uno senza l'altra diventa una menzogna distruttiva” 

(beato Giovanni Paolo II).

Corda Jesu et Mariae Sacratissima
nos benedicant et custodiant!