lunedì 10 dicembre 2012

L'abito fa il prete, ma... il prete deve avere un'anima


talare


  
CHIESA: L'abito fa il prete

Chiesa
Una circolare interna a firma del cardinale Bertone invita tutti gli ecclesiastici che lavorano nella Santa Sede a usare la talare nera o il clergyman

L’abito deve fare il monaco, almeno in Vaticano. Lo scorso 15 ottobre il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, ha firmato una circolare inviata a tutti gli uffici della curia romana per ribadire che sacerdoti e religiosi devono presentarsi al lavoro con l’abito proprio, e cioè il clergyman o la talare nera. E nelle occasioni ufficiali, specie se in presenza del Papa, i monsignori non potranno più lasciare ad ammuffire nell’armadio la veste con i bottoni rossi e la fascia paonazza.

Un richiamo alle norme canoniche che rappresenta un segnale preciso, di portata probabilmente maggiore rispetto ai confini d’Oltretevere: nei sacri palazzi, infatti, i preti che non vestono da preti sono piuttosto rari. Ed è probabile che il richiamo ad essere più ligi e impeccabili, anche formalmente, debba servire da esempio per chi viene da fuori, per i vescovi e i preti di passaggio a Roma. Insomma, un modo di parlare a nuora perché suocera intenda e magari faccia altrettanto.

Il Codice di Diritto Canonico stabilisce che «i chierici portino un abito ecclesiastico decoroso» secondo le norme emanate dalle varie conferenze episcopali. La Cei ha stabilito che «il clero in pubblico deve indossare l’abito talare o il clergyman», cioè il vestito nero o grigio con il colletto bianco. Il nome inglese rivela la sua origine nell’aerea protestante anglosassone: è entrato in uso anche per gli ecclesiastici cattolici, all’inizio come concessione per chi doveva viaggiare.

La Congregazione vaticana del clero, nel 1994, spiegava le motivazioni anche sociologiche dell’abito dei sacerdoti: «In una società secolarizzata e tendenzialmente materialista» è «particolarmente sentita la necessità che il presbitero – uomo di Dio, dispensatore dei suoi misteri – sia riconoscibile agli occhi della comunità».

La circolare di Bertone chiede ai monsignori di indossare «l’abito piano», cioè la veste con i bottoni rossi, negli «atti dove sia presente il Santo Padre» come pure nelle altre occasioni ufficiali. Un invito rivolto anche ai vescovi ricevuti in udienza dal Papa, che d’ora in poi dovranno essere decisamente più attenti all’etichetta.

L’uso degli abiti civili per il clero è stato legato, in passato, a particolari situazioni, come nel caso della Turchia negli anni Quaranta o del Messico fino a tempi molto più recenti, con i vescovi abituati a uscire di casa vestiti come manager. L’usanza ha poi preso piede in Europa: non si devono dimenticare le ben note immagini del giovane teologo Joseph Ratzinger in giacca e cravatta scura negli anni del Concilio. Ma è soprattutto dopo il Vaticano II che la veste talare finisce in soffitta e il prete cerca di distinguersi sempre meno. Da anni ormai, soprattutto nei giovani sacerdoti, si registra però una decisa controtendenza. Una svolta «clerical» messa ora nero su bianco anche nella circolare del Segretario di Stato.

ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO

LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

Rivelazioni - La pazienza con cui Dio sopporta i nostri difetti - La custodia del cuore. L’utilità della compassione. Riconoscenza per la grazia.



12 – La pazienza con cui Dio sopporta i nostri difetti


Ti rendo anche grazie, mio Dio, per un’altra visione non meno gradita che utile con la quale mi facesti conoscere con quanta pazienza Tu sopporti i nostri difetti, pur di vederci emendati e farci un giorno partecipi della tua beatitudine.
Una sera mi ero adirata, e la mattina seguente prima che facesse giorno, avendo avuto agio di darmi all’orazione, Tu mi apparisti sotto un aspetto insolito, come una persona estenuata di forze e priva di ogni soccorso.
Poiché mi rimordeva la coscienza per la caduta del giorno prima, cominciai a riflettere con dolore che indegna cosa fosse l’offendere Colui che è la santità e la pace seguendo l’impulso di una passione viziosa. E pensai che sarebbe stato meglio, anzi giunsi persino a desiderare, che Tu non fossi venuto in quell’ora (in quell’ora soltanto però!) in cui avevo il rimorso di non aver resistito al nemico che mi spingeva a sentimenti così contrari alla tua santità.
Ma ecco la risposta che Tu mi desti: «Come un malato che è riuscito a farsi portare ai raggi del sole si consola al sopraggiungere improvviso di un temporale, con la speranza del pronto ritorno del bel tempo, così Io, vinto dal tuo amore, voglio rimanere con te anche durante le tempeste delle tue passioni, in attesa che il pentimento riporti il sereno e ti diriga verso il porto dell’umiltà».
La mia lingua non vale ad esprimere quale abbondanza di grazia la prolungata tua presenza mi abbia elargito in quest’occasione! Possa supplirla, te ne prego, l’affetto del cuore, e da quell’abisso di umiltà in cui mi ha attirato la degnazione dell’amor tuo, m’insegni a far risalire verso la tua immensa misericordia la mia azione di grazie.

13 – La custodia del cuore


Confesso ancora al tuo amore, o Signore benignissimo, che anche in altro modo ti adoperasti per scuotere il mio torpore. Ti servisti bensì dapprima dell’intermediario di un’ altra persona, ma poi compisti da solo l’opera tua con non minor degnazione che misericordia.
Questa persona mi fece osservare che i primi a trovarti appena nato, secondo la narrazione del Vangelo, furono i pastori; e poi, da parte tua, mi disse che se desideravo veramente trovarti anch’io dovevo vegliare sui miei sensi come i pastori vegliavano sui loro greggi.
Non fui molto soddisfatta del consiglio. Lo trovavo inopportuno per me, perché sapevo che Tu mi inclinavi a servirti per amore e non già come un pastore mercenario serve il suo padrone.
Continuai a ripensarci tutto il giorno fino a Vespro con un senso di abbattimento spirituale, ed ecco che dopo Compieta, essendomi raccolta in preghiera al mio solito posto, Tu addolcisti con questo pensiero la mia tristezza: Una sposa può ben occuparsi di dar da mangiare ai falconi del suo sposo senza per questo venir privata delle tue carezze. Allo stesso modo anch’io se mi applicassi a custodir i miei sensi e i miei affetti, certo non per questo verrei privata della dolcezza della tua grazia.
Tu mi desti allora, sotto forma di una verga di fresco recisa, lo spirito del timore, affinché non allontanandomi mai neppure per un momento dalle tue braccia potessi, senza danno, attraversare le impervie contrade in cui sogliono smarrirsi gli affetti umani. Ed aggiungesti che se qualche cosa cercasse di far deviare i miei affetti, sia destra per mezzo della gioia e della speranza, sia a sinistra col dolore, il timore e la collera, subito mi servissi della verga del tuo timore e, richiamato al mio cuore per mezzo del raccoglimento dei sensi quell’affetto, lo penetrassi col calore della carità e te l’offrissi in saporoso sacrificio così come ti si offrirebbe il sacrificio di un agnellino appena nato.
Ahimè,ogni qualvolta da allora, spinta dalla mia malizia, dalla mia leggerezza e dalla mia vivacità nel parlare e nella’gire, ridavo la libertà a ciò che prima ti avevo offerto, sempre ho avuto l’impressione di strappartelo per così dire di bocca per darlo al tuo nemico. Eppure Tu, nel frattempo, continuavi a guardarmi con tanta serena bontà come se, non sospettando neppure il mio tradimento, Tu pensassi che io lo facessi per gioco.
Per tal via richiamasti sovente il mio cuore a tanta dolcezza di commozione e di pietà, da farmi persuasa che con nessuna minaccia avresti mai potuto indurmi a un desiderio di correzione e a un proposito di emendazione altrettanto grande e fermo.

14 – L’utilità della compassione


Una volta, nella Domenica precedente la Quaresima (1) mentre si intonava la Messa «Esto mihi…Sii per me un luogo di rifugio», credetti di intendere che, perseguitato e tormentato da molti tuoi nemici Tu mi chiedessi con le parole di questo Introito di accoglierTi e di lasciarTi riposare nel mio cuore. E per i tre giorni successivi, ogni qualvolta mi raccoglievo internamente, mi pareva di vederti riposare sul mio petto come un povero infermo. Non trovai in questi tre giorni nulla che potesse offriti un più alto sollievo che il darmi per amor tuo alla preghiera, al silenzio e alla mortificazione per la conversione di coloro che vivono secondo lo spirito del mondo.
(1) E cioè la Domenica di Quinquagesima.

15 – Riconoscenza per la grazia


Nella tua bontà ti degnasti rivelarmi con la luce della tua grazia che l’anima, finché rimane nel fragile involucro del corpo, si trova avvolta come in una nube, così come una persona racchiusa in un’angusta stanza sarebbe da ogni parte circondata dal vapore che in essa si producesse. Quando però il corpo viene colpito da qualche male, attraverso al membro paziente si infiltra nell’anima come un raggio di sole che mirabilmente la rischiara. Quanto più il male è esteso e grave, tanto più chiaro è il raggio di luce che inonda l’anima. Le ferite che il cuore incontra nell’esercizio dell’umiltà, della pazienza e simili, sono quelle che, toccando l’anima più profondamente e più da vicino, le apportano maggior copia di luce. Sovra ogni altra cosa però la rasserena e la rischiara la pratica delle opere di carità.
Grazie ti siano rese, o Amico degli uomini, di avermi in tal modo spesso attirata alla pratica della pazienza. Ma, ahimè, mille volte ahimè, ben raramente e ben poco ho corrisposto alla tua grazia e certo mai nel modo in cui avrei dovuto corrispondervi! Tu conosci, o Signore, il mio dolore, la mia confusione e il mio abbattimento al riguardo, e sai quanto il mio cuore desideri che altri supplisca alle mie deficienze.
Un’altra volta durante la Messa, mentre stavo per comunicarmi, avendomi Tu concesso di godere del solito della tua presenza, io mi sforzavo di capire che cosa potessi fare per ricambiare almeno in parte tanta tua degnazione. O Maestro sapientissimo: «Desideravo essere io stessa anatema per i miei fratelli» (Rm 9,3).
Io avevo ritenuto fino allora che, secondo quanto mi avevi lasciato credere, l’anima risiedesse soltanto nel cuore. Tu mi insegnasti in quel momento che essa risiede anche nel cervello cosa che poi ho trovata anche scritta, ma che prima non sapevo. Mi dicesti dunque esser cosa di grande merito se l’anima, abbandonata per amor tuo la dolcezza della fruizione affettiva, vigilasse alla custodia dei sensi esterni e si affaticasse nelle opere di carità a salvezza del prossimo.




All’ indice delle Rivelazioni

Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis

sabato 8 dicembre 2012

Gesù, Maria vi amo!


Gesù, Maria vi amo!
Salvate le anime dei sacerdoti,
salvate tutte le anime.


Vi preghiamo supplichevoli,
moltiplicate quest'atto d'amore
mille volte, ad ogni respiro,
ad ogni palpito.





Gesù ha promesso la salvezza di migliaia di anime,
ad ogni atto d'amore...



Immacolata Concezione


Immacolata, Vergine bella,
di nostra vita Tu sei la stella.
Fra le tempeste, Tu guida il cuore
di chi ti chiama stella d'amore.


Siam peccatori, ma figli tuoi:
Immacolata prega per noi. (bis)



Tu, che nel cielo siedi Regina,
a noi lo sguardo pietoso inchina;
ascolta, o Madre, il nostro canto,
a noi sorridi dal cielo santo.



La tua preghiera è onnipotente
Siccome il Cuore tuo clemente,
Sotto il tuo scettro Iddio s'inchina,
Deh! non sdegarci, nostra Regina,



Nel fier conflitto d'aspra tenzone,
Tu sola, e Dio, fughi aquilone,
Tu sola basti contro ogni armata,
Vergine bella Immacolata.



LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

La proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione


La proclamazione del dogma
Alessandro Laudani

Estratto da: Roberto De Mattei, "Pio IX".

La proclamazione del dogma

Venerdì 8 dicembre 1854, fin dalle 6 di mattina fu aperta la Basilica di San
Pietro, che già alle 8 era gremita di popolo. Dalla Cappella Sistina, dove
erano radunati cinquantatré cardinali. quarantatré arcivescovi, novantanove
vescovi convenuti da tutto il mondo, la solenne processione liturgica giunse
fino all'altare papale, dove Pio IX celebrò solennemente la Santa Messa.

Al termine del canto del Vangelo in greco e in latino, il cardinale Macchi,
decano del Sacro Collegio, assistito dal più anziano degli arcivescovi e
vescovi latini, da un arcivescovo greco e uno armeno, si prostrò ai piedi
del Pontefice domandando, in lingua latina e con voce sorprendentemente
energica per i suoi 85 anni, il decreto <<che avrebbe cagionato gioia in
Cielo e il massimo entusiasmo sulla terra>>.


Dopo avere intonato il Veni Creator, il Papa si sedette sul trono e, tenendo
sul capo la tiara, lesse con tono grave e voce alta la solenne definizione
dogmatica: <<A onore della santa e individua Trinità, a gloria e ornamento
della Vergine Madre di Dio, per l'esaltazione della fede cattolica, e per
l'incremento della religione cristiana, con l'autorità del Signore Nostro
Gesù Cristo, dei beati Apostoli Pietro e Paolo, e Nostra, dichiariamo
pronunciamo e definiamo che la dottrina, la quale ritiene che la beatissima
Vergine Maria, nel primo istante della sua concezione per singolare grazia e
privilegio di Dio onnipotente, ed in vista dei meriti di Gesù Cristo
Salvatore del genere umano, sia stata preservata immune da ogni macchia di
colpa originale, è dottrina rivelata da Dio e perciò da credersi fermamente
e costantemente da tutti i fedeli
>>.
Dal momento in cui il cardinal decano fece la domanda per la promulgazione
del dogma fino al Te Deum che fu cantato dopo la solenne Messa, al segno
dato dal cannone in Castel Sant'Angelo, per lo spazio di un'ora, dalle
undici al mezzodì, tutte le campane di Roma suonarono a festa per celebrare
un giorno che, come scrive mons. Campana, <<sarà fino alla fine dei secoli
ricordato come uno dei giorni più gloriosi che figuri nella storia>> (...).

<<L'importanza di questo atto non può sfuggire a nessuno. Esso fu la più
solenne affermazione della vitalità della Chiesa, quando l'empietà
imperversante si lusingava di averla quasi distrutta>>.
Tutti i presenti affermano che, al momento solenne, Pio IX fu investito
dall'alto da un fascio di luce che ne illuminò il volto solcato di lacrime.

Mons. Piolanti, che ha studiato le testimonianze, afferma, alla luce della
sua lunga esperienza della Basilica Vaticana, che in nessun periodo
dell'anno, tanto meno di dicembre, da nessuna finestra della Basilica un
raggio di sole può scendere ad illuminare qualunque punto dell'abside nella quale si trovava Pio IX e concorda con la spiegazione suggerita dalla Madre Giulia Filippani, delle religiose del Sacro Cuore, presente in San Pietro con la famiglia al momento della definizione, secondo cui non era possibile spiegare naturalmente lo straordinario chiarore che illuminò il volto di Pio IX e tutta l'abside: <<Quella luce - essa testimonia - fu attribuita universalmente a causa soprannaturale>>.

A una religiosa che un giorno chiese al Pontefice che cosa avesse provato
nell'atto della definizione, lo stesso Pio IX così confidò i suoi
sentimenti: <<Quando incominciai a pubblicare il decreto dogmatico, sentivo la mia voce impotente a farsi udire alla immensa moltitudine [cinquantamila persone] che si pigiava nella Basilica Vaticana; ma quando giunsi alla formula della definizione, Iddio dette al suo Vicario tal forza e tanta soprannaturale vigoria, che ne risuonò tutta la Basilica; ed io fui tanto impressionato da tal soccorso divino che fui costretto sospendere un istante la parola per dare libero sfogo alle mie lagrime. 
Inoltre - soggiunse il
Papa - mentre Dio proclamava il dogma per la bocca del suo Vicario, Dio
stesso dette al mio spirito un conoscimento sì chiaro e sì largo della
incomparabile purezza della Santissima Vergine, che inabissato nella
profondità di questa conoscenza, cui nessun linguaggio potrebbe descrivere,
l'anima mia restò inondata di delizie inenarrabili, di delizie che non sono
terrene, né potrebbero provarsi che in Cielo. Nessuna prosperità, nessuna
gioia di questo mondo potrebbe dare di quelle delizie la minima idea; 
ed io
non temo affermare che il Vicario di Cristo ebbe bisogno di una grazia
speciale, per non morire di dolcezza sotto la impressione di cotesta
cognizione e di cotesto sentimento della bellezza incomparabile di Maria
Immacolata>>.

La definizione del dogma dell'Immacolata suscitò uno straordinario
entusiasmo nel mondo cattolico, dimostrando quanto ancora fosse vivo il
sentimento della fede in un secolo aggredito dal razionalismo e dal
naturalismo. <<Dopo la definizione del Concilio di Efeso intorno alla divina maternità di Maria - scrive ancora il teologo Campana - 
la storia non può
registrare altro fatto che abbia suscitato tanto vivo entusiasmo per la
Regina celeste, quanto la definizione della sua totale esenzione dalla
colpa>>. Tra i numerosissimi ricordi della solenne definizione resta la
colonna dell'Immacolata in Piazza di Spagna a Roma, innalzata il 18 dicembre 1856 e benedetta da Pio IX l'8 settembre 1857.
La definizione fu accolta ovunque con entusiasmo e persino i pochi vescovi
che all'inizio si erano dimostrati contrari la festeggiarono con solennità.
Uno di essi, l'arcivescovo di Parigi mons. Sibour - che, come osserva
Martina, <<con finezza non priva di un certo umorismo>> era stato incaricato da Pio IX di assisterlo da vicino durante la solenne cerimonia dell'8 dicembre in San Pietro - ne celebrava la portata in toni inattesi, indicando la definizione come <<una nuova fase della Chiesa in cui i legami dell'unità romana si stringono, diventano più forti e l'autorità pontificia ingrandisce, a gloria della divina gerarchia e per il successo della sua azione morale sul mondo>>.

Quattro anni dopo, il 25 marzo 1858, Bernadette Soubirous, la pastorella di Lourdes, così si rivolgeva, nella grotta di Massabielle, alla misteriosa
Signora che ormai da tempo le appariva: <<Signora, volete avere la bontà di dirmi chi siete?>>. La Signora inclinò il capo, sorridendo senza rispondere;
per tre volte Bernadette rinnovò la domanda finché - descrive ella
stessa -allargò le braccia verso terra, come si vede nella medaglia
miracolosa. Si compose a un'aria grave, alzò gli occhi verso il cielo e nel
medesimo tempo, elevando le mani e giungendole all'altezza del seno, disse:
<<Io sono l'Immacolata Concezione>>. <<Sembra - commenterà un secolo dopo Pio XII - che la stessa Beata Vergine Maria abbia voluto, in maniera prodigiosa, quasi confermare, tra il plauso di tutta la Chiesa, la sentenza pronunziata dal Vicario del suo divin Figlio in terra>>.

Alessandro Laudani


Beato Pio IX a Gaeta, 1848.




Biografia del Papa Pio IX (1846-1878)
Era la sera del 16 giugno 1846. Quel Mastai che rifuggiva dagli onori, si trovò
sotto il peso del più grande: era stato eletto Papa e volle chiamarsi Pio IX. Ebbe
un pontificato difficile, ma proprio per questo egli fu anche certamente tra i più
grandi pontefici della storia. Tutto raccolto nella sua coscienza di Vicario di
Cristo e di responsabile dei diritti di Dio e della Chiesa, fu limpido, semplice
e lineare. Unì insieme fermezza e comprensione, fedeltà ed apertura. Esordì
con un atto di generosità e di cristiano sentire: l’amnistia per i reati politici.
La sua prima enciclica fu una visione programmatica ma anche un anticipo
del Sillabo condannando le società segrete, la massoneria e il comunismo. Nel
1847 promulgò un decreto di ampia e sorprendente libertà di stampa, istituì la
guardia civica, il municipio ed il consiglio comunale, la consulta di Stato e il
Consiglio dei Ministri. Da allora il suo ritmo d’interventi sul duplice piano del
padre di tutti i popoli e di principe temporale si rivelò davvero inarrestabile. La
questione dell’indipendenza italiana, da lui sentita e difesa, non contrappose
il principe al Papa, la qual cosa gli alienò l’animo dei più accaniti liberali. La
situazione, nel 1848, s’arroventò, specie quando, il 15 novembre, fu ucciso
il capo del governo, Pellegrino Rossi. Pio IX dovette allora riparare a Gaeta.
Dopo la proclamazione della Repubblica Romana (9 febbraio 1849), si trasferì
a Portici (4 settembre 1849), quindi rientrò in Roma (12 aprile 1850), dando al
suo pontificato un’impronta inconfondibile nella storia della Chiesa. Nel 1850
riordinò il Consiglio di Stato, istituì la Consulta per le Finanze, concesse una
nuova amnistia, ristabilì la gerarchia cattolica in Inghilterra ed altrettanto fece,
tre anni dopo, in Olanda. Nel 1853 condannò le dottrine gallicane e fondò il
noto Seminario Pio. Poco dopo volse la sua liberalità alle Catacombe, nominò
la Commissione d’Archeologia Cristiana e, l’8 XII 1854, definì il dogma
dell’Immacolata Concezione. Gravi nubi s’addensavano intanto su di lui per le
guerre risorgimentali, le arbitrarie annessioni piemontesi che smantellarono lo
Stato Pontificio, l’usurpazione delle Legazioni. Nel 1869 ebbe l’omaggio del
mondo intero per il suo giubileo sacerdotale. Al termine di quell’anno aprì il
Concilio Ecumenico Vaticano I, la perla del suo pontificato, e lo chiuse il 18
luglio 1870. Con la caduta di Roma (20 settembre 1870) e del potere temporale,
l’amareggiato Pontefice si chiuse e si considerò prigioniero in Vaticano,
resistendo alla Legge delle Guarentigie. Minato nella salute, tenne il suo ultimo
discorso ai parroci dell’Urbe il 2 febbraio 1878. Il 7 ebbe fine, con la sua pia
morte, il più lungo pontificato della storia. Dopo un vaglio secolare di tutta la
sua opera, seguito sempre dalla fama della sua bontà e delle sue eroiche virtù,
fu elevato alla gloria degli altari.
Fonte: Istituto di studi storici Beato Pio IX. Roma.








 STORIA: la proclamazione del dogma dell'Immacolata fu un evento di unità per tutti i cattolici

Notizia del 05/12/2012 stampata dal sito web www.lucisullest.it



L'esilio di Pio IX durante la Repubblica romana: una fucina di pensiero e meditazione


L'Immacolata nella fortezza di Gaeta
di Francesco Guglietta

Fu a Gaeta che Pio IX decise di iniziare l'iter che lo avrebbe portato a definire nel 1854 il dogma dell'Immacolata Concezione, una verità di fede confermata dalle apparizioni di Lourdes delle quali ricorre quest'anno il centocinquantesimo anniversario.
La permanenza forzosa del beato Pio IX a Gaeta dopo i moti del 1848 che portarono alla proclamazione della Repubblica romana, è l'atto finale di uno dei momenti chiave della storia della Chiesa nell'età contemporanea. Proprio i primi tre anni del pontificato di Giovanni Maria Mastai Ferretti sono stati definiti da qualche studioso “il triennio centrale dell'Ottocento”.
In questo lasso di tempo, infatti, Pio IX perde progressivamente fiducia nei processi di “rivoluzione” in atto in Europa e prende le distanze dall'ambiente cattolico liberale, incominciando a intravedere nel movimento risorgimentale, come anche nella “modernità”, una pericolosa insidia per la vita della Chiesa. Intraprende un cammino che lo porterà a diventare, per un pregiudizio eccessivamente severo, e in gran parte falso, l'emblema di una Chiesa chiusa al dialogo con il mondo moderno e tutta arroccata in una visione dogmatica della fede e della vita cristiana.
Al termine di questi primi tre anni si colloca il periodo di permanenza a Gaeta che assume il tono di un momento decisivo, di una svolta importante e significativa. Qui si consuma, ad esempio, la presa di distanza da Antonio Rosmini che il Papa stimava profondamente. Proprio durante i nove mesi passati a Gaeta le cose cambiano. Per contro si registra l'ascesa inarrestabile del cardinale Giacomo Antonelli quale principale consigliere del Pontefice e addirittura la messa all'indice di due opere del roveretano. Un segno importante di un mutamento che segnerà tutta la storia dei rapporti tra Chiesa e società nella seconda metà dell'Ottocento fino agli inizi del Novecento e i cui effetti si sono fatti sentire fino a poco tempo fa.
I nove mesi di permanenza di Pio IX a Gaeta hanno, dunque, una rilevanza storica notevole. Capire che cosa sia accaduto, quali siano stati gli eventi che hanno influito sulle scelte del Papa, quali idee lo abbiano influenzato in maniera determinante, è un campo di indagine ancora poco esplorato.
Ma in attesa di attingere agli archivi conservati dalla diocesi di Gaeta, un particolare può già essere messo in evidenza.

In questo momento si colloca l'iniziativa del Papa di proclamare un dogma mariano: quello dell'Immacolata Concezione. Qualcuno potrebbe pensare ad una distrazione religiosa dai problemi ecclesiali e politici dell'epoca, un allontanamento dal lavoro diplomatico, amministrativo e politico del Pontefice.
Ma nella storia della Chiesa le iniziative di tipo religioso non sono meri apparati ornamentali di una sorta di “autentica” azione ecclesiale che si giocherebbe in realtà nella sfera politica e sociale. I problemi teologici, morali e spirituali della Chiesa sono il reale assillo dell'azione pastorale dei Pontefici, dei Vescovi anche come risposta alle questioni sociali, come contributo al cammino dell'umanità.
L'importanza “strategica”, poi, del periodo in cui questa iniziativa si compie sembrerebbe suggerire che per il Papa questa iniziativa sia essenziale.
Perché?

In maniera un po' romantica a Gaeta la tradizione orale narra che sia stata la preghiera prolungata di Pio IX davanti all'immagine dell'Immacolata Concezione di Scipione Pulzone conservata nella splendida Cappella d'Oro del complesso dell'Annunziata a convincerlo della bontà e della fondatezza del dogma mariano. Un'ipotesi suggestiva, ma poco supportata, finora, da una documentazione storica di convalida.
Interessante, invece, appare un episodio raccontato da Louis Baunard. Narra di Pio IX che contemplando il mare agitato a Gaeta ascoltò e meditò le parole del cardinale Luigi Lambruschini: “Beatissimo Padre, Voi non potrete guarire il mondo che col proclamare il dogma dell'immacolata concezione. Solo questa definizione dogmatica potrà ristabilire il senso delle verità cristiane e ritrarre le intelligenze dalle vie del naturalismo in cui si smarriscono”.

E in effetti proprio la questione di fondo del naturalismo poteva essere una chiave di lettura sintetica agli occhi del Pontefice per comprendere lo smarrimento sociale e culturale dell'Europa del 1848. L'affermazione della Concezione Immacolata della Vergine poneva delle solide basi per affermare e consolidare la certezza di fede del primato della grazia e dell'opera della Provvidenza nella vita degli uomini.

Ma c'è un altro elemento da considerare. Nel gruppo di “ecclesiastici eminenti per pietà e preparati nelle discipline teologiche” cui Pio IX affidò di esaminare la questione della proclamazione del dogma c'era anche Rosmini. Nel suo “Voto” egli distingue la certezza morale e teologica della verità dall'opportunità della proclamazione del dogma, ma soprattutto invita il Papa ad una consultazione generale dell'episcopato. E significativa è l'accoglienza riservata da Pio IX alle indicazioni dell'abate roveretano. Egli coglie il cuore dell'intuizione rosminiana, che non è di opposizione all'iniziativa del Papa, ma è quella di dare forza all'unità della Chiesa in un momento in cui essa è minacciata dagli interessi nazionali e da sollevazioni popolari.

Si percepisce come il rapporto tra Papa Mastai e l'ambiente cattolico liberale sia stato di ascolto attento, ma anche di distanza. Con una certezza chiara: che il bene centrale su cui convergere fosse il bene della Chiesa e la sua libertà e unità. Proprio la considerazione rosminiana lo spingeva a fare della proclamazione del dogma un evento di unità di tutta la cattolicità che rischiava seriamente di dividersi e di frammentarsi dinanzi alle diverse posizioni degli Stati e delle ideologie nascenti.
Possiamo partire proprio dal forte impulso dato da Pio IX alla proclamazione del dogma dell'Immacolata per comprendere la “fucina” di pensiero e di meditazione che ha coinciso con il periodo caietano. Una fase che ci permette di cogliere alcune chiavi di lettura del pontificato del beato Pio IX che si caratterizza per una chiarezza di rapporti con le nuove istanze culturali in Europa, anche accettando con esse la contrapposizione diretta, al fine di promuovere un processo di unità e di compattezza all'interno della Chiesa.
(©L'Osservatore Romano - 13 febbraio 2008)

Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis