giovedì 4 ottobre 2012

PURGATORIO!


I NOSTRI CARI E IL PURGATORIO

Dal Libro "Il peccato veniale" di don Andrea Beltrami, salesiano avviato agli onori degli Altari, citansi qui alcuni esempi riguardo al Purgatorio.

Un religioso francescano apparve ad un confratello lamentandosi perchè da molto tempo più non lo suffragava. Si scusò questi dicendo che lo pensava in Cielo da molto tempo. Un grido lamentevole diede allora il defunto e disse tre volte: Nessun può credere, nessun può credere, nessun può credere quanto minuzioso sia il Giudizio di Dio e quanto severa la punizione della Sua Giustizia.
Verso il 1850 a Foligno una suora morta in concetto di santità venne a chieder suffragi e mentre diceva: Ahi, quanto soffro! toccò colla palma della mano una porta del convento e vi lasciò impressa l'impronta d'essa come se fosse stata di ferro arroventato, riempiendo la stanza di fumo per il legno bruciato. La porta si conserva pur ora.
Un religioso francescano comparve a un domenicano dicendogli: Niente vi è sulla terra che possa dare un'idea delle mie pene! - E per dargliene una prova stese la mano su una tavola che tosto andò come in fiamme e vi rimase fonda la impronta carbonizzata.
Un domenicano polacco vide un dì, mentre pregava per i defunti, un'anima purgante che era come un carbone in mezzo ad una fornace ardente. Il religioso la interrogò se quel fuoco del Purgatorio era più penetrante che quello della terra. Quell'anima rispose: Ahimè! tutto il fuoco della terra, paragonato a quello del Purgatorio, è come un soffio-d'aria freschissima! - Riprese a dire il religioso: Vorrei farne una prova, a patto che ciò giovasse a farmi scontare un po' del Purgatorio che mi toccherà fare. - Ma l'anima repli-cò: Nessun mortale potrebbe sopportarne la minima parte, senza morire all'istante, se Dio non lo sostiene. Se vuoi convincerti, stendi la mano. - Senza temere il religioso stese la mano e l'anima del Purgatorio vi lasciò cader sopra una sola goccia del suo sudore. Subito il religioso stramazzò al suolo con grida acute di spasimo. La goccia gli aveva forata la mano lasciandovi una gran piaga profonda. Una anno intero penò fra spasimi tremendi causa quella piaga e poi morì, mentre quel fatto, divenuto notorio, rianimò il fervore di tutti i monasteri di quelle contrade.
II ven. Bernardino da Busto racconta che un suo fratellino morto a otto anni, dovette scontare in Purgatorio le mancanze di devozione nelle sue preghiere del mattino e della sera. E il venerabile lo sentì spesso recitarle con gran fervore proprio lì dove da vivo le aveva dette con distrazione.
Nella storia dell'Ordine Cistercense si legge che una suora disse, senza necessità, qualche parolina, sia pur sottovoce, in coro durante l'Uffizio; e un religioso perchè non aveva chinato il capo al Gloria Patri, come era regola. E comparvero cinti di fiamme a chieder aiuto ai confratelli.
Al grande San Martino comparve Vitalina, per la quale egli alla sepoltura non aveva voluto dir il requiem bensì il gloria, tanto era nota la sua vita virtuosa, ed essa gli disse di essere in Purgatorio perchè un venerdì si era acconciata i capelli, contrariamente alla regola che lo vietava, essendo il dì della morte del Salvatore.
Un domenicano di gran pietà fu punito atrocemente per il soverchio amore che aveva avuto per i suoi scritti; e un cappuccino per aver consumato, come cuoco del convento, un po' di legna più del bisogno.
San Pier Damiani dice che san Severino, Vescovo di Colonia, dovette scontare in Purgatorio la lieve mancanza di aver anticipato senza bisogno la recita del Breviario.
S. Gregorio il Grande, Papa, narra il fatto che a lunga espiazione fu condannato in Purgatorio il diacono Pascasio. Eppure la sua vita era stata ben santa se la sua dalmatica, stesa sul feretro, aveva operato gran prodigi! Anche san Valerio vescovo di Augusta dovette fare del Purgatorio perchè da vecchio cercò di lasciare come successore un nipote, che però era ottimo sacerdote. Ma Dio gli tolse subito il nipote con morte pre-matura e lui dal Purgatorio chiedeva pietà e misericordia mentre il popolo lo invocava come santo.
Anche l'altro vescovo di Augusta, san Pellegrino, dovette fare del Purgatorio.
In Fiandra apparve l'anima di un novizio cappuccino al suo maestro e guardiano e gli disse, tutto avvolto in fiamme, che per una ben leggera mancanza contro la Regola era da qualche ora in Purgatorio; ma Gesù gli faceva la grazia di venire a chiedere la benedizione del suo maestro e anche ciò che gli imponesse la penitenza che credeva, compiuta la quale poteva volare in Cielo. Lo benedì il Guardiano e gli disse che per pe-nitenza doveva restare in Purgatorio fino alla recita dell'ora canonica delle ore otto ossia Prima. Era passata di poco la mezzanotte colla recita del Mattutino e i monaci erano a riposo. Al sentire la penitenza impostagli, il novizio prese a urlar come un disperato,
correndo per la Chiesa, e lamentandosi così: Padre snaturato! Cuore durissimo e senza pietà! Come mai volete punire tanto severamente un fallo che in vita avreste giudicato degno di ben piccola punizione? Ah voi ignorate la atrocità dei miei tormenti! Oh, penitenza imposta senza pietà! - E ciò dicendo sparì. Cercò di rimediare il Guardiano del Convento col far suonar la campana e riunire i monaci e far loro anticipare Prima, lor raccontando tutto, pur dubitando che potesse porta l'effetto bramato.
Un santo religioso seppe dal suo Angelo Custode che doveva presto morire e rimaner in Purgatorio solo finchè gli avessero detta una santa Messa di suffragio. Egli allora se la fece prometter da un Confratello. E quando preso dopo quel religioso morì, subito corse a celebrare per lui. Dopo Messa in sacrestia gli apparve il defunto raggiante di gioia che andava in Cielo, ma gli mosse un dolce lamento chè lo aveva lasciato un anno in Purgatorio prima di dirgli la Messa che gli aveva promesso. - Ti inganni, riprese egli, ap-pena spirato eri e io venni tosto a celebrare per te. II tuo corpo morto è ancor caldo - Ohimè! - disse allora il defunto - come son spaventevoli le pene del Purgatorio! Un'ora sola mi è parsa un anno!
Il gran Papa Innocenzo terzo famoso per opere di zelo meraviglioso, apparve a santa Lutgarda dopo morto, e di tra le fiamme le annunciò che il suo purgatorio doveva durare fino al giorno del Giudizio. San Bellarmino diceva di rabbrividire pensando a ciò e diceva che se a un santo Pontefice toccava questo, cosa sarebbe toccato agli altri?
Santa Perpetua mentre era in carcere prima del martirio si vide apparirle il fratellino defunto che ella pensava in Cielo e invece chiedeva il suo aiuto dal Purgatorio. Era morto di una terribile ulcera che gli aveva sfigurato il volto in vita, era morto a sette anni di età; eppure pativa ancora per espiare. Ardeva di sete e gli era vicina una vasca di acqua freschissima, ma coll'orlo più alto che la persona sicchè non poteva giungervi.
Sant'Agostino temeva che la Madre, Santa Monica, fosse in Purgatorio, quando eran già passati vent'anni dalla di lei morte.
La pia Contessa Metilde di Canossa alla morte del marito fece celebrare un milione di Messe, oltre le sue preghiere e penitenze, e fece gran elemosine ai poveri e ai monasteri per suffragare il consorte.
Nella vita del Beato Ugone si legge che un monaco apparve dopo quaranta anni di Purgatorio dicendo che gliene restavan ancor dieci da fare.
In un castello - racconta lo scrittore Moggiolo - un'anima vagava facendo gran rumori e gridando che le eran toccati mille anni di purgatorio tremendissimo.
Raccontano i diari della Compagnia di Gesù dell'anno 1597 che un bravo giovine, che era modello di virtù, e che in morte aveva avuto il privilegio di una apparizione della Madonna, e che aveva profetizzato l'ora della morte sua e anche di un altro, a ben quattro anni di Purgatorio fu condannato. Ed un altro, pur distinto per santità, quattordici! Eppure son molti i suffragi che si fanno negli Ordini Religiosi per i membri defunti!
Nel Libro del Rossignoli "Meraviglie sul Purgatorio" si legge che un pittore aveva in gioventù dipinto un quadro con delle nudità; ma se ne pentì e per riparare dipinse da allora in poi sempre devote immagini sacre, e l'ultimo quadro fu un gran lavoro che donò alla Chiesa dei Carmelitani che frequentava, affinchè lo suffragassero con Messe dopo la morte. Qualche d ì dopo la morte egli apparve a uno di quei religiosi scongiurandolo di recarsi da quella persona che gli aveva commissionato quel quadro osceno, e gli dicesse che lo distruggesse subito, e gli annunciasse anche che Dio gli avrebbe tolto con morte prematura i due figli che aveva, causa dei peccato commesso. II quadro fu tosto bruciato, e anche la predizione si avverò.
Santa Margherita Maria Alacoque, mentre pregava per tre anime del Purgatorio, si sentì chieder da Gesù quale volesse ella per prima liberare. La santa rispose che facesse il Salvatore quanto era di Sua maggior gloria. Ed egli liberò allora quella anima che era di una persona secolare, mentre le altre due eran di persone religiose; e aggiunse che a Lui ispiravano ben poca compassione le persone religiose penanti in Purgatorio, perchè in vita avevano avuto tanti mezzi per raggiungere il Cielo direttamente, e per propria colpa non lo avevano fatto.
La stessa Santa si vide apparire una consorella defunta che le domandava aiuto e deplorava di essersi in vita fatta dispensar con troppa facilità da certi esercizi della vita religiosa.
S. Luigi Bertrando vide apparirgli un religioso circondato di fiamme che lo supplicò a perdonargli una parola pungente dettagli molti anni prima. Quella sola parola gli aveva fatto fare Purgatorio. E chiese una santa Messa per esser liberato.
Una santa Religiosa vide in Purgatorio un povero prete le cui dita erano rose e divorate da ulcere schifosissime, perchè in vita aveva fatto il segno di Croce senza la dovuta devozione.
Il famoso padre Nieremberg della Compagnia di Gesù, tanto devoto delle anime purganti, mentre a Madrid una notte pregava per esse, si vide comparirgli un confratello, il quale, per aver talora parlato del prossimo con poca carità, aveva la lingua di continuo bruciata da un ferro rovente. Ed era stata la sua devozione alla Madonna che gli aveva ottenuto di apparir per chiedere aiuto.
Un abate benedettino fu condannato ad acerbo purgatorio perchè era stato di uno zelo troppo austero con i suoi monaci, che lui voleva tutti santi e perfetti insistendo con eccessiva severità. E comparve a Santa Lutgarda, sua penitente in vita, chiedendo aiuto. E la santa si flagellò e pregò e fece gran penitenze per lui. Ma con tutto ciò per molto tempo non riuscì a liberarlo. Solo quando ella offrì infine se stessa come vittima di espiazione, solo allora il monaco fu liberato e le annunciò che ben undici anni ancora avrebbe egli dovuto star in Purgatorio se ella non l'avesse aiutato.
Il beato Stefano, francescano, che soleva passar ogni notte lunghe ore davanti al SS. Sacramento, vide una volta seduto in coro un religioso incapucciato e gli chiese chi era. "Sono un religioso di questo monastero - rispose egli - condannato dalla Divina Giustizia a fare qui il mio Purgatorio per le imperfezioni commesse qui nella recita del Divino Uffizio". Il beato Stefano allora cominciò a pregar per lui e vide che ne aveva molto sollievo, e per molte notti avvenne questo, finchè una volta, dopo la recita del De profundis con gran gioia egli partì, chè la prova era finita.

AMMONIZIONI DI SAN FRANCESCO d'Assisi: È servo fedele e prudente (Mt 24,45) colui che di tutti i suoi peccati non tarda a punirsi, interiormente per mezzo della contrizione ed esteriormente con la confessione e con opere di riparazione.

San Francesco dans immagini sacre san-francesco-d'assisi


MIHI AVTEM ABSIT GLORIARI
NISI IN CRVCE DOMINI NOSTRI
JESV CHRISTI
PER QVEM MIHI
MVNDVS CRVCIFIXVS EST
ET EGO MVNDO.




DEVS
QVI ECCLESIAM TVAM
BEATI FRANCISCI MERITIS
FŒTV NOVÆ PROLIS
AMPLIFICAS
TRIBVE NOBIS
EX EJVS IMITATIONE
TERRENA DESPICERE
ET CÆLESTIVM DONORVM
SEMPER PARTICIPATIONE
GAVDERE




AMMONIZIONI 
del Serafico Padre San Francesco

I.  

IL CORPO DEL SIGNORE 


Il Signore Gesù dice ai suoi discepoli: “lo sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre 
se non per me. Se aveste conosciuto me, conoscereste anche il Padre mio; ma da ora in poi voi lo conoscete e lo avete veduto”. Gli dice Filippo: Signore, mostraci il Padre e ci basta. Gesù gli dice: “Da tanto tempo sono con voi e non mi avete conosciuto? Filippo, chi vede me, vede anche il Padre mio” (Gv 14,6-9).
Il Padre abita una luce inaccessibile (Cfr. 1Tm 6,16), e Dio è spirito, e nessuno ha mai visto Dio 
(Gv 4,24 e Gv 1,18). Perciò non può essere visto che nello spirito, poiché è lo spirito che dà la 
vita; la carne non giova a nulla (Gv 6,64). Ma anche il Figlio, in ciò per cui è uguale al Padre, 
non può essere visto da alcuno in maniera diversa dal Padre e in maniera diversa dallo Spirito 
Santo. 
 Perciò tutti coloro che videro il Signore Gesù secondo l’umanità, ma non videro né credettero, 
secondo lo spirito e la divinità, che egli è il vero Figlio di Dio, sono condannati. E cosi ora tutti 
quelli che vedono il sacramento, che viene santificato per mezzo delle parole del Signore sopra l’altare nelle mani del sacerdote, sotto le specie  del pane e del vino, e non vedono e non 
credono, secondo lo spirito e la divinità, che è veramente il santissimo corpo e il sangue del 
Signore nostro Gesù Cristo, sono condannati, perché è l’Altissimo stesso che ne dà 
testimonianza, quando dice: “Questo è il mio corpo e il mio sangue della nuova alleanza [che 
sarà sparso per molti”]  (Mc 14, 22.24),  e ancora:  “Chi mangia  la mia carne e  beve  il mio sangue, ha la vita eterna” (Cfr. Gv 6,55).
Per cui lo Spirito del Signore, che abita nei suoi fedeli, è lui che riceve il santissimo corpo e il 
sangue del Signore. Tutti gli altri, che non partecipano dello stesso Spirito e presumono ricevere il santissimo corpo e il sangue del Signore, mangiano e bevono  la loro condanna (Cfr. 1Cor 11,29).  Perciò:  Figli degli uomini, fino a quando sarete duri di cuore?  (Sal 4,3) Perché non conoscete la verità e non credete nel Figlio di Dio? (Cfr. Gv 9,35) 
Ecco, ogni giorno egli si umilia (Cfr. Fil 2,8), come quando dalla sede regale (Cfr. Sap 18,15) 
discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile;  ogni 
giorno discende dal seno del Padre sulI’altare nelle mani del sacerdote. E come ai santi apostoli 
si mostrò nella vera carne, così anche ora si mostra a noi nel pane consacrato.  E come essi 
con gli occhi del loro corpo vedevano soltanto la carne di lui, ma, contemplandolo con gli occhi 
dello spirito, credevano che egli era lo stesso Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli 
occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere fermamente che questo è il suo santissimo corpo e sangue vivo e vero. 
E in tale maniera il Signore è sempre presente con i suoi fedeli, come egli stesso dice: “Ecco, io 
sono con voi sino alla fine del mondo” (Mt 28,20).



II.  

IL MALE DELLA PROPRIA VOLONTÀ 

Disse il Signore a Adamo: “Mangia pure i frutti di qualunque albero, ma dell’albero della scienza 
del bene e del male non ne mangiare” (Gen 2,16-17). Adamo poteva dunque mangiare i frutti di 
qualunque albero del Paradiso, egli, finché non contravvenne all’obbedienza, non peccò. 
Mangia infatti, dell’albero della scienza del bene colui che si appropria la sua volontà e si esalta 
per i beni che il Signore dice e opera in lui; e cosi, per suggestione del diavolo e per la 
trasgressione del comando, è diventato per lui il frutto della scienza del male. Bisogna perciò 
che ne sopporti la pena. 



III.  

L’OBBEDIENZA PERFETTA 

Dice il Signore nel Vangelo: “Chi non avrà rinunciato a tutto ciò che possiede non può essere mio discepolo” (Lc 14,33),  e: “Chi vorrà salvare la sua anima, la perderà” (Lc 9,24). 
Abbandona tutto quello che possiede e perde il suo corpo colui che sottomette totalmente se 
stesso alI’obbedienza nelle mani del suo superiore. E qualunque cosa fa o dice che egli sa non essere contro la volontà di lui, purché sia bene quello che fa, è vera obbedienza. 
E se qualche volta il suddito vede cose migliori e più utili alla sua anima di quelle che gli ordina il 
superiore, volentieri sacrifichi a Dio le sue e cerchi invece di adempiere con l’opera quelle del 
superiore. Infatti questa è l’obbedienza caritativa, perché compiace a Dio e al prossimo (Cfr. 1Pt 
1,22). 
Se poi il superiore comanda al suddito qualcosa contro la sua coscienza, pur non obbedendogli, 
tuttavia non lo abbandoni. E se per questo dovrà sostenere persecuzione da parte di alcuni, li 
ami di più per amore di Dio. Infatti, chi sostiene la persecuzione piuttosto che volersi separare 
dai suoi fratelli, rimane veramente nella perfetta obbedienza, poiché sacrifica la sua anima (Cfr. 
Gv 15,13) per i suoi fratelli. 
Vi sono infatti molti religiosi che, col pretesto di vedere cose migliori di quelle che ordinano i loro 
superiori, guardano indietro (Cfr. Lc 9,62) e ritornano al vomito (Cfr. Pr 26,11; 2Pt 2,22) della propria volontà. Questi sono degli omicidi e sono causa di perdizione per molte anime con i loro cattivi esempi. 



IV.  

CHE NESSUNO SI APPROPRI LA CARICA DI SUPERIORE 


Dice il Signore: “Non sono venuto per essere servito ma per servire” (Mt 20,28).  Coloro che 
sono costituiti in autorità sopra gli altri, tanto devono gloriarsi di quell’ufficio prelatizio, quanto se fossero deputati all’ufficio di lavare i piedi (Cfr. Gv 13,14) ai fratelli. E quanto più si turbano se viene loro tolta la carica che se fosse loro tolto  il servizio di lavare i piedi, tanto più mettono insieme per sé un tesoro fraudolento (Cfr. Gv 12,6) a pericolo della loro anima. 


V.  
CHE NESSUNO SI INSUPERBISCA,  
MA OGNUNO SI GLORI NELLA CROCE DEL SIGNORE 


Considera, o uomo, in quale sublime condizione ti ha posto il Signore Dio, poiché ti ha creato e 
formato a immagine del suo Figlio diletto secondo il corpo e a similitudine (Cfr. Gen 1,26) di lui secondo lo spirito. 
E tutte le creature, che sono sotto il cielo, ciascuna secondo la propria natura, servono, 
conoscono e obbediscono al loro Creatore meglio di te. E neppure i demoni lo crocifissero, ma 
sei stato tu con essi a crucifiggerlo, e ancora lo crucifiggi quando ti diletti nei vizi e nei peccati.  
Di che cosa puoi dunque gloriarti? 
Infatti, se tu fossi tanto sottile e sapiente da possedere tutta la scienza (Cfr. 1Cor 13,2) e da 
sapere interpretare tutte le lingue (Cfr. 1Cor 12,28) e acutamente perscrutare le cose celesti, in tutto questo non potresti gloriarti; poiché un solo demonio seppe delle realtà celesti e ora sa di 
quelle terrene più di tutti gli uomini insieme, quantunque sia esistito qualcuno che ricevette dal 
Signore una speciale cognizione della somma sapienza. 
Ugualmente, se anche tu fossi il più bello e il più ricco di tutti, e se tu operassi cose mirabili, 
come scacciare i demoni, tutte queste cose ti sono di ostacolo e non sono di tua pertinenza, ed 
in esse non ti puoi gloriare per niente; ma in questo possiamo gloriarci, nelle nostre infermità 
(Cfr. 2Cor 12,5) e nel portare sulle spalle ogni giorno la santa croce del Signore nostro Gesù 
Cristo (Cfr. Lc 14,27). 



VI.  

L’IMITAZIONE DEL SIGNORE 


Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore (Cfr. Gv 
10,11; Eb 12,2) sostenne la passione della croce. Le pecore del Signore l’hanno seguito  nella tribolazione e persecuzione  (Cfr. Gv 10,4), 
nell’ignominia e nella fame (Cfr. Rm 8,35), nella infermità e nella tentazione e in altre simili cose; 
e ne hanno ricevuto in cambio dal Signore la vita eterna. Perciò è grande vergogna per noi servi 
di Dio, che i santi abbiano compiuto queste opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il 
semplice raccontarle! 



VII.  

LA PRATICA DEL BENE DEVE ACCOMPAGNARE LA SCIENZA 


Dice l’Apostolo: “La lettera uccide, lo spirito invece dà vita” (2Cor 3,6). Sono morti a causa della lettera coloro che unicamente bramano sapere le sole parole, per essere ritenuti i più sapienti in mezzo agli altri e potere acquistare grandi ricchezze e darle ai parenti e agli amici. 
Cosi pure sono morti a causa della lettera quei religiosi che non vogliono seguire lo spirito della 
divina Scrittura, ma piuttosto bramano sapere le sole parole e spiegarle agli altri. E sono vivificati
dallo spirito della divina Scrittura coloro che ogni scienza che sanno e desiderano sapere, non 
l’attribuiscono al proprio io, ma la restituiscono, con la parola e con l’esempio, all’altissimo 
Signore Dio, al quale appartiene ogni bene. 


VIII.  
EVITARE IL PECCATO DI INVIDIA 


Dice l’Apostolo: “Nessuno può dire: Signore Gesù (1Cor 12,3), se non nello Spirito Santo”; e 
ancora: “Non c’è chi fa il bene, non ce n’è neppure uno” (Rm 3,12; Sal 13,1).
Perciò, chiunque invidia il suo fratello riguardo al bene che il Signore dice e fa in lui, commette 
peccato di bestemmia, poiché invidia lo stesso Altissimo, il quale dice e fa ogni bene (Cfr. Mt 
20,15). 



IX.  

AMARE I NEMICI

Dice il Signore: “Amate i vostri nemici [e fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano]” (Mt 5,44). Infatti, veramente ama il suo nemico colui che non si duole per l’ingiuria che quegli gli fa, ma brucia nel suo intimo, per l’amore di Dio, a motivo del peccato dell’anima di lui. E gli dimostri con le opere il suo amore. 



X.  

LA MORTIFICAZIONE DEL CORPO 


Ci sono molti che, quando peccano o ricevono un’ingiuria, spesso incolpano il nemico o il 
prossimo. Ma non è così, poiché ognuno ha in suo potere il nemico, cioè il corpo, per mezzo del 
quale pecca. Perciò è beato quel servo (Mt 24,46) che terrà sempre prigioniero un tale nemico affidato in suo potere e sapientemente si custodirà dal medesimo; poiché, finché si comporterà cosi, nessun altro nemico visibile o invisibile gli potrà nuocere. 

XI.  
NON LASCIARSI GUASTARE A CAUSA DEL PECCATO ALTRUI 


Al servo di Dio nessuna cosa deve dispiacere eccetto il peccato. E in qualunque modo una 
persona peccasse e, a motivo di tale peccato, il servo dl Dio, non più guidato dalla carità, ne 
prendesse turbamento e ira, accumula per sé come un tesoro quella colpa (Cfr. Rm 2,5). Quel 
servo di Dio che non si adira né si turba per alcunché, davvero vive senza nulla di proprio. Ed 
egli è beato perché, rendendo a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio (Mt 
22,21), non gli rimane nulla per sé. 


XII.  
COME RICONOSCERE LO SPIRITO DEL SIGNORE 


A questo segno si può riconoscere il servo di Dio,  se ha lo spirito del Signore: se, quando il 
Signore compie, per mezzo di lui, qualcosa di buono, la sua “carne” non se ne inorgoglisce - poiché la “carne” e sempre contraria ad ogni bene -, ma piuttosto si ritiene ancora più vile ai 
propri occhi e si stima più piccolo di tutti gli altri uomini.


XIII.  
LA PAZIENZA 


Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio (Mt 5,9). Il servo di Dio non può conoscere 
quanta pazienza e umiltà abbia in sé finché gli si  dà soddisfazione. Quando invece verrà il 
tempo in cui quelli che gli dovrebbero dare soddisfazione gli si mettono contro, quanta pazienza e umiltà ha in questo caso, tanta ne ha e non più.


XIV.  

LA POVERTÀ DI SPIRITO 


Beati i poveri in spinto, perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3).
Ci sono molti che, applicandosi insistentemente a preghiere e occupazioni, fanno molte 
astinenze e mortificazioni corporali, ma per una sola parola che sembri ingiuria verso la loro 
persona, o per qualche cosa che venga loro tolta, scandalizzati, tosto si irritano. Questi non 
sono poveri in spirito, poiché chi è veramente povero in spirito odia se stesso (Cfr. Mt 5,39; Lc 
14,26) e ama quelli che lo percuotono nella guancia.


XV  

I PACIFICI 


Beati i pacifici, poiché saranno chiamati figli di Dio (Mt 5,9). Sono veri pacifici coloro che in tutte 
le contrarietà che sopportano in questo mondo, per  l’amore del Signore nostro Gesù Cristo, 
conservano la pace nelI’anima e nel corpo. 


XVI.  
LA PUREZZA DI CUORE 


[Beati i puri di cuore, poiché essi vedranno Dio (Mt 5,8). Veramente puri di cuore sono coloro 
che disdegnano le cose terrene e cercano le cose celesti, e non cessano mai di adorare e vedere il Signore Dio, vivo e vero, con cuore ed animo puro.


XVII.  

L’UMILE SERVO DI DIO 


Beato quel servo (Mt 24,46) il quale non si inorgoglisce per il bene che il Signore dice e opera per mezzo di lui, più che per il bene che dice e opera per mezzo di un altro. Pecca l’uomo che vuol ricevere dal suo prossimo più di quanto non vuole dare di sé al Signore Dio. 


XVIII.  
LA COMPASSIONE PER IL PROSSIMO

Beato l’uomo che offre un sostegno al suo prossimo per la sua fragilità, in quelle cose in cui 
vorrebbe essere sostenuto da lui, se si trovasse in un caso simile. 
Beato il servo che restituisce tutti i suoi beni al Signore Iddio, perché chi riterrà qualche cosa per
sé, nasconde dentro di sé il denaro del Signore suo Dio (Cfr. Mt 25,18), e gli sarà tolto ciò che 
credeva di possedere (Cfr. Lc 8,18).


XIX.  
L’UMILE SERVO DI DIO 


Beato il servo, che non si ritiene migliore, quando viene lodato e esaltato dagli uomini, di quando è ritenuto vile, semplice e spregevole, poiché quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più. Guai a quel religioso, che è posto dagli altri in alto e per sua volontà non vuol discendere. 
E beato quel servo (Cfr. Mt 24,46), che non viene posto in alto di sua volontà e sempre desidera mettersi sotto i piedi degli altri. 


XX:  
IL BUON RELIGIOSO E IL RELIGIOSO VANO 


Beato quel religioso, che non ha giocondità e letizia se non nelle santissime parole e opere del 
Signore e, mediante queste, conduce gli uomini all’amore di Dio con gaudio e letizia (Cfr. Sal 
50,10). Guai a quel religioso che si diletta in parole oziose e frivole e con esse conduce gli 
uomini al riso.

XXI.  

IL RELIGIOSO LEGGERO E LOQUACE 


Beato il servo che, quando parla, non manifesta tutte le sue cose, con la speranza di una 
mercede, e non è veloce a parlare (Pr 29,20), ma sapientemente pondera di che parlare e come 
rispondere. Guai a quel religioso che non custodisce nel suo cuore i beni che il Signore (Cfr. Lc 2,19.51) gli mostra e non li manifesta agli altri nelle opere, ma piuttosto, con la speranza di una mercede, brama manifestarli agli uomini a parole. Questi riceve già la sua mercede (Cfr. Mt 6,2: 6,16) e chi ascolta ne riporta poco frutto.


XXII.  
DELLA CORREZIONE FRATERNA 


Beato il servo che è disposto a sopportare cosi pazientemente da un altro la correzione, 
I’accusa e il rimprovero, come se li facesse da sé. Beato il servo che, rimproverato, di buon 
animo accetta, si sottomette con modestia, umilmente confessa e volentieri ripara. Beato il 
servo che non è veloce a scusarsi e umilmente sopporta la vergogna e la riprensione per un 
peccato, sebbene non abbia commesso colpa.


XXIII.  
LA VERA UMILTÀ 


Beato il servo che viene trovato cosi umile tra i suoi sudditi come quando fosse tra i suoi 
padroni. 
Beato il servo che si mantiene sempre sotto la verga della correzione. È servo fedele e prudente 
(Mt 24,45) colui che di tutti i suoi peccati non tarda a punirsi, interiormente per mezzo della 
contrizione ed esteriormente con la confessione e con opere di riparazione. 



XXIV.  

LA VERA DILEZIONE 


Beato il servo che tanto è disposto ad amare il suo fratello quando è infermo, e perciò non può 
ricambiargli il servizio, quanto l’ama quando è sano, e può ricambiarglielo. 


XXV.  
ANCORA DELLA VERA DILEZIONE 


Beato il servo che tanto amerebbe e temerebbe un suo fratello quando fosse lontano da lui, 
quanto se fosse accanto a lui, e non direbbe dietro le sue spalle niente che con carità non possa 
dire in sua presenza.


XXVI.  
CHE I SERVI DI DIO ONORINO I CHIERICI

 Beato il servo che ha fede nei chierici che vivono rettamente secondo le norme della Chiesa 
romana. E guai a coloro che li disprezzano. Quand’anche, infatti, siano peccatori, tuttavia 
nessuno li deve giudicare, poiché il Signore esplicitamente ha riservato solo a se stesso il diritto di giudicarli. 
Invero, quanto più grande è il ministero che essi svolgono del santissimo corpo e sangue del 
Signore nostro Gesù Cristo, che proprio essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri, tanto maggiore peccato commettono coloro che peccano contro di essi, che se peccassero contro 
tutti gli altri uomini di questo mondo.


 XXVII.  
COME LE VIRTÙ ALLONTANANO I VIZI 


Dove è amore e sapienza, 
ivi non è timore né ignoranza. 
Dove è pazienza e umiltà, 
ivi non è ira né turbamento. 
Dove è povertà con letizia, 
ivi non è cupidigia né avarizia. 
Dove è quiete e meditazione, 
ivi non è affanno né dissipazione. 
Dove è il timore del Signore a custodire la sua casa (Cfr. Lc 11,21), ivi il nemico non può trovare via d’entrata. 
Dove è misericordia e discrezione, ivi non è superfluità né durezza. 



XXVIII.  

IL BENE VA NASCOSTO PERCHÉ NON SI PERDA 


Beato il servo che accumula nel tesoro del cielo (Cfr. Mt 6,20) i beni che il Signore gli mostra e 
non brama dl manifestarli agli uomini con la speranza di averne compenso.  Poiché lo stesso 
Altissimo manifesterà le sue opere a chiunque gli piacerà. Beato il servo che conserva nel suo 
cuore (Cfr. Lc 2,19.51) i segreti del Signore.





Catecismo para niños
Deus in adjutorium meum intende.
Domina ad adjuvandum me festina. 

mercoledì 3 ottobre 2012

IMITIAMOLA nella sua piccola via dell'Infanzia spirituale

St. Thérèse of Lisieux








GESU' è l'Amore Misericordioso, perché vuole attirare tutti dentro la fornace ardente del suo divino Amore.
Lasciamoci attrarre da Lui.
Non resistiamo ai suoi richiami.
Con l'aiuto del Cuore Immacolato si fa più facile la dolce esperienza dell'amore a Gesù.
Sono più di 115 anni dalla nascita al cielo di  Santa Teresa del Bambino Gesù.  
A fine scorso millennio la Mamma Immacolata l'ha donata a tutti noi come piccola sorella.
Lei si è consacrata vittima all'Amore Misericordioso di Gesù. 
Lei si è lasciata consumare tutta dal fuoco ardente della sua divina carità.
IMITIAMOLA in questa sua piccola via.
Diventiamo anche noi piccoli, semplici, umili, miti e mansueti.
Diventassimo tutti bambini, percorrendo la via della infanzia spirituale che Lei ci ha tracciato.
Offriamoci anche noi come vittime all'Amore Misericordioso di Gesù, perché, attraverso di noi, possa effondere presto sul mondo il grande prodigio della Divina Misericordia.



Santa Teresa del Bambino Gesù dans Santi






Santa Teresa di Gesù Bambino (di Lisieux) Vergine e dottore della Chiesa

(Santi )



Alençon (Francia), 2 gennaio 1873 – Lisieux, 1° ottobre 1897


Sensibilissima e precoce, fin da bambina decise di dedicarsi a Dio. Entrò nel Carmelo di Lisieux e nel solco della tradizione carmelitana scoprì la sua piccola via dell’infanzia spirituale, ispirata alla semplicità e all’umile confidenza nell’amore misericordioso del Padre. Puosta dalla vocazione contemplativa nel cuore della Chiesa, si aprì all’ideale missionario, offrendo a Dio le sue giornate fatte di fedeltà e di silenziosa e gioiosa offerta per gli apostolo del Vangelo. I suoi pensieri, raccolti sotto il titolo Storia di un’anima, sono la cronaca quotidiana del suo cammino di identificazione con l’Amore.

 Con San Francesco Saverio è patrona delle missioni. (Mess. Rom.)
Patronato: Missionari, Francia
Etimologia: Teresa = cacciatrice, dal greco; oppure donna amabile e forte, dal tedesco
Emblema: Giglio, Rosa

E’ presente nel Martirologio Romano. Memoria di santa Teresa di Gesù Bambino, vergine e dottore della Chiesa: entrata ancora adolescente nel Carmelo di Lisieux in Francia


Si arrampica a Milano sul Duomo fino alla Madonnina, a Pisa sulla Torre, e a Roma si spinge anche nei posti proibiti del Colosseo. 
La quattordicenne Teresa Martin è la figura più attraente del pellegrinaggio francese, giunto in Roma a fine 1887 per il giubileo sacerdotale di Leone XIII. Ma, nell’udienza pontificia a tutto il gruppo, sbigottisce i prelati chiedendo direttamente al Papa di poter entrare in monastero subito, prima dei 18 anni. Cauta è la risposta di Leone XIII; ma dopo quattro mesi Teresa entra nel Carmelo di Lisieux, dove l’hanno preceduta due sue sorelle (e lei non sarà l’ultima).

I Martin di Alençon: piccola e prospera borghesia del lavoro specializzato. Il padre ha imparato l’orologeria in Svizzera. La madre dirige merlettaie che a domicilio fanno i celebri pizzi di Alençon. Conti in ordine, leggendaria puntualità nei pagamenti come alla Messa, stimatissimi. E compatiti per tanti lutti in famiglia: quattro morti tra i nove figli. Poi muore anche la madre, quando Teresa ha soltanto quattro anni.

In monastero ha preso il nome di suor Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, ma non trova l’isola di santità che s’aspettava. Tutto puntuale, tutto in ordine. Ma è scadente la sostanza. La superiora non la capisce, qualcuna la maltratta. Lo spirito che lei cercava, proprio non c’è, ma, invece di piangerne l’assenza, Teresa lo fa nascere dentro di sé. E in sé compie la riforma del monastero. Trasforma in stimoli di santificazione maltrattamenti, mediocrità, storture, restituendo gioia in cambio delle offese.


E’ una mistica che rifiuta il pio isolamento. La fanno soffrire? E lei è quella che « può farvi morir dal ridere durante la ricreazione », come deve ammettere proprio la superiora grintosa. Dopodiché, nel 1897 – giusto 115 anni fa – lei è già morta, dopo meno di un decennio di vita religiosa oscurissima. Ma è da morta che diviene protagonista, apostola, missionaria. Sua sorella Paolina (suor Agnese nel Carmelo) le ha chiesto di raccontare le sue esperienze spirituali, che escono in volume col titolo Storia di un’anima nel 1898. Così la voce di questa carmelitana morta percorre la Francia e il mondo, colpisce gli intellettuali, suscita anche emozioni e tenerezze popolari che Pio XI corregge raccomandando al vescovo di Bayeux: « Dite e fate dire che si è resa un po’ troppo insipida la spiritualità di Teresa. Com’è maschia e virile, invece! Santa Teresa di Gesù Bambino, di cui tutta la dottrina predica la rinuncia, è un grand’uomo ». Ed è lui che la canonizza nel 1925.
Non solo. Nel 1929, mentre in Urss trionfa Stalin, Pio XI già crea il Collegio Russicum, allo scopo di formare sacerdoti per l’apostolato in Russia, quando le cose cambieranno. Già allora. E come patrona di questa sfida designa appunto lei, suor Teresa di Gesù Bambino.


Autore: Domenico Agasso


V/. Maria Mater gratiæ, Mater misericordiæ. 
R/. Tu nos ab hoste protege, et hora mortis suscipe.