mercoledì 5 settembre 2012

"Concedimi di lodarti, o Vergine santissima! Che la tua gloria si accresca sempre più profondamente, sempre più rapidamente, sempre più intensamente


Bartolome Esteban Murillo 1670-75.jpg



Preghiera alla Vergine Immacolata 
di San Massimiliano Maria Kolbe



"Chi sei, o Signora? Chi sei, o Immacolata? In non sono in grado di esaminare in modo adeguato ciò che significa essere "creatura di Dio". Sorpassa già le mie forze il comprendere quel che vuol dire essere "figlio adottivo di Dio".

Ma Tu, o Immacolata, chi sei? Non sei soltanto creatura, non sei soltanto figlia adottiva, ma sei Madre di Dio e non sei soltanto Madre adottiva, ma vera Madre di Dio.

E non si tratta solo di un'ipotesi, di una probabilità, ma di una certezza, di una certezza totale, di un dogma di fede.

Ma Tu sei ancora Madre di Dio? Il titolo di madre non subisce mutazioni. In eterno Dio Ti chiamerà: "Madre mia" ... Colui che ha stabilito il quarto comandamento, Ti venererà in eterno, sempre ... Chi sei, o divina?

Egli stesso, il Dio incarnato, amava chiamarsi: "Figlio dell'uomo". Ma gli uomini non lo compresero. Ed anche oggi quanto poche sono le anime che lo comprendono, e quanto imperfettamente lo comprendono!

Concedimi di lodarti, o Vergine Immacolata.

Ti adoro, o Padre nostro celeste, poiché hai deposto nel grembo purissimo di Lei il tuo Figlio unigenito.

Ti adoro, o Figlio di Dio, poiché Ti sei degnato di entrare nel grembo di Lei e sei diventato vero, reale Figlio suo.

Ti adoro, o Spirito Santo, poiché Ti sei degnato di formare nel grembo immacolato di Lei il corpo del Figlio di Dio.

Ti adoro, o Trinità santissima, o Dio uno nella santa Trinità, per aver nobilitato l'Immacolata in un modo così divino.

E io non cesserò mai, ogni giorno, appena svegliato dal sonno, di adorarti umilissimamente, o Trinità divina, con la faccia a terra, ripetendo tre volte: "Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Come era nel principio e ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen".

Concedimi di lodarti, o Vergine santissima.

Concedimi di lodarti con il mio impegno e sacrificio personale.

Concedimi di vivere, lavorare, soffrire, consumarmi e morire per Te, solamente per Te.

Concedimi di condurre a Te il mondo intero.

Concedimi di contribuire ad una sempre maggior esaltazione di Te, alla più grande esaltazione possibile di Te.

Concedimi di renderti una tale gloria quale nessuno mai Ti ha tributato finora.

Concedi ad altri di superarmi nello zelo per la tua esaltazione, e a me di superare loro, così che in una nobile emulazione la tua gloria si accresca sempre più profondamente, sempre più rapidamente, sempre più intensamente, come desidera Colui che Ti ha innalzata in modo così ineffabile al di sopra di tutti gli esseri.

In Te sola Dio è stato adorato senza paragone più che in tutti i suoi santi.

Per Te Dio ha creato il mondo. Per Te Dio ha chiamato pure me all'esistenza. Per quale motivo ho meritato questa fortuna?

Deh, concedimi di lodarti, o Vergine santissima!"




In Rycerz Niepokalanej, aprile 1938, pp. 129-130, in Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oswiecim e beato della Chiesa. trad. it., vol. III, Città di Vita, Firenze 1978, pp. 715-716.


<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>




San Giovanni Rotondo | Padre Pio!. più che il miracolo del vetro, quello di una conversione!


AVE MARIA!

martedì 4 settembre 2012

S. LORENZO GIUSTINIANI vescovo. Un amico che si era recato nel convento per persuaderlo a far ritorno in famiglia, decise invece di seguirne immediatamente l'esempio, facendosi frate. Lorenzo, vestito dell'umile saio del frate mendicante, andava di porta in porta a fare la questua.


S. LORENZO GIUSTINIANI vescovo


(si celebra il 5 settembre)
Venezia, luglio 1381 - 8 gennaio 1456
Etimologia: Lorenzo = nativo di Laurento, dal latino
Emblema: Bastone pastorale, Portamonete 


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S.Lorenzo ed altri Santi, Giovanni Antonio de Sacchis detto "il Pordenone", 1532 Galleria dell'Accademia Venenzia

Lorenzo nacque a Venezia nel 1381 dalla nobile famiglia Giustiniani di Venezia. Dopo aver avuto una visione della Sapienza Eterna si diede alla vita ascetica.
Deludendo le attese della madre, rimasta vedova con cinque bambini in una grande casa nobiliare, gremita di servitù in livrea, abbandonò la famiglia e andò a chiudersi tra i monaci dell'isola di S. Giorgio.
Un amico che si era recato nel convento per persuaderlo a far ritorno in famiglia, decise invece di seguirne immediatamente l'esempio, facendosi frate. Lorenzo, vestito dell'umile saio del frate mendicante, andava di porta in porta a fare la questua.
Un figlio accattone non è un bel vedere per la nobile famiglia Zustinian o Giustiniani, ornamento della Serenissima.
Lui, Lorenzo, arriva a mendicare fin sotto casa, la madre, una piissima- donna, soffriva al pensiero che la gente potesse riconoscere suo figlio sotto quelle vesti, e per affrettarne il ritorno in convento mandava i domestici a riempire di pani la sua bisaccia, purché si tolga di lì. Lui accetta soltanto due pani, ringrazia e continua. Il confratello che lo accompagnava avrebbe voluto evitare le porte dalle quali provenivano solo insulti, ma Lorenzo era categorico: « Non abbiamo rinunciato al mondo soltanto a parole. Andiamo a riceverci anche il disprezzo! ».
Il suo scopo non è l’“opera buona” in sé. E’, addirittura, la rigenerazione della Chiesa attraverso la riforma personale di chierici e laici. L’umiliazione del mendicare ha valore di "vittoria sopra sé stessi", di avversione alle pompe prelatizie, di primo passo verso il rinnovamento attraverso la meditazione, la preghiera, lo studio, l’austerità. L’intraprendente e battagliera Venezia del Quattrocento è anche un fervido laboratorio di riforma cattolica, destinato a portare frutti preziosi.
Lorenzo Giustiniani è diacono nel 1404, quando si unisce ad altri sacerdoti, accolti nel monastero di San Giorgio in Alga, per vivere in comune tra loro, riconosciuti poi come “Compagnia di canonici secolari”: sono i pionieri dello sforzo riformatore. Sacerdote nel 1407, due anni dopo è già priore della comunità di San Giorgio in Alga.
Lorenzo ha scarse doti di oratore, ma “predica” con molta efficacia, da un lato, continuando a girare con saio e bisaccia; e, dall’altro, scrivendo instancabilmente.
Scrive per i dotti e per gli ignoranti, trattati teologici e opuscoletti popolari, offrendo a tutti una guida alla riforma personale nel credere e nel praticare. Spinge i fedeli a recuperare il senso di comunione con tutta la Chiesa, anima la fiducia nella misericordia di Dio piuttosto che il timore per la sua giustizia.
Non aveva il dono dell'oratoria, ma di ciò non si dava pena, potendo supplire con la parola scritta, di cui fece largo uso per la direzione del clero e dei laici, con lettere pastorali e opuscoli, in cui condensava in brevi e concettosi aforismi il succo di tante meditazioni: « Chi non utilizza il Signore quanto più gli è possibile, mostra di non apprezzarlo »; « Un servo del Signore evita anche le piccole mancanze, perché la sua carità non si raffreddi»; «Dobbiamo evitare gli affari troppo complicati; nelle complicazioni c'è sempre lo zampino del diavolo ».

Nei suoi scritti, opere varie e sermoni c'è l'idea madre dell'Eterna Sapienza, elemento dominante della sua mistica. Essa, negli scritti del periodo monacale, guida l'uomo al vertice della perfezione interiore e, degli scritti successivi, al vertice della vita episcopale.
Nel 1433 arriva la nomina a vescovo, sebbene egli cerchi di evitarla, aiutato dai confratelli di San Giorgio in Alga: ma di lì viene anche papa Eugenio IV, Gabriele Condulmer, che conosce benissimo Lorenzo e non dà retta ai suoi pretesti: la stanchezza, il compito troppo difficile… Eccolo perciò vescovo “di Castello”, dal nome della sua residenza, che è un’isoletta lagunare fortificata, l’antica Olivolo, riformò con zelo apostolico la sua diocesi. Nel 1541, poi, Niccolò V sopprime quello che resta del patriarcato di Grado, e dà a Lorenzo Giustiniani il titolo di patriarca di Venezia: il primo. Grazie anche alla sua umiltà e santità, sanare la frattura tra la Chiesa e il potere civile.
Diceva di lui il doge di Venezia diceva che il solo uomo col quale avrebbe scambiato la sua anima era il vescovo Lorenzo Giustiniani. A sua volta il primo patriarca di Venezia, affermava che il mestiere di doge era un gioco in confronto a quello di vescovo, per gli òneri che la guida delle anime comportava.
Lorenzo Giustiniani, vescovo di Venezia, non mutò tenore di vita, nemmeno esteriormente. Visitava egli stesso i poveri della città, distribuendo non denaro, ma alimenti e vestiti, perché il frutto della carità non prendesse altre vie.

Vengono i tempi duri della lotta contro i Turchi. Nel 1453 cade in mano loro Costantinopoli, e "a Venezia è tutto un pianto, non si sa che fare", come scrive un testimone. Lorenzo Giustiniani va avanti con rigore nell’opera di riforma, inimicandosi qualche volta il Senato, altre volte i preti, e affascinando i veneziani che già lo tengono per santo.

Abituato alle dure penitenze, quando, ormai vecchio e malato, cercarono di sostituirgli il pagliericcio con un letto di piume, egli protestò: « Cristo morì sulla croce e io dovrei morire su un letto di piume? ».
Morì l'8 gennaio 1455 esprimendo il desiderio di essere sepolto nel piccolo cimitero del vecchio convento.
Ma i veneziani gli decretarono un vero trionfo.
Dopo la sua morte, essi ottengono che il suo corpo resti sepolto per sempre nella chiesa di San Pietro in Castello.
Lo canonizzerà, nel 1690, papa Alessandro VIII (il veneziano Piero Ottoboni), ma la pubblicazione ufficiale si avrà soltanto con papa Benedetto XIII nel 1727.

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S.Lorenzo benedicente, Giovanni Bellini, 1465 Galleria dell'Accademia Venenzia

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La visione di S.Lorenzo, Antonio Pellegrini, Fondazione Cini, Venenzia

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S.Lorenzo, facciata della Chiesa di San Giuseppe Mestre (Venezia)

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A.M.D.G. et BVM

“La crisi della Chiesa nasce dalla liturgia”



La famiglia Summorum Pontificum 

si organizza

(su paixliturgique) Nei primi giorni di agosto l’annuncio ufficioso di un pellegrinaggio internazionale dei movimenti pro Summorum Pontificum ha sollevato un grande interesse nel mondo. Dalla Francia agli Stati Uniti, numerosi religiosi e laici si stanno già organizzando per recarsi ad Petri sedem per il fine settimana di Ognissanti. In Italia quest’annuncio ha però suscitato alcune polemiche riprese dai siti tradizionalisti. Nel mirino delle critiche, il nuovissimo Coordinamento nazionale del Summorum Pontificum, animato da Emanuele Fiocchi, già responsabile del sitoRinascimento Sacro.
Abbiamo voluto dargli la parola per spiegare questa nuova iniziativa che non intende rappresentare tutto il mondo tradizionalista italiano bensì dare voce a coloro che si sono avvicinati alla liturgia tradizionale grazie al Motu Proprio Summorum Pontificum di Papa Benedetto.
NB: A proposito del pellegrinaggio internazionale del 3 novembre, vi invitiamo calorosamente a leggere su Messa in Latino l’intervista rilasciata dal suo portavoce ufficiale, l’irlandese Thomas Murphy.
***
1- Qual è il ruolo del CNSP nel pellegrinaggio del 3 novembre a Roma?
CNSP: Il “Coordinamento nazionale del Summorum Pontificum” è solo uno dei promotori dell’iniziativa, la quale va ben oltre i confini nazionali ed ha un respiro davvero “cattolico”. Al nostro fianco sono scesi in campo organizzazioni di assoluto prestigio come la Fedezione Internazionale “Una Voce”, la Federazione Internazionale dei giovani di “Juventutem” e la grande “Notre-Dame-de-Chrétienté” di Versailles che organizza il pellegrinaggio a Chartres con migliaia di fedeli ogni anno.
2- Le opinioni contro il Coordinamento a cosa si devono?
CNSP: Credo ad una interpretazione parziale dello spirito con cui il Coordinamento è stato concepito. Il Coordinamento nasce per coordinare quei gruppi di fedeli che si ritrovano nell’interpretrazione “benedettiana” della questione liturgica ereditata dall’ultima riforma. Una questione da riaprire con carità, coraggio e pazienza sotto la guida di questo Papa.
L’unione che gli aderenti cercano nel Coordinamento è per far la loro piccola parte in questo nuovo e profondo movimento liturgico che è in atto nella Chiesa. Ora, tener viva la fiamma della liturgia nella forma straordinaria davanti ai quei fratelli che non capiscono questa scelta e non la condividono – quando proprio non la ostacolano, cioè spessissimo – è la nostra personale testimonianza di fede, il nostro contributo a questo movimento.
3- Perché questa scelta, diciamolo pure, difficile e controcorrente?
CNSP: Perché scegliere di celebrare in rito antico è un martirio bianco che risponde alla grande domanda del Papa.
4- Quale domanda?
CNSP: “La crisi della Chiesa nasce dalla liturgia”.
5- Ma questa non è una domanda, fu una affermazione di Benedetto XVI!
CNSP: Certo, ma rimase una frase sospesa nel vuoto, molti la derubricarono a semplice provocazione, perchè sottintendeva un pragmatico “quindi adesso che facciamo?” che spaventava. In realtà il Papa ha posto una domanda teologica fondamentale che picchia in testa ad ogni Vescovo, ad ogni prete e ad ogni laico ogni giorno: se l’Eucarestia, nella liturgia, genera la Chiesa allora perché certa parte di Chiesa trascura liturgia ed Eucarestia?
6- Già, perché?
CNSP: Forse perché quella non è più Chiesa, ma un’altra cosa: una specie di mutazione genetica della fede, che ha mantenuto il nome di “cattolica” ma dopo anni di brage trascurate ha spento il fuoco dello Spirito e celebra altro.
7- E perché quella parte di Chiesa ce l’ha tanto con il rito antico?
CNSP: Perché quella cosa mutante che s’aggira nella Chiesa Cattolica digrigna i denti contro la splendente luce di milleseicento anni di sacri riti e sante preghiere, come un demonio contro un esorcismo. La liturgia cattolica celebra una Presenza e quando celebra questa Presenza con la “devotio”, ovvero con quella pia virtù di cui molte liturgie sono prive, irrita a morte il Nemico, perché vede che l’uomo riconosce con onore e decoro la Maestà del suo vero Dio. Il rito antico favorisce in maniera certissima – per la postura, la teologia e la sacralità di cui è intriso – questa sacra devozione e qualcuno proprio non lo sopporta.
8- E quindi?
CNSP: E quindi la forma straordinaria della Sacra Liturgia, laddove viene celebrata, diventa la pietra di scandalo che rivela il pensiero di molti. Un pensiero per niente cattolico, mi creda.
9- Ma la Messa di Paolo VI, che viene chiamata ora “forma ordinaria” della liturgia, non bastava?
CNSP: Quella è la forma ordinaria, appunto. Eppure secondo il Papa era necessario riaccendere anche l’altra fiamma, quella delle radici da cui proveniamo, perché era stata quasi spenta e nemmeno il beato Giovanni Paolo II era riuscito a riaccenderla con la Quattuor abhinc annos e l’Ecclesia Dei adflicta, a causa delle ostilità di molti vescovi. Ecco, allora, che Benedetto XVI ha donato alla Chiesa il Summorum Pontificum, un documento che dona d’autorità il diritto universale e permanente a celebrare anche secondo la forma antica. Noi ci appelliamo a questo diritto e lo difendiamo per tenere accesa quella fiamma.
10- Ma questo non crea divisioni tra i fedeli? In fondo anche nelle critiche al Coordinamento c’è l’accusa di voler dividere il tradizionalismo tra posizioni “concilianti” e posizioni “puriste”…
CNSP: Come mi dice sempre un carissimo amico: il pensiero del Papa è chiaro, chi la pensa come il Papa sia il benvenuto.
Nella Chiesa, se si presta fede al Magistero di Benedetto XVI – soprattutto quello liturgico –, queste divisioni non dovrebbero sussistere: ciò che è sempre stato continua a valere anche oggi. Ciò che si fa oggi, invece, potrebbe non essersi sempre fatto, pertanto “nihil innovetur nisi in Traditione”…
Eventuali divisioni, invece, del cosiddetto “tradizionalismo” (che, detto per inciso, credo non dispiacciano affatto a qualcuno), non saranno certo provocate dal Coordinamento Nazionale del Summorum Pontificum. Questa è una iniziativa che non pretende né di dare patenti di cattolicità, né di comandare sui gruppi stabili che celebrano il rito antico, né di imporre loro alcun “pensiero unico”. Per due semplicissimi motivi.
Primo, perché – e lo diciamo espressamente – non siamo un’associazione con delle tessere o dei capi. Abbiamo una struttura ultraleggera, fatta al massimo di alcuni portavoce e moderatori; ci basiamo su una libera e spontanea partecipazione dei gruppi stabili; proponiamo lavori e progetti che il Coordinamento sviluppa su input dei gruppi stessi. Per questo, pur augurandoci di crescere, – già oggi abbiamo una rappresentanza in tutte le regioni italiane – non abbiamo pretese di esclusività, e siamo pronti ad affiancarci ad ogni realtà che sia sulla nostra stessa lunghezza d’onda, come avviene – per fare un esempio – con il Coordinamento Toscano Benedetto XVI.
Secondo motivo: i nostri contenuti sono quelli espressi da Benedetto XVI nel Summorum Pontificum e nel suo Magistero, noi lavoriamo su quello, e ci confrontiamo strenuamente con gli oppositori della liturgia tradizionale. E’ per questo che proponiamo agli aderenti la condivisione di un patto di punti in comune che si richiama pressoché testualmente al Summorum Pontificum e alla Universae Ecclesiae. La nostra unione non vuol far la nostra forza, ma la forza del Papa.
11- Non c’è il rischio di costruire l’ennesima sovrastruttura?
CNSP: No, perchè il nostro scopo è pratico e non ideologico. Il coetus fidelium è e rimane l’unità di misura del Summorum Pontificum: solo il coetus, infatti, può “chiedere una Messa” o appellarsi alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei. Noi come Coordinamento regionale e nazionale affianchiamo, consigliamo, uniamo gli sforzi, soprattutto quando il coetus incontra difficoltà od opposizioni, ma nulla più.
12- E chi vi accusa di edulcorare la liturgia antica, di favorire le contaminazioni tra i riti?
CNSP: Una grande falsità nata da un grande equivoco. Il Coordinamento è costruito sul testo del Summorum Pontificum così come esso è stato impostato: possono non star bene certi termini o certe scelte, ma il documento papale è quello. Un solo rito, due forme separate. Da nessuna parte si parla di sperimentare sulla pelle del rito antico, riabilitare messali del ’65 o legittimare contaminazioni casalinghe tra vecchio e nuovo. Potrei affermare, in concreto, che l’idea del Coordinamento è nata anche dalla necessità di alcuni gruppi di resistere a pressioni che invitavano a far strane commistioni dei messali.
Questi abusi hanno la stessa radice di tutti gli abusi: si profana lo ius divinum. Ci si impadronisce delle cose sante di Dio, anche con le migliori intenzioni, e si finisce per violare il Suo sacro diritto ad essere adorato come Egli ha stabilito. Ed Egli lo ha stabilito attraverso la Sua Chiesa.
13- Niente pasticci insomma…
CNSP: La forma ordinaria è “ordinaria”, quella straordinaria è “straordinaria”: sul campo nessuna contaminazione è accettabile.
Messe in rito antico con le letture nuove “così il prete prepara una sola predica”, preti che per negligenza rasano allegramente le rubriche per evitare la fatica di impararle, quelli che hanno deciso che nel Summorum Pontificum c’è scritto 1920 o 1965 e non 1962 – per quanto la discussione è assolutamente legittima e deve rimanere aperta – sono di una creatività liturgica di segno contrario che non è ammissibile neanche per l’Ecclesia Dei, figuriamoci per il Coordinamento.
Il nostro principale dovere è di dare sostegno e decoro alla forma straordinaria, che spesso ha bisogno ancora di un’adeguata catechesi tra i fedeli e tra gli organizzatori, ed è a questo che stiamo lavorando.
14- Eppure nella lettera introduttiva al Summorum Pontificum si dice che “le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda ”… 
CNSP: Sì, ma subito dopo dice anche “nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. La Commissione Ecclesia Dei, in contatto con i diversi enti dedicati all’usus antiquior, studierà le possibilità pratiche”, limitando espressamente i campi e la competenza di questi eventuali interventi. Sono auspici ragionevoli, ma senza arbitrii.
Sinceramente, io non starei a fasciarmi troppo la testa su quella frase: a noi preme che la forma straordinaria della Sacra Liturgia arricchisca la nostra fede e quella delle realtà ecclesiali in cui viviamo. Per questo auspichiamo che la liturgia tradizionale si diffonda sempre più e i gruppi si inseriscano pienamente nella vita delle diocesi.
Quanto al resto, mettiamoci in braccio allo Spirito Santo come dei bambini, convinti che, quando e come la Provvidenza vorrà, anche la crisi liturgica che affligge la Chiesa verrà riassorbita.
Per ora, felicitiamoci, piuttosto, dei sapienti interventi che il Santo Padre ha chiesto all’ultima edizione del Messale della forma ordinaria, come l’aggiustamento del “pro multis” nella traduzione, per esempio. Per questo grande Papa la “dottrina della Fede”, innazitutto.

<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>

La mayor señal de la ira de Dios sobre un pueblo y el más terrible castigo que sobre él pueda descargar en este mundo, es permitir que ...


El mayor castigo que puede infligir Dios sobre Su Pueblo, según San Juan Eudes


(secretummeummihi) La mayor señal de la ira de Dios sobre un pueblo y el más terrible castigo que sobre él pueda descargar en este mundo, es permitir que, en castigo de sus crímenes, venga a caer en manos de pastores que más lo son de nombre que de hecho, que más ejercitan contra él la crueldad de lobos hambrientos que la caridad de solícitos pastores, y que, en lugar de alimentarle cuidadosamente, le desgarren y devoren con crueldad; que en lugar de llevarle a Dios, le vendan a Satanás; en lugar de encaminarle al cielo, le arrastren con ellos al infierno; y en lugar de ser la sal de la tierra y -la luz del mundo, sean su veneno y sus tinieblas.
Porque nosotros, pastores y sacerdotes, dice San Gregorio el Grande, seremos condenados delante de Dios como «asesinos de todas las almas que van todos los días a la muerte eterna por nuestro silencio y nuestra negligencia» (occidimus, quot ad mortem ¡re tepidi et tacentes videmus. Homil. 12 super Ezech.). «Nada hay, dice este mismo Santo («Nullum, puto, frates charissimi, majus praejudicium ab allis quam a sacerdotibus tolerat Deus: quando eos quos ad aliorum correptionem posuit, dare de se exempla pravitatis cernit; quando preccamus qui compescere peccata debuimus: officium quidem sacerdotale suscipimus, sed opus officii non implemus.Homil. 27 in evang.), que tanto ultraje a Dios (y por consiguiente que más provoque su ira y atraiga más maldiciones sobre los pastores y sobre el rebaño, sobre los sacerdotes y sobre el pueblo) como los ejemplos de una vida depravada dados por quienes él ha establecido para la corrección de los demás; cuando pecamos, debiendo reprimir pecados», cuando no tenernos cuidado alguno de la salvación de las almas; cuando no nos cuidamos más que de satisfacer nuestras inclinaciones; cuando todas nuestras aficiones se terminan en las cosas de la tierra; cuando nos alimentamos con avidez de la vana estima de los hombres, haciendo servir a nuestra ambición un ministerio de bendición; cuando abandonamos los quehaceres de Dios para ocuparnos en los del mundo; y cuando llenando un lugar de santidad, nos entregamos a cosas terrenas y profanas.
Cuando Dios permite que esto suceda, es prueba muy cierta de que está encolerizado contra su pueblo, siendo éste el más espantoso rigor que puede ejercer sobre él en este mundo. Por esto, dice incesantemente a todos los cristianos: Convertíos a mí… y os daré pastores según mi corazón (Convertimini ad me… et dabo vobis pastores juxta cor meum. Jerem. 3-15). En lo cual se deja ver bien claro que el desarreglo de la vida de los pastores es un castigo de los pecados del pueblo; y que, por el contrario, el mayor efecto de la misericordia de Dios hacia él, y la más preciosa gracia que puede otorgarle, es darle pastores y sacerdotes según su corazón, que no busquen más que su gloria y la salvación de las almas.
San Juan Eudes
“El sacerdote y sus ministerios en su
aspecto ascetico-pastoral”
Capítulo II,
Cualidades y excelencias de un buen pastor
y de un santo sacerdote
Editorial San Juan Eudes
Usaquén-Bogotá D.E., Colombia
195

<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>