domenica 15 luglio 2012

Preghiera alla Madonna del Carmelo



 Preghiera alla Madonna del Carmelo 

Vergine Benedetta, piena di grazia. Regina dei Santi, quanto mi è dolce venerarti con questo titolo di Madonna del Monte Carmelo! Esso mi richiama ai tempi profetici di Elia, quando tu fosti raffigurata sul Carmelo in quella piccola nube che poi, allargandosi, si aprì in una pioggia benefica, simbolo delle grazie santificatrici che ci provengono da Te. Sin dai tempi apostolici Tu fosti onorata con questo misterioso titolo e ora mi rallegra il pensiero di unirmi ai tuoi primi devoti e con essi ti saluto, dicendoti: O Splendore del Carmelo, o Vergine delle vergini, ricordati di me miserabile, e mostra di essermi Madre. Diffondi in me sempre la luce di quella fede che ti fece Beata: infiammami di quell'amore celestiale onde Tu amasti tuo Figlio Gesù Cristo.
Molti dolori dell'anima e del corpo mi stringono da ogni parte e io mi rifugio come figlio all'ombra della tua protezione materna. Tu, Madre di Dio, che tanto puoi e tanto vali, ottienimi da Gesù benedetto i doni celesti dell'umiltà, della castità, della mansuetudine; concedimi di essere forte nelle tentazioni e nelle amarezze che spesso mi travagliano.
Veglia con amore su di me che sono tuo figlio rivestito del tuo Santo Scapolare e risplendi sul mio cammino perché giunga alla vetta del monte che è Cristo Gesù, Tuo Figlio e mio Signore. E quando si compirà, secondo il volere di Dio, la giornata del mio pellegrinaggio terreno, fa' che all'anima mia sia donata, per i meriti di Cristo e per la tua intercessione, la gloria del Paradiso. Amen.
Salve, o Regina...

Corda Iesu et Mariae sacratissima
Nos benedicant et custodiant.

venerdì 13 luglio 2012

MARIA ROSA MISTICA: 13 luglio


rosa mistica


LA MEDAGLIA DI MARIA ROSA MISTICA

L'apparizione del 19 maggio 1970 ebbe un suo particolare signi­ficato. Maria SS. apparve, come sempre, nel suo candido manto, il Cuore ornato con tre rose (bianca, rossa e giallo-oro). Al braccio de­stro un grande rosario che terminava con una medaglia invece della croce. Quindi, stendendo ambedue le braccia, la SS. Vergine mostrò una medaglia rotonda e dorata sulle due palme delle mani. Su quella della mano destra Pierina vide incisa la figura di Maria in piedi, in ci­ma alla scala con le mani giunte e con il capo, come sempre, china­to in avanti sulla sinistra, circondato di rose. Molte rose erano pure ai suoi piedi, sparse per la scala. Sull'orlo della medaglia della mano de­stra vi era scritto: “Rosa”; su quello della sinistra “Mistica”. Quindi a tergo di una delle medaglie Pierina osservò distintamente una bella chiesa a cupola con tre grandi porte. Sopra vi era la scritta:
”Maria Madre della Chiesa"
A questo punto la Madre celeste prese a parlare e disse:
“Desidero sia fatta coniare una medaglia come questa e con le due iscrizioni. il Signore mi ha inviata in questo luogo da Lui prescelto per portare il dono del suo amore, il dono della fonte delle grazie e quello della medaglia del mio amore materno. Oggi sono qui per far cono­scere questa medaglia, dono dell'amore universale e che sarà portata dai figli sul loro cuore ovunque andranno. Prometto a questi miei fi­gli la mia protezione e la mia grazia materna. Questa è l'ora in cui si cerca di annientare il più possibile la venerazione che mi si deve. La medaglia del mio amore materno farà si che i figli miei mi abbiano sempre con sé. Io sono la Madre del Signore, la Madre della umanità. Vi sarà il trionfo dell'amore universale! La benedizione del Signore, as­sieme al mio amore, accompagneranno sempre tutti i figli che ricorre­ranno a me".
* * *

GRAZIE OTTENUTE PER MEZZO DELLA MEDAGLIA DI 

MARIA ROSA MISTICA

Dalla corrispondenza giunta all"Opus Rosa Mistica".  

- Un padre di famiglia che portava appesa al collo la medaglia di Rosa Mistica fu assalito inaspettatamente dai terroristi e gettato a ter­ra. Lo spinsero in un taxi e raggiunto un luogo lontano dalla città, de­cisero di ucciderlo con una serie di colpi.
Quando pensarono che fosse morto, se ne andarono. Il padre di famiglia tremando raggiunse un taxi e si fece condurre a casa. Chiese alla moglie di aiutarlo a togliersi i vestiti. Miracolo! I proiettili dell'ar­ma da fuoco erano rimasti nei vestiti, il suo corpo era illeso, non ave­va nessuna ferita. Questo perché portava la medaglia di Rosa Mistica. (13-1-1)88, Hermana Belen, Medellin, Colombia).
  
- Io ho un fratello che non credeva a niente. Ma il giorno che Celina mi diede alcune medaglie di Rosa Mistica, chiesi a mio fratel­lo se ne voleva una per avere la protezione della Madonna, Rosa Mi­stica.
Egli prese la Medaglia. Tre giorni dopo andò con un cugino. Fu­rono assaliti e presi di mira. Mio cugino fu colpito da quattro colpi di arma da fuoco, mentre mio fratello sentiva che i proiettili gli passava­no accanto. Rimase prodigiosamente illeso.
(8-2-1988, Maria Barcona, Roldanillo, Colombia).

  - Mio marito ebbe un infarto; io lo visitai nel reparto di cura in­tensiva dove era ricoverato e gli diedi la benedizione con la Medaglia di Rosa Mistica. Il venerdì seguente, festa del sacro Cuore, aprì gli oc­chi... Ora mio marito è guarito, ci vede e cammina.  (13-5-198), Frau Schuiz, Viersen, Germania).

  - Da venti giorni non ero più in grado di deglutire una goccia d'acqua senza prendere la xilocaina. Tre anni e mezzo fa avevo subi­to una operazione di cancro. Fui trattata con quaranta irradiazioni e dodici cicli di chemioterapia. Ero perduta. Un giorno, a metà del trat­tamento andai a casa. Una vicina notò che mi sentivo molto male. Mi diede una Medaglia di Rosa Mistica e per otto giorni pregai per riac­quistare la salute. Le chiesi il nome della Signora, ma non lo sapeva, poiché la medaglia era stata regalata a suo marito. Sapeva solo che era miracolosa.
Un giorno mio marito cuoceva la trippa per alcune persone e una zuppa di carne e verdura piccante. Me ne diede un boccone per pro­vare se riuscivo a mangiarla e fummo molto meravigliati perché io po­tevo non solo mangiarla, ma anche digerirla e allora gliene chiesi di più. Questo senza prendere la xilocaina. Poco per volta mi sentii me­glio e ora sono completamente guarita.
Questa grazia è dovuta a Nostra Signora, a Maria Rosa Mistica che ringrazio di cuore. (21-11-198), Consuela Murillo, Argentina).


Rosa Mistica milagro escarcha

 


NOS CUM PROLE PIA
BENEDICAT VIRGO MARIA

Flos Carmeli vitis florigera, splendor coeli, Virgo puerpera, / singularis.



Chiesa cattolica: il 16 luglio, la Madonna del Carmelo

(di Cristina Siccardi) Il prossimo 16 luglio ricorrerà una festa mariana molto importante nella Tradizione della Chiesa: la Madonna del Carmelo, una delle devozioni più antiche e più amate dalla cristianità, legata alla storia e ai valori spirituali dell’Ordine dei frati della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo (Carmelitani). La festa liturgica fu istituita per commemorare l’apparizione del 16 luglio 1251 a san Simone Stock, all’epoca priore generale dell’ordine carmelitano, durante la quale la Madonna gli consegnò uno scapolare (dal latino scapula, spalla) in tessuto, rivelandogli notevoli privilegi connessi al suo culto.

Nel Primo Libro dei Re dell’Antico Testamento si racconta che il profeta Elia, che raccolse una comunità di uomini proprio sul monte Carmelo (in aramaico «giardino»), operò in difesa della purezza della fede in Dio, vincendo una sfida contro i sacerdoti del dio Baal. Qui, in seguito, si stabilirono delle comunità monastiche cristiane. I crociati, nell’XI secolo, trovarono in questo luogo dei religiosi, probabilmente di rito maronita, che si definivano eredi dei discepoli del profeta Elia e seguivano la regola di san Basilio. 
Nel 1154 circa si ritirò sul monte il nobile francese Bertoldo, giunto in Palestina con il cugino Aimerio di Limoges, patriarca di Antiochia, e venne deciso di riunire gli eremiti a vita cenobitica. I religiosi edificarono una chiesetta in mezzo alle loro celle, dedicandola alla Vergine e presero il nome di Fratelli di Santa Maria del Monte Carmelo. Il Carmelo acquisì, in tal modo, i suoi due elementi caratterizzanti: il riferimento ad Elia ed il legame a Maria Santissima.

Il Monte Carmelo, dove la Tradizione afferma che qui la sacra Famiglia sostò tornando dall’Egitto, è una catena montuosa, che si trova nell’Alta Galilea, una regione dello Stato di Israele e che si sviluppa in direzione nordovest-sudest da Haifa a Jenin. Fra il 1207 e il 1209, il patriarca latino di Gerusalemme (che allora aveva sede a San Giovanni d’Acri), Alberto di Vercelli, redasse per gli eremiti del Monte Carmelo i primi statuti (la cosiddetta regola primitiva o formula vitae). I Carmelitani non hanno mai riconosciuto a nessuno il titolo di fondatore, rimanendo fedeli al modello che vedeva nel profeta Elia uno dei padri della vita monastica.

La regola, che prescriveva veglie notturne, digiuno, astinenza rigorosi, la pratica della povertà e del silenzio, venne approvata il 30 gennaio 1226 da papa Onorio III con la bolla Ut vivendi normam. A causa delle incursioni dei saraceni, intorno al 1235, i frati dovettero abbandonare l’Oriente per stabilirsi in Europa e il loro primo convento trovò dimora a Messina, in località Ritiro.

Le notizie sulla vita di san Simone Stock (Aylesford, 1165 circa – Bordeaux, 16 maggio 1265) sono scarse. Dopo un pellegrinaggio in Terra Santa, maturò la decisione di entrare fra i Carmelitani e, completati gli studi a Roma, venne ordinato sacerdote. Intorno al 1247, quando aveva già 82 anni, venne scelto come sesto priore generale dell’Ordine. Si adoperò per riformare la regola dei Carmelitani, facendone un ordine mendicante: papa Innocenzo IV, nel 1251, approvò la nuova regola e garantì all’Ordine anche la particolare protezione da parte della Santa Sede.
Proprio a san Simone Stock, che propagò la devozione della Madonna del Carmelo e compose per Lei un bellissimo inno, il Flos Carmeli, la Madonna assicurò che a quanti si fossero spenti indossando lo scapolare sarebbero stati liberati dalle pene del Purgatorio, affermando: «Questo è il privilegio per te e per i tuoi: chiunque morirà rivestendolo, sarà salvo». La consacrazione alla Madonna, mediante lo scapolare, si traduce anzitutto nello sforzo di imitarla, almeno negli intenti, a fare ogni cosa come Lei l’avrebbe compiuta. (Cristina Siccardi)
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"Flos Carmeli"

L'antichissima sequenza "Flos Carmeli" riassume i punti salienti della devozione mariana del Carmelo: Maria, fior del Carmelo, Vergine e Madre singolare, a Lei, Stella del mare, i Carmelitani chiedono guida e soccorso nella tempeste della vita.


28300S


Flos Carmeli
vitis florigera,
splendor coeli,
Virgo puerpera, / singularis.

Mater mitis,
sed viri nescia,
Carmelitis
esto propitia, / Stella maris.

Radix Iesse
germinans flosculum,
nos adesse
tecum in saeculum / patiaris.

Inter spinas
quae crescis lilium
serva puras
mentes fragilium, / tutelaris!

Armatura
fortis pugnantium
furunt bella,
tende praesidium / scapularis.

Per incerta
prudens consilium,
per adversa
iuge solatium / largiaris.

Mater dulcis
Carmeli domina,
plebem tuam
reple laetitia / qua bearis.

Paradisi
clavis et ianua,
fac nos duci
quo, Mater, gloria / coronaris.
Amen.


Traduzione in lingua italiana:


Fior del Carmelo,
vite fiorente;
luce del cielo,
sei tu soltanto / Vergine Madre.

O Madre mite
intemerata,
ai figli tuoi
sii propizia, / Stella del mare.

Ceppo di Jesse
che doni il Fiore,
a noi concedi
di rimanere / con te per sempre.

Giglio sbocciato
tra acute spine
conserva puri
i nostri cuori / e dona aiuto.

Forte armatura
là dove infuria
la dura lotta:
offri a difesa / lo Scapolare.

Per noi incerti
tu sei la guida;
a noi provati
concedi ognora / consolazioni.

O dolce Madre,
Signora nostra:
colma del gaudio
di cui sei piena / i figli tuoi.

O chiave e porta
del Paradiso,
fa' che giungiamo
dove di gloria / sei coronata.
Amen.

AVE MARIA PURISSIMA!

FLORILEGIO


RICEVO, RINGRAZIO e PUBBLICO
Un caro amico sacerdote mi manda questo florilegio. 


"Nessun ideale è tanto fallimentare nella pratica quanto la praticità" (Chesterton), il pragmatismo, l'utilitarismo...vedere solo il successo immediato, senza inserirsi in un quadro soprannaturale, trascendente...delllo Spirito
"Nulla di più pratico dell'Amore di Dio" (beato Giovanni Duns Scoto), la santa prassi che salva, che dà orientamento a tutte le nostre azioni 

"...L'uomo si è in certa misura smarrito e si sono smarriti anche i predicatori, i catechisti, gli educatori e quindi hanno perso il coraggio di minacciare l'inferno. E può darsi che persino chi li ascolta abbia cessato di averne paura...l'uomo della presente civiltà è diventato poco sensibile alle cose ultime" (beato Giovanni Paolo II, Varcare le soglie della speranza, p. 200) 

"...mentre per andare in Paradiso bisogna crederci, per andare all'inferno non occorre affatto crederci. Anzi, se non ci si crede, ci si va meglio" (card. Siri)

"...non manca al mondo l'incredulità di coloro che negano queste verità [dell'Aldilà...inferno], ma è certo che esse non smettono di esistere per il solo fatto di essere negate; e neppure la loro incredulità li libera dalle pene dell'inferno, se la loro vita di peccato ve li condurrà" (suor Lucia di Fatima)

“...Sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell’inferno (...) Sarei morta alla vista di quelle orribili torture, se non mi avesse sostenuta l’onnipotenza di Dio.
Il peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta l’eternità.
Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun’anima si giustifichi dicendo che l’inferno non c’è, oppure che nessuno c’è mai stato e nessuno sa come sia (...)
Ho notato che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l’inferno (...)
Non riuscivo a riprendermi per lo spavento, al pensiero che delle anime là soffrono così tremendamente”
(s. Faustina K, Diario, 741, - era polacca, Giovanni Paolo II l'ha beatificata e canonizzata quale apostola della Divina Misericordia; ne era devotissimo).

!!! "...la paura dell'inferno, l'essere turbati o infastiditi al solo sentirne parlare, è probabilmente segno di essere senza la grazia di Dio nell'anima, sulla buona strada per giungervi"   !!!

 "...che gioioso mistero la presenza di Dio dentro di noi, in questo intimo santuario delle anime nostre dove sempre lo possiamo trovare anche quando non avvertiamo più sensibilmente la sua presenza! Che importa il sentimento? Forse egli è anche più vicino quando meno lo sentiamo. E' qui, nel fondo dell'anima che amo cercarlo. Preoccupiamoci di non lasciarlo mai solo e che la nostra vita sia una continua preghiera.

...A Dio, mia buona Maria Luisa, si ricordi di me qualche volta specialmente presso il buon Dio dove è sempre bello ritrovarsi. Questo è il luogo del nostro appuntamento, vero?" (beata Elisabetta della Trinità)

"...chi non medita le Verità Eterne, senza miracolo non può vivere da cristiano, La ragione si è perché senza l'orazione mentale manca la luce e si cammina all'oscuro ... e perciò facilmente, stando nelle tenebre, si attacca agli oggetti sensibili, per i quali disprezza quelli eterni.
Scrisse s. Bernardo che colui che non medita non abborrisce se stesso perché non si conosce". (sant'Alfonso)

"Sebbene ci pare che non si trovino in noi imperfezioni, quando però apre Iddio gli occhi dell'anima, come suol farlo nell'orazione, ben le compariscono.
Chi lascia l'orazione in breve tempo diventa o bestia o demonio. !!!
A chi persevera nell'orazione, per quanti peccati opponga il demonio, tengo per certo che alla fine il Signore lo conduca al porto della Salvezza. Chi nel cammino dell'orazione non si ferma, benché tardi pure arriva.
L'anima che lascia l'orazione è come se da se stessa si ponesse all'inferno, senza bisogno di demoni" !!! (s. Tersa d'Avila)

"Chi non frequenta l'orazione si priva di quel laccio che stringe l'anima con Dio. Onde non sarà difficile al demonio che trovando la persona fredda nel divino amore, la tiri a cibarsi di qualche pomo avvelenato" (s. Caterina da Bologna)

 "Accedite ad Mariam 
in tentationibus vestris: 

* et stabiliet vos 

serenitas vultus ejus"

AMDG et BVM

SAN FRANCISCO SOLANO (1549-1610), "el Taumaturgo del nuevo mundo"




Francisco Solano, llamado "el Taumaturgo del nuevo mundo", por la cantidad de prodigios y milagros que obtuvo en Sudamérica, nació en 1549, en Montilla, Andalucía, España.
Francisco fue el tercer hijo de Mateo Sánchez Solano y Ana Jiménez. Sus dos hermanos se llamaban Diego e Inés. Creció Francisco en un hogar noble y cristiano donde se apreciaba más la hidalguía del espíritu que la de la sangre.
Montilla era un lugar eminentemente religioso. Seguramente, Solano conoció a San Juan de Ávila, que murió cuando Francisco tenía veinte años. En aquella época, había en Montilla docena y media de iglesias, así como cinco conventos y numerosas cofradías.
INGRESO A LA ORDEN FRANCISCANA
Francisco estudió con los Jesuitas, pero entró a la comunidad Franciscana porque le atraían mucho la pobreza y la vida tan sacrificada de los religiosos de esa Orden; por ello, decidió ingresar como novicio en el convento franciscano de San Lorenzo, situado en la Huerta del Adalid. Era un lugar de enorme belleza natural, con abundantes árboles, plantas y flores, jazmines, un estanque con peces, caza menor y pájaros. En medio de este paraíso natural, había varias ermitas esparcidas que invitaban a la oración y la contemplación.
En el convento la disciplina era muy estricta, conforme a la regla primitiva. Los novicios franciscanos pasaban la mayor parte del tiempo dedicados al silencio y la meditación. Hablaban muy poco, siempre de dos en dos, en voz baja y no por mucho tiempo. En cuanto a la meditación, había tres turnos diarios de media hora de duración cada uno.
Francisco era muy virtuoso, paciente y humilde. Dormía siempre en el suelo, sobre una cobija o un cañizo de palos. Usaba un cilicio durante todo el año. Andaba descalzo a no ser que estuviera enfermo y sólo comía legumbres y fruta. Se excedía a menudo en la práctica de mortificaciones y penitencias, con el resultado durante toda su vida de una salud débil y quebrantada.
El día 25 de Abril de 1570 hizo profesión religiosa para ser fraile de coro. Tenía entonces veintiún años.
ESTANCIA EN LORETO (1572-1579). ORDENACIÓN SACERDOTAL
Poco tiempo después fue destinado al convento sevillano de Nuestra Señora de Loreto, donde cursó estudios de Filosofía y Teología. En Loreto, la observancia regular era también muy estricta. Los maestros que más influyeron en el joven Francisco fueron dos: el teólogo y humanista fray Luis de Carvajal y el músico y científico padre Juan Bermudo. Durante su largo período de formación, Solano no sólo se instruyó en la teología de San Buenaventura, sino que tuvo ocasión de desarrollar sus dotes innatas para la música y el canto.
En 1576 fue ordenado sacerdote. Asistió su padre, pero no así su madre, que se encontraba enferma y casi ciega. Lo nombraron vicario de coro, es decir, encargado de dirigir el rezo y los cantos del oficio divino. Amante de la austeridad y la pobreza, Solano se hizo una pequeña celda en las inmediaciones del coro, en un diminuto rincón en el que apenas cabía. La celda estaba hecha de cañas y barro cocido, con un pequeño agujero que servía de ventana para poder rezar y estudiar.
Una vez terminados los estudios de teología, fue nombrado predicador, labor que desarrolló en pueblos cercanos, y que resultaría determinante en su futuro como misionero. La tarea de predicar no era fácil, y requería estudio continuo y dedicación permanente. Posteriormente, fue nombrado también confesor.
Hay que decir que la primera intención del santo era la de ser mártir. Solicitó sin éxito ser destinado a Berbería para morir en el intento de evangelizar a los africanos. En vista de la negativa de sus superiores, Solano se fijó otra meta: América, pero tuvo que esperar algún tiempo antes de poder ver realizado su deseo de convertirse en misionero.

REGRESO A MONTILLA
La muerte de su padre le hizo volver temporalmente a Montilla para visitar a su madre. Sin embargo, su estancia se prolongó más de lo previsto debido a una epidemia mortal que afectó incluso a varios frailes del convento franciscano.
En Montilla realizó varias curaciones inexplicables que dieron comienzo a su fama como milagrero. Un día iba pidiendo limosna por las calles cuando una mujer le pidió que leyera el evangelio a un niño de seis meses que llevaba en brazos. Solano vio que el niño tenía numerosas llagas e hinchado el rostro. Cuentan que lamió el rostro y las llagas con su boca y lengua, y que a la mañana siguiente el niño amaneció mejor y se curó.
También curó a un pobre hombre que tenía llagas en las piernas y apenas podía andar ayudado por unas muletas. Dicen que le besó las llagas y curó de inmediato.
En 1581, Francisco Solano fue destinado como vicario y maestro de novicios al convento cordobés de la Arruzafa, donde solía visitar a los enfermos incluso desatendiendo algunas horas de oración, y recomendaba a los más jóvenes que tuvieran paciencia en los trabajos y adversidades.
En 1583, fue trasladado a San Francisco del Monte, en Sierra Morena, a 30 kilómetros al noreste de Córdoba. Era un paraje de gran hermosura. Allí comía sopas de pan con agua, vinagre y un casco de cebolla.
Una de las cosas que Solano intentó imitar de San Francisco de Asís era su relación especial con los animales. Pues bien, cuentan que había una serpiente de gran tamaño que atacaba a ganados y pastores y hacía estragos en toda la región, y a la cual Solano reprendió y ordenó ir al convento, donde fue convenientemente alimentada. Dicen que después de comer la serpiente se marchó y no volvió a causar daño en la comarca.
Hubo entonces una terrible epidemia de peste en Andalucía que afectó con especial virulencia a la ciudad de Montoro. Durante un mes, y en compañía de fray Buenaventura Núñez, Francisco fue a cuidar a los enfermos, que eran llevados fuera del pueblo a la Ermita de San Sebastián.
Ambos frailes prestaban servicio a los afectados y les hacían las camas, los sacramentaban y ayudaban a morir, y después los enterraban. Los dos se contagiaron de la enfermedad pero Solano logró curarse. En Montoro, el nombre de una calle recuerda la labor humanitaria llevada a cabo por el santo.
De su estancia en Granada cabe señalar que iba a predicar a las cárceles y que visitaba a los enfermos del Hospital de San Juan de Dios. Poco después, el rey Felipe II pidió a los franciscanos que enviaran misioneros a Sudamérica. Finalmente y para alegría suya, Francisco fue el elegido para la misión de extender la religión en estas tierras.
Fray Francisco Solano recorrió el continente americano durante 20 años predicando, especialmente a los indios. Pero su viaje más largo fue el que tuvo que hacer a pie, con incontables peligros y sufrimientos, desde Lima hasta Tucumán (Argentina) y hasta las pampas y el Chaco Paraguayo. Más de 3,000 kilómetros y sin ninguna comodidad. Sólo confiando en Dios y movido por el deseo de salvar almas.
Fray Francisco llegaba a las tribus más guerreras e indómitas y aunque al principio lo recibían al son de batalla, después de predicarles por unos minutos con un crucifijo en la mano, conseguía que todos empezaran a escucharle con un corazón dócil y que se hicieran bautizar por centenares y miles.
Estando el santo predicando en La Rioja (Argentina) llegó la voz de que se acercaban millares de indios salvajes a atacar la población. El peligro era sumamente grande, todos se dispusieron a la defensa, pero Fray Francisco salió con su crucifijo en la mano y se colocó frente a los guerreros atacantes y de tal manera les habló (logrando que lo entendieran muy bien en su propio idioma) que los indígenas desistieron del ataque y poco después aceptaron ser evangelizados y bautizados en la religión católica.
El Padre Solano tenía una hermosa voz y sabía tocar muy bien el violín y la guitarra. Y en los sitios que visitaba divertía muy alegremente a sus oyentes con sus alegres canciones. Un día llegó a un convento donde los religiosos eran demasiado serios, por lo que recordando el espíritu de San Francisco de Asís –quien decía que era necesario vivir siempre interior y exteriormente alegres- se puso a cantarles y hasta a danzar tan jocosamente que aquellos frailes terminaron todos cantando y bailando en honor de Dios.
San Francisco Solano misionó por más de 14 años por el Chaco Paraguayo, por Uruguay, el Río de la Plata, Santa Fe y Córdoba de Argentina, siempre a pie, convirtiendo innumerables indígenas y también muchísimos colonos españoles. Su paso por cada ciudad o campo, era un renacer del fervor religioso.
Un día en el pueblo llamado San Miguel, estaban en un toreo, y el toro feroz se salió del corral y empezó a cornear sin compasión por las calles. Llamaron al santo y éste se le enfrentó calmadamente al terrible animal. Y la gente vio con admiración que el bravísimo toro se le acercaba a Fray Francisco y le lamía las manos y se dejaba llevar por él otra vez al corral.
LLEGADA A LIMA
Llegado a Lima, Francisco fue nombrado Guardián del Convento de la Recolección. Como siempre, se resistió todo lo que pudo antes de aceptar cualquier cargo de responsabilidad, exagerando de manera deliberada su propia incapacidad para gobernar, pero finalmente tuvo que acatar la autoridad de sus superiores.
Su obsesión por la pobreza era tal que no quería que se blanqueara o enladrillara la casa, ni que se pulieran las puertas y ventanas. En su celda, tan sólo tenía un camastro, una colcha, una cruz, una silla y mesa, un candil y la Biblia junto con algunos otros libros. Era el primero en todo, y jamás ordenó una cosa que no hiciera él antes.
Sus consejos eran prudentes, y cuando tenía que reprender a alguno de los demás frailes, lo hacía con gran celo y caridad. Sus excesivas penitencias y su espíritu de oración no le impedían ser alegre con los demás. Solano era también el santo de la alegría.
SECRETARIO PROVINCIAL. GUARDIÁN EN TRUJILLO (1602-1604)
En 1601, fue elegido Secretario y acompañante del superior provincial, cargo en el que duró menos de un año. En uno de los viajes casi se muere por el camino, y en vista de su delicado estado de salud, se le asignó un nuevo destino: la ciudad de Trujillo, fundada por Francisco Pizarro apenas medio siglo antes de la llegada de Solano al Perú.
En Trujillo buscaba Solano un poco de paz y tranquilidad, y sobre todo apartarse de la gran fama que tenía en Lima. Se dedicaba a visitar a los enfermos, en especial a una anciana leprosa a la que a menudo llevaba regalos. En casa de otra enferma, había un árbol junto a la ventana en el que un pajarillo cantaba deliciosamente solamente cuando iba Solano.
Predicaba en el hospital de la ciudad y también visitaba a los presos, para hablar con ellos, confesarlos y ayudarlos a bien morir. Para rezar, se refugiaba en la huerta del convento, en la que había numerosos pajarillos. Eran tantos que cuentan que Solano les daba de comer por turnos, y que los que comían se apartaban para que pudieran comer los otros.
Su amor por la pobreza era tan grande que no consentía en cambiar de zapatos, sino sólo en remendarlos, de manera que el zapatero tuvo que engañarlo y se quedó con los antiguos zapatos como reliquia.
OTRA VEZ GUARDIÁN EN LIMA (1604). EL SERMÓN QUE CONVIRTIÓ A LIMA
En 1604, Solano volvió a Lima, ciudad donde pasaría los últimos años de su vida. A pesar de su precario estado de salud, continuaba haciendo grandes penitencias y pasaba noches enteras en oración. Sus visitas a la enfermería se hicieron cada vez más frecuentes.
Sin embargo, iba a menudo a visitar a los enfermos o salía a las calles a predicar con su pequeño rabel y una cruz en las manos. Así conseguía juntar a un gran número de personas y las congregaba en la plaza mayor, donde se dirigía a la muchedumbre en alta voz. Su predicación se fundamentaba en citas bíblicas y en la doctrina de los Padres de la Iglesia.
Predicaba en todas partes: en los talleres artesanales, en los garitos, en las calles, en los monasterios e incluso en los corrales de teatro. Especial significado tuvo su oposición a ciertos espectáculos teatrales en los que a su juicio se ofendía a Dios. En España se había producido una corriente de opinión en contra de este género, y muchos artistas se tuvieron que desplazar hacia el Nuevo Mundo, donde gozaban de mayor aceptación popular.
En Lima había tres compañías de comedias. Solano entraba en los corrales con un Cristo en la mano y mucha gente le seguía abandonando el lugar. Más de una vez consiguió que hubiera que anular la representación, porque con él se iba todo el mundo.
ÚLTIMOS AÑOS DE SU VIDA
En octubre de 1605, Solano pasó a la enfermería del convento. Postrado y gravemente enfermo del estómago, apenas si podía salir a predicar y a visitar a los enfermos. Procuraba asistir a la comida en el refectorio junto con los demás frailes, pero comía muy poco, tan sólo unas hierbas cocidas. Además, seguía excediéndose en sus penitencias y no miraba por su delicada salud.
Cuando se levantaba, le gustaba dar paseos por el claustro del convento y rezar ante los cuadros de la vida de San Francisco de Asís. En el aula de teología, pasaba muchas horas ante un cuadro que había de San Buenaventura, a quien tenía gran devoción.
En octubre de 1609, hubo un terremoto en la ciudad de Lima. La primera sacudida fue de noche, pero después se produjeron hasta 14 nuevos temblores de tierra. Cuentan que el agua se derramaba de las fuentes y que las campanas tocaban solas. Las iglesias se llenaron de gente. Solano salió a predicar, aunque apenas si podía tenerse en pie.
Durante su última enfermedad, le trataron cuatro médicos. Solano era poco más que un esqueleto viviente. Tenía mucha fiebre y fortísimos dolores de estómago. Finalmente murió el 14 de junio de 1610, día de San Buenaventura. Dicen que ese día los pájaros se despidieron de él cantando junto a la ventana de su celda desde por la mañana temprano. Murió a las once y tres cuartos de la mañana. Ese mismo día y a la misma hora se produjo un extraño toque de campanas en el convento de Loreto.
POST-MORTEM
Su cuerpo fue trasladado al oratorio de la enfermería, donde acudió gran cantidad de gente a venerarlo. Allí mismo fue retratado por dos pintores. A su entierro asistieron unas 5.000 personas.
Tan sólo 15 días después de su muerte, se abrió su proceso de canonización. Las gestiones comenzaron en Lima, donde hubo 500 testigos, y después continuaron en otras ciudades del Perú, en el Tucumán y en España. San Francisco Solano fue canonizado el 27 de diciembre de 1726.
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San Francisco Solano (1549-1610)

por Rubén Vargas Ugarte, s.j.

. De los tres santos canonizados que con su presencia santificaron estas tierras de América, San Luis Beltrán, San Pedro Claver y San Francisco Solano, este último es el que con más razón merece el título de apóstol de este Nuevo Mundo, tanto por la extensión de su labor misional como por las huellas que dejó de su paso. San Luis Beltrán no hizo sino abordar a las costas insalubres y deshabitadas de Santa Marta, evangelizó a las tribus errantes de los bordes del Magdalena y a los pocos años volvióse a España. San Pedro Claver se encerró dentro de los muros de Cartagena y allí vivió hasta su muerte, hecho esclavo de los esclavos. Solano, en cambio, recorrió gran parte del Perú de entonces y ha dejado recuerdos de su tránsito en cinco repúblicas de este continente.

Había nacido el 10 de marzo de 1549 en la pequeña ciudad de Montilla, en la Andalucía, del matrimonio de Mateo Sánchez Solano y Ana Jiménez Hidalga. Sus padres eran acomodados y cuando el niño estuvo en edad de estudiar lo entregaron a los jesuitas, que tenían entonces un colegio en el lugar. Allí aprendió las letras humanas y allí también sintió despertarse su vocación. A los veinte años, en plena adolescencia, decide vestir el sayal franciscano y acude al convento de San Lorenzo, en las afueras, donde el guardián, fray Francisco de Angulo, le abre las puertas de aquel cenobio, en donde va a poner los fundamentos de su futura santidad. Dios, en efecto, le había escogido para santo. Por entonces los franciscanos habían sentido renovarse su fervor y anhelaban imitar más de cerca a Jesucristo, siguiendo las huellas del Pobrecillo de Asís. Solano, desde los primeros días de su vida religiosa, sintió en su corazón arder esta llama, se determinó a abrazarse estrechamente con Cristo, siguiendo desnudo al desnudo Jesús. Hizo su profesión el 25 de abril de 1570 y verdaderamente renunció a todo para vivir unido a su modelo. Unos años más tarde dejaba Montilla y se trasladaba al convento de Nuestra Señora de Loreto, en las proximidades de Sevilla, donde alternó el estudio de las ciencias sagradas con la oración y la penitencia. Escogió para vivienda la celda más pequeña e incómoda del convento, bien próxima al coro, en donde pasaba buena parte de su tiempo.

Allí recibió la unción sacerdotal y un 4 de octubre cantó su primera misa en la capilla de la Virgen, hallándose presente su padre, que muy poco después dejaba este mundo. Como tenía buena voz y era muy aficionado a la música, arte que podemos decir cultivó toda su vida, le nombraron vicario de coro y predicador. La muerte de su progenitor y la ceguera de que adoleció su madre le obligaron a volver a Montilla, pero transformado en otro hombre. De su breve estancia en su ciudad natal quedó indeleble recuerdo. Aquel joven franciscano, «no hermoso de rostro, moreno y enjuto», como nos lo describe uno de sus contemporáneos, se atrajo las miradas de todos por el espíritu con que hablaba y la santidad que emanaba de todo su ser. Aún se cuenta que hizo varias curaciones, pero el más evidente indicio de su ascendiente sobrenatural nos lo da el hecho de haber pedido la marquesa de Priego, la señora del lugar, un hábito de fray Francisco para que le sirviese de mortaja.

Tan sólidas eran ya sus virtudes que los superiores de la Orden le enviaron a Arrizafa, en las cercanías de Córdoba, a fin de que en esa recolección ejerciese el cargo de maestro de novicios. Nadie mejor que él para servir de guía a quienes aspiraban a realizar íntegramente el ideal del fraile menor. Tres años vivió en este convento y en 1581 pasa a San Francisco del Monte, monasterio escondido entre los breñales de la Sierra Morena. En aquella soledad su espíritu se expande y se une más estrechamente a Dios. No olvida, sin embargo, a sus hermanos, y, cuando la peste diezma a los vecinos de Montoro, acude solícito a ayudar a los enfermos a bien morir y a curar a los atacados del mal. Le acompaña un buen hermano lego, fray Buenaventura, que al fin sucumbe también a los rigores de la peste, y Solano continúa asistiendo a sus hermanos dolientes en la iglesia de San Sebastián, transformada en hospital, donde aún se conserva un cuadro que recuerda su caridad.

Se le nombra guardián del convento y a los tres años se le envía al convento de San Luis de la Zubia, en la vega de Granada. Aquí termina su labor en España, porque en 1588 solicita pasar a América en compañía del padre comisario, fray Baltasar Navarro, que ha venido en busca de misioneros. Ciérrase entonces la primera etapa de su vida; la segunda le verá en las apartadas regiones del Tucumán, convertido en misionero de indios, hasta el año 1602, en que se le ordena volver al Perú, donde estaba la estricta observancia de los recoletos y donde fallece en 1610. Estas tres etapas en que podemos dividir su vida son bien marcadas y cada una de ellas tiene su carácter peculiar. En España ha alternado el estudio de la perfección religiosa con el de las ciencias y los cargos de gobierno con el ministerio apostólico, pero esto último lo hace sólo a intervalos y no de una manera metódica y continua. Es la etapa de preparación y en la cual se macizan sus virtudes. Cuando tome la carabela que le ha de conducir a Tierra Firme ya Solano es un santo, es el varón de Dios, que lo pisotea todo para unirse a su Señor.

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El 3 de marzo de 1589 pasaba la barra de Sanlúcar la flota que conducía al nuevo virrey del Perú, don García Hurtado de Mendoza. En una de las naves, oculto a las miradas de todos, viajaba nuestro héroe, acompañado por un regular grupo de hermanos suyos que pasaban a América a conquistar para Cristo muchas almas. Con viento favorable llegaban a Cartagena el 7 de mayo y, tras unos días de espera en aquel puerto, pasaban a Portobelo y de aquí a Panamá, adonde debió de llegar Solano a fines del mes de junio de 1589. La falta de embarcaciones le obligó a permanecer en aquel mortífero clima, donde perdieron la vida dos de los franciscanos que venían en su compañía. Después de cuatro meses lograron hallar una nave que los condujese al Perú, pero tan descuadernada que unos cuantos golpes de mar, como luego veremos, bastaron para dar al través con ella. Solano, en compañía del padre fray Diego de Pineda y de fray Francisco de Torres, tomó pasaje a su bordo, y la embarcación levó anclas en el puerto de Perico y se dio a la vela para el Callao.

La navegación desde Panamá hasta aquel puerto se hacía difícil, así por tener que vencer la corriente marina que baña aquellas costas como por la falta de viento, sobre todo en esta época del año. Así sucedió entonces, y en la vecindad de la isla de la Gorgona, frente a las costas de la actual Colombia, aquella frágil nave vino a zozobrar. En un batel lograron llegar a tierra algunos de los pasajeros y tripulantes, pero Solano permaneció sereno en los restos flotantes de la nave, alentando a los náufragos y auxiliándolos en aquel caso extremo. Cuando el batel volvió en su busca fue el último en acogerse a él, y lo hizo lanzándose al mar, después de arrollar el hábito a la cintura. Una vez en la playa, y cubierto tan sólo con la túnica, fue en busca del hábito que había perdido y lo halló en la arena. San Francisco, como él decía, le había dado aquel hábito y él también se lo había de devolver.

Por más de dos meses hubieron de permanecer los náufragos en la costa, desprovistos de todo auxilio. Uno de los compañeros de Solano había perecido en el naufragio, el otro, cansado de esperar, decidió salir en el batel con otros compañeros en busca de socorro. Tenían que alimentarse de peces, mariscos y hierbas silvestres, y no sin trabajo los encontraban. Solano, olvidado de sí, procuraba levantar el ánimo de sus compañeros, aliviaba sus males y les daba cuanto caía en sus manos y podía servir para su sustento. Parece que en más de una ocasión su pesca tuvo todos los contornos de milagrosa. El Señor escuchaba a su siervo. Al fin arribó el socorro tan ansiado. A últimos de diciembre una nave recogió a los náufragos y los condujo al puerto de Pafta, al norte del Perú. De aquí continuó Solano su camino por tierra hasta llegar a la ciudad de los reyes, Lima. Cruzó aquella costa desierta, interrumpida a veces por los valles que riegan los ríos que bajan de la cordillera, y en 1590 entraba en la capital del virreinato, donde ya le había precedido el virrey don García y en donde por aquel tiempo gobernaba aquella iglesia un esclarecido prelado, Santo Toribio de Mogrovejo.

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Solano ardía en deseos de pasar a las Misiones a que estaba destinado. Fray Baltasar, que le había traído consigo, atendió sus ruegos y con otros ocho religiosos emprendió el camino que conducía al Tucumán. La distancia era enorme. Basta fijar los ojos en un mapa de América para darse cuenta del inmenso espacio que había que recorrer. Pero a esta dificultad se añadía otra mayor: la de la aspereza y rigor de la tierra. Había que transmontar los Andes, y luego de cruzarlos, llegar hasta el Cuzco, para tomar después el camino que conduce al Callao, esto es, a la meseta frígida y desnuda casi de vegetación que domina la actual Bolivia y se prolonga casi hasta los confines del Norte argentino. Aquí comenzaba la bajada abrupta y sinuosa hasta Salta y más abajo a las llanuras del Tucumán. Solano hubo de arrostrar esta jornada caminando unas veces a pie, otras en pobres cabalgaduras, y sufriendo todas las consecuencias de la falta de abrigo y de las rigideces del clima. Si por allí habían pasado los conquistadores y capitanes en busca del Dorado y del rico cerro de Potosí, ¿iban a mostrarse menos animosos los discípulos de Cristo, los conquistadores de las almas?

En noviembre de 1590, según la carta del comisario fray Baltasar Navarro a Su Majestad, llegaba la expedición al Tucumán (carta fechada en Santiago del Estero el 26 de enero de 1591). En todo aquel territorio no había por aquel tiempo sino dos obispados, el del Tucumán y el del Río de la Plata. El primero era tan pobre, decía su obispo, fray Fernando Trejo, en 1601, que su catedral carecía de ornamentos decentes y no tenía cómo poder levantar el seminario. Los franciscanos, dominicos y mercedarios habían penetrado en la región años hacía, pero su número era muy escaso. Tras ellos vinieron los padres de la Compañía de Jesús, pocos también. En 1610 la Orden de Santo Domingo sólo tenía un convento en Córdoba; los franciscanos tenían seis: en Córdoba, Santiago del Estero, Tucumán, Rioja, Talavera y Salta, pero en el que más había seis o siete frailes y en el que menos dos o tres; los mercedarios tenían también seis casas, en las mismas ciudades, pero su número era menor; finalmente, la Compañía sólo tenía domicilios en Córdoba y Tucumán, aunque en el primero los religiosos pasaban de veinte. Si esto sucedía en 1610, ya podremos calcular lo que sería en 1591, o sea unos veinte años antes, en el momento en que Solano arriba a esas tierras.

Muy escasa es la documentación que poseemos sobre sus actividades apostólicas en el Norte argentino. Casi todos sus biógrafos, aun en la época moderna, no han hecho otra cosa sino inspirarse, no siempre con fidelidad, en las declaraciones de los procesos. Por fortuna, éstos se llevaron a cabo cuando aún vivían muchos que habían conocido y tratado al Santo, y de allí que su testimonio sea de calidad. Fray Francisco permaneció en el Tucumán sólo once años, de 1591 a 1602, primero como misionero y doctrinero de Socotonio y la Magdalena, y a partir de 1595, como custodio o viceprovincial de todos los conventos del Tucumán y del Paraguay, dependientes de la provincia del Perú.

La labor del misionero era ardua. No sólo había que vencer la resistencia del indígena, receloso siempre de los españoles, de quienes había recibido y recibía muchas vejaciones, sino, además, romper con las dificultades de la lengua y las que oponía la misma naturaleza, en un país cruzado por montes y ríos y en su mayor parte deshabitado. La caridad y mansedumbre de Solano y la pobreza de su hábito le ganó el corazón de los indios; se aplicó al estudio de su lengua y Dios ayudó sus esfuerzos. Se dice que poseyó el don de lenguas, pero no está de más advertir que, por las declaraciones de quienes le trataron, el capitán Andrés García de Valdés le enseñó la Tonocote y uno de sus compañeros confiesa que tardó cuatro meses en aprender otra de las lenguas indígenas. Sin embargo, en su caso se renovó el milagro del día de Pentecostés, porque, hablando en una sola lengua, sus oyentes le entendían como si les hablara en la propia.

El Santo se impuso a aquellas mentes casi infantiles y el secreto de sus éxitos estuvo en su perfecta unión con Dios. Hay un hecho que aparece referido por uno de los testigos de los procesos, el cura de la Nueva Rioja, don Manuel Núñez Maestro, pero sus biógrafos lo han desfigurado y hasta lo han hecho inverosímil. El Jueves Santo de 1593 Solano se encuentra en la población, que apenas lleva dos años de fundada. Ha venido invitado por el cura. Cuarenta y cinco caciques con su respectivo séquito se dan cita en el mismo lugar y este número de indios alarma al teniente de gobernador, quien aconseja a los vecinos preparar las armas. En la noche, como era el uso de España y de muchas ciudades del Perú, va en procesión un grupo de disciplinantes, desnudos medio cuerpo arriba, azotando sus espaldas. Los indios no salen de su asombro. Solano aprovecha la ocasión para hablarles del Redentor y de sus sufrimientos por nosotros: les cautiva y le piden que los instruya en los misterios de la fe. Algunos dieron en decir que los bautizó a poco a todos y que su número llegaría a 9.000. El cura Núñez no dice esto. Sus palabras textuales son: «Los retuvo a todos hasta que fueron bautizados».

Solano no podía desconocer lo que habían ordenado sobre el particular los concilios limenses de 1567 y 1584. En el Tucumán se conocían esas prescripciones y en 1597 las hacía suyas el sínodo celebrado en Santiago del Estero por el obispo Trejo. Tampoco nos parece verosímil que fueran 9.000 los bautizados. El cura Núñez dice solamente que el número de indios llegaría a 9.000, pero es más que probable que en ese número incluía los de la región o los que estaban sujetos a los caciques que hicieron su aparición en la Rioja. Aun reduciendo el hecho a sus debidas proporciones, la acción del apóstol campea y sobresale. Tampoco creemos, como algunos afirman, que su actividad se extendiera al Gran Chaco y a otras regiones alejadas del Tucumán. No hay fundamento para asegurarlo. Santiago del Estero, la desaparecida Esteco, la Rioja y Córdoba fueron el teatro de sus hazañas. En todos estos lugares dejó las huellas de su paso y testimonios evidentes de su santidad. Cítanse las fuentes de Talavera o Esteco y la de la Nueva Rioja. En ambas brotó el agua al conjuro de la voz de Solano. De la primera apenas cabe dudar, pues cuando, en 1617, pasó por allí el visitador del Tucumán, don Francisco de Alfaro, todos le señalaron la fuente del padre Solano que allí brotaba copiosamente.

En el año 1601 los superiores le llaman al Perú. Querían servirse de él para la nueva recolección de Nuestra Señora de los Angeles, que estaba a punto de fundarse en Lima. Obediente a la voz de Dios, emprende el largo camino que le separa de aquella ciudad. Su humildad no acepta el cargo de guardián y queda como vicario. No mucho después el comisario fray Juan Venido le envía a la ciudad de Trujillo, en calidad de guardián. Esta vez no puede rehuir el cargo. En 1604 vuelve nuevamente a la recoleta de Lima y en diciembre del siguiente año, abandonando su retiro y con un crucifijo en la mano, sale por calles y plazas, exhortando a todos a hacer penitencia de sus pecados y amenazando a los reacios con los castigos de Dios. La vista de aquel fraile, espejo de la penitencia, el ardor de su mirada y el fuego de sus palabras, conmueve a sus oyentes. Le siguen hasta la plaza Mayor y allí el gentío se hace cada vez más numeroso. Resuenan por los aires las voces de perdón y por toda la ciudad cunde la voz de un inminente castigo del cielo. Recientes están los ejemplos de Arica y Arequipa, asoladas por un terremoto, de modo que aquella noche hubo que dejar abiertas las iglesias, por el gran concurso de gente que pedía a gritos confesión.

La ciudad pasó la noche en alarma. Hasta Rosa, la virgen incomparable, azota su cuerpo sin piedad, pidiendo a Dios por los pecadores. El virrey, conde de Monterrey, manda al siguiente día hacer una averiguación del hecho. Ordena, de acuerdo con el padre comisario, que un tribunal examine e inquiera del predicador lo que ha dicho y las causas que le han movido a decirlo. Solano se presenta sereno y, como ha obrado por divino impulso, no hace sino exponer la verdad. Sin embargo, recibió una admonición, a fin de que en adelante no perturbara la tranquilidad de los habitantes.

En lo sucesivo su vida es más del cielo que de la tierra. Sus fuerzas van decayendo visiblemente y por esta causa se le traslada al convento de Jesús, de Lima, donde, tras breve enfermedad, causada más por las privaciones y trabajos que por el desgaste natural del organismo, fallece el día de San Buenaventura, 14 de julio de 1610, cuando se elevaba la hostia en la misa mayor. Su entierro tuvo contornos apoteósicos. El virrey, marqués de Montesclaros, y el arzobispo Lobo Guerrero son los primeros en conducir el féretro a la iglesia, donde la guardia de alabarderos apenas puede contener a la multitud. Predica sus virtudes el provincial de la Compañía, Juan Sebastián de la Farra, y se le da sepultura en la cripta de la iglesia, donde más tarde se levantará una capilla. El mismo año de su muerte, a 23 de julio de 1610, se empezaron las informaciones sobre su vida y virtudes, las cuales dieron por resultado el que la santidad de Clemente X lo beatificase en el año 1675 y Benedicto XIII lo proclamase Santo en 1726.

Rubén Vargas Ugarte, S.I.,
San Francisco Solano, en Año Cristiano, Tomo III,
Madrid, Ed. Católica (BAC 185), 1959, pp. 125-133.

FUENTES:
http://www.portalmisionero.com/noa/franciscosolano.htm
http://www.franciscanos.org/santoral/menud.html 



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