mercoledì 15 febbraio 2012

MAGNIFICO ED OPPORTUNO STUDIO DI DON ALFREDO M. MORSELLI PER UNA PIU' AUTENTICA PARTECIPAZIONE DEI FEDELI AL DIVIN SACRIFICIO DELLA SANTA MESSA.


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Il nuovo altare "rivolto al popolo" nelle chiese antiche: ambiguità, contraddizioni e forzature nella prassi e nella normativa.

di don Alfredo M. Morselli

Recentemente il Card. Kurt Koch[1], nel corso di una conferenza svolta presso la facoltà teologica dell’università di Friburgo[2], ha ribadito che «l’attuale odierna pratica liturgica non sempre trova il suo reale fondamento nel Concilio: per esempio, la celebrazione verso il popolo non è mai stata prescritta dal Concilio»[3].
Il Card. Joseph Ratzinger aveva scritto, in proposito, nel 2003:
Per coloro che abitualmente frequentano la chiesa i due effetti più evidenti della riforma liturgica del Concilio Vaticano Secondo sembrano essere la scomparsa del latino e l'altare orientato verso il popolo. Chi ha letto i testi al riguardo si renderà conto con stupore che, in realtà, i decreti del Concilio non prevedono nulla di tutto questo.
Non vi è nulla nel testo conciliare sull'orientamento dell'altare verso il popolo; quel punto è stato sollevato solo nelle istruzioni postconciliari. La direttiva più importante si ritrova al paragrafo 262 della Institutio Generalis Missalis Romani, l'Introduzione Generale al nuovo Messale Romano pubblicata nel 1969, e afferma: «L'altare maggiore sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo (versus populum)».
Le Istruzioni Generali per il Messale, pubblicate nel 2002, mantenevano senza modifiche questa formulazione, tranne per l'aggiunta della clausola subordinata «la qual cosa è desiderabile ovunque sia possibile». In molti ambienti questo venne interpretato come un irrigidimento del testo del 1969, a indicare come fosse un obbligo generale erigere altari di fronte al popolo “ovunque sia possibile”. Tale interpretazione venne tuttavia respinta il 25 settembre 2000 dalla Congregazione per il Culto Divino, che dichiarò come la parola "expedit” (“è desiderabile”) non comportasse un obbligo, ma fosse un semplice suggerimento. La Congregazione afferma che si deve distinguere l'orientamento fisico dall'orientamento spirituale. Anche se un sacerdote celebra versus populumdeve sempre essere orientato versus Deum per Iesum Christum (verso Dio attraverso Gesù Cristo). Riti, simboli e parole non possono mai esaurire l'intima realtà del mistero della salvezza, ed è per questo motivo che la ammonisce contro le posizioni unilaterali e rigide in questo dibattito.
Si tratta di un chiarimento importante. Mette in luce quanto vi è di relativo nelle forme simboliche esterne della liturgia, e resiste al fanatismo che, purtroppo, non è stato estraneo alle controversie degli ultimi quarant'anni[4].
L’idea generalizzata secondo la quale c’è «un obbligo generale erigere altari di fronte al popolo “ovunque sia possibile”» ha fatto si che in quasi tutte le antiche chiese e cattedrali venisse costruito un nuovo altare maggiore senza rimuovere l’antico.
Ci chiediamo se ciò in realtà è coerente con la nuova normativa post-conciliare, o non sia piuttosto una forzatura, dovuta alle errate convinzioni che un nuovo altare rivolto al popolo sia obbligatorio e che questo non sia altro che l’indicazione del Concilio.

I – La prassi in contrasto con la normativa.
Vediamo cosa prescrive esattamente la normativa vigente:
Nelle chiese già costruite, quando il vecchio altare è collocato in modo da rendere difficile la partecipazione del popolo e non può essere rimosso senza danneggiare il valore artistico, si costruisca un altro altare fisso, realizzato con arte e debitamente dedicato. Soltanto sopra questo altare si compiano le sacre celebrazioni. Il vecchio altare non venga ornato con particolare cura per non sottrarre l'attenzione dei fedeli dal nuovo altare[5].

La prassi abituale è in contrasto con la normativa perché questa prevede la possibilità di un secondo altare fisso soltanto in un caso particolare, ben definito (quando la partecipazione del popolo è resa difficile), mentre in pratica un nuovo altare è stato collocato in quasi tutte le chiese antiche.
La gravità di questa generalizzazione sta tutta nel suo presupposto implicito: con la celebrazione verso l’abside la partecipazione attiva sarebbe sempre resa difficile.
E qui notiamo un duplice errore: in primo luogo si dimentica che partecipazione attiva nella liturgia è la partecipazione al Sacrificio di Cristo.
Scriveva il Card. Joseph Ratzinger nel 1999:
Il concilio Vaticano II ci ha proposto come pensiero guida della celebrazione liturgica l'espressione participatio actuosa, partecipazione attiva di tutti all’Opus Dei, al culto divino. […] In che cosa consiste, però, questa partecipazione attiva? Che cosa bisogna fare? Purtroppo questa espressione è stata molto presto fraintesa e ridotta al suo significato esteriore, quello della necessità di un agire comune, quasi si trattasse di far entrare concretamente in azione il numero maggiore di persone possibile il più spesso possibile. La parola «partecipazione» rinvia, però, a un'azione principale, a cui tutti devono avere parte. Se, dunque, si vuole scoprire di quale agire si tratta, si deve prima di tutto accertare quale sia questa «actio» centrale, a cui devono avere parte tutti i membri della comunità[6].
E qual è l’azione della liturgia ?
La vera azione della liturgia, a cui noi tutti dobbiamo avere parte, è azione di Dio stesso [7].

Il Card. Joseph Ratzinger non ha certo detto, nelle sue pur profonde considerazioni, delle novità assolute. Questi stessi concetti erano già stati espressi da Pio XII, nel discorso Vous Nous avez demandé:
La liturgia della Messa ha come scopo di esprimere sensibilmente la grandezza del mistero che vi si compie, e gli sforzi attuali tendono a farvi partecipare i fedeli nel modo più attivo ed intelligente possibile. Benché questo intento sia giustificato, v'è pericolo di provocare una diminuzione della riverenza, se vien distolta l'attenzione dall'azione principale, per rivolgerla alla magnificenza di altre cerimonie.
Qual è quest'azione principale del sacrificio eucaristico? Noi ne abbiamo parlato espressamente nell'Allocuzione del 2 novembre 1954. Noi riferivamo in primo luogo l'insegnamento del Concilio di Trento: «In divino hoc sacrificio, quod in Missa peragitur, idem ille Christus continetur et incruente immolatur, qui in ara crucis semel se ipsum cruente obtulit... Una enim eademque est hostia, idem nunc offerens sacerdotum ministerio, qui se ipsum tunc in cruce obtulit, sola offerendi ratione diversa (Conc. Trid., Sess. XXII, cap. 2)» [8].
Commentiamo ora questo brano:
Giusti tutti gli sforzi che tendono a fare partecipare i fedeli nel modo più attivo ed intelligente... Ma… attenzione! – dice il Papa – , non si perda ciò che è principale, cioè la partecipazione all’Azione di Cristo!
Da un lato rimpiangiamo un po’ i pericoli di 50 anni fa: essere distolti dal cuore dell’azione liturgica dalla magnificenza delle cerimonie; oggi i pericoli sono i tanti ben peggiori abusi, accomunati da un comune denominatore: l’azione dell’assemblea viene a prevalere sull’azione di Cristo, sulla sua Immolazione Sacramentale, sul suo offrirsi: è a questa offerta che dobbiamo più che attivamente partecipare.

L’azione esterna, il fare, l’agire, non sono un valore assoluto, ma lo sono in tanto quanto ci permettono di unirci al Santo Sacrificio, tanto quanto ci permettono di essere quella gocciolina di acqua che il Sacerdote mette nel vino: questo gesto esprime come tutta la nostra vita viene sussunta nello stesso Sacrifico di Cristo, quel Sacrificio che realmente si riattualizza sull’Altare.
Se dunque la partecipazione liturgica è soprattutto l’unione al Sacrifico di Cristo, come è possibile che l’altare rivolto all’abside la renda difficoltosa?  E come è possibile che per tanti secoli la Chiesa abbia creato difficoltà ai suoi figli in ciò che ha di più sacro? Eppure questo è il presupposto oggettivo della prassi generalizzata.
Vediamo ora il II errore: concediamo all’espressione partecipazione un significato meno tecnico, volendo indicare con essa semplicemente l’attenzione esteriore al rito, la partecipazione ai canti, il coinvolgimento nella gestualità: anche in questo caso, presupporre che, con l’altare rivolto verso l’abside, venga universalmente resa difficile la partecipazione del popolo (condizione necessaria – ricordiamo – per poter collocare un secondo altare fisso) è sempre una forzatura.
Scriveva a questo riguardo il Card. Giacomo Lercaro, in un documento ufficiale del Consilium ad exequendam Consitutionem de Sacra Liturgia:
In primo luogo, per una liturgia viva e partecipata non è necessario che l’altare sia rivolto al popolo. Tutta la liturgia della parola, nella messa, si celebra alle sedi o all’ambone, e dunque di fronte al popolo; per la liturgia eucaristica, le installazioni di microfoni, ormai comuni, aiutano sufficientemente alla partecipazione.
Inoltre bisogna tener conto della situazione architettonica e artistica la quale, in molti casi, è del resto protetta da severe leggi civili[9].

II – Altre forzature e incongruenze
Un secondo altare a tutti i costi rivolto al popolo, assunto nella prassi come principio della liturgia conciliare, mal si concilia con altri aspetti del rinnovamento liturgico e con altre norme. Almeno in due casi ci troviamo di fronte a delle vere e proprie acrobazie giuridiche.

principio disatteso: l’altare deve essere unico
Le norme in questo senso parlano chiaro; ecco un paio di esempi:
L'unico altare, presso il quale si riunisce come in un sol corpo l'assemblea dei fedeli, è segno dell'unico nostro Salvatore Gesù Cristo e dell'unica Eucarestia della Chiesa [10].
Nelle nuove chiese si costruisca un solo altare che significhi alla comunità dei fedeli l'unico Cristo e l'unica Eucaristia della Chiesa [11].
Il noto liturgista, P. Matias Augé, per ribadire quanto – secondo lui – siano inopportuni gli altari laterali in una chiesa, evoca tutto il pathos di Sant’Ignazio d’Antiochia:
Accorrete tutti come all’unico tempio di Dio, intorno all’unico altare che è l’unico Gesù Cristo che procedendo dall’unico Padre è ritornato a lui unito” (Ai Magnesii VII,1)[12].
Ma se l’unicità dell’altare impedisce che si possa celebrare rivolti al popolo, allora ecco che un secondo altare diventa lecito. Che fare in questi casi: toglier le tovaglie e non adornare l’altare maggiore precedente. Una sorta di sbattezzo dell’altare.
Nel caso in cui l'altare preesistente venisse conservato, si eviti di coprire la sua mensa con la tovaglia e lo si adorni molto sobriamente, in modo da lasciare nella dovuta evidenza la mensa dell'unico altare per la celebrazione[13]

Ma, chiediamoci, è forse la tovaglia che rende un altare tale? Capolavori d’arte, adornati per secoli con tanta cura, con ricami, con fiori, con ceri, con tovaglie, ora lasciati nudi come non sono mai stati pensati da chi li ha fatti… e tutto perché l’altare deve essere unico, anche quando sono due.

principio disatteso: l’altare deve essere fisso
Conviene che in ogni chiesa ci sia l'altare fisso, che significa più chiaramente e permanentemente Gesù Cristo, pietra viva (Cf. 1Pt 2,4; Ef 2,20); negli altri luoghi, destinati alle celebrazioni sacre, l'altare può essere mobile.

L'altare si dice fisso se è costruito in modo da aderire al pavimento e non poter quindi venir rimosso; si dice invece mobile se lo si può trasportare [14].
E quando non si può celebrare rivolti al popolo, allora anche questo principio è derogato: si faccia l’altare mobile, che però deve essere definitivo.
L’altare fisso della celebrazione sia unico e rivolto al popolo. Nel caso di difficili soluzioni artistiche per l’adattamento di particolari chiese e presbitèri, si studi, sempre d’intesa con le competenti Commissioni diocesane, l’opportunità di un altare «mobile» appositamente progettato e definitivo [15].
Qualora non sia possibile erigere un nuovo altare fisso, si studi comunque la realizzazione di un altare definitivo, anche se non fisso (cioè amovibile) [16].

Cosa vuol dire altare definitivo e mobile: che sia trasportabile ma che sia sempre quello? Oppure che non sia murato definitivamente? Oppure che sia trasportabile, ma lasciato sempre al suo posto?
Questa indicazione sa tanto di acrobazia, per collocare in ogni caso un altare rivolto al popolo, anche quando c’è già un altare maggiore e quando la Sovrintendenza ai beni artistici non permette la costruzione di un nuovo altare fisso.

Conclusioni.
In base a quanto detto, l’idea dell’altare a tutti i costi rivolto al popolo, ritenuta generalmente – a torto – un principio conciliare per eccellenza, ha fatto sì che molte antiche chiese venissero adeguate indebitamente con un secondo altare fisso. Stando alla lettera della normativa, si tratta di un abuso: abuso pericoloso perché fa intendere che il modo di celebrare per tanti secoli abbia reso difficile la partecipazione del popolo alla liturgia.
Se il Concilio non ha mai parlato di celebrazione verso il popolo, l’idea che l’altare a tutti i costi debba essere ad esso rivolto, e il conseguente riadattamento forzoso degli antichi edifici di culto, non sarà forse uno dei tristi effetti di ciò che Mons. Guido Pozzo, segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ha chiamato ideologia para-conciliare?
Se il Santo Padre parla di due interpretazioni o chiavi di lettura divergenti, una della discontinuità o rottura con la Tradizione cattolica, e una del rinnovamento nella continuità, ciò significa che la questione cruciale o il punto veramente determinante all’origine del travaglio, del disorientamento e della confusione che hanno caratterizzato e ancora caratterizzano in parte i nostri tempi non è il Concilio Vaticano II come tale, non è l’insegnamento oggettivo contenuto nei suoi Documenti, ma è l’interpretazione di tale insegnamento. […]
Sta ciò che possiamo chiamare l’ideologia conciliare, o più esattamente para-conciliare, che si è impadronita del Concilio fin dal principio, sovrapponendosi a esso. Con questa espressione, non si intende qualcosa che riguarda i testi del Concilio, né tanto meno l’intenzione dei soggetti, ma il quadro di interpretazione globale in cui il Concilio fu collocato e che agì come una specie di condizionamento interiore nella lettura successiva dei fatti e dei documenti. Il Concilio non è affatto l’ideologia paraconciliare, ma nella storia della vicenda ecclesiale e dei mezzi di comunicazione di massa ha operato in larga parte la mistificazione del Concilio, cioè appunto l’ideologia paraconciliare [17].
Alla chiesa docente la risposta; a chi scrive, membro della chiesa discente, la possibilità di porre rispettosamente la domanda.
Stiatico di San Giorgio di Piano, 9 febbraio 2012


[1] Attualmente presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani e della Commissione per le Relazioni Religiose con gli Ebrei.
[2] http://www.oecumene.radiovaticana.org/ted/Articolo.asp?c=558608, visitato l’8 febbraio 2012.
[3] “Allerdings lasse sich nicht alles, was heute liturgische Praxis sei, durch Konzilstexte begründen. So sei beispielsweise nirgends die Rede davon, dass der Priester die Eucharistie den Gottesdienstteilnehmern zugewandt leite”.
[4] J. Ratzinger, prefazione a U. M. Lang, Rivolti al Signore. L’orientamento nella preghiera liturgica, Siena: Cantagalli, 2006, p. 7.
[5] Ordinamento Generale del Messale Romano, 2010, § 303.
[6] Joseph Ratzinger, Introduzione alla Spirito della Liturgia, Cinisello Balsamo: San Paolo, 2001, p.167.
[7] Ibidem, p. 169.
[8] Discorso ai partecipanti al 1° Congresso internazionale di Liturgia Pastorale”, del 22 settembre 1956: la traduzione è presa da: Insegnamenti Pontifici, vol VIII, Roma: Pia Società San Paolo, 1959/2, pp. 354-374, passim.
[9] Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia, Lettre circulaire aux Présidents des Conférences Episcopales L’heureux dévelopment pour indiquer quelques problèmes qui ont été soulevés, 25 janvier 1966 : Notitiae 2 (1966), 157-161; EV 2, 610.
[10] Dedicazione della chiesa e dell’altarePremesse, § 158.
[11] Ordinamento Generale del Messale Romano, 2010, § 303.
[12] http://liturgia-opus-trinitatis.over-blog.it/article-gli-altari-laterali-69559200.html
[13] Nota pastorale della Commissione Episcopale per la Liturgia - CEIL’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, § 17. Molto più decoroso quanto prescrive l’ordinamento generale al § 303: “Il vecchio altare non venga ornato con particolare cura per non sottrarre l'attenzione dei fedeli dal nuovo altare”
[14] Ordinamento Generale del Messale Romano, 2010, § 298.
[15] Principi e norme per l'uso del Messale Romano Precisazioni della Conferenza Episcopale Italiana, § 14.
[16] L’adeguamento delle chiese… § 17.
[17] Aspetti della ecclesiologia cattolica nella recezione del Concilio Vaticano II, conferenza di Mons. Guido Pozzo, Segretario della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei", fatta ai sacerdoti europei della Fraternità San Pietro il 2 luglio 2010 a Wigratzbad; cf. http://www.fssp.org/it/pozzo2010.htm, visitato l’8 febbraio 2012.

martedì 14 febbraio 2012

ES UNA VERDAD QUE NO SE PUEDE NEGAR!

Bartolemo Esteban Murillo 1653.jpg



Demostración de porqué 
no se debe
comulgar en la mano

Es una verad que no se puede negar








AVISO PREVIO.


NO REALICES POR TU CUENTA ESTA PRUEBA USANDO UNA HOSTIA YA CONSAGRADA, PUES COMETERÍAS, UN SACRILEGIO. SE DEBE CONSEGUIR COMPRANDO HOSTIAS EN UNA TIENDA O SANTERIA DE OBJETOS RELIGIOSOS


 Vamos a realizar una sencilla experiencia, que si quieres puedes realizar tú mismo:

1. Consigue una forma SIN CONSAGRAR (se pueden comprar en Santerias de objetos religiosos).
2. Obtén un fondo completamente liso y negro (plástico, papel, ...) y límpialo bien con un paño para
que no queden en él polvo ni manchas que puedan confundir.
3. Toma una hostia y deposítala sobre el fondo negro, igual que se hace cuando se comulga en la mano..
4. Vuelve a retirar la hostia o forma.
5. Y por último observa el lugar donde depositaste la hostia.

Este es el resultado...
1º. Fondo negro de plástico antes de depositar la hostia:


*
2º. Escaneamos luego de DEPOSITAR la oblea o forma sobre el plástico:

*
3º. Escaneamos luego de haberla depositado
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Esta es la imagen ampliada de los fragmentos que quedaron sobre el plástico:




HAZ CLIK SOBRE LA IMAGEN PARA AGRANDARLA

Por tanto:
  • Por tanto, queda demostrado el efecto sacrílego y profanador que tiene el comulgar en la mano, pues no
  • hay duda que estas son partículas de la hostia
  • Todas esas partículas que en esta prueba son, simplemente pan sin consagrar, en la Misa serían Jesucristo vivo y en persona, en cada una de ellas, tal y como enseña el Magisterio de la Santa Iglesia Católica.
  • Sobra decir, que los cientos de Partículas consagradas que durante la Misa quedan en las manos de los comulgantes van a parar al suelo donde son pisoteadas y profanadas y en ellas Jesús revive la misma Pasión que en el patio de Pilatos, pero esta vez en el patio de su propia Iglesia...
*

Esta imagen es propiedad de la productora Icon Productions


Y es que cuando la forma entra en contacto con la mano ocurren tres cosas:
  • A. El rozamiento entre el borde de la forma y la piel de la mano provoca el desprendimiento de partículas.
  • B. Partículas que están naturalmente sobre la forma acaban adhiriéndose a la mano por efecto del
  • sudor natural de la piel humana.
  • C. A veces en la acción de manipular la forma con los dedos, al consumirla, se parten trozos.
Ahora seguramente entenderás porqué el Papa ya no da la Comunión en la mano, sino únicamente en la boca y de rodillas, y por supuesto con patena, para evitar la caída de partículas.



«No me toques» (Jn 20,17) ("No me toques con tu mano")
***


No comulgues en la mano, no te conviertas en otro cómplice más de este sacrilegio silenciado contra nuestro amado Jesucristo. Dios te lo premiará.
"Ten misericordia de Mí y Yo la tendré de ti"


AVE MARIA!
Laudetur Iesus Christus!
Laudetur cum Maria! 
Semper laudentur 
 Gracias 

La rosa rallegra con la sua bellezza: ecco Gesù e Maria nei misteri gaudiosi....

Roseto Mistico


Ai devoti

5. Anime devote e illuminate dallo Spirito Santo, non vi dispiaccia che io vi offra un piccolo roseto mistico, venuto dal cielo, perché lo trapiantate nel giardino della vostra anima. 

Esso non nuocerà ai fiori profumati delle vostre contemplazioni. È molto olezzante e tutto divino: non guasterà affatto il disegno delle vostre aiuole. Purissimo e ben ordinato esso porta tutto all'armonia e allo splendore. Se ogni giorno lo s'innaffia e lo si coltiva a dovere, cresce ad altezza prodigiosa e si estende tanto che non solo non ostacola tutte le altre devozioni, ma le conserva e le perfeziona. Voi che siete spirituali mi capite! Questo roseto è Gesù e Maria nella vita, nella morte, nell'eternità.


6.  Le verdi foglie di questo rosaio esprimono i misteri gaudiosi di Gesù e di Maria; 
le spine, i dolorosi; 
e i fiori, quelli gloriosi. 
Le rose in bocciolo ricordano l'infanzia di Gesù e di Maria,
le rose sbocciate rappresentano Gesù e Maria nella sofferenza, 
le rose completamente schiuse mostrano Gesù e Maria nella gloria e nel trionfo.



La rosa rallegra con la sua bellezza: ecco Gesù e Maria nei misteri gaudiosi. 
Essa punge con le sue spine: ecco G e M nei misteri dolorosi. Essa dà gioia con la soavità del profumo: ecco G e M infine nei misteri gloriosi.





Non disprezzate, dunque, la mia pianticella rigogliosa e divina. Piantatela voi stessi nella
vostra anima prendendo la risoluzione di recitare il Santo Rosario. Coltivatela ed innaffiatela
recitandolo fedelmente ogni giorno, accompagnandolo con opere buone. 


Vi accorgerete che questo seme, ora all'apparenza tanto piccolo, diventerà col tempo un grande albero, dove gli uccelli del cielo, cioè le anime predestinate e di alta contemplazione, faranno il loro
nido e la loro dimora.


 Sotto la sua ombra saranno protette dagli ardori del sole, 
sulle sue  cime troveranno difesa dalle bestie feroci della terra 
e scopriranno un delicato nutrimento nel suo frutto, l'adorabile Gesù, al quale sia ogni onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Così sia.
Dio solo!

AVE MARIA!
Laudetur Iesus Christus!
Laudetur cum Maria! 
Semper laudentur!



lunedì 13 febbraio 2012

Ai Santi obbediscono anche i cani... aggressivi




Ecco un altro tratto, forse ancora più toccante. All'inizio della fondazione, il Carmelo possedeva un cane da guardia. Suor Maria di Gesù Crocifisso che consi­derava ogni cosa in Dio, invitava qualche volta quest'animale alla riconoscenza verso il suo Creatore, enumerandogli tutto ciò che ne aveva ricevuto. 


Gli diceva an­cora, con un sentimento di profonda venerazione, di tenerezza per la nobile Benefattrice e Fonda­trice del Carmelo in Betlemme, che era lei che forniva il nutrimento, che faceva sì che se ne aves­se cura e che doveva essergliene riconoscente. 


Gli fece più volte, con tanta serietà e tanta ingenuità, la seguente raccomandazione: «Quando la mia amata sorellina verrà, tu ti coricherai ai suoi piedi, glieli leccherai e glieli bacerai, hai capito?» 


Ef­fettivamente, alcuni mesi dopo la morte di suor Maria di Gesù Crocifisso, quando la pia signorina venne a Betlemme, questo cane, che era per natura molto aggressi­vo e per il quale lei non era che una estranea, si recò da solo alla porta della clau­sura, e non appena fu entrata, si coricò ai suoi piedi, leccandoglieli e accarezzan­dola in mille modi. Fu allora che ci si ricordò delle raccomandazioni che le erano state fatte dall'umile suora conversa.
AVE MARIA!





AVE MARIA!
Laudetur Iesus Christus!
Laudetur cum Maria! Semper laudentur

Atti del convegno "SUMMORUM PONTIFICUM" : Roma 14.5.2011