sabato 10 dicembre 2011

BASTA CON LA LITURGIA DEI PAROLAI !!!


Ordinate in chiesa il cessate le parole! Il castigo della “Preghiera dei Fedeli”

dic 9, 2011

QUALCUNO ORDINI IN CHIESA IL CESSATE LE PAROLE!

Il castigo divino della “Preghiera dei fedeli”
Quella Chiesa postconciliare che ha abolito il silenzio. La Preghiera dei fedeli: la “madre di tutti gli eccessi”. Se si dimentica che il peccato sociale altro non è che la somma dei peccati individuali. Se l’ossessione del “sociale” che tuona dagli amboni diventa idolatria. Quando si scambia il “Fatto” per eccellenza con Il Fatto Quotidiano. L’ultima moda clericale: il prete che non si inginocchia mai nella messa. “I ragionamenti tortuosi allontanano da Dio”. Quelle Preghiere dei fedeli riprese dalla scaletta del tg di mezzogiorno.


Prendi la preghiera dei fedeli: voluta dalla riforma liturgica, è diventata la “madre di tutti gli eccessi”, il luogo di ogni abuso; nei casi migliori uno sfogatoio, nei peggiori la latrina di ogni verbosità para-ideologica; l’introito, l’allusione neppure troppo velata verso l’opinionismo politico legato alla cronaca, la terra di nessuno dei comitati parrocchiali che hanno fatto di sacrestie proprietà privata e sezione partitica, e che talvolta sembrano fermi psicologicamente all’assetto da guerriglia verbale sindacalizzata anni ’70, con tutti i loro proclami da ambone.



di Antonio Margheriti Mastino


QUELLA CHIESA POSTCONCILIARE CHE HA ABOLITO IL SILENZIO
Ero partito con l’intenzione di scrivere un articolo sui generis sul come si prega, per smentire l’idea che la preghiera sia fatta solo di parole, di un fiume di parole, spesso fuoriluogo; e di lì sarei passato a spiegare che c’è un modo “alternativo” di adorare il Sacramento. Ma mentre scrivevo, però, sono stato fulminato da una parola che mi è rimbombata nella memoria: “Preghiera dei Fedeli”, che durante la messa sempre più va degenerando, nei più casi, in veri e propri proclami ideologici, partitici spesso, arroganti e pretenziosi molte volte, demenziali e interminabili quasi sempre. È di questo che voglio parlare adesso.
Se c’è una cosa della quale più d’altre la Chiesa postconciliare, con le manie di protagonismo, presenzialismo, personalismo dei suoi membri s’è scordata, è il silenzio. E, di riflesso, il guardarsi dalle vane parole.
L’ho sempre detto: preferisco frequentare a Roma le messe in rito antico per tante ragioni, una della quali è proprio il silenzio; quella messa lì ha conservato la consapevolezza delle virtù balsamiche per lo spirito del “cessate le parole”. Quelle inutili, almeno. La certezza che non solo la lingua, le parole, il vociare, il clamore possono esprimere la lode a Dio. Ma che anzi, talora possono indurre al contrario: all’esibizione, allo sfoggio, a perdere di vista l’essenziale. In una parola: ad autocelebrarsi, mentre Dio diventa solo il pretesto, l’introduzione al nostro peccato di vanità, e orgoglio poi. O possono diventare un rito sociale: il culto di una comunità che si parla addosso, celebrando se stessa. E il passo verso il comizio è breve assai. Non è un caso che l’allora cardinale Ratzinger parlò delle odierne liturgie come “danze vuote intorno al vitello d’oro che siamo noi stessi”.

LA PREGHIERA DEI FEDELI: LA “MADRE DI TUTTI GLI ECCESSI”
Prendi la preghiera dei fedeli: voluta dalla riforma liturgica, è diventata la “madre di tutti gli eccessi”, il luogo di ogni abuso; nei casi migliori uno sfogatoio, nei peggiori la latrina di ogni verbosità para-ideologica; l’introito, l’allusione neppure troppo velata verso l’opinionismo politico legato alla cronaca, la terra di nessuno dei comitati parrocchiali che hanno fatto di sacrestie proprietà privata e sezione partitica, e che talvolta sembrano fermi psicologicamente all’assetto da guerriglia verbale sindacalizzata anni ’70, con tutti i loro proclami da ambone. Anzi: se negli anni ’60 viravano sul sociologismo, negli anni ’70 al puro ideologismo, negli anni ’80 allo psicologismo, nei ’90 all’umanitarismo, all’inizio del 2000 al buonismo un tantino sincretista, da qualche tempo a questa parte puntano sull’economicismo… che è sempre l’introduzione più nobile verso l’antiberlusconismo tout-court. E ve lo dimostro fra poco.
Vane parole, nelle quali Dio è interpellato per assecondare e ratificare d’ufficio schemi tutti umani, orizzontali. E dove, proprio per ciò, cancellata la spinta verticale, Dio è scomparso dalla loro prospettiva. Tutto è consumato sull’altare pagano del plurale sociologico, dell’astrattezza della “società”. Fateci caso: la maggior parte delle interminabili e soporifere “pregherie dei fedeli” (ossia dei magnaccia di sacrestia) iniziano in due modi: “In questa società”; “in questo mondo”… di ladri! Eppure, se tu vai a guardare le parole del Nazareno, ti rendi conto di una cosa: non sembra mai interessato ai gruppi sociali, non parla mai in astratto, non si rivolge ad entità collettive e anonime, non v’è nella sua predicazione ombra di “peccato sociale” se non come riflesso unico del peccato individuale, che a sua volta è il prezzo di quello originale che tutti ci accomuna. E appunto, il Cristo, nei vangeli si rivolge unicamente al cuore dell’uomo. Cioè del singolo. Perché è il cuore di ogni singolo uomo che gli interessa: per lui tutto da lì parte. Dall’individuo uti singuli. Ossia io, tu. Separatamente. Solo così resta chiara alla nostra coscienza la colpa, il nostro peccato, la responsabilità di ciascuno dunque: senza scaricarla su una entità collettiva indefinita, quasi quasi autoassolvendosi, e compiendo così un doppio e triplo peccato. Resta emblematica quella dichiarazione di Andrè Frossard, il grande convertito francese: “Il bello del cristianesimo è che ognuno si sente figlio unico dinanzia a Dio”. Mi sentirei di correggerlo: per un disegno misterioso e incomprensibile alla mente umana, noi in un certo senso non ci “sentiamo”, ma siamo “figli unici” di Dio.

SE SI DIMENTICA CHE IL PECCATO SOCIALE ALTRO NON È CHE LA SOMMA DEI PECCATI INDIVIDUALI
Talvolta mi domando se negli sproloqui logorroici e socialmente “utili” delle Preghiere dei fedeli durante la liturgia, non vi sia traccia non solo di vane parole, non solo di paganesimo, ma proprio di idolatria; idolatria dell’immanente, delle strutture e sovrastrutture, del solo umano, delle cose di questa terra. In una parola: del “sociale”. Tutte cose che è lo stesso Cristo a definire passeggere, e nel Libro Antico, è il Dio di Mosè, attraverso l’Ecclesiaste, a marchiarle in modo efficacissimo come “vanitas vanitatis… vanità delle vanità, tutto è vanità”. Ma a sentire questi declamatori liturgici, sembrano eterne, le sole che contino. Idolatria del “sociale” appunto, ossia culto di una comunità verso se stessa e le sue dinamiche, autocelebrazione, autocompiacimento, autoesaltazione, autoadorazione. Gridano contro la “parzialità” e l’ingiustizia di un mondo che proprio questi ragionamenti hanno contribuito in modo determinante a creare; e dimenticano la cosa fondamentale: che alla base dell’ingiustizia sociale non c’è un governo sbagliato o una errata dottrina economica. Alla base di quella e di questi c’è solo una cosa: il peccato. Individuale. Che, propalandosi attraverso i suoi untori, infettivo com’è, diventa anche “sociale”. Il peccato sociale, non è la tara di un gruppo dominante, il capriccio di un destino cinico e baro: è la somma dei peccati individuali.

SE L’OSSESSIONE DEL “SOCIALE” CHE TUONA DAGLI AMBONI DIVENTA IDOLATRIA
Eppure, come si diceva, è proprio l’Antico Testamento a metterci a chiare lettere sempre in guardia da questo pericolo, il pericolo delle vane parole e dalla sopravvalutazione delle cose di questo mondo e dei suoi idoli, che siano strutture, sovrastrutture, istituzioni, ideologie.
Siccome ho un debole per i Libri Sapienziali, li apro a caso e l’occhio mi cade sul Libro della Sapienza. Al capitolo 13 si spiega come materialmente l’idolatra costruisce il suo idolo: sembra quasi una lezione di falegnameria per fai-da-te. Così inizia: “Infelici sono coloro le cui speranze sono in cose morte e che chiamano dèi i lavori di mano d’uomo”. E dopo averci edotti tecnicamente su come fare di un pezzo di legno un idolo, conclude: “Esso è solo un’immagine [l'idolo]… Eppure quando [l'idolatra] prega per i suoi beni, per le sue nozze e per i suoi figli, non si vergogna di parlare a quell’oggetto inanimato; per la sua salute invoca un essere debole, per la sua vita prega un morto; per un aiuto supplica un essere inetto, per il suo viaggio chi non può neppure camminare; per acquisti, lavoro e successo negli affari, chiede abilità ad uno che è il più inabile di mani”.
Come non farsi venire in mente tutti questi declamatori sindacalizzati di “preghiere dei fedeli”, che ultimamente si son fatti venire la passionaccia dell’economia, secondo il vangelo dei banchieri, dopo che hanno smaltito la sbornia di operaismo immaginario?
Vado oltre, e nello stesso Libro attribuito miticamente a Salomone, si racconta di come Dio si serve degli elementi della terra per punire gli idolatri e aiutare i suoi figli. E in questo capitolo 16 c’è un grave monito per chi crede davvero che ogni male stia nellastultizia delle cose terrestri e che mondana sia l’unica giustizia possibile; grave monito agli appassionati foss’anche liturgici di cose “sociali” e conseguenti “ricette economiche” toccasana, di panacee di tutti i mali elaborate in laboratorio; che parlano come se la Chiesa esistesse non per salvare le anime ma per guidare le sorti dell’economia, come se invece dei mali dell’anima debba occuparsi dei presunti “mali” sociali, che ignorano essere proprio la conseguenza dei primi e non il contrario. Leggo, infatti, in questo capitolo sapienziale: “Gli egiziani [idolatri] infatti furono uccisi dai morsi di cavallette e mosche, né si trovò un rimedio per la loro vita, meritando di essere puniti con tali mezzi. Invece contro i tuoi figli neppure i denti dei serpenti velenosi prevalsero, perché intervenne la tua misericordia a guarirli. Perché ricordassero le tue parole, feriti dai morsi, erano subito guariti, per timore che, caduti in un profondo oblio, fossero esclusi dai tuoi benefici. Non li guarì né un’erba né un emolliente, ma la tua parola, o Signore, la quale tutto risana. Tu infatti hai potere sulla vita e la morte: conduci alle porte degli inferi e fai risalire”. 

QUANDO SI SCAMBIA IL “FATTO” PER ECCELLENZA COL FATTO QUOTIDIANO
Dicevo che assisto (e dico: assisto, non “partecipo”) spesso alle messe antiche: sono un’altra cosa, rimbombano dentro, esplodendo silenziosamente nell’anima, è un precipitare improvviso e al contempo un ascendere vertiginoso dentro un Mistero, antichissimo e nuovo, che travalica il tempo. Ma siccome il papa ha scritto nel MotuProprio che il fedele deve “completarsi” assistendo all’uno e all’altro rito, a quellostraordinario ma anche a quello ordinario, che poi sono due forme dello stesso canone romano, allora, spesso facendo violenza su me stesso, mi obbligo ad andare alla messa nuova nella chiesa sotto casa. Certe volte lo faccio pure per pigrizia, ché non mi va di prendere il bus per arrivare sino al centro di Roma, verso Campo de’ Fiori, dove sta la parrocchia che celebra esclusivamente secondo il messale di Giovanni XXIII: la Santissima Trinità dei Pellegrini.
Ci vado con tutte le migliori intenzioni. Ma poi arriva, arriva sempre, il momento della predica e, ahimé, delle maledette “preghiere dei fedeli”, ossia dei bollettini dei tre sindacati congiunti: iniziano col tono moroteo della Cisl, giungono al linguaggio nenniano della Uil, degenerano in finale col proclama cofferatiano della Cgil. Pronunciate ora con un certo risentimento sociale, ora con moralismo civile allarmistico, ma più spesso in modo cantilenato, atono, non sentito, monocorde, come di chi neppure sta capendo cosa diavolo sta leggendo. E neppure io lo capisco: il linguaggio è fumoso, farraginoso, una moralistica verbosità dorotea nei casi migliori, insolente da ciclostilato di gruppuscoli politicizzati marxisti d’altri tempi nel peggiore dei casi; ma dove nell’uno nell’altro caso si scaricano sulle parole, sul proclama, il valore che dovrebbero avere i fatti. Anzi, il Fatto, il solo che conta: il Nazareno, figlio di Dio incarnato nell’umanità, morto in croce per redimerci dai peccati, al terzo giorno resuscitato dai morti, come avevano annunciato i profeti. Ebbene, ho l’impressione che spesso, questa strana fauna di sacrestia, questi laici clericalizzati, abbiano scambiato il Fatto per eccellenza, per Il Fatto Quotidiano delle edicole.

L’ULTIMA MODA CLERICALE: IL PRETE CHE NON SI INGINOCCHIA MAI NELLA MESSA
Vi porto un esempio tipico, uno solo di centinaia che potrei raccontare. Entro in Santa Maria Goretti in Roma. Quartiere Africano. Che è anche una parrocchia che, nelle altre ore, è assolutamente gestita dai neocatecumenali, suppongo con maggiore beneficio morale e religioso per i credenti. Ma che nelle ore “canoniche” è in mano al clero secolare, sempre più internazionale, e anzi sempre più mulatto. Uno pensa: almeno questi sono stranieri, di recente cristanizzazione, capace siano più ferventi e scrupolosi dei preti italiani, troppo devastati da anni di democristianismo. È un’illusione: i professori, i libri di teologia degli uni e degli altri, sempre gli stessi sono. Come ne è corrotto quello di antica cristianizzazione a maggior ragione lo è quello di recente.
Messa appena iniziata. Ripetitori di microfoni al massimo da sfondarti i timpani, tanto da far vibrare il pavimento sotto i piedi. Pochi fedeli si inginocchiano nei momenti previsti anche dal messale di Paolo VI: poco male dico, nel Sud della Puglia l’inginocchiarsi dei fedeli è caduto sistematicamente in disuso. Per la verità -l’ultima moda clericale è questa- neppure il sacerdote si inginocchia mai: manco dove sarebbe d’obbligo, come durante il canone di consacrazione: si limita a un laico frigido inchino, non sia mai si dica che ecceda in cupidigia di servilismo verso l’Altissimo: ti verrebbe una voglia di infilargli un calcione nel sedere da farlo prostrare faccia a terra direttamente. Mi domando, mentre vedo quanto è stitica la pietà di questi preti sempre aggiornati a ogni ultima moda liturgica, se davvero credono alla Presenza Reale nell’ostia e nel vino… e mi rispondo anche che se davvero ci credessero scoppierebbero in lacrime, faccia a terra si prostrerebbero da soli, senza calcioni negli stinchi. A un pezzo di pane che vuoi fare, invece? Un inchino basta e avanza: andare oltre, ha osato dire più di qualche prete aggiornato, potrebbe rasentare l’idolatria: poche idee, ma belle confuse. Durata in tutto 2 minuti e 20 secondi. Poi rifletti che mentre dinanzi al Cristo Eucaristico si vergognano di inginocchiarsi, solo poco prima si sono prostrati in corpo e anima dinanzi a tutti i feticci imposti dal politicamente corretto dominante, ai suoi santuari posticci, ai suoi martirologi fasulli. Ma non è su questo che voglio soffermarmi, quanto sulla predica.

I RAGIONAMENTI TORTUOSI ALLONTANANO DA DIO”
Tralascio per pietà cristiana (e anche perché ve lo immaginate da voi) cosa s’è detto nel mezzo, un mezzo interminabile, pieno di vuote parole in libertà, una fiumana, uno straripamento che ci ha inondati tutti per 35 minuti abbondanti. Un discorso senza un centro, una meta, una logica: “amore” di qua “ricchezza” di là, “povertà” qua e là: la solita spaghettata alla sacrestana. Ma che vuole questo? Ma di cosa vuole parlare? Mi chiedo perché si sforzi di blaterare, teorizzare, complicare tutto quando potrebbe risolvere ogni cosa in 5 minuti, lasciando la parola al Cristo del Vangelo: il quale sapeva quel che diceva e come dirlo, e dicendolo usava la sintesi, seppure immaginifica. Mi chiedevo anche se non avesse ragione il Messori di Ipotesi su Gesù quando diceva che ogni problema nasce dal fatto che si sia voluto sostituire il Cristo della storia con quello della filosofia, sino a sfigurarlo, renderlo irriconoscibile, farne “tanti cristi in maschera”. Alla fine constato che non puoi spiegare una cosa che non hai capito manco tu. Non puoi giustificare agli occhi dei fedeli quello nel quale non credi, che a te per primo sembra gratuito, carente di senso, e dove lo scandalo del Cristo, diluito sino a tal punto in mille solventi diversi, ha perso ogni sapore e forma, ogni utilità: tant’è che si cercano nel mondo, nella politica le cose che possano giustificare in qualche modo ancora la sussistenza di Cristo. Come se il Nazareno fosse un’idea e non un fatto: appunto, ha ragione Messori, si è sacrificato tutto al Nazareno dei filosofi che mai avrebbe dovuto esserci a quello della fede e della storia, che è molto più semplice, e perciò molto più scandaloso. Questi preti, penso, nel loro conformismo senza più vita tentano di ripetere dal pulpito la vuota, inutilmente complicata astrattezza delle teorizzazioni dei libri di teologia ultima generazione in uso nei seminari. Che sembrano spiegare tutto lo scibile umano ma non spiegano niente, ingarbugliano tutto anzi, talora tutto demoliscono. Che vorrebbero su ogni cosa intrattenersi meno che sull’Essenziale. Una volta che ti sei deformato su queli libri, che hai da spiegare più? Non c’è più nulla da dire, da capire, tanta è ormai la confusione. Hai perso il filo, che si diparte da Cristo, e lungo la ininterrotta successione apostolica, passando di mano in mano, a lui ci lega. Ecco perché è un parlarsi addosso. Apro il Libro della Sapienza, che inizia in un modo che più significativo non potrebbe essere: “I ragionamenti tortuosi allontanano da Dio” (Sap. 1,3).

QUELLE PREGHIERE DEI FEDELI RIPRESE DALLA SCALETTA DEL TG DI MEZZOGIORNO
Ma mi sono dilungato. Piuttosto volevo riportarvi l’incipit e il finale dell’omelia sindacalizzata. Inizio: “In questa società…”; finale: “… per via della crisi economica che attanaglia l’Europa, l’Italia in particolare”. Manco a dire che non abbiamo capito le idee politiche del prete mulatto. Semmai serbassimo ancora dubbi, gli immancabili “laici” impegnati a comandare in sacrestia giungono a proposito a schiarirci le idee, e ci indicano il come pensarla, con la (ci risiamo!) “Preghiere dei fedeli”, che sembrano piuttosto un rosario che non finisci mai di sgranare, e, ti rendi conto subito, sono riprese dalla scaletta delle notizie del tg di mezzogiorno, e soprattutto dai titoloni e dagli articoli di fondo diRepubblica della mattinata.
Per la crisi economica…”, ascoltaci Signore!;
Per questo momento di sbandamento morale che coinvolge i vertici di quelle istituzioni che dovrebbero esserci d’esempio” [come se quei “vertici” non fossero composti di peccatori come tutti, come se la Bibbia non mettesse in guardia chi “confida negli uomini”... “ciechi che guidano altri ciechi”] , ascoltaci Signore!!;
Per la famiglia della povera Yara, affinchè siano trovati i colpevoli e assicurati alla giustizia” [va da sé: umana, non divina... figurarsi poi se qualcuno ha pensato alla conversione degli assassini], assassinata o da un pedofilo o da un rumeno, magari pure, hai visto mai, da un prete rumeno e pedofilo, o da Berlusconi notorio bazzicatore di minorenni… ad ogni modo… ariascoltaci Signore!!!;
Perché i governanti”, ossia sempre Berlusconi, “siano promotori di giustizia ed equità soprattutto fra i lavoratori”, [perché, tutti gli altri che ci hanno la rogna? Cristo non ha mai parlato di “lavoratori” e disoccupati, ma di uomini] per non dire classe operaia: la quale che ci sia ciascun lo dice dove sia nessun lo sa, e chi lo sa, sa pure che è ormai non solo un privilegio sociale avere un posto da operaio ma persino da netturbino… ma Signore, “ascoltaci!” pure per questi altri.
Per la vergogna del nostro tempo di nostri fratelli dell’Africa che giungono in questa nostra terra come la terra promessa a bordo di un gommone: che trovino, questi nuovi cittadini di domani, accoglienza nella nostra comunità resa indifferente dall’opulenza [un momento prima, pur di dare addosso a Berlusconi, il precedente fedele sindacalizzato aveva definito questa “comunità” in agonia da “crisi economica”, 30 secondi dopo è già diventata “opulenta”... l'ideologia, che gran prostituta!]. Ascoltaci, Signore pure per i musulmani!
Fa, o Signore, che i governanti”, ancora una volta Berlusconi, “comprendano l’importanza della cooperazione solidale con le istituzioni dell’Europa, per il riconoscimento dei nuovi e antichi diritti dei cittadini”. A questo punto non ce la faccio più: qui si è passati dal bollettino del ministero dello sviluppo economico a guida Bersani, a Radio Radicale direttamente. Senza imbarazzo alcuno e ad alta voce ripeto: “Non dargli retta, Signore!”. Ché non sanno quel che dicono.
Che c’è da aggiungere? Quante anime saranno convertite, salvate, da questo clericalismo parolaio? Manca il silenzio, la concentrazione sull’Essenziale, in queste messe che sono diventate prima riverbero di piovaschi temporaleschi ideologici che tuonavano fuori, poi culto di una comunità, culto di una personalità, alla fine sono degenerate in declamazioni contro qualcuno; null’altro che riproposizione su scala ridotta dei tg e dell’opinion-makerismo da columnist Repubblichino (e non quelli di una volta: i nipotini di Scalfari).
Sentendo questi blateratori para-liturgici, questi feticisti del “sociale” (quando non del socialismo), questi che scambiano i talk-show e i tg per cattedre di omiletica, fonti della sapienza alle quali ubriacarsi, viene da ripensare a Paolo di Tarso, il Saulo dalla lingua come spada di fuoco. Il quale Paolo rivolgendosi ai romani (Let. Rom. 1,18-32), gli spiega come -guardacaso- l’iniquità, le perversioni sessuali, la depravazione morale dell’umanità altro non sono che il segno dell’abbandono da parte di Dio, a sua volta e per primo ripudiato (uuuhhh quante immagini contemporanee mi vengono in mente!) dagli uomini. E scrive in modo inequivocabile: “… Essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile (…) hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del Creatore. Perciò Dio li ha abbandonati a passioni infami (…) E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balia d’una intelligenza depravata…”.

AVE MARIA!
AMDG

IIIa d'AVVENTO: DOMINICA "GAUDETE", ossia "della gioia", perché la liberazione è vicina.



Dal libro del profeta Isaìa
61, 1-2.10-11


<<Lo spirito del Signore Dio è su di me,
perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
a promulgare l’anno di grazia del Signore.
Io gioisco pienamente nel Signore,
la mia anima esulta nel mio Dio,
perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza,
mi ha avvolto con il mantello della giustizia,
come uno sposo si mette il diadema
e come una sposa si adorna di gioielli.
Poiché, come la terra produce i suoi germogli
e come un giardino fa germogliare i suoi semi,
così il Signore Dio farà germogliare la giustizia
e la lode davanti a tutte le genti.>>

Parola di Dio. 




Commento di N.S.Gesù Cristo
a Isaia 61, 1ss. 

[Gesù è a Nazareth, nella sinagoga]


Mi trovo nella sinagoga di Nazareth, da capo. Ora il rabbino legge. Sento la cantilena della voce nasale, ma non capisco le parole dette in una lingua a me ignota.


Fra la gente vi è anche Gesù coi cugini apostoli e con altri che sono certo parenti essi pure, ma che non conosco.
Dopo la lettura, il rabbino volge lo sguardo sulla folla in muta domanda. Gesù si fa avanti e chiede di tenere Lui l’adunanza, oggi.

Odo la sua bella voce leggere il passo di Isaia citato dal Vangelo: “Lo spirito del Signore è sopra di Me…”. 
E odo il commento che Egli ne fa, dicendosi “il portatore della Buona Novella, della legge d’amore che sostituisce il rigore di prima con la misericordia, per cui tutti coloro che la colpa d’Adamo fa malati nello spirito, e nella carne per riflesso, perché il peccato sempre suscita vizio, e il vizio malattia anche fisica, otterranno la salute. 
Per cui tutti coloro che sono prigionieri dello Spirito del male avranno liberazione. Io sono venuto a rompere queste catene, a riaprire la via dei Cieli, a dar luce alle anime acciecate e udito alle anime sorde. 

È venuto il tempo della Grazia del Signore. Ella è fra voi, Ella è questa che vi parla. I Patriarchi hanno desiderato vedere questo giorno, di cui la voce dell’Altissimo ha proclamato l’esistenza ed i Profeti hanno predetto il tempo. 

E già, portata a loro da ministero soprannaturale, conoscono che l’alba di questo giorno s’è levata, e il loro ingresso nel Paradiso è ormai vicino e ne esultano coi loro spiriti, santi ai quali non manca che la mia benedizione per esser cittadini dei Cieli. Voi lo vedete. 
Venite alla Luce che è sorta. Spogliatevi delle vostre passioni per esser agili a seguire il Cristo. Abbiate la buona volontà di credere, di migliorare, di volere la salute, e la salute vi sarà data. Essa è in mia mano. Ma non la do che a chi ha buona volontà di averla. Perché sarebbe offesa alla Grazia darla a chi vuol continuare a servire Mammona”.

*

[da L’Evangelo come mi è stato rivelato, 455.13]
[dal discorso di Gesù ai forzati, presso la città di Gamala]
«[...] Lo Spirito del Signore è sopra di Me, perché il Signore mi ha mandato ad annunziare la Buona Novella ai mansueti, a curare quelli dal cuore infranto, a predicare la libertà agli schiavi, la liberazione ai prigionieri. 

Né mi si può dire sobillatore, perché Io non incito a rivolta, né consiglio evasioni agli schiavi e prigionieri, ma all’uomo in catene, all’uomo in schiavitù insegno la vera libertà, la vera liberazione, quella che non può essere tolta e neppure limitata, quella che tanto più cresce più l’uomo ad essa si abbandona: la libertà spirituale, la liberazione dal peccato, la mansuetudine nel dolore, il saper vedere Dio al di là degli uomini che incatenano, il saper credere che Dio ama chi lo ama e perdona là dove l’uomo non perdona, il saper sperare in un luogo eterno, di premio per chi sa essere buono nella sventura, pentito dei suoi peccati, fedele al Signore.


Non piangete, voi per cui Io particolarmente parlo. 

Io sono venuto a consolare, a raccogliere i reietti, a mettere luce nelle loro tenebre, pace nelle loro anime, a promettere una dimora di gioia a chi si pente come a chi è incolpevole. 
Né vi è passato che impedisca questo Presente, che attende in Cielo coloro che sanno servire il Signore nella sorte in cui si trovano. [...]»


AVE MARIA!

AMDG

10.XII: LA SANTA CASA DI LORETO ... e Santa Veronica Giuliani


Santa-Casa-Loreto



*
Nell’occasione vogliamo ricordare brevemente i momenti significativi della vita e dei pellegrinaggi mistici di Santa Veronica Giuliani a Loreto negli anni 1714 e 1715.

Una mistica di prima grandezza


Settima figlia dei Giuliani di Mercatello (PU), ebbe fin da bambina esperienze mistiche e doni straordinari. A diciassette anni lasciò le comodità della famiglia ed entrò tra le Clarisse Cappuccine di Città di Castello, dove visse 50 anni come maestra delle novizie e ripetutamente come badessa. Si santificò nel silenzio, nell’umiltà e nella preghiera. 
Fu tanto devota della passione di Cristo da riviverne visibilmente le sofferenze nel suo corpo e nel suo cuore. Ebbe la fronte piagata da una corona invisibile di spine. Un venerdì santo fu trafitta dalle ferite delle stimmate. Tutta la sua vita fu un intreccio di sofferenze, di grazie e di esperienze mistiche.

Per ordine del suo confessore mise per iscritto i fenomeni mistici che Dio operava in lei. Di quelle pagine, scritte con estrema semplicità, sono stati pubblicati ben 15 volumi. L’opera è stata definita ‘un tesoro nascosto’ ed è considerata un capolavoro della letteratura mistica. Dopo aver ricevuto le stimmate, Veronica confessa: “Quando vidi queste stimmate esteriori, io piansi molto e con tutto il mio cuore pregai il Signore di volerle nascondere agli occhi di tutti”. Il suo desiderio fu esaudito.

La discepola e serva della Madonna

La devozione di santa Veronica per Maria era tenera, filiale e fiduciosa. La Madonna non si stancava di offrirle segni di predilezione: la stringeva al suo cuore, la copriva col suo manto, le comandava di chiederle continue grazie. Così la pietà mariana di Veronica verso la Madre celeste giungeva all’unione mistica: Maria occupava sempre più il centro della sua vita e del suo cuore. La vita spirituale di Veronica divenne sempre più un ‘cammino mariano’. 
Dal 1720 Veronica iniziò a scrivere sotto dettatura della Madonna: e la Mamma celeste condivideva con lei gli impegni quotidiani fino ad essere lei la guida del monastero. Tramite la Madre di Dio le venivano trasmesse continue grazie speciali, comprese le stesse virtù di Maria e il dono di essere confermata nella grazia santificante.

Pellegrina ‘in spirito’ alla Santa Casa

Tra le grazie mistiche concesse a santa Veronica, sono da ricordare due pellegrinaggi mistici alla Santa Casa di Loreto, compiuti spiritualmente il 10 dicembre 1714 e 1715, nella festa della Madonna di Loreto. Narra la santa che il confessore, allora il gesuita p. Mario Cursoni, le diede questo sconcertante comando: “Dopo che siete stata comunicata, voi ed io andiamo a Loreto a visitare Maria SS.ma”. E così, ricevuta la comunione eucaristica, dopo un rapimento dello spirito, iniziò il suo mistico pellegrinaggio a Loreto. Nel diario annota: “Come di volo mi trovai a Loreto nella Chiesa di Maria SS.ma. Era una Chiesa grande e dentro a questa vi era, dopo l’altare maggiore, una Chiesa più piccola. Così pareva a me”.

Negli Atti del Processo per la sua beatificazione e canonizzazione, il suo confessore p. Cursoni afferma che la santa, da lui interrogata in proposito, gli descrisse così bene e nei dettagli il santuario, che meglio non avrebbe potuto fare se personalmente vi fosse stata più volte. Per questo le chiese se prima di entrare in clausura non fosse mai stata a Loreto; e lei assicurò che non vi era mai andata. Nel ‘volo mistico’ del 10 dicembre 1714 la santa cappuccina scrive anche di aver avuto in Santa Casa “la visione intellettuale della Madonna”. Scrive nel diario: “O Dio! Parevami di trovarmi in Paradiso per la grande musica celeste che sentivo! In un tratto i miei angeli mi presentarono ai piedi di Maria ed Ella, con faccia ridente e maestosa, mi disse: questa grazia l’hai per mezzo dell’obbedienza; ed è frutto dell’obbedienza ogni grazia che ti farò”. Narra anche che la Vergine le “faceva segno di darle in braccio il suo Figlio SS. e poi lo ritirava”, e che lei “dentro il cuore provava gli affetti come se l’avesse ricevuto”. 

Veronica chiude la pagina sul mistico ‘volo’ a Loreto del 10 dicembre 1714 con queste parole: “Allora parmi mi fosse fatto capire questo nuovo stato di patire, che cioè sarebbe stata chiusa la porta e che avrei, in tutto, pene e tormenti. Mi stabilii nella volontà di Dio e di Maria SS.”.

Non meno toccante fu il ‘volo’ mistico del 1715. Nella Santa Casa si rinnovò la sua immersione nel mistero trinitario. Il 10 dicembre 1715 la Madonna le disse: “Voglio che tu ora rinnovi la tua figliolanza della SS.ma Trinità. Sei figlia del Padre, sei sposa del Verbo Eterno, sei discepola dello Spirito Santo”. Proprio così amava firmarsi santa Veronica! Infine a Loreto la santa cappuccina espresse al sommo grado la sua alta spiritualità mariana, offrendosi totalmente alla Madonna. Scrive il 10 dicembre 1714: “Restai tutta in tutto donata a Maria”. E la Vergine, sempre nella Santa Casa, dopo averle assicurato di essere “la mediatrice fra Dio e le creature” e che tutte le grazie passano per le sue mani, le disse: “Io ti voglio tutta per me; impara da me”. La santa conclude che la sua “anima apprendeva cose maggiori di quelle che essa mai abbia appreso”. 

È veramente significativa questa rinnovata offerta di Veronica a Maria nella Santa Casa, dove si ricorda il sì della Madonna ai disegni divini.

AVE MARIA!
AMDG