Visualizzazione post con etichetta santi Innocenti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta santi Innocenti. Mostra tutti i post

giovedì 27 dicembre 2018

I Santi Innocenti

Risultati immagini per strage degli innocenti giotto

GIOTTO - SCROVEGNI: La strage degli Innocenti



QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 218


28 dicembre 1943

   Dice Maria:

   «Il primo pianto del mio Bambino ha tremato nell’aria otto giorni dopo la Nascita. Era il primo dolore del mio Gesù. 
   Egli era l’Agnello e come agnello fu marcato col segno del Signore perché fosse a Lui consacrato: Primogenito, secondo la legge divina e secondo la legge umana, fra tutti i viventi. 
   
Già la sua consacrazione a Dio Padre era avvenuta in Cielo quando Egli si era offerto Riparatore della colpa e Redentore dell’uomo, cangiando la sua spirituale natura in quella di Uomo, Verbo fatto Carne per desiderio d’amore. 
   Vittima già deposta sulla pietra del celeste altare, Vittima santa e senza difetto, Egli non aveva bisogno d’altre consacrazioni sempre imperfette a paragone della sua sublime. Ma tale era la Legge e nessuno, fuorché quelli ai quali Dio aveva rivelato la natura del Figlio mio, conosceva come il Bambino della donna galilea fosse il Santo, l’Unto del Signore, il Pontefice eterno, il Redentore e Re. Perciò la Legge doveva compiersi per questo maschio primogenito, nato al Signore e a Lui offerto secondo il suo Volere.

   Circoncisi tutti, i figli di Abramo, ma il segno sui primogeniti era veramente l’anello che li univa a Dio e li consacrava all’altare. Presso al nostro altare non potevano essere offerti coloro che prima non avessero già sofferto per il Signore questi sponsali mistici. Due volte santi i primogeniti ebrei e per la circoncisione e per l’offerta al Tempio, infinitamente santo l’innocente che piangeva sul mio seno dopo aver sparso le prime stille di quel Sangue che è perdono.
   
Se i presenti al rito avessero avuto lo spirito vivo, avrebbero compreso quale Maestà si celava dietro quelle Carni infantili e avrebbero adorato Iddio apparso fra gli uomini per portare gli uomini a Dio. Ma allora, come ora, gli uomini avevano il cuore ingombro da quanto è pratica e non religione, interesse e non distacco dal mondo, egoismo e non carità, superbia e non umiltà. Il volto di Dio non apparve dunque ai loro occhi tralucendo dalle Carni dell’innocente.

   Per conoscere Iddio bisogna fare scopo della vita la ricerca di Dio. Allora Egli si svela senza più mistero, ossia con quel tanto di mistero che Egli, nella sua Sapienza, giudica esser bontà serbarvi per non incenerirvi col suo Fulgore, poiché - sappilo, Maria - la visione di Dio quale è - e come solo in Cielo è concesso vedere, poiché in Cielo sono già spiriti che la santità ha reso atti a contemplare iddio - è di una tale potenza che solo la nostra natura fatta a somiglianza di Dio può sopportarla, così come un figlio può sempre vedere la potenza e la bellezza del padre suo senza sentirsene sgomento e avvilito.

   È nel Cielo, oltre la vita umana, che l’uomo prende la vera somiglianza di Dio è allora che può affissarlo ed accrescere il suo fulgore col Fulgore divino, la sua beatitudine contemplando l’Amore che vi1 ama.

   Il Sangue del mio Figlio chiese, nel suo gocciare, purpureo corteo di altro sangue innocente.

   I piedi del Cristo avrebbero corporalmente calpestato il terreno aspro della Palestina, reso ancor più nemico al suo andare dal malvagio volere umano che ai rovi e alle pietre del cammino univa il suo livore, l’insidia, il tradimento e il delitto.

   Il Re dei Giudei e il Re del mondo non ha avuto molli e preziosi tappeti sotto il suo piede. Anche nell’ora del breve trionfo umano - così umano che, essendo frutto di esaltazione di folla per il presunto re dei Giudei, per colui che avrebbe ridato lustro al popolo ebreo, cadde come ala di vento che più non gonfia la vela e si mutò in bufera - anche allora Egli non ebbe che povere vesti e rami di ulivo, omaggio dei poveri, sotto alla sua ancor più povera cavalcatura.

   Ma quanto gli uomini non vedevano, vedeva l’Uomo-Dio sulla terra e vedeva Dio in Cielo; e quando il mio Cristo tornò al Cielo, dopo il martirio, per ricevere l’abbraccio del Padre, i suoi Piedi trafitti volarono rapidi su un prezioso tappeto di porpora viva, che era rimasto come scia santa dalla terra al Cielo quando i primi martiri del Figlio mio - i piccoli innocenti - erano caduti come manipoli di spighe falciate dal mietitore e come prati di fiori in boccio tagliati a divenire fieno, imporporando del loro sangue la via del Cielo.

   Ogni redenzione ha bisogno di precursori che la preparino. E non tanto con la parola quanto col sacrificio. La Redenzione, ormai iniziata, ebbe alla sua alba il sacrificio dell’innocenza spenta dalla ferocia e al suo meriggio il sacrificio della penitenza uccisa dalla lussuria a cui la penitenza è rimprovero.
   Il Sangue del Golgota cadde fra questi due eroici sangui per insegnarvi che è tra l’innocenza e la penitenza che il Redentore si posa, e che il Sangue del Cristo chiama il vostro sangue alla gloria del dolore per santificarlo e per santificare il mondo unendosi al Sangue santissimo del Figlio mio.»

   vi è lettura incerta; potrebbe leggersi anche si

AMDG et DVM

mercoledì 28 dicembre 2016

Quest'oggi, fratelli carissimi, noi celebriamo il natale di quei bambini che il testo del Vangelo ci dice essere stati uccisi dal crudelissimo re Erode.


Sermone di sant'Agostino VescovoSermone 10 sui Santi
Quest'oggi, fratelli carissimi, noi celebriamo il natale di quei bambini che il testo del Vangelo ci dice essere stati uccisi dal crudelissimo re Erode. E perciò con somma gioia esulti la terra madre feconda di questi celesti soldati e di tali prodigi. Certo, l'empio tiranno non avrebbe potuto giovare tanto a questi fanciulli col suo affetto quanto giovò loro coll'odio. Perché, come manifesta la sacra solennità di questo giorno, quanto più grande fu l'iniquità contro i beati fanciulli, tanto più copiosa discese su di essi la grazia e la benedizione.



Beata te, o Betlemme, terra di Giuda, che soffristi la crudeltà del re Erode nella strage dei tuoi fanciulli: ché nello stesso tempo meritasti di offrire a Dio una bianca moltitudine di pacifica infanzia. Giustamente pertanto celebriamo il natale di quelli che il mondo, facendoli nascere all'eterna vita, rese più felici di quello che facessero le loro madri generandoli alla terra. Perché furono trovati degni della vita eterna, prima ancora d'aver fatto uso della vita presente.


La morte preziosa di altri Martiri merita lode per la confessione, quella di questi è gloriosa per l'immolazione; poiché ai primordi d'una vita incipiente, la morte che mise fine alla vita presente, valse loro subito d'entrare in possesso della gloria. Essi che l'empietà di Erode strappò ancora lattanti dal seno delle madri, sono a buon diritto chiamati fiori dei Martiri, perché, sbocciati in mezzo al freddo dell'incredulità, la brina della persecuzione li seccò come prime tenere gemme della Chiesa.


***

Lettura del santo Vangelo secondo MatteoMatt 2:13-18
In quell'occasione: Un Angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: Levati, prendi il Bambino e sua Madre, e fuggi in Egitto, e fermati là finché io t'avviserò. Eccetera.

Omelia di san Girolamo Prete
Libro 1 Commento al capo 2 di Matteo e nella Glossa ord.
Quando prese il Bambino e la sua Madre per andare in Egitto, lo prese di notte e nelle tenebre: perché lasciò nella notte dell'ignoranza gl'increduli dai quali egli s'allontanò. Quando invece ritorna nella Giudea, nel Vangelo non si parla né di notte né di tenebre: perché alla fine del mondo i Giudei, ricevendo la fede figurata in Cristo che ritorna dall'Egitto, saranno nella luce.



Affinché si adempisse ciò il che è stato detto dal Signore per mezzo del Profeta: «Dall'Egitto chiamai il Figlio mio» (Os. 11,1). Quelli che negano la verità dei libri Ebraici, dicano dove si legga questo nella versione dei Settanta. Ma siccome non lo trovano, noi diciamo loro che ciò è scritto nel profeta Osea, come l'attestano gli esemplari che abbiamo recentemente pubblicati.


Allora si adempì quel che era stato detto da Geremia profeta: «Una voce si udì in Rama, pianto e grande lamento, Rachele che piange i suoi figli» (Jer. 31,16). Da Rachele nacque Beniamino, nella cui tribù non si trova Betlemme. Si domanda perciò come mai Rachele piange, quasi suoi, i figli di Giuda, cioè di Betlemme. Rispondiamo brevemente, perché ella fu sepolta vicino a Betlemme in Efrata; e che la sua sepoltura le fece dare il nome di madre (di Betlemme); oppure perché Giuda e Beniamino erano due tribù limitrofe, ed Erode aveva comandato di uccidere non solo i bambini in Betlemme, ma anche in tutti i suoi confini.


Preghiamo
O Dio, il cui annunzio oggi gli Innocenti Martiri hanno divulgato non parlando ma morendo: mortifica in noi tutte le cattive tendenze; affinché la tua fede, che professa la nostra lingua, anche la vita l'esprima colla sua condotta.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.


AMDG et BVM

"Sappi, figlia mia, ...

 

COMPASSIONE DI GESU' A NOSTRO RIGUARDO


Era il giorno dei Santi Innocenti: Geltrude bramava di presentarsi fervorosamente a ricevere la SS. Comunione, ma provava una grande difficoltà per le numerose distrazioni che l'assalivano. Avendo chiesto il divino aiuto, ebbe da Gesù questa misericordiosa risposta: «Sappi, figlia mia, che se un'anima, provata dalle tentazioni, si rifugia in me, è quella colomba, scelta fra mille, della quale parlo nella scrittura "Una est colomba mea, tamquam electa ex millibus, qui in uno oculorum suorum transvulnerat Cor meum divinum" ; Ella è questa sposa più amata di cui un solo sguardo ferisce il mio cuore, e se fossi impotente a soccorrerla, l'anima mia ne proverebbe un dolore così profondo, che tutte le gioie del Cielo non basterebbero ad addolcirlo. Nella mia Umanità congiunta alla Divinità, i miei diletti trovano un avvocato compassionevole per le loro rinascenti miserie »


« Ma Signor mio » - riprese Geltrude - « come mai il tuo Corpo immacolato, che non conobbe nessun disordine, potrà inclinarti ad aver compassione delle nostre svariatissime miserie? ».


Rispose Gesù: « Potrai convincertene per poco che tu rifletta alla parola dell'Apostolo:
« Debuit per omnia fratribus assimilari, ut misericors fleret (Eb. II, 17). Dovette assomigliare ai suoi fratelli per diventare misericordioso». Poi aggiunse: «Te lo ripeto: lo sguardo unico con cui la mia diletta mi rapisce il cuore, è quella confidenza tranquilla e sicura che la porta a riconoscere che posso e voglio aiutarla fedelmente in ogni cosa. Tale fiducia incondizionata fa violenza alla mia tenerezza ed io divento impotente a resisterle »


« Io vedo bene » - rispose Geltrude - che l'abbandono confidente ti rapisce il cuore, ma come fare a ottenere un dono così perfetto? E che sarà mai di coloro che non l'hanno? ».
- Rispose il Signore: - « La mia grazia non viene meno a nessuno; tutti possono vincere la pusillanimità, meditando dei passi della S. Scrittura che ispirano confidenza. Qual'è l'uomo che non possa, se pur vuole, richiamare, almeno sulle labbra, le parole di confidenza e di abbandono di cui sono infiorati i libri santi, come per esempio, quest'espressione di Giobbe: « Etsi in profundum inferni demersus fuero, inde me liberabis » e quest'altra « Etiamsi occideris me, in te sperabo » « Quand'anche fossi inghiottito in fondo degli abissi, Tu me ne ritrarresti, o Signore! Quand'anche Tu mi uccidessi, io in Te spererei? » (Giob. XIII, 15).


Capitolo VII


«Strage degli innocenti»

Giovanni Paolo II e quella «strage degli innocenti» che si compie anche oggi «davanti alla nostra stessa coscienza»




                                       

dicembre 28, 2016                                     Giovanni Paolo II

Il 28 dicembre per la Chiesa è la Festa dei santi innocenti martiri. Un formidabile discorso «sulla Vita» del grandissimo Wojtyla davanti ai giovani a Denver




domenico-ghirlandaio-strage-innocenti-firenze-santa-maria-novella
Il 28 dicembre la Chiesa celebra la Festa dei santi Innocenti martiri, «i bambini che a Betlemme di Giuda furono uccisi dall’empio re Erode, perché insieme ad essi morisse il bambino Gesù che i Magi avevano adorato, onorati come martiri fin dai primi secoli e primizia di tutti coloro che avrebbero versato il loro sangue per Dio e per l’Agnello», recita il Martirologio romano. Pubblichiamo per questa occasione la “parte seconda” del discorso pronunciato dal beato Giovanni Paolo II il 14 agosto del 1993 a Denver, durante la veglia di preghiera della Giornata mondiale della gioventù. Quel giorno papa Wojtyla parlò infatti di una «strage degli innocenti» di «dimensioni enormi» che viene perpetrata ancora oggi sotto lo sguardo indifferente di tutti.




1. A questo punto i giovani riuniti a Denver potrebbero chiedersi: cosa sta per dire il Papa sulla Vita?
Le mie parole saranno una professione della fede di Pietro, il primo Papa. Il mio messaggio non sarà diverso da quanto è stato tramandato fin dall’inizio, perché non è mio, ma è la Buona Novella di Gesù Cristo stesso.

Il Nuovo Testamento presenta Simone – che Gesù ha chiamato Pietro, la roccia – come un vigoroso, appassionato discepolo di Cristo. Ma egli ha anche dubitato e, in un momento decisivo, ha perfino negato di essere un seguace di Gesù. Eppure, nonostante queste debolezze umane, Pietro è stato il primo discepolo a fare pubblica professione di fede nel Maestro. Un giorno Gesù ha chiesto: “Voi chi dite che io sia?” e Pietro rispose: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16).
A cominciare da Pietro, il primo testimone apostolico, innumerevoli testimoni, uomini e donne, giovani e vecchi, di ogni nazione della terra, hanno proclamato la loro fede in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, il Redentore dell’uomo, il Signore della storia, il Principe della Pace. Come Pietro, essi hanno chiesto: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68).
Questa sera noi professiamo la stessa fede di Pietro. Noi crediamo che Gesù Cristo ha parole di Vita, e che egli dice queste parole alla Chiesa, a tutti coloro che aprono le loro menti e i loro cuori a lui con fede e fiducia.

2. “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore” (Gv 10,11). La nostra prima riflessione è ispirata da queste parole di Gesù nel Vangelo di San Giovanni.
Il Buon Pastore offre la vita. La morte attacca la Vita.
A livello della nostra esperienza umana, la morte è il nemico della vita. È un intruso che frustra il nostro naturale desiderio di vivere. Ciò è particolarmente evidente nel caso di una morte prematura o violenta, e soprattutto nel caso dell’uccisione di innocenti.
Non sorprende quindi che tra i Dieci Comandamenti il Signore della Vita, il Dio dell’Alleanza, abbia detto sul Monte Sinai “Non uccidere” (Es20,13 ; cf. Mt 5,21).

Le parole “non uccidere” furono scolpite sulle tavole dell’Alleanza – sulle tavole di pietra della Legge. Ma, ancor prima, questa legge era scolpitanel cuore umano, nel santuario di ciascuna coscienza individuale. Nella Bibbia, il primo a sperimentare la forza di questa legge fu Caino, che uccise suo fratello Abele. Immediatamente dopo questo terribile crimine, egli avvertì tutto il fardello dell’aver infranto il comandamento di non uccidere. Anche se cercò di sfuggire alla verità dicendo: “Sono forse il guardiano di mio fratello?” (Gen 4,9 ), la voce interiore continuava a ripetergli: “Sei un assassino“. La voce era la sua coscienza, e non poteva essere messa a tacere.

3. Con il tempo, le minacce contro la vita non vengono meno. Esse, al contrario, assumono delle dimensioni enormi. Non si tratta soltanto di minacce provenienti dall’esterno, di forze della natura o dei “Caino” che assassinano gli “Abele”; no, si tratta di minacce programmate in maniera scientifica e sistematica.
Il ventesimo secolo verrà considerato un’epoca di attacchi massicci contro la vita, un’interminabile serie di guerre e un massacro permanente di vite umane innocenti. I falsi profeti e i falsi maestri hanno conosciuto il maggior successo possibile.
Allo stesso modo, dei falsi modelli di progresso hanno portato a mettere in pericolo l’equilibrio ecologico della terra. L’uomo, fatto a immagine e somiglianza del Creatore – era chiamato ad essere il buon pastore dell’ambiente, contesto della sua esistenza e della sua vita. È il compito che ha ricevuto da molto tempo e che la famiglia umana ha assunto non senza successo lungo tutta la sua storia, fino a un’epoca recente, in cui l’uomo è divenuto egli stesso il distruttore del suo ambiente naturale. Questo è già avvenuto in alcuni luoghi, dove si sta compiendo.

Ma c’è dell’altro. Assistiamo anche alla diffusione di una mentalità di lotta contro la vita – un atteggiamento di ostilità vero la vita nel seno materno e verso la vita nelle sue ultime fasi. È nel momento in cui la scienza e la medicina riescono ad avere una maggiore capacità di vegliare sulla salute e sulla vita, che, per l’appunto, le minacce contro la vita si fanno più insidiose. L’aborto e l’eutanasia – omicidio vero e proprio di un autentico essere umano – vengono rivendicati come dei “diritti” e delle soluzioni a dei “problemi”, problemi individuali o problemi della società. La strage degli innocenti non è un atto meno peccaminoso o meno distruttivo solo perché viene compiuto in modo legale o scientifico. Nelle metropoli moderne, la vita – primo dono di Dio e diritto fondamentale di ogni individuo, base di tutti gli altri diritti – è spesso trattata tutt’al più come una merce da organizzare, da commercializzare e da manipolare a proprio piacimento.

Tutto questo avviene mentre Cristo il Buon Pastore, vuole che noi abbiamo la vita. Egli conosce ciò che minaccia la vita; sa riconoscere il lupo che arriva per rapire e disperdere le pecore. Egli sa individuare quanti tentano di entrare nel gregge, ma sono ladri e mercenari (cf. Gv 10,1 . 13). Si accorge di quanti giovani dissipano la loro esistenza fuggendo nell’irresponsabilità e nella falsità. Droga, abuso di sostanze alcoliche, pornografia e disordine sessuale, violenza: ecco alcuni gravi problemi che richiedono una seria risposta dalla società intera, in ogni Paese e a livello internazionale. Ma essi sono anche tragedie personali da affrontare con atti concreti interpersonali di amore e di solidarietà, grazie ad un grande rinnovamento della propria responsabilità personale davanti a Dio, davanti agli altri e davanti alla nostra stessa coscienza. Siamo i custodi dei nostri fratelli! (cf. Gen 4,9).

4. Perché le coscienze dei giovani non si ribellano a questa situazione, soprattutto al male morale che deriva dalle scelte personali? Perché tanti si adagiano in atteggiamenti e comportamenti che offendono la dignità umana e deturpano l’immagine di Dio in noi? Sarebbe normale che la coscienza individuasse il pericolo mortale per l’individuo e per l’umanità racchiuso nella facile accettazione del male e del peccato.
Eppure non è sempre così. È forse perché la stessa coscienza sta perdendo la facoltà di distinguere il bene dal male?
In una cultura tecnologica in cui i popoli sono abituati a dominare la materia, scoprendo le sue leggi e i suoi meccanismi al fine di trasformarla secondo la propria volontà, sorge il pericolo di voler anche manipolare la coscienza e le sue esigenze. In una cultura che sostiene che nessuna verità universalmente valida è possibile, nulla è assoluto. Perciò, alla fine – dicono – la bontà oggettiva e il male non hanno più importanza. Bene significa ciò che è piacevole o utile in un momento particolare.
Male significa ciò che contraddice i nostri desideri soggettivi. Ogni persona può costruirsi un sistema privato di valori.

Cari giovani, non cedete a questa diffusa falsa moralità. Non soffocate la vostra coscienza! La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio (cf. Gaudium et spes, 16). “Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire” (Ivi). Questa legge non è una legge umana esteriore, bensì la voce di Dio, che ci chiama a liberarci dalla morsa di desideri malvagi e dal peccato, e ci stimola a cercare ciò che è buono e vero. Solo ascoltando la voce di Dio nel nostro intimo, e agendo in conformità alle sue direttive, raggiungerete la libertà a cui anelate. Come ha detto Gesù, solo la verità vi farà liberi (cf. Gv 8,32). E la verità non è il frutto dell’immaginazione di ciascun individuo. Dio vi ha dato l’intelligenza per conoscere la verità, e la volontà di raggiungere ciò che è moralmente buono. Vi ha dato la luce della coscienza per guidare le vostre decisioni morali, per amare il bene ed evitare il male. La verità morale è oggettiva, e una coscienza adeguatamente formata può percepirla.
Ma se la stessa coscienza è stata corrotta, come può sanarsi? Se la coscienza – che è luce – non illumina più, come possiamo vincere il buio morale? Gesù dice: “La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!” ( Mt 6,22-23).
Ma Gesù dice anche: “Io sono la luce del mondo: chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” ( Gv 8,12 ). Se seguite Cristo restituirete alla coscienza il suo giusto posto e il ruolo che le è proprio, e sarete la luce del mondo, il sale della terra (cf. Mt 5,13).
Una rinascita della coscienza deve venire da due sorgenti: innanzitutto, lo sforzo di conoscere con certezza la verità oggettiva, compresa la verità su Dio; e in secondo luogo, la luce della fede in Gesù Cristo, che solo ha parole di vita.

6. Con lo splendido scenario delle montagne del Colorado, con la sua aria pura che infonde pace e serenità alla natura, l’anima si innalza spontaneamente per cantare la lode del Creatore: “O Signore, nostro Dio, quanto grande è il tuo nome su tutta la terra” (Sal 8,2).
Giovani pellegrini, il mondo visibile è come una mappa che mostra il cielo, la dimora eterna del Dio vivente. Impariamo a vedere il Creatore contemplando la bellezza delle sue creature. In questo mondo risplendono la bontà, la saggezza e il potere onnipotente di Dio. E l’intelligenza umana anche dopo il peccato originale – che non è stata offuscata dall’errore o dalla passione – può scoprire la mano dell’Artista nelle opere meravigliose che ha compiuto. La ragione può conoscere Dio per mezzo del libro della natura: un Dio personale, infinitamente buono, saggio, potente ed eterno, che trascende il mondo e, nello stesso tempo, è presente nel più intimo delle sue creature. San Paolo scrive: “Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità” (Rm 1,20).
Gesù ci ha insegnato a vedere la mano del Padre nella bellezza dei gigli del campo, negli uccelli del cielo, nella notte stellata, nei campi pronti per il raccolto, nei visi dei bambini e nelle necessità del povero e dell’umile. Se osservate l’universo con cuore puro, anche voi vedrete il volto di Dio (cf. Mt 5,8), perché rivela il mistero dell’amore provvidenziale del Padre.
I giovani sono particolarmente sensibili alla bellezza della natura e la sua contemplazione li ispira spiritualmente. Tuttavia deve essere una contemplazione autentica. Una contemplazione che non riveli il volto di un Padre personale, intelligente, libero e amoroso, ma che giunga solamente alla figura oscura di una divinità impersonale o di una forza cosmica, non è sufficiente. Non dobbiamo confondere il Creatore con la sua creazione.
La creatura non ha vita per sé stessa ma per mezzo di Dio. Nello scoprire la grandezza di Dio, l’uomo scopre la posizione unica che occupa nel mondo visibile: “Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi” ( Sal 8,6-7). Sì, la contemplazione della natura non solo rivela il Creatore, ma anche il ruolo dell’essere umano nel mondo che ha creato. Con fede, rivela la grandezza della nostra dignità come esseri creati a sua immagine.
Per avere la vita e averla in abbondanza, per ristabilire l’armonia originale della creazione, dobbiamo rispettare questa immagine divina in tutta la creazione e, in modo particolare, nella stessa vita umana.

7. Quando la luce della fede penetra questa consapevolezza naturale, noi raggiungiamo una nuova certezza. Le parole di Cristo risuonano in piena verità: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”.
Contro tutte le forze della morte, nonostante tutti i falsi maestri, Gesù Cristo continua a offrire all’umanità l’unica vera e realistica speranza. Egli è il vero Pastore del mondo. E questo perché lui e il Padre sono una cosa sola (cf. Gv 17,22). Nella sua divinità egli è una cosa sola col Padre; nella sua umanità egli è una cosa sola con noi.
Poiché ha assunto su di sé la nostra condizione umana. Gesù Cristo può trasmettere a tutti coloro che sono uniti a lui nel Battesimo la Vita che ha in sé. E poiché nella Trinità Vita è Amore, il vero amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo che ci è stato donato (cf.Rm 5,5). La Vita e l’amore sono inseparabili: l’amore di Dio per noi, e l’amore che noi offriamo a nostra volta – amore di Dio e amore per ogni fratello e sorella.


Leggi di Più: La "strage degli innocenti" per Giovanni Paolo II | Tempi.it

AMDG et BVM

venerdì 26 dicembre 2014

FESTA DEI SANTI INNOCENTI

FESTA DEI SANTI INNOCENTI

1. In quel tempo: “Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe, e gli disse: Álzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto” (Mt 2,13).
In questo vangelo si devono considerare due fatti:
- la fuga del Signore in Egitto,
- la strage dei bambini innocenti.


I. la fuga del signore in egitto

2. “Un angelo del Signore”. In questa prima parte si dimostra, in senso morale, come ogni uomo di buona volontà debba custodire la sua opera ancor tenera(come un bambino appena nato) dalle insidie del diavolo e dal plauso del mondo. Vedremo che cosa significhino: l’angelo, Giuseppe e il suo sonno, che cosa la madre e il bambino, e che cosa infine l’Egitto ed Erode.
L’angelo del Signore raffigura l’ispirazione divina, che annunzia all’uomo che cosa debba e che cosa non debba fare. Si legge nell’Esodo: “L’angelo di Dio precedeva l’ac­cam­pa­mento d’Israele” (Es 14,19); e ancora: “Il mio angelo ti precederà” (Es 32,34), per due scopi: per mostrarti la via, e per difenderti dal nemico. E Tobia dice: “Fate un buon viaggio, il Signore vi sia vicino lungo il cammino e il suo angelo vi accompagni” (Tb 5,21).
Giuseppe, che s’interpreta “crescente” (cf. Gn 49,22), raffigura il cristiano che, inserito nella chiesa per la fede in Cristo, deve crescere di bene in meglio e portare frutti di vita eterna. Il suo sonno è la pace della mente o anche la dolcezza della contemplazione. Il sonno è la quiete delle facoltà animali, con la intensificazione e il raffozamento di quelle naturali (Aristotele. Vedi nota nel sermone della II dom. di Quaresima, n. 4).
Infatti quando si quietano gli stimoli del corpo ed emergono le aspirazioni dello spirito, allora Giuseppe entra nel sogno. Dice infatti Giobbe: “Adesso dormirei nel silenzio, e riposerei nel mio sonno con i re e i consoli della terra, che si costruiscono mausolei appartati; oppure con i prìncipi che possiedono oro e riempiono le loro case di argento” (Gb 3,13-14). Considera queste tre dignità: i re, i consoli e i prìncipi.

3. I re raffigurano “coloro che hanno fame e sete della giustizia” (Mt 5,6). Dice a proposito Agostino: Entra nel tribunale della tua mente: la ragione sia il giudice, la coscienza sia l’accusatore, il timore sia il carnefice, il dolore sia il tormento e il posto dei testimoni sia riser­vato alle opere.
consoli (consiglieri) della terra raffigurano “quelli che piangono” (Mt 5,6) la loro miseria e la loro colpa. Saggio consiglio quello di piangere se stessi! Lo suggeriva anche Geremia: “Tàgliati i capelli e gettali via, e datti al pianto in modo aperto e sincero” (Ger 7,29). I capelli simboleggiano le preoccupazioni terrene che ti impediscono di vedere la tua miseria e di piangere i tuoi peccati. Tàgliali dunque dal tuo capo e gettali lontano dalla tua mente, e così potrai darti al pianto apertamente, senza falsità. Si dà al pianto senza falsità colui che non perdona a se stesso e non cerca scuse. L’amor proprio sa bene scusare e piangere falsamente, per finta. E coloro che vogliono veramente mettere in pratica questo consiglio, devono costruirsi posti solitari ed isolati, non solo per la mente ma anche per il corpo. Diceva Girolamo: La città è per me un carcere, la solitudi­ne un paradiso.
Parimenti i prìncipi raffigurano “i poveri nello spirito” (Mt 5,3), che possiedono l’oro, cioè l’aurea povertà, e riempiono le loro case, cioè la loro coscienza, di argento, che ha un bel suono (argentino), e simboleggia il risuonare del canto di lode a Dio e quello della confessione del proprio peccato.
Giuseppe che dorme con tutti costoro, è lontano dal frastuono delle cose del secolo, e riposa nel suo sonno senza il tumulto dei pensieri; e quindi gli appare un angelo che gli dice: “Lèvati su!”, cioè “tendi all’alto”, perché tu sia veramente uno che cresce verso l’alto, e non verso il basso come la rapa, che cresce nella terra e sotto terra, ma come la palma che si spinge verso l’alto. “Lèvati su!”, dunque, e tendi all’alto come le rondini, le quali non prendono il cibo stando ferme, ma catturano i moscerini e li mangiano mentre sfrecciano nel cielo. Dice l’Apostolo: “Cercate le cose di lassù e non quelle che sono sulla terra” (Col 3,1.2).
“Lèvati su, dunque, e prendi il bambino e sua madre” (Mt 2,13).

4. La madre simboleggia la buona volontà che, ispirata da Dio, concepisce l’opera buona nel sentimento e la partorisce nell’azione. Per esempio: se hai la buona volontà, ma non hai nel cuore il proposito di fare il bene, la volontà è sterile, e sta scritto: “Maledetta la donna sterile in Israele!” (cf. Es 23,26; Dt 7,14). Quando fai il proposito di fare il bene, concepisci; quando porti ad esecuzione il proposito con l’opera, allora partorisci.
Dice infatti Isaia: “Mi unii a una profetessa, che concepì e partorì un figlio. E il Signore mi disse: chiamalo: Mahèr-salal-cash-baz, che significa: “Rapida preda, pronto bottino”, vale a dire: Affréttati, prendi le spoglie, affrèttati a predare!” (Is 8,3). La profetessa è figura dell’anima o anche della volontà dell’uomo, la quale deve predicare a se stessa la gloria del Regno, il castigo dell’inferno, la malizia del diavolo, la falsità del mondo e la propria miseria. Ti unisci a questa profetessa con la devozione, ed essa concepisce con il proposito e partorisce con l’esecuzione. E osserva che il figlio tuo, cioè la tua opera, ha tre nomi: si chiama infatti Affrèttati, perché l’indugio implica pericolo e il differire fu dannoso a chi era pronto ad agire (Lucano). “Quello che devi fare, fallo presto! (Gv 13,27). Ed ogni opera buona dev’essere fatta in tre modi: con prontezza, con carità e con un fine; affrèttati dunque, per agire con prontezza. Prendi le spoglie, prendi da te stesso per provvedere al prossimo con la carità. “Affrèttati a predare, ad impadronirti del regno dei cieli, che dev’essere lo scopo, il fine ultimo di ogni tua opera.
“Prendi dunque il bambino e sua madre”, perché Esaù non possa colpire la madre con il figlio (Gn 32,11), il faraone non anneghi il bambino nel fiume ed Erode non lo possa trafiggere di spada.

5. “Erode sta cercando il bambino per ucciderlo” (Mt 2,13). Il nome di Erode s’inter­preta “gloria della pelle”. Egli personifica il diavolo o anche il mondo. “Il diavolo si trasforma in angelo di luce” (2Cor 11,14), fa sfoggio del candore della pelle diversa, perché la sua è nerissima. Così è anche il mondo, simile ai sepolcri imbiancati che sono pieni di ogni sozzura (cf. Mt 23,27); la sua bellezza sta solo all’e­ster­no, nella bianchezza della pelle: infatti tutto ciò che fa, lo fa per essere ammirato dagli uomini (cf. Mt 6,5); e Giovanni dice: “Come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene da Dio solo?” (Gv 5,44).
Il diavolo e il mondo sono perfettamente d’accordo nel tramare la rovina del bambino, per distruggere cioè la santità delle nostre opere: il diavolo con l’ingan­no, il mondo con il plauso; il diavolo con la suggestione, il mondo con l’adulazione. Questi sono i satiri, i fauni, dei quali Isaia dice: “I satiri si chiameranno l’un l’al­tro”(Is 34,14), per cercare il bambino e ucciderlo.
Nel salmo vengono indicate cinque astuzie escogitate da questi due [il diavolo e il mondo], che di solito portano alla rovina il bambino; però prima viene anche indicato un rimedio per salvarlo. Dice dunque il salmo: “La tua verità ti proteggerà come uno scudo” (Sal 90,5). La verità del Padre è il Figlio, il cui scudo è la croce, con la quale ti protegge per difenderti dal diavolo, dal mondo e dalla carne. Nella croce c’è l’umiltà contro la superbia del diavolo; c’è la povertà di Cristo contro l’avarizia del mondo; e c’è la crocifissione con i chiodi contro la lussuria della carne.
E quindi “non temerai il terrore notturno”, cioè la suggestione diabolica; “la freccia” della vanagloria “che vola di giorno”, della quale Geremia dice: “Tu sai che non ho desiderato il giorno (la gloria) dell’uomo” (Ger 17,16), e Luca: “E ora, in questo tuo giorno, non hai riconosciuto cioè che serviva alla tua pace” (Lc 19,42); [non temerai] “la peste che vaga nelle tenebre”, cioè l’inganno e l’ipocrisia, “il sopraggiungere” delle avversità, e “il demonio meridiano” (Sal 90,5-6) della prosperità, che brucia come il sole a mezzogiorno.

6. Perché il bambino non venga ucciso, “prendilo con la madre sua e fuggi in Egitto”, nome che s’interpreta “tene­bre" o anche “strettezze”, e in cui è simboleggiato le stato di penitenza. Osserva che la “gloria della pelle” consiste in due cose: nello splendore e nello sfarzo; al contrario la gloria della penitenza consiste nell’oscurità e nella ristrettez­za. Oscurità nella veste perché, come è detto nell’Apoca­lisse: “Il sole si fece nero come il sacco tessuto di crine (Ap 6,12); ristrettezza dell’umiltà, o anche dolore e angoscia dell’animo, di cui dice Isaia: “Mi hanno colto dolori come di una partoriente” (Is 21,3), cioè di un peniten­te che partorisce lo spirito della salvezza.
Vuoi dunque salvare il bambino? Fuggi in questo Egitto, “e resta lì finché non ti avvertirò” (Mt 2,13). Ricorda che Gesù, come dice la Glossa, restò nascosto in Egitto sette anni: anche tu devi abitare nell’Egitto della penitenza per l’intero settenario della tua vita. Solo dopo aver finito “i sette anni” ti sentirai dire: “Ritorna nella terra d’Israele” (Mt 2,20), cioè alla celeste Gerusalemme, nella quale vedrai Dio faccia a faccia (cf. 1Cor 13,12).

II. la strage dei bambini

7. “Allora Erode, vedendosi beffato dai magi”, ecc. (Mt 2,16). Dice la Glossa che probabilmente Erode infierì contro i bambini un anno e quattro giorni dopo la nascita del Redentore, e che forse differì il suo intervento a motivo di un viaggio a Roma, o perché sotto accusa, oppure per consigliarsi con i Romani su ciò che si raccontava di Cristo; o anche che si trattenne così a lungo dal cercare il bambino per sorprenderlo più facilmente, senza che aves­se nessuna possibilità di sfuggirgli.
“Dall’età di due anni in giù” (Mt 2,16), cioè dal bambino che era nato da una sola notte fino a quello di due anni: e li uccise tutti. Vedremo che cosa significhi tutto questo: i magi, l’inganno fatto a Erode, Betlemme e l’ucci­sione dei bambini, i due anni, Rama e Rachele.
I Magi che adorano Cristo e gli offrono doni raffigurano i penitenti che, illuminati dalla stella della grazia, adorano in spirito e verità (cf. Gv 4,23) , e offrono il triplice dono della penitenza. Da essi il diavolo viene beffato quando non ritornano più a lui, ma propongono di ritornare alla patria eterna per un’altra via, cioè per la via dell’umiltà. Dice Giobbe: “Beemot”, il mostro, “spera che il Giordano scorra dentro la sua bocca”; “ma ecco che la sua speranza viene frustrata” (Gb 40,18.28).
Giordano s’interpreta “umile discesa”, e simboleggia i penitenti che, dalla dignità del mondo scendono fino al disprezzo di sé. Il diavolo spera ancora di attirarli e di farli ritornare a sé; ma invano spera nel loro ritorno: l’avvertimento dell’angelo, cioè la grazia dello Spirito Santo li sostiene perché a lui più non ritornino. Oppure: Erode è figura del mondo, che essi beffano quando gli lasciano tutte le loro cose. Inganniamo un cane che ci rincorre, lascinadogli un nostro indumento. Così Giuseppe (l’antico) beffò la meretrice che lo tratteneva dicendogli: “Dormi con me. Ma lui, lasciato tra le sue mani il mantel­lo, fuggì e uscì all’aperto” (Gn 39,12). E quella, vedendo­si respinta, disse (al marito): Ecco che hai introdotto in casa quell’uomo ebreo perché ci ingannasse” (Gn 39,14). La meretrice è il mondo; se il mondo ti vuole trattenere nel peccato, lasciagli il mantello, cioè le cose temporali, e fuggi in libertà.

8. “S’infuriò terribilmente” – il diavolo, beffato, va su tutte le furie –, “e mandò ad uccidere tutti i bambini che erano a Betlemme e nei luoghi vicini” (Mt 2,16).
Il lupo divora di preferenza i piccoli, così il diavolo macchia di preferenza la purezza della continenza. Nessun’altra opera buona odia quanto la castità, e per questa ragione nel battesimo viene distrutto il suo potere, i peccati sono perdonati, viene infusa la grazia e viene aperta la porta della vita. Egli si sforza di distruggere tutto questo tentando con ogni mezzo di macchiare con la lussuria della carne, sia nell’uo­mo che nella donna, la stola dell’innocenza battesimale.
Ma ciò che è più doloroso e deplorevole, uccide “i piccoli a Betlemme”, nome che significa “casa del pane”. Betlemme raffigura la religione, l’ordine religioso, nel quale viene nutrita l’anima. I suoi bambini vengono uccisi quando i religiosi si corrom­pono con l’incontinenza della carne. E non solo nell’Ordine, ma anche “in tutti i luoghi vicini”: anche in coloro che sembrano in qualche modo seguire le loro orme e vivere secondo il loro insegnamento va perduto lo splendore della castità. E questo “dai due anni in giù”: nel numero due è indicata la perdita della duplice castità: dell’anima e del corpo.
In altro senso: Erode simboleggia l’ira; Betlemme l’anima; i bambini i sinceri sentimenti della ragione; i luoghi vicini raffigurano i sensi del corpo; i due anni gli atti della duplice carità.
L’ira impedisce all’animo di discernere la verità, turba la stabilità della mente, fa perdere i sentimenti della ragione. Dice Giobbe: “L’ira uccide lo stolto e l’odio uccide il bambino” (Gb 5,2). E questo non solo all’interno, ma anche all’esterno: l’occhio si oscu­ra, la lingua minaccia, la mano si prepara a colpire e così si perde la carità. Perciò: “L’ira dell’uomo non opera la giustizia di Dio” (Gc 1,20) e neppure quella del prossimo.
Ed ecco che, a motivo di tutti questi mali, il grido del lamento e del pianto – cioè la contrizione del cuore e la confessione della bocca – si deve sentire in Rama(cf. Mt 2,18), cioè nell’alto dei cieli, davanti a Dio: “Rachele piange i suoi figli, e non vuole essere consolata perché non sono più” (Mt 2,18). La chiesa piange, e non vuole essere consolata quaggiù, perché i suoi figli non sono di questo mondo.
Rachele, che s’interpreta “pecora” o anche “che vede Dio”, è figura dell’anima penitente, la quale, quasi con la semplicità della pecora, vede Dio nella contemplazione. Essa piange i figli, cioè le sue opere, perché esse non sono più così vive, piene e perfette, com’erano prima che commettesse il peccato mortale, e quindi non vuole essere consolata. Dice Isaia: “Allontanatevi da me, che io pianga amara­mente; non cercate di consolarmi per la desolazione della figlia del mio popolo” (Is 22,4). “Rifiutai che la mia anima fosse consolata” (Sal 76,3), perché spero di venir consolato “quando apparirà la tua gloria” (Sal 16,15).
Si degni di concederci questa gloria colui che è benedetto nei secoli. Amen.

III. sermone allegorico

9. “I tuoi figli, come virgulti di olivo, intorno alla tua mensa” (Sal 127,3). Anche in Luca troviamo un riferimento a questo: “I miei bambini sono a letto con me” (Lc 11,7). Dei figli è detto nel Deuteronomio: “Benedetto nei figli è Aser” (Dt 33,24). Aser s’interpreta “delizia” ed è figura di Cristo che è la delizia di tutti i beati.
Cristo è benedetto e lodato nei figli Innocenti, che per lui e al suo posto sono stati oggi uccisi da Erode. “Un bambino è cercato, vengono uccisi dei bambini, nei quali nasce l’immagine, la figura del martirio e nei quali viene consacrata a Dio l’infanzia della chiesa (Glossa). E la chiesa per bocca di Isaia dice: “Chi mi ha generato costoro? Io ero priva di figli e sterile, espatriata e condotta schiava: questi chi li ha allevati? Io ero abbandonata e sola, e questi dov’erano?”(Is 49,21). “I tuoi figli quindi sono come virgulti di olivo”.
Osserva che nel virgulto è indicata la delicatezza della prima infanzia, e nell’oliva, dalla quale si spreme l’olio, lo spargimento del sangue. O crudeltà di Erode! Lascia almeno che l’oliva maturi per poterne estrarre completamen­te l’olio. Tu spargi prima il latte che il sangue, perché la pianticella che sradichi sta appena germogliando, tenera la creatura cui tagli la gola.
O strazio, o pietà! Il bimbo sorrideva alla spada dell’uccisore e giocava, il pargoletto! Gli agnellini, come afferrati per i piedi, vengono condotti al macello per essere uccisi per Cristo. Le olive nuove vengono portate al torchio per estrarne l’olio. Ecco la passione dei pargoli!

10. E quale il loro premio? Ecco: “Sono intorno alla tua mensa” (Sal 127,3), dove cantano un canto nuovo (cf. Ap 14,3). Leggiamo infatti nell’Apocalisse: “E nessuno poteva cantare quel cantico, se non quei centoquarantaquattromila che sono stati riscattati dalla terra. Essi sono coloro che non si sono contaminati con donne: sono infatti vergini e seguono l’Agnello ovunque vada. Essi sono stati riscattati tra tutti, come primizie per Dio e per l’Agnello. E nella loro bocca non fu trovata menzogna: sono senza macchia dinanzi al trono di Dio” (Ap 14,3-5). Nota che in questa citazione sono poste in evidenza cinque grandi “glorie” dei santi Innocenti. Primo, la grazia della verginità, quando dice: “Sono infatti vergini”. Secondo, la gloria dell’eternità, con le parole: “Seguono l’Agnello”. Terzo, la precoce offerta del loro sangue, dove è detto: “come primizie per Dio” Padre, “e per l’Agnello”, cioè il Figlio. Quarto, l’innocenza dell’infanzia, con le parole: “Nella loro bocca non fu trovata menzogna”. Quinto, la contemplazione della maestà divina: “Sono dinanzi al trono di Dio”.
Osserva che abbiamo usato tre parole: trono, mensa, letto. Tutte e tre indicano una stessa cosa: la vita eterna. Stanno dinanzi al trono cantando le lodi di Dio e contem­plando il suo volto. Dice infatti Isaia: “Voce delle tue sentinelle: alzeranno la voce e insieme canteranno lodi, perché vedranno con i loro occhi” (Is 52,8). Sederanno alla tua mensa mangiando e bevendo; infatti dice Luca: “Io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno” (Lc 22,29-30). È detto anche che questa mensa è rotonda (“attorno alla tua mensa”), perché l’eterna sazietà sarà senza principio e senza fine.
Parimenti, riposando dormono nel letto; infatti dice Isaia: “Va’, popolo mio, entra nelle tue stanze, chiudi le porte dietro a te” (Is 26,20); e ancora: “Mese seguirà mese, e sabato seguirà sabato” (Is 66,23); vale a dire che alla perfezione della vita seguirà la perfezione della gloria, e al riposo del corpo il riposo dell’eternità.
Per le preghiere dei santi Innocenti si degni di concedere tutto questo anche a noi colui che è benedetto nei secoli. Amen.

IV. sermone morale

11. “I tuoi figli”, o buon Gesù, sono questi cristiani che hai generato con le sofferenze della tua passione. Dice Isaia: “Forse non partorirò, io che faccio partorire gli altri? – dice il Signore. Io che do agli altri la facoltà di generare, sarò sterile? – dice il Signore Dio” (Is 66,9). Chi ci ha partorito nel dolore della passione? “La donna”, cioè la Sapienza del Padre, “quando partorisce è nella tristezza” (Gv 16,21). E Gesù dice: “La mia anima è triste fino alla morte” (Mt 26,38). Egli stesso con la grazia fa partorire agli altri lo spirito della salvezza.
Nota che figlio deriva dal verbo greco filèo, che significa amare. Dice Osea: “Li amerò di vero cuore” (Os 14,5). L’amore è chiamato in lat. dilectio, quasi duosligans, che lega cioè due persone tra loro. L’amore lo ha talmente legato a noi, da attirarlo verso la nostra miseria, quasi che non potesse più vivere in cielo senza di noi. Fu come un’aquila che vola in cerca di cibo, di cui dice Giobbe: “Dov’è un cadavere, là essa si trova” (Gb 39,30). Cadavere deriva da cadere, oppure dal verbo latino careo, sono privo: infatti cade dalla vita, o è privo della vita. Il cadavere è figura della natura umana che, quando “cadde” dalla grazia divina, fu privata della vita.
O amore incomparabile! O pietà smisurata! Dal più alto cielo dei serafini volare a un cadavere putrido, prendere un corpo umano, portare il patibolo della croce, versare il proprio sangue, per risuscitare il figlio morto. Per questo si paragona al pellicano, dicendo: “Mi sono fatto simile al pellicano del deserto” (Sal 101,7).

12. Osserva che il pellicano è un piccolo (sic) uccello, al quale piace stare in solitudine. Si racconta che uccida a forza di colpi i suoi piccoli, che li pianga, ma che dopo tre giorni si ferisca, e che essi, bagnati del suo sangue, ritornino in vita (Glossa).
Cristo, fattosi piccolo per umiltà, amante della solitudine per la preghiera – dicono gli evangelisti che passava le notti in preghiera (cf. Lc 6,12) e che dimorava in luoghi deserti (cf. Lc 1,80) –, uccise per così dire a forza di colpi i suoi figli Adamo ed Eva e la loro discendenza, quando disse: “Sia maledetta la terra per ciò che hai fatto” (Gn 3,17), e “Sei polvere, e in polvere ritornerai” (Gn 3,19). Ma poi li pianse, come dice il salmo: “Quasi triste e in pianto, così mi umiliavo” (Sal 34,14).
Nel secondo libro dei Re si racconta che Davide, affran­to dal dolore, salì in pianto alla sue stanze sospirando: “Figlio mio Assalonne, Assalonne figlio mio! Chi mi conce­derà di morire per te?” (2Re 18,33). Così Cristo, rattristato per la morte del genere umano, salì sul patibolo della croce e ivi pianse, poiché dice l’Apostolo: Offrì se stesso con forti grida e lacrime (cf. Eb 5,7); e poté dire: Figlio mio, Adamo! Adamo, figlio mio! Chi mi concederà di morire per te? Chi farà che la mia morte ti sia di giovamento?
E dopo tre giorni, cioè dopo i tre tempi, della natura, della legge e della grazia (cioè da Adamo a Mosè, da Mosè a Gesù e da Gesù in poi), ferì se stesso, cioè permise che altri lo ferissero, e con il suo sangue asperse i suoi figli morti e li fece ritornare in vita. E tutto questo provenne dall’immenso amore con il quale ci amò. Dice infatti Giovanni: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1), cioè fino alla morte. “Tuoi figli”, dunque. Veramente tuoi, perché redenti con il tuo sangue; e voglia il cielo che siano “tuoi”, e non “suoi”, cioè schiavi della loro carne, perché “i suoi non l’hanno ricevuto” (Gv 1,11). E per essere tuoi è necessario che siano “come virgulti di olivo”.

13. Osserva che l’ulivo ha la radice amara, il legno durissimo e quasi indistruttibile, la foglia verde, il frutto gradevole. Anche il cristiano dev’essere amaro per la contrizione, fermo nel proposito, fedele alla parola, gradito nelle opere di misericordia. L’olio infatti simbo­leggia l’opera di misericordia.
E considera attentamente che è detto in lat. novellae, germogli, e questo per indicare che i figli di Cristo devono camminare nella novità dello spirito (cf. Rm 6,4): di giorno in giorno devono rinnovare, per mezzo della confessione, il loro spirito (cf. 2Cor 4,16), che altrimenti si corrompe dietro le passioni ingannatrici (cf. Ef 4,22).
“Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente” (Ef 4,23). E Geremia: “Questo dice il Signore agli uomini di Giuda e agli abitanti di Gerusalemme” – cioè ai laici e ai chierici –: “Rimettete a coltura il campo arato per la prima volta e non seminate tra le spine” (Ger 4,3). Il campo arato per la prima volta è figura del cuore dell’uomo, che dev’essere solcato dall’aratro della contrizione, ripulito dalle erbe nocive con il sarchio della confessione: questo vuol dire rimettere a coltura un campo arato di fresco. Invece semina tra le spine colui che compie qualche opera buona mentre si trova in peccato mortale. Quindi “i tuoi figli siano come virgulti (nuovi germogli) di olivo”.

14. E dov’è la loro abitazione? Dove deve svolgersi la loro vita? Sicuramente “intorno alla tua mensa”. Osserva che ci sono tre tipi di mensa, e in ognuna c’è una propria refezione. La prima è la mensa della dottri­na: “Davanti a me tu prepari una mensa, di fronte a quelli che mi perseguitano (Sal 22,5), cioè contro gli eretici. La seconda è la mensa della penitenza: “Tranquillità alla tua mensa, piena di grasse vivande” (Gb 36,16). Felice quella penitenza che produce la quiete della coscienza e abbondanza di bene, cioè opere di carità verso i fratelli. La terza è la mensa dell’Eucaristia, di cui dice l’Apostolo: Non potete partecipare alla mensa di Cristo e alla mensa dei demoni (cf. 1Cor 10,21). Nella prima mensa la refezione è la Parola di vita, nella seconda i gemiti e le lacrime, nella terza la carne e il sangue di Cristo. E anche qui fa’ attenzione che non è detto “alla mensa”, ma “intorno alla mensa”. Intorno a queste mense deve stare ogni cristiano, a somiglianza di coloro che girano avidamente intorno a ciò che desiderano vedere e trovare, ma dove non riescono ad entrare.
Così costoro devono girare intorno alla mensa della dottrina, per imparare a distinguere il bene dal male, e tra bene e bene; devono girare intorno alla mensa della penitenza per suscitare in sé il dispiace­re dei peccati commessi e anche dei peccati di omissione, per confessare le loro colpe, precisando le circostanze, per riparare il danno arrecato, per restituire ciò che hanno illecitamente tolto, per elargire le cose proprie a chi è nel bisogno; devono girare intorno alla mensa eucaristica per credere con fermezza, per accostarsi ad essa con devozione, e ricevere il corpo di Cristo dopo profonda riflessione, reputandosi indegni di tanta grazia.
Preghiamo dunque il Figlio di Dio che ci conceda di ristorarci a questa triplice mensa per essere degni di saziarci alla mensa celeste insieme ai beati Innocenti. Ce lo conceda colui che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen.

mercoledì 28 dicembre 2011

I SANTI INNOCENTI BENEDICANO IN MODO SPECIALE TUTTI I SACERDOTI DI CRISTO GESU'






<<Maria, Madre Immacolata 
posa con delizia il suo sguardo sui sacerdoti puri.
Cerca la fragranza del suo Gesù, 
Giglio delle valli, 
nei sacerdoti 
destinati a rappresentarLo sulla terra;
si compiace della limpidezza delle loro anime, 
del candore di quelle mani che toccano l'Agnello 
vorrebbe posare le sue labbra sulle labbra 
che pronunciano degnamente 
le parole che creano ed operano 
la Consacrazione nella Messa.
 
Maria 
infatti gode immensamente 
e mette tutta la sua anima 
nella transustanziazione.



Maria è la via più breve 
per accedere allo Spirito Santo, 
per crescere nell'amore, 
che trasforma, rende simili, unisce e santifica.



Questo è il mezzo 
più dolce, 
più tenero, 
delicato e puro
Maria!>>


AVE MARIA!
AMDG