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lunedì 16 marzo 2015

16. NON SARA' LA RELIGIONE DELLA MASSONERIA A SALVARCI DALL'ISLAM


NON SARA' LA RELIGIONE DELLA MASSONERIA A

 SALVARCI DALL'ISLAM



  Dobbiamo pregare San Giuseppe in questo mese a lui dedicato, pregarlo tanto: per noi, per tutta la Santa Chiesa, per l'opera che Dio le chiede nel mondo.
  Protector Sanctae Ecclesiae, è l'ultimo titolo di invocazione indirizzato a San Giuseppe nelle sue litanie, Protettore della Santa Chiesa.

  Sì, perché la Santa Chiesa va protetta da tutti i suoi nemici, che sono gli stessi nemici di Nostro Signore: nemici esterni e nemici interni. E forse, in questi tempi difficilissimi, dobbiamo pregare San Giuseppe soprattutto perché la protegga dai nemici interni, che sono certamente i più pericolosi.

  Lo scrivevamo il mese scorso e lo ribadiamo ancora qui, il nemico interno più grande per la Chiesa è costituito da tutti coloro che ne reinterpretano la dottrina e l'azione attraverso il falso dogma della modernità. Rileggono tutta la Rivelazione, tutte le verità di fede, tutta l'azione pastorale e sacramentale, piegandole all'ideologia della modernità, che in fondo si riassume nel mettere al centro l'uomo al posto di Dio. 
L'uomo è al centro di questo cristianesimo ammodernato, l'uomo con le sue esigenze, col suo voler essere felice, col suo non sopportare più nessuna imposizione, nessun comando; un cristianesimo agnostico, dicevamo già, che non sapendo quasi nulla di certo su Dio, si deve fermare sull'uomo e sul suo ben-vivere. 
Insomma, tutto il cristianesimo riletto alla luce dei diritti dell'uomo, riassumibili nel libertà, fraternità e uguaglianza della Rivoluzione francese: ciò che è compatibile con questi principi rivoluzionari viene salvato; ciò che della rivelazione cristiana non collima con questa magna carta della modernità, viene accantonato, censurato o maldestramente reinterpretato.

  Tutto questo sta provocando, da circa sessant'anni, la più drammatica crisi che il Cattolicesimo abbia mai conosciuto nella sua storia (pensiamo alle caotiche difficoltà del Sinodo sulla Famiglia, che non riesce a conciliare l'obbedienza a Dio con i diritti dell'uomo) e sta anche rendendo spaventosamente impotente il Cristianesimo occidentale di fronte alle altre religioni e soprattutto di fronte al gravissimo problema dell'Islam in mezzo a noi.

  Cosa fa il cattolicesimo ammodernato di fronte all'Islam e alla violenza terroristica di matrice islamica?
  Chiede a quest'ultimo di accettare la modernità, chiede di mettere al centro la persona al posto di Dio, chiede cioè di accettare il trinomio della Rivoluzione, libertà-uguaglianza-fraternità. Il cattolicesimo modernamente reinterpretato ha la sfrontatezza di esporsi, giungendo a ricordare che la Chiesa Cattolica, dopo un errato rifiuto di duecento anni, ha saputo accogliere la modernità rifondandosi e collocandosi così in una fase più matura della religione. La chiesa ammodernata chiede così ai mussulmani di sapere fare gli stessi passi, per poter entrare nel consesso della religione moderna, quella che mette al centro l'uomo.

  Cosa capiranno i veri credenti mussulmani di questo invito? Capiranno che noi non crediamo più in Dio, che siamo diventati agnostici, che i dogmi della religione massonica, che poggiano sulla centralità dell'uomo, hanno scalzato per noi i veri dogmi, quelli di Dio.

 Un disastro!

  Gli islamici si confermeranno nella loro idea che l'occidente cristiano è immorale e da combattere.

  Diverso sarebbe stato l'approccio della Tradizione, del Cattolicesimo di sempre, quello autentico. Non chiedere agli islamici di adattarsi alla modernità, ma fare appello alla loro ragione per domandare di verificare la verità storica intorno alle loro origini: verificate quale è la vera Rivelazione di Dio, quella di Cristo o di Maometto? Ci sono le prove per essere certi che è quella di Cristo... verificate dove Dio ha parlato veramente. La Chiesa di sempre, senza illudersi di operare impossibili conversioni di massa, ha sempre fornito le prove della verità del Cristianesimo e della falsità dell'eresia di Maometto. La Chiesa ha sempre domandato una onestà intellettuale, perché la ragione ce l'ha data Dio, nel verificare se Dio ha parlato a Maometto o se invece Maometto è semplicemente un eretico che ha stravolto l'unica vera Rivelazione in Gesù Cristo.

  Non dunque l'invito di adeguare la propria religione alla religione massonica, ma l'approccio della sana apologetica, che riafferma l'unica verità di Cristo, questo deve fare il cattolico con il mussulmano.
  Facendo cosi, lo ripetiamo, la Chiesa non convertirà gli islamici in massa, ma dimostrerà ai suoi figli e al mondo intero di non essere agnostica, di credere nella SS. Trinità e nell'unico Redentore Nostro Signore Gesù Cristo. E se farà così, rafforzando la fede dei cristiani - chiamati al martirio se è necessario -, toccherà anche il cuore di qualche anima mussulmana che con la grazia si convertirà.

  Che tragico errore, invece, perdere il tempo nel domandare agli islamici che applichino la ragione non nel riconoscere il vero Dio di Gesù Cristo, ma i diritti dell'uomo! È come se la chiesa moderna dicesse ai mussulmani: siccome non si può verificare chi è il vero Dio, accordatevi con noi sull'accettazione delle libertà moderne che sono l'unica cosa certa. Non c'è che dire, puro agnosticismo!

  Carissimi, non sarà la religione della massoneria, quella del Dio ignoto, a salvarci dalla violenza terroristica e dall'invasione. La religione della massoneria ha distrutto dall'interno il cristianesimo in occidente e l'ha reso privo di qualsiasi attrattiva, incapace di parlare alla mente e al cuore; ha ucciso la missione cristiana e ha dato spazio a tutte le false religioni. La violenza di questi tempi è solo l'ultimo tragico frutto dell'opera massonica.

  Non sarà la religione massonica, ma il vero Cattolicesimo, quello autentico, quello della Tradizione, che ci salverà; e questa salvezza passerà ancora per il sangue dei martiri, di quei cristiani che muoiono pregando Gesù Cristo Salvatore. Sarà il Cattolicesimo pieno di Dio a salvarci. Il Cattolicesimo che usa la ragione, non per mettere al centro l'uomo ma per riaffermare la centralità di Dio.

  Solo la Tradizione ridonerà dignità al Cattolicesimo di fronte al mondo neo-pagano di oggi e anche di fronte all'Islam; gli ridarà la sua dignità, liberandolo dalla servitù allo spirito massonico.




  Protector Sanctae Ecclesiae ora pro nobis.

  Sì, San Giuseppe, prega per noi, per la Chiesa d'Occidente, perché ritrovi la via della fede certa e semplice, quella di sempre, la sola capace di missione. Aiutaci a preservarla e a rimanere fedeli agli insegnamenti di Gesù Cristo. Dacci la forza della mente e dello spirito per difendere la nostra fede in ogni momento, e proteggi tutti noi perché seguiamo la via del Signore fino all'ultimo respiro. Amen.




Editoriale "Radicati nella fede" - Anno VIII n° 3 - Marzo 2015


AMDG et BVM

giovedì 20 marzo 2014

"Giuseppe è, nella storia, l’uomo che ha dato a Dio la più grande prova di fiducia, anche davanti ad un annuncio così stupefacente" (Benedetto XVI, omelia 19 marzo 2009)

La figura di San Giuseppe nei testi di Benedetto XVI. Un omaggio a Joseph Ratzinger

In occasione della Festività di San Giuseppe e in omaggio a Benedetto XVI, nato Joseph, ho pensato di raccogliere questi testi che il Santo Padre ha dedicato allo Sposo della Vergine Maria.
Clicca sui link per gli interventi integrali.
Joseph-Benedetto, buon onomastico con qualche ora di anticipo...
Raffaella

"La grandezza di San Giuseppe, al pari di quella di Maria, risalta ancor più perché la sua missione si è svolta nell'umiltà e nel nascondimento della casa di Nazaret. Del resto, Dio stesso, nella Persona del suo Figlio incarnato, ha scelto questa via e questo stile - l'umiltà e il nascondimento - nella sua esistenza terrena" (Benedetto XVI, Angelus 19 marzo 2006)

"Cari amici, domani celebreremo la festa solenne di san Giuseppe. Ringrazio di cuore tutti coloro che avranno per me un ricordo nella preghiera, nel giorno del mio onomastico. In particolare, vi chiedo di pregare per il viaggio apostolico in Messico e Cuba, che compirò a partire da venerdì prossimo. Affidiamolo all’intercessione della Beata Vergine Maria, tanto amata e venerata in questi due Paesi che mi accingo a visitare" (Benedetto XVI, Angelus 18 marzo 2012)

"Il silenzio di Giuseppe, uomo giusto (cfr Mt 1,19), e l’esempio di Maria, che custodiva ogni cosa nel suo cuore (cfr Lc 2,51), ci facciano entrare nel mistero pieno di fede e di umanità della Santa Famiglia. Auguro a tutte le famiglie cristiane di vivere alla presenza di Dio con lo stesso amore e con la stessa gioia della famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe" (Benedetto XVI, Angelus 30 dicembre 2012)

"Alla folla e ai suoi discepoli, Gesù dichiara: "Uno solo è il Padre vostro" (Mt 23,9). In effetti, non vi è altra paternità che quella di Dio Padre, l’unico Creatore "del mondo visibile ed invisibile". E’ stato dato però all’uomo, creato ad immagine di Dio, di partecipare all’unica paternità di Dio (cfr Ef 3,15). San Giuseppe manifesta ciò in maniera sorprendente, lui che è padre senza aver esercitato una paternità carnale. Non è il padre biologico di Gesù, del quale Dio solo è il Padre, e tuttavia egli esercita una paternità piena e intera. Essere padre è innanzitutto essere servitore della vita e della crescita. San Giuseppe ha dato prova, in questo senso, di una grande dedizione. Per Cristo ha conosciuto la persecuzione, l’esilio e la povertà che ne deriva. Ha dovuto stabilirsi in luogo diverso dal suo villaggio. La sua sola ricompensa fu quella di essere con Cristo. Questa disponibilità spiega le parole di san Paolo: "Servite il Signore che è Cristo!" (Col 3,24).Si tratta di non essere un servitore mediocre, ma di essere un servitore "fedele e saggio"" (Benedetto XVI,Primi Vespri della festa di San Giuseppe, 18 marzo 2009)

"San Giuseppe viene presentato come “uomo giusto” (Mt 1,19), fedele alla legge di Dio, disponibile a compiere la sua volontà. Per questo entra nel mistero dell’Incarnazione dopo che un angelo del Signore, apparsogli in sogno, gli annuncia: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,20-21). Abbandonato il pensiero di ripudiare in segreto Maria, egli la prende con sé, perché ora i suoi occhi vedono in lei l’opera di Dio"(Benedetto XVI, Angelus 19 dicembre 2010)

"Lasciamoci "contagiare" dal silenzio di san Giuseppe! Ne abbiamo tanto bisogno, in un mondo spesso troppo rumoroso, che non favorisce il raccoglimento e l’ascolto della voce di Dio. In questo tempo di preparazione al Natale coltiviamo il raccoglimento interiore, per accogliere e custodire Gesù nella nostra vita" (Benedetto XVI, Angelus 18 dicembre 2005)

"San Giuseppe era giusto, era immerso nella Parola di Dio, scritta, trasmessa nella saggezza del suo popolo, e proprio in questo modo era preparato e chiamato a conoscere il Verbo Incarnato - il Verbo venuto tra noi come uomo -, e predestinato a custodire, a proteggere questo Verbo Incarnato; questa rimane la sua missione per sempre: custodire la Santa Chiesa e il Nostro Signore" (Benedetto XVI, Discorso 19 marzo 2011)

"Giuseppe è, nella storia, l’uomo che ha dato a Dio la più grande prova di fiducia, anche davanti ad un annuncio così stupefacente" (Benedetto XVI, omelia 19 marzo 2009)


sabato 1 marzo 2014

SAN GIUSEPPE


PREGHIERA DI SUA SANTITÀ PIO XII
A SAN GIUSEPPE ARTIGIANO*

 

O glorioso Patriarca S. Giuseppe, umile e giusto artigiano di Nazareth, che hai dato a tutti i cristiani, ma specialmente a noi, l'esempio di una vita perfetta nell'assiduo lavoro e nell'ammirabile unione con Maria e Gesù, assistici nella nostra fatica quotidiana, affinché anche noi, artigiani cattolici, possiamo trovare in essa il mezzo efficace di glorificare il Signore, di santificarci e di essere utili alla società in cui viviamo, ideali supremi di tutte le nostre azioni.
Ottienici dal Signore, o Protettore nostro amatissimo, umiltà e semplicità di cuore, affezione al lavoro e benevolenza per quelli che ci sono in esso compagni, conformità ai divini voleri nei travagli inevitabili di questa vita e letizia nel sopportarli, consapevolezza della nostra specifica missione sociale e senso della nostra responsabilità, spirito di disciplina e di orazione, docilità e rispetto verso i superiori, fraternità verso gli uguali, carità e, indulgenza coi dipendenti. Accompagnaci nei momenti prosperi, quando tutto c'invita a gustare onestamente i frutti delle nostre fatiche; ma sostienici nelle ore tristi, allorché il cielo sembra chiudersi per noi e perfino gli strumenti del lavoro paiono ribellarsi nelle nostre mani.
Fa che, a tua imitazione, teniamo, fissi gli occhi sulla Madre nostra Maria, tua sposa dolcissima, che in un angolo della tua modesta bottega silenziosa filava, lasciando scorrere sulle sue labbra il più soave sorriso; e non allontaniamo lo sguardo da Gesù, che si affannava teco al tuo banco di falegname; affinché in tal guisa possiamo condurre sulla terra una vita pacifica e santa, preludio di quella eternamente felice che ci attende nel cielo, per tutti i secoli dei secoli. Così sia!

Die 11 Martii 1958
Ssmus  D. N. Pius Div. Prov. Pp. XII partialem trium annorum Indulgentiam benigne tribuere dignatus est in favorem opificum, qui supra relatam orationem saltem corde contrito ac devote recitaverint. Contrariis non obstantibus quibuslibet.
N. Card. CANALI, Paenitentiarius Maior
S. Luzio, Regens


L. + S.

*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XX,
Ventesimo anno di Pontificato, 2 marzo - 9 ottobre 1958, p. 535
Tipografia Poliglotta Vaticana


A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione, ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio, dopo quello della tua santissima sposa. Per, quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all'Immacolata Vergine Maria, Madre di Dio, e per l'amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità che Gesù Cristo acquistò col suo Sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni. Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l'eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora sopra ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l'eterna beatitudine in cielo.
AMEN.
Nel nome dei Padre e dei Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

1. O S. Giuseppe, mio protettore ed avvocato, a te ricorro, affinché m'implori la grazia, per la quale mi vedi gemere e supplicare davanti a te. E' vero che i presenti dispiaceri e le amarezze che sono forse il giusto castigo dei miei peccati. Riconoscendomi colpevole, dovrò per questo perdere la speranza di essere aiutato dal Signore? "Ah! No!" - mi risponde la tua grande devota Santa Teresa – "No certo, o poveri peccatori. Rivolgetevi in qualunque bisogno, per grave che sia, alla efficace intercessione dei Patriarca S. Giuseppe; andate con vera fede da Lui e resterete certamente esauditi nelle vostre domande". Con tanta fiducia, mi presento, quindi, davanti a Te e imploro misericordia e pietà. Deh!, per quanto puoi, o San Giuseppe prestami soccorso nelle mie tribolazioni. Supplisci alla mia mancanza e, potente come sei, fa che, ottenuta per la tua pia intercessione la grazia che imploro, possa ritornare al tuo altare per renderti l'omaggio della mia riconoscenza.

Padre Nostro – Ave Maria – Gloria.

2. Non dimenticare, o misericordioso S. Giuseppe, che nessuna persona al mondo, per grande peccatrice che, fosse, è ricorsa a te, rimanendo delusa nella fede e nella speranza in te riposte. Quante grazie e favori hai ottenuto agli afflitti! Ammalati, oppressi, calunniati, traditi, abbandonati, ricorrendo alla tua protezione sono stati esauditi. Deh! non permettere, o gran Santo che io abbia ad essere il solo, fra tanti, a rimanere privo dei tuo conforto. Mostrati buono e generoso anche verso di me, ed io, ringraziandoti, esalterò in te la bontà e la misericordia dei Signore.

Padre Nostro – Ave Maria – Gloria.

3. O eccelso Capo della Sacra Famiglia, io ti venero profondamente e di cuore t'invoco. Agli afflitti, che ti hanno pregato prima di me, hai concesso conforto e pace, grazie e favori. Degnati quindi di consolare anche l'animo mio addolorato, che non trova riposo in mezzo alle ingiustizie da cui è oppresso. Tu, o sapientissimo Santo, vedi in Dio tutti i miei bisogni prima ancora che io te li esponga con la mia preghiera. Tu dunque sai benissimo quanto mi è necessaria la grazia che ti domando. Nessun cuore umano mi può consolare; da te spero d'essere confortato, date, o glorioso Santo. Se mi concedi la grazia che con tanta insistenza io domando, prometto di diffondere la devozione verso di te, di aiutare e sostenere le opere che, nel tuo Nome, sorgono a sollievo di tanti infelici e dei poveri morenti. O. S. Giuseppe, consolatore degli afflitti, abbi pietà dei mio dolore!

Padre Nostro – Ave Maria – Gloria.
(Ripetere la novena per i restanti giorni.)
Sette suppliche a San Giuseppe.
O Dio, vieni in mio aiuto.
Signore, vieni presto in mio soccorso.

Gloria al Padre...

1. Amabilissimo S. Giuseppe, per l'onore che ti concedette l'eterno Padre, innalzandoti a fare le sue veci in terra col suo Figlio Gesù, ed esserne padre putativo, ottienimi Dio la grazia che da desidero.
Gloria al Padre...

2 Amabilissimo S. Giuseppe, per l’amore che ti portò Gesù, riconoscendoti qual tenero padre ed obbedendoti qual rispettoso figlio, implorami da Dio la grazia che ti domando.

Gloria al Padre...


3. Purissimo S. Giuseppe, per la grazia specialissima che ricevesti dallo Spirito Santo, quando ti diede in sposa la stessa sua sposa, Madre nostra carissima, implorami da Dio la grazia tanto desiderata.

Gloria al Padre...

4.  Tenerissimo S. Giuseppe, per l'amore purissimo con cui amasti Gesù come tuo Figlio e Dio, e Maria come tua diletta sposa, prega l'altissimo Iddio, che mi conceda la grazia per cui ti supplico

Gloria al Padre...

5.  Dolcissimo S. Giuseppe, per il godimento grandissimo che sentiva il tuo cuore conversando con Gesù e Maria e loro servendo, mi conceda il misericordiosissimo Iddio la grazia che tanto bramo.

Gloria al Padre..

6. Fortunatissimo S. Giuseppe, per la bella sorte che avesti di morire fra le braccia di Gesù e di Maria, e di essere confortato nella tua agonia e morte, mi ottenga la potente tua intercessione da Dio la grazia per cui ti prego.

Gloria al Padre...

7. Gloriosissimo S. Giuseppe, per la riverenza che ha per te tutta la Corte celeste, come Padre putativo di Gesù e sposo di Maria, esaudisci le suppliche che con viva fede ti faccio, ottenendomi la grazia che tanto desidero. Così sia.

Gloria al Padre...

– Prega per noi, o beato Giuseppe.
– Perché siamo fatti degni delle promesse di Cristo.

Preghiamo:
Dio onnipotente, che nel tuo disegno di amore hai voluto affidare gli inizi della nostra redenzione alla custodia premurosa di S. Giuseppe, per sua intercessione, concedi alla Chiesa la stessa fedeltà nel condurre a compimento l’opera di salvezza. Per Cristo, nostro Signore. Amen.
A San Giuseppe lavoratore.
(1° Maggio)

O San Giuseppe, padre putativo di Gesù e sposo purissimo di Maria, che a Nazareth hai conosciuto la dignità e il peso del lavoro, accettandolo in ossequio alla volontà del Padre e per contribuire alla nostra salvezza, aititaci a fare del lavoro quotidiano un mezzo di elevazione; insegnaci a fare del luogo di lavoro una 'Comunità di persone', unita dalla solidarietà e dall'amore; dona a tutti i lavoratori e alle loro famiglie, la salute, la serenità e la fede; fà che i disoccupati trovino presto una dignitosa occupazione e che coloro che hanno onorato il lavoro per una vita intera, possano godere di un lungo e meritato riposo.Te lo chiediamo per Gesù, nostro Redentore, e per Maria, Tua castissima Sposa e nostra carissima Madre. Amen




sabato 21 dicembre 2013

Domenica 22 dicembre 2013, IV Domenica di Avvento - Anno A : San Matteo 1,18-24.

"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 22 dicembre 2013, IV Domenica di Avvento - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 1,18-24.
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. 
Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. 
Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». 
Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 
Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi. 
Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Traduzione liturgica della Bibbia 


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 26 pagina 152.
Dopo cinquantatre giorni riprende la Mamma a mostrarsi con questa visione che mi dice di segnare in questo libro. La gioia si rinnova in me. Perché vedere Maria è possedere la Gioia.
Vedo dunque l’orticello di Nazareth. Maria fila all’ombra di un foltissimo melo stracarico di frutta, che cominciano ad arrossare e sembrano tante guance di bambino nel loro roseo e tondo aspetto. 
Ma Maria non è per nulla rosea. Il bel colore, che le avvivava le guance a Ebron, è scomparso. Il viso è di un pallore di avorio, in cui soltanto le labbra segnano una curva di pallido corallo. Sotto le palpebre calate stanno due ombre scure e i bordi dell’occhio sono gonfi come chi ha pianto. Non vedo gli occhi, perché Ella sta col capo piuttosto chino, intenta al suo lavoro e più ancora ad un suo pensiero che la deve affliggere, perché l’odo sospirare come chi ha un dolore nel cuore. 
E’ tutta vestita di bianco, di lino bianco, perché fa molto caldo nonostante che la freschezza ancora intatta dei fiori mi dica che è mattina. E’ a capo scoperto e il sole, che scherza con le fronde del melo mosse da un lievissimo vento e filtra con aghi di luce fin sulla terra bruna delle aiuole, le mette dei cerchiolini di luce sul capo biondo, e là i capelli sembrano di un oro zecchino. 
Dalla casa non viene nessun rumore, né dai luoghi vicini. Si sente solo il mormorio del filo d’acqua che scende in una vasca in fondo all’orto. 
Maria sobbalza per un picchio dato risolutamente all’uscio di casa. Posa conocchia e fuso e si alza per andare ad aprire. Per quanto l’abito sia sciolto ed ampio, non riesce a nascondere completamente la rotondità del suo bacino. 

Si trova di fronte Giuseppe. Maria impallidisce anche nelle labbra. Ora il suo viso pare un’ostia, tanto è esangue. Maria guarda con occhio che interroga mestamente. Giuseppe guarda con occhio che pare supplichi. Tacciono, guardandosi. Poi Maria apre la bocca: “A quest’ora, Giuseppe? Hai bisogno di qualche cosa? Che vuoi dirmi? Vieni.” 
Giuseppe entra e chiude la porta. Non parla ancora. 
“Parla, Giuseppe. Che cosa vuoi da me?” 
“Il tuo perdono.” Giuseppe si curva come volesse inginocchiarsi. Ma Maria, sempre così riservata nel toccarlo, lo afferra per le spalle risolutamente e glielo impedisce. 
Il colore va e viene dal volto di Maria, che ora è tutta rossa e ora di neve come prima. “Il mio perdono? Non ho nulla da perdonarti, Giuseppe. Non devo che ringraziarti ancora per tutto quanto hai fatto qui dentro in mia assenza e per l’amore che mi porti.” 
Giuseppe la guarda, e vedo due grossi goccioloni formarsi nell’incavo del suo occhio profondo, stare lì come sull’orlo di un vaso e poi rotolare giù sulle guance e sulla barba. “Perdono, Maria. Ho diffidato di te. Ora so. Sono indegno di avere tanto tesoro. Ho mancato di carità, ti ho accusata nel mio cuore, ti ho accusata senza giustizia perché non ti avevo chiesto la verità. Ho mancato verso la legge di Dio non amandoti come mi sarei amato...” 
“Oh! no! Non hai mancato!” 
“Sì, Maria. Se fossi stato accusato di un tal delitto, mi sarei difeso. Tu... Non concedevo a te di difenderti, perché stavo per prendere delle decisioni senza interrogarti. Ho mancato verso te recandoti l’offesa di un sospetto. Anche se solo un sospetto è offesa, Maria. Chi sospetta non conosce. Io non ti ho conosciuta come dovevo. Ma per il dolore che ho patito... tre giorni di supplizio, perdonami, Maria.” 
“Non ho nulla da perdonarti. Ma anzi, io ti chiedo perdono per il dolore che ti ho dato.” 
“Oh! sì, che fu dolore! Che dolore! Guarda, stamane mi hanno detto che sulle tempie sono canuto e sul viso ho rughe. Più di dieci anni di vita sono stati questi giorni! Ma perché, Maria, sei stata tanto umile da tacere, a me, tuo sposo, la tua gloria, e permettere che io sospettassi di te?” 
Giuseppe non è in ginocchio, ma sta così curvo che è come lo fosse, e Maria gli posa la manina sul capo e sorride. Pare lo assolva. E dice: “Se non lo fossi stata in maniera perfetta, non avrei meritato di concepire l’Atteso, che viene ad annullare la colpa di superbia che ha rovinato l’uomo. E poi ho ubbidito... Dio mi ha chiesto questa ubbidienza. Mi è costata tanto.... per te, per il dolore che te ne sarebbe venuto. Ma non dovevo che ubbidire. Sono l’Ancella di Dio, e i servi non discutono gli ordini che ricevono. Li eseguiscono, Giuseppe, anche se fanno piangere sangue.” 

Maria piange quietamente mentre dice questo. Tanto quietamente che Giuseppe, curvo come è, non se ne avvede sinché una lacrima non cade al suolo. Allora alza il capo e -è la prima volta che gli vedo fare questo- stringe le manine di Maria nelle sue brune e forti e bacia la punta di quelle rosee dita sottili che spuntano come tanti bocci di pesco dall’anello delle mani di Giuseppe. 
“Ora bisognerà provvedere perché...” Giuseppe non dice di più, ma guarda il corpo di Maria, e Lei diviene di porpora e si siede di colpo per non rimanere così esposta, nelle sue forme, allo sguardo che l’osserva. “Bisognerà fare presto. Io verrò qui... Compiremo il matrimonio.... Nell’entrante settimana. Va bene?” 
“Tutto quanto tu fai va bene, Giuseppe. Tu sei il capo di casa, io la tua serva.” 
“No. Io sono il tuo servo. Io sono il beato servo del mio Signore che ti cresce in seno. Tu benedetta fra tutte le donne d’Israele. Questa sera avviserò i parenti. E dopo... quando sarò qui lavoreremo per preparare tutto a ricevere.... Oh! come potrò ricevere nella mia casa Dio? Nelle mie braccia Dio? Io ne morrò di gioia!... Io non potrò mai osare di toccarlo.!...” 
“Tu lo potrai, come io lo potrò, per grazia di Dio!... ”. 
“Ma tu sei tu. Io sono un povero uomo, il più povero dei figli di Dio!...” 

“Gesù viene per noi, poveri, per farci ricchi in Dio, viene a noi due perché siamo i più poveri e riconosciamo di esserlo. Giubila, Giuseppe. La stirpe di Davide ha il Re atteso e la nostra casa diviene più fastosa della reggia di Salomone, perché qui sarà il Cielo e noi divideremo con Dio il segreto di pace che più tardi gli uomini sapranno. Crescerà fra noi, e le nostre braccia saranno cuna al Redentore che cresce, e le nostre fatiche gli daranno un pane... Oh! Giuseppe! Sentiremo la voce di Dio chiamarci ‘padre e Madre’ Oh!”. 
Maria piange di gioia. Un pianto così felice! E Giuseppe inginocchiato, ora, ai suoi piedi, piange col capo quasi nascosto nell’ampia veste di Maria, che le fa una caduta di pieghe sui poveri mattoni della stanzetta.
La visione cessa qui. 


Dice Maria SS.ma
“Nessuno interpreti in modo errato il mio pallore. Non era dato da paura umana. Umanamente mi sarei dovuta attendere la lapidazione. Ma non temevo per questo. Soffrivo per il dolore di Giuseppe. Anche il pensiero che egli mi accusasse, non mi turbava per me stessa. Soltanto mi spiaceva che egli potesse, insistendo nell’accusa, mancare alla carità. Quando lo vidi, il sangue mi andò tutto al cuore per questo. Era il momento in cui un giusto avrebbe potuto offendere la Giustizia, offendendo la Carità. E che un giusto mancasse, egli che non mancava mai, mi avrebbe dato dolore sommo. 
Se io non fossi stata umile sino al limite estremo, come ho detto a Giuseppe, non avrei meritato di portare in me Colui che, per cancellare la superbia nella razza, annichiliva Sé, Dio, all’umiliazione d’esser uomo. 
Ti ho mostrato questa scena, che nessun Vangelo riporta, perché voglio richiamare l’attenzione troppo sviata degli uomini sulle condizioni essenziali per piacere a Dio e ricevere la sua continua venuta in cuore. 
Fede: Giuseppe ha creduto ciecamente alle parole del messo celeste. Non chiedeva che di credere, perché era in lui convinzione sincera che Dio è buono e che a lui, che aveva sperato nel Signore, il Signore non avrebbe serbato il dolore d’esser un tradito, un deluso, uno schernito dal suo prossimo. Non chiedeva che di credere in me perché, onesto come era, non poteva pensare che con dolore che altri non lo fosse. Egli viveva la Legge e la Legge dice: ‘Ama il tuo prossimo come te stesso’. Noi ci amiamo tanto che ci crediamo perfetti anche quando non lo siamo. Perché allora disamare il prossimo pensandolo imperfetto? 
Carità assoluta. Carità che sa perdonare, che vuole perdonare. Perdonare in anticipo, scusando in cuor proprio le manchevolezze del prossimo. Perdonare al momento, concedendo tutte le attenuanti al colpevole. 
Umiltà assoluta come la carità. Sapere riconoscere che si è mancato anche col semplice pensiero, e non aver l’orgoglio, più nocivo ancora della colpa antecedente, di non voler dire: ‘Ho errato’. Meno Dio, tutti errano. Chi è colui che può dire: ‘Io non sbaglio mai’? E l’ancor più difficile umiltà: quella che sa tacere le meraviglie di Dio in noi, quando non è necessario proclamarle per dargliene lode, per non avvilire il prossimo che non ha tali doni speciali da Dio. Se vuole, oh! se vuole, Dio disvela Se stesso nel suo servo! Elisabetta mi ‘vide’ quale ero, lo sposo mio mi conobbe per quel che ero quando fu l’ora di conoscerlo per lui. 
Lasciate al Signore la cura di proclamarvi suoi servi. Egli ne ha un’amorosa fretta, perché ogni creatura che assurga a particolare missione è una nuova gloria aggiunta all’infinita sua, perché è testimonianza di quanto è l’uomo così come Dio lo voleva: una minore perfezione che rispecchia il suo Autore. Rimanete nell’ombra e nel silenzio, o prediletti della Grazia, per poter udire le uniche parole che sono di ‘vita’, per potere meritare di avere su voi e in voi il Sole che eterno splende. 
Oh! Luce Beatissima che sei Dio, che sei la gioia dei tuoi servi, splendi su questi servi tuoi e ne esultino nella loro umiltà, lodando Te, Te solo, che sperdi i superbi ma elevi gli umili, che ti amano, agli splendori del tuo Regno.”
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/ 

mercoledì 17 luglio 2013

Devozioni a San Giuseppe


Le "pie" devozioni a San Giuseppe

Con le devozioni entriamo nel campo della religiosità popolare, dove mag­giormente si esprime il sentimento, elemento umano che non va assolutamente sottovalutato, come dimostra la Chiesa nei suoi documenti ufficiali e nei suoi molteplici interventi.
Delle devozioni fanno parte soprattutto le "pie pratiche", ma non mancano altre espressioni, come le incoronazioni canoni­che, la musica sacra, immagini e oggetti, i nomi, le reliquie, le feste, le apparizioni. L'elenco potrebbe continuare.

Le "pie pratiche"

Incominciamo con le "pie pratiche", trac­ciando la storia di quelle più attuali, ma an­che di quelle non più in uso, che alcuni an­cora ricordano e che forse riprenderebbero volentieri con gli opportuni adattamenti.
Esse sono più numerose di quanto si pensi. La loro varietà dimostra la grande stima sempre riscossa da San Giuseppe nel popo­lo cristiano, nonostante la poca attenzione della teologia e la superficiale conoscenza della sua figura e della missione nel mistero di Cristo e della Chiesa. Nella ricerca affan­nosa di sempre nuovi mezzi e forme di evangelizzazione, alcune "pie pratiche" po­trebbero essere "rivisitate", come oggi si dice, e riproposte con frutto, tenuto conto della stabilità dei sentimenti umani.

Oltre la pratica dei Sette dolori e allegrezze di San Giuseppe, alla fine del secolo XV tro­viamo inserita nell'opera di Giovanni Mombaer (+ 1501), Rosarumhortulus, una Coroncina in onore di San Giuseppe. Più sviluppato è il Rosarium de sancto Ioseph di Giovanni Trithemius (+ 1516), abate di Sponheim: è composto di cinque decine di "articoli" (enunciazioni di un aspetto della vita di Giuseppe, seguite dalla preghiera Ave, Joseph nazarene), conclusi da un Pater no­ster e altre appropriate invocazioni.

Le prime Litanie di San Giuseppe finora co­nosciute furono pubblicate a Roma nel 1597 da Jerònimo Graciàn de la Madre de Dios; mentre l'edizione spagnola conteneva 49 in­vocazioni, quella italiana ne contava 21. Nel secolo XVII si diffusero in gran numero e con molta varietà.
II Cingolo (o Cordone) di San Giuseppe, propagato soprattutto dal 1842, è dovuto all'iniziativa di una religiosa agostiniana, nel 1659.
Risale al 1850, per opera di un cappuccino bavarese, una Coroncina (o Rosario) di San Giuseppe, composta di sessanta grani e di una speciale preghiera (Ave, Joseph), nella quale vengono inseriti i misteri della vita del Santo.

Verso il 1700 il Convento svizzero di Ein­siedeln diffuse oggetti di devozione - anelli e rosari di San Giuseppe - per ottenere la protezione contro l'impurità, la stregoneria e l'epilessia. Uno speciale olio, ottenuto dai gigli di San Giuseppe, doveva servire contro le malattie della pelle.

Probabilmente è legata alla spiritualità del padre Bartolomeu do Quental, fondatore degli Oratoriani in Portogallo (1668), la pro­pagazione del culto di una devozione specia­le verso la Trinità creata, sia sotto i simboli dei cuori di Gesù, Maria e Giuseppe, sia sot­to quello della Fuga in Egitto. Tale festa era molto popolare a Porto.

Il gesuita Antonio Natali (+ 1701) suggerisce due pratiche per il mercoledì. La prima con­siste nella recita della prima strofa dell'inno Caelitum Joseph con un Pater, Ave ripetuti sette volte. La seconda pratica, che si rifà a santa Gertrude, è detta Corona sanctae conversationis (familiarità) Jesu, Mariae et Joseph e consiste nel ripetere ai tre perso­naggi degli atti di fede, speranza, amore, sti­ma, gaudio, adorazione, lode, ringraziamen­to, offerta e desiderio. Questi dieci atti, ripe­tuti per tre volte, rievocano i trent'anni in cui Gesù, Maria e Giuseppe convissero in santa familiarità.

La devozione ai Santissimi Cuori dei Sovrani Signori Gesù, Maria e Giuseppe è testimo­niata, dal 1733, con un santuario a Porto (Portogallo). A Siviglia (Spagna) una Confraternita professava nel 1744 la Schiavitù del Sacro Cuore del gloriosissimo Signore San Giuseppe. La devozione al Cuore di San Giuseppe si diffonde nel Messico, nel 1747.
Una Pia Unione del purissimo Cuore di san Giuseppe fu promossa dal padre Michele Bocco O.M.V nel 1846.
Lo Scapolare di San Giuseppe, nato come devozione privata a Lons-le Saulnier, diocesi di Saint-Claude (Francia), per opera di una religiosa terziaria francescana, fu diffuso per merito dei padri Cappuccini e approvato dalla Santa Sede nel 1893. I padri Camilliani avevano già ottenuto, nel 1865, l'appro­vazione della formula per benedire e impor­re lo Scapolare della beata vergine Maria, San Giuseppe e San Camillo.

Le Messe di santa Teresa consistono in sette messe solenni in onore di San Giuseppe da celebrare una al mese, dal 19 aprile fino al 15 ottobre, festa di santa Teresa.

Ricordiamo tra le preghiere: il Culto perpe­tuo, iniziato a Milano nel 1854; la Corte a San Giuseppe e alla santa Famiglia, che con­siste nel visitare ogni mese un'immagine del Santo o delle tre auguste Persone che for­mano la Trinità della terra; la Corona perpe­tua di San Giuseppe, ossia la recita in un'ora determinata di un Padre nostro e sette Ave Maria, con un Gloria in onore di un dolore e allegrezza del santo Patriarca; il Sacro manto, le Tre Corone, il Piccolo Ufficio di San Giuseppe, i Cinque Salmi del nome di San Giuseppe, il Rosario di San Giuseppe, le Coroncine a Maria santissima e a San Giuseppe.

Tempi particolari dedicati a san Giuseppe sono i Nove mercoledì prima della festa di san Giuseppe, il Primo mercoledì di ogni mese, le Sette domeniche di san Giuseppe, la Novena perpetua, il Duodenario, i Diciannove mercoledì consecutivi e i Sette o i Quindici mercoledì precedenti la festa di san Giuseppe.

I Padri carmelitani introducono a Liegi (Belgio) il pio esercizio dei Sette giorni o i sette mercoledì consecutivi, nei quali si ono­rano i sette principali privilegi di san Giuseppe, ossia: la sua predestinazione a sposo di Maria e padre nutrizio di Gesù; le particolari grazie che ne conseguirono; la di­gnità di padre di Gesù; la dignità di sposo di Maria; le grazie e i favori che ricevette per il compimento del suo ministero; la gloria che ne deriva; la sua protezione verso tutti i cri­stiani.

La prima Novena indulgenziata in prepara­zione alla festa di san Giuseppe fu tenuta a Roma, nel 1713, nella chiesa di sant'Ignazio. Tra i tempi particolari dedicati a san Giuseppe notissimi sono il Mese di Marzo e tutti i Mercoledì. La pratica del Mese di San Giuseppe fu approvata da Pio IX, nel 1865. L'elenco non finisce qui. 

(Da: “ Crociata in onore di san Giuseppe)

giovedì 7 marzo 2013

La morte di San Giuseppe



La morte di San Giuseppe
(dalle rivelazioni di Madre Cecilia Baji)

Non abbiamo notizie certe sulla morte di San Giuseppe.
Può essere utile tuttavia la lettura di un testo di una grande mistica, Madre Cecilia Baji, a cui è stata rivelata la vita del nostro santo.
Il testo che riporto ha l'imprimatur di Mons. Fiorino Tagliaferri (1977),
allora Vescovo di Viterbo; come tutte le rivelazioni private non richiede
- di per sè - l' assenso proprio della fede soprannaturale.


inizio della citazione:



Il felicissimo transito di 
S. Giuseppe assistito da Gesù, 
 da Maria e
dagli Angeli Santi


Negli estremi istanti

Il nostro Giuseppe era già arrivato al colmo di quella santità a cui Dio lo aveva destinato, ed arricchito di meriti, quando Dio volle sciogliere quell'anima santissima dai legami del corpo per mandarla al Limbo dei Santi Padri, affinché desse loro la fausta notizia della vicina liberazione, perché in breve si sarebbe compiuta l'opera della Redenzione umana. 



Il fortunato Giuseppe si sentiva già arrivato agli ultimi periodi della sua vita e udiva le armonie angeliche,

che dolcemente lo invitavano per condurre la sua anima benedetta a riposarsi nel seno di Abramo. Il Santo si sentiva più che mai acceso nell'amore verso il suo Dio, che lo andava consumando. Ebbe una sublimissima estasi, dove rimase per più ore, godendo le delizie del Paradiso nei dolci colloqui col suo Dio.
Tornato dall'estasi, al meglio che poté, parlò con il suo Redentore e con la divina Madre, lì assistenti. Domandò loro perdono di tutto quello in cui egli aveva mancato in tutto il tempo che aveva avuto la sorte di stare con Loro, e fece questo con grande dolore e abbondanza di lacrime. Li ringraziò di tutta la carità che avevano usato verso di lui, di tanta pazienza nel soffrire le sue mancanze, di tanti benefici
che gli avevano fatto e di tante grazie che gli avevano impetrato dal divin Padre. Li ringraziò della cura e dell'assistenza avuta nella sua lunga e penosa infermità, e poi rese affettuose grazie al Redentore per
la Redenzione umana e di quanto aveva patito ed avrebbe patito per compiere la grande opera della Redenzione umana.


Infine rese grazie tanto al Figlio come alla Madre di tutto quello che avevano operato per lui, non dimenticando neppure una parola, venendogli allora alla mente tutti i benefici da loro ricevuti. Infine, in segno del suo grande amore verso la sua Santa Sposa, non già che ve ne fosse bisogno, la lasciò raccomandata in modo speciale al suo divin Figliolo, con parole di tenerissimo affetto e con lacrime di dolcezza, rimirandola con grande amore e compassione per quel tanto che le restava da soffrire per la passione e morte del Salvatore, considerando come in quel tempo sarebbe stata derelitta e abbandonata, immersa in un mare di dolore e di affanni.



Gli fu anche confermato dal Redentore il compito di avvocato e protettore degli agonizzanti, che il Santo, di buon cuore, accettò di nuovo con desiderio e volontà di giovare a tutti. 


 Domandò poi, con grande

umiltà, la benedizione al suo Gesù e alla divina Madre, supplicandoli di non privarlo di quella consolazione. Ma tanto l'umilissimo Gesù, come la divina Madre vollero essere benedetti da lui, come loro capo, dato loro dal divin Padre. Il Santo fece questo con molta tenerezza per obbedire, ed anch'egli ricevette la loro benedizione che lo ricolmò di consolazione e di giubilo. Cresceva sempre più la veemenza dell'amore nel cuore del fortunato Giuseppe, come anche il dolore; e ridotto alle ultime agonie si vedeva tutto infiammato e acceso d'amore celeste, stando con gli occhi fissi ora verso il cielo, ora nel Redentore ed ora nella sua santissima e purissima Sposa, godendo di tale vista e di trovarsi assistito dai due Tesori del Cielo, di cui egli era stato il fedelissimo custode.

Ad ogni respiro nominava i dolcissimi nomi di Dio Padre, di Gesù e di Maria, che gli apportavano una dolcezza indescrivibile. Il Salvatore lo teneva per la mano e vicino alla sua testa, e gli parlava della bontà, dell'amore e delle grandezze del suo divin Padre, e le sue divine parole penetravano l'anima del moribondo Giuseppe e lo accendevano sempre più nell'amore del suo Dio.



Suo transito - Arrivato l'ultimo momento della sua vita, il Redentore invitò quell'anima benedetta ad uscire dal corpo per riceverla nelle sue mani santissime e consegnarla agli Angeli affinché l'avessero accompagnata al Limbo. A questo dolce invito il nostro fortunato Giuseppe spirò, invocando il dolcissimo nome di Maria e di Gesù, suo Redentore; spirò in un atto violento d'amore verso il suo amato Dio. Che anima veramente fortunata!

Maria vede l'anima di Giuseppe - Il Salvatore ricevette l'anima di Giuseppe nelle sue Santissime mani e la fece vedere alla sua Santissima Madre affinché si consolasse, essendo molto afflitta per la perdita di un così santo e fedelissimo compagno. La gran Vergine vide quell'anima
santa tanto ricca di meriti e adorna di tanta grazia e virtù, per la quale restò molto consolata, come anche per la preziosa morte che aveva fatto il suo amato Sposo, per cui ne rese grazie abbondantemente al divin Padre e si rallegrò con l'anima santissima del suo fortunato Giuseppe.

Il giorno della sua morte - Il nostro fortunatissimo Giuseppe morì il giorno venerdì, 19 marzo alle ore ventuno, a circa sessantun'anni. Il suo cadavere rimase tanto bello che sembrava un Angelo del Paradiso, e circondato da un mirabile chiarore, emanando un profumo soavissimo e grande venerazione.

E' compianto da tutti - Si sparse poi la voce per tutta Nazareth della morte di Giuseppe e fu compianto da tutti, specialmente dai suoi amorevoli. Ognuno raccontava le mirabili virtù del sant'uomo, e non vi fu alcuno che potesse dire una parola in contrario, perché tutti erano stati testimoni delle sue rare e mirabili virtù. Quando il cadavere fu portato fuori per dargli un'onorevole sepoltura, accorse una grande moltitudine di popolo per vederlo, restando tutti ammirati della rara bellezza del santo corpo. Si vedevano tutti lacrimare per la tenerezza e la compunzione, e tutti lo chiamavano uomo veramente di Dio e osservatore zelante della legge divina.




Suoi funerali - Il Santo cadavere fu accompagnato dal Salvatore e dalla divina Madre con le pie donne che l'andavano consolando. Fu accompagnato anche dagli Angeli che assistevano il Re e la Regina del cielo, con cantici di lode, nonostante non fossero ne' uditi ne' visti dai presenti.
L'aria stessa apparve serena e come lieta e ridente e perfino gli uccellini facevano canti festosi, cosa che fu ammirata da tutti, e tutti sentivano il soavissimo profumo che il venerabile cadavere emanava.
Terminate le funzioni secondo la legge ebraica, la divina Madre e il Salvatore se ne tornarono a casa, dove furono di nuovo consolati dagli amici e dai vicini, e poi lasciati in libertà.

Alla sua morte ottenne grazie per i moribondi - Nello stesso istante poi, che il nostro fortunatissimo Giuseppe spirò, morirono anche alcune altre persone a Nazareth e in altre parti dove si osservava la Legge data da Dio a Mosé, cioé degli Ebrei; e al nostro Giuseppe fu dato da Dio di conoscere come anche costoro stessero agonizzando, e il Santo porse calde suppliche per loro al suo Dio, domandando con grande insistenza la loro salvezza eterna, volendo anche in punto di morte esercitare il suo ufficio di avvocato degli agonizzanti. 



Egli fu esaudito da Dio, perché si degnò di dare a tutti quei moribondi un atto di vero dolore e tutti furono salvi per i meriti e le suppliche di S. Giuseppe, volendo Dio consolare il suo fedelissimo servo col concedergli quanto gli chiedeva. E come poteva Dio non esaudire le suppliche di un'anima tanto santa e che con tanta fedeltà l'aveva servito e con tanto amore l'aveva amato ed obbedito prontamente in tutti i Suoi ordini con tanta prontezza, umiltà e rassegnazione e che con tanta esattezza aveva osservato la Legge ed imitato i vari esempi di Gesù e di Maria?


fine della citazione.



AVE MARIA!

martedì 22 gennaio 2013

Purissimo sposalizio di S. Giuseppe con la Santissima Fanciulla Maria, e preparazione del medesimo.

23 gennaio: Festa dello Sposalizio della Beata Vergine Maria con  il castissimo Sposo  San Giuseppe


S. Giuseppe prima del suo sposalizio 
con la Santissima Vergine

Dio lo prepara alle nozze con Maria - San Giuseppe aveva già compiuto trent'anni, e conservato illibato il suo verginale candore ed innocenza, arricchito di grandi meriti e ornato di tutte le virtù; ed essendo arrivato il tempo in cui Dio aveva decretato di dargli per sua sposa e fedele compagna la Santissima Vergine Maria, avendo anch'ella compiuto quattordici anni di età, Dio volle che Giuseppe si preparasse al nobile e sublime verginale sposalizio, e nonostante la vita del Santo fosse stata tutta una continua preparazione al ricevimento di un così sublime favore, tuttavia in questi ultimi giorni volle da lui una preparazione più singolare.

La notte gli fece dire dall'Angelo, mentre dormiva, che si preparasse al ricevimento di una delle più sublimi grazie che l'Altissimo voleva fargli, e questo per un mese continuo, e che avesse raddoppiato le suppliche e accresciuto i desideri ardenti del suo cuore. Destatosi dal sonno, Giuseppe si trovò tutto infiammato dal desiderio di ricevere presto la grazia promessa, e tutto amore verso il suo Dio, esclamò: «Oh, quanto sei buono, Dio d'Israele! Come sei fedele nelle tue promesse! La mia anima desidera la grazia promessa, ma desidera molto di più l'aumento del tuo amore e di glorificarti in tutte le mie azioni»

E così tutto infiammato d'amore, se ne andò al Tempio, e qui, adorato il suo Dio, lodò la sua infinita bontà. Si trattenne molto a pregare e a supplicare Dio della grazia a lui promessa, e nonostante non sapesse che cosa fosse, tuttavia la chiamava grazia grande e dono sublime, sia perché gliel'aveva detto l'Angelo, sia perché già era certo che Dio sa fare grandi cose e che fa grazie e doni al suo pari. In questa orazione, il nostro Giuseppe si sentì accendere nel cuore un amore più intenso e tenero verso la Santissima Fanciulla Maria, e in questo sentimento Dio gli manifestò come lei stessa pregava molto per lui, e le sue preghiere erano molto accette e gradite a Dio. E Santo si rallegrò molto di questo, e crebbe di più in lui l'amore purissimo verso di lei, in modo che piangeva per la dolcezza che sentiva nel pensare a lei e alle sue singolari virtù e santità, e spesso diceva anche fra sé: «O Fanciulla Maria, santissima e perfettissima in ogni virtù, tu preghi tanto per me, indegnissimo, ed io che cosa farò per te? Non posso fare altro che raccomandarti caldamente al nostro Dio, affinché ti arricchisca di più dei suoi doni e ti ricolmi sempre di più delle sue grazie». E nel dire questo si andava accendendo anche nel suo cuore un vivo desiderio di arrivare una volta a parlarle, ma siccome se ne stimava indegno, reprimeva questo desiderio affinché non crescesse in lui la brama, perché stimava difficile che questo potesse riuscirgli. 

Dopo essere stato per più ore così al Tempio, se ne andò tutto consolato e ricolmo di giubilo, ma al Santo sembrava di non potersi allontanare dal Tempio, e perciò in quel mese fece quasi continuamente qui la sua dimora. Si preparò con digiuni, soffrendo fame, sete ed ogni altra scomodità, con tanta allegrezza e giubilo del suo cuore, che ogni patimento gli sapeva di delizia. In questo tempo attese poco al lavoro, impiegandosi tutto nella preghiera, in suppliche premurose, crescendo in lui a meraviglia il desiderio di conseguire presto la grazia promessagli. 

Per quel mese il Santo Giovane non parlò mai, ma nel profondo del silenzio con le creature, parlò sempre col suo Dio, facendo continui atti di offerte, di suppliche, di ringraziamenti, lodando e benedicendo l'infinita bontà di Dio al quale caldamente raccomandava la santa fanciulla Maria. Non cadde mai nella mente del Santo alcun pensiero che potesse essergli data per sposa, benché ella fosse già in stato di accasarsi, e di questo già si trattasse da chi ne aveva la cura; perché già sapeva che lei
aveva consacrato a Dio, con un voto, la sua verginità, ed anch'egli l'aveva fatto ad imitazione di lei. 

Il Concorso - Il nostro Giuseppe sentì dire che la Santa Fanciulla si doveva sposare, perché si fece conoscere a tutti quelli della stirpe di Davide che sarebbero andati al Tempio che, colui al quale Dio avesse manifestato essere sua volontà, l'avrebbero data per sposa. Egli ne restò ammirato, e diceva: «Beato quello a cui toccherà così bella sorte!»
Anche lui doveva concorrere come discendente della stirpe di Davide? Stette in gran perplessità, ma per obbedire all'ordine, si dispose anch'egli al concorso pensando che una così bella sorte non sarebbe toccata a lui, tanto più che aveva già consacrato a Dio la sua verginità; tuttavia si raccomandava molto a Dio, e lo pregava del suo favore ed aiuto in quell'affare di tanto rilievo. 

Ambasciata dell'Angelo - Finito il mese della preparazione che il Santo aveva già fatto, stava tutto ansioso di ricevere la grazia promessa. Arrivato poi il giorno nel quale si doveva scegliere lo sposo alla Santa Fanciulla Maria, la notte precedente gli apparve di nuovo l'Angelo nel sonno e gli disse: «Sappi, Giuseppe, che Dio ha gradito molto la tua preparazione e i tuoi desideri infuocati». E gli mise in mano una candida colomba, dicendogli: «Prendi questo dono che Dio ti fa, e tu sarai custode della sua purezza. Tienila pur cara, perché questa è la delizia del cuore di Dio, è la creatura a Lui più diletta ed accetta che ci sia mai stata e ci sarà al mondo». L'Angelo non gli disse altro. Giuseppe ricevette la purissima colomba nelle sue mani, e tutto festoso per la grazia ricevuta si svegliò, e si trovò tutto infiammato d'amore verso il suo Dio; ma il Santo non poteva penetrare il significato di quel sogno. Si sentiva particolarmente allegro e contento e non stava in se stesso per la gioia, ma non sapeva quello che sarebbe seguito di lui. 
Poi ebbe qualche lume che quella colomba potesse significargli come gli sarebbe toccata in sorte la Fanciulla Maria per sposa, ma siccome era umilissimo, e si reputava indegno di questo, non ci fece troppa riflessione. Si preparò peraltro, la mattina, per andare al Tempio al concorso con gli altri discendenti di Davide, dove seguì quello che si dirà.



Purissimo sposalizio di S. Giuseppe con la Santissima Fanciulla Maria


Umile supplica - Arrivata la mattina, il nostro Giuseppe si preparò per andare al Tempio, e genuflesso nella sua povera bottega, adorò il suo Dio dicendogli: 
«O Dio di Abramo, d'Isacco, e di Giacobbe, Dio mio e tutto il mio bene, confesso di essere stato sempre protetto da Te in tutte le mie azioni, assistito e consolato in tutti i miei travagli, difeso dai miei avversari, e consolato nelle mie angustie; non ho mai diffidato della tua protezione, avendoti sperimentato in tutto fedelissimo e misericordioso. Ora ti supplico del tuo favore, aiuto e consiglio nella presente occasione. Io mi conosco indegnissimo del favore sublime che possa toccarmi la sorte di avere per sposa e compagna la Santa Fanciulla Maria, e perciò non ho di ciò pretesa alcuna, ed intanto vi concorro, in quanto così viene ordinato, essendo piaciuto alla tua bontà, farmi nascere dalla stirpe di Davide, alla discendenza del quale promettesti di far nascere il Messia; perciò ti supplico di dare alla Santa Fanciulla uno sposo che sia degno di lei e secondo il tuo cuore, e a me, di volere accrescere la tua grazia e il tuo amore. Io mi metto tutto nelle tue mani divine, e si faccia di me tutto quello che a Te piacerà, dichiarandomi che altro non bramo, che si esegua in me la tua divina volontà»
Fatta questa preghiera, il Santo si sentì tutto acceso di un più ardente amore verso il suo Dio e di un santo amore verso la Santissima Fanciulla Maria, in modo che non vedeva l'ora di poter vedere e conoscere colei che per più anni aveva sperimentato favorevole delle sue preghiere e per mezzo della quale aveva ottenuto molte grazie; desiderava vedere e conoscere colei che era tanto cara al suo Dio e tanto ricca di meriti e colma di virtù, e diceva: «Saranno pur fatti degni i miei occhi di vedere questa Santa Fanciulla, questo prodigio della grazia? Oh, che fortuna è la mia! Beato a chi toccherà una sorte così felice di averla per sposa e fedele compagna! Non bramo io già di averla per mia compagna, essendo troppo vile ed indegno, ma quanto mi stimerei felice, se potessi avere la sorte di essere suo servo!». Questi erano i pensieri di Giuseppe, che se ne andò al Tempio a pregare, dove raddoppiò le suppliche a Dio. 

Al concorso - Quando furono radunati anche gli altri discendenti di Davide, con molti altri ancora che desideravano vedere la Santa Fanciulla, per la fama grande che ne correva per la città, il sacerdote che doveva sposarla a quelli della stirpe di Davide propose che per intendere la volontà divina e conoscere quale da Dio fosse stato destinato per sposo di una così degna fanciulla, ognuno di loro avrebbe dovuto tenere in mano una verga secca, e porgere suppliche a Dio affinché facesse fiorire la verga di colui che aveva destinato per suo sposo. Fu accettato di comune accordo, e così fu fatto. 

La Santissima Vergine Maria, intanto, nel suo ritiro, stava supplicando Dio del suo aiuto e della sua grazia, affinché le avesse assegnato uno sposo vergine e che avrebbe dovuto essere il custode della sua purezza, e già vide in spirito come le sarebbe stato assegnato il castissimo e santissimo Giuseppe; perciò tutta allegra ne rendeva grazie al suo Dio. 

La verga fiorita - Mentre il Sacerdote intanto pregava con tutti gli altri, e il nostro Giuseppe stava nel luogo più basso e ritirato, perché si conosceva indegno, si vide in un subito fiorire la sua verga e ricoprirsi di candidissimi fiori; il prodigio fu subito ammirato da tutti, perciò tutti i ministri del Tempio ed il Sacerdote dissero che lui era destinato da Dio come sposo della Santa Fanciulla. 
Poi Dio volle dare anche un altro segno manifesto del castissimo sposalizio, mentre da tutti fu vista una candida colomba scendere dal cielo e posarsi sul capo di Giuseppe, facendo restare tutti ammirati e certi che Dio lo aveva scelto fra tutti per sposo della Santissima Fanciulla; perciò tutti si rallegrarono, solo quelli che restarono delusi si dolevano della loro poco buona sorte. Quale fosse poi il sentimento dell'umilissimo Giuseppe, ognuno se lo può immaginare. 

Gioia di Giuseppe - Il suo cuore si riempì di gioia ed insieme di confusione, perché si stimava indegnissimo di questo, e in mezzo alla confusione della sua indegnità esultava e giubilava per la felice sorte in modo che andò in estasi, dicendo sempre: «E dove a me, mio Dio, un favore così grande? E quando mai ho meritato una grazia così speciale? Oh, che con ragione l'Angelo mi disse che Tu mi avresti fatto una grazia molto grande, e che io mi sarei dovuto preparare a ciò! Ora capisco qual'era la purissima colomba che mi fu data in mano, affinché io fossi il custode della sua purezza. E lo sarò, mio Dio, con l'aiuto della tua grazia e col favore della mia cara colomba e sposa, Maria». 

Sposalizio verginale - Intanto si fece venire la Santissima Fanciulla Maria, affinché il Sacerdote l'avesse sposata con S. Giuseppe, e tutti si trattennero per vedere. La Santissima Fanciulla comparve con gli occhi fissi a terra, ricoperta di un mirabile e verginale rossore, e alla sua vista ognuno restò stupito ed ammirato per la sua rara bellezza e grazia, e per la modestia singolare, invidiando tutti la felice sorte di Giuseppe. Quando Giuseppe la vide restò estatico per lo stupore e pianse per il giubilo del suo cuore. Il Santo vide un grande splendore nel volto verginale della sua purissima sposa, ed intese nel suo cuore la voce del suo Dio, che gli diceva: « Giuseppe, mio fedele servo, ecco io ti faccio il dono promesso, e ti dò per sposa la più cara creatura che io abbia sopra la terra. Consegno a te questo tesoro, perché tu sia il suo custode. Questa purissima colomba sarà la tua fedelissima compagna, ed ambedue vi conserverete vergini, essendo appunto la verginità il nodo strettissimo del vostro sposalizio. L'amore di voi due, ora si unirà in uno, il quale sarà a me consacrato, essendo io la sua sfera e lo scopo di tutti i vostri affetti e desideri». La gioia nell'animo di Giuseppe si inondò molto di più, e il suo cuore si riempì di consolazione e giubilo. 

Il Santo non ardiva di guardare la sua purissima sposa, ma pure si sentiva attirare da un vero e cordiale amore, e da una tenera devozione a rimirare e venerare la bellezza e la maestà del suo volto; ed ogni volta che alzava gli occhi per vederla, restava estatico, e ben conosceva con lume superiore, come la sua sposa era colma di grazia e si umiliava, riconoscendosi indegnissimo di trattare con lei e spesso replicava: «E come, o Signore e Dio mio, Tu hai fatto a me un così grande favore?»

Intanto il Sacerdote fece la funzione che si praticava in quei tempi, e li sposò insieme, e nell'atto dello sposalizio i santi sposi videro uscire dai loro cuori una fiamma che si unì insieme facendosi una sola e volò verso il cielo, confermando Dio, con questo segno visibile, quello che aveva detto a Giuseppe interiormente, e cioè che il loro amore si sarebbe unito in uno solo e che Lui sarebbe stato l'oggetto amato, volando la fiamma alla sua sfera. 

Lasciano il Tempio - Terminata la funzione e consegnata la Santa Fanciulla dal Sacerdote a Giuseppe, e a lui caldamente raccomandata, se ne andarono tutti dal Tempio, restando qui i due santi sposi a pregare per più ore rapiti in estasi, dove furono rivelati da Dio altissimi misteri; Giuseppe più che mai restò informato delle rare virtù della sua purissima sposa, così come anche la Santissima Sposa conobbe chiaramente le virtù e i meriti del suo santo sposo, e fecero ambedue gli atti di ringraziamento alla divina beneficenza che tanto li aveva favoriti e così bene accompagnati ed uniti in perfettissimo e castissimo amore. Terminata la loro preghiera e ottenuta ambedue la benedizione di Dio, se ne andarono dal Tempio, conducendo con sé, il nostro fortunato Giuseppe, la sua purissima sposa come un tesoro incomparabile datogli da Dio. Il Santo rimirava i passi di lei, e in tutto la riconosceva colma di grazia, di modestia e di prudenza. 

Offre a Maria la sua povera dimora - Usciti dal Tempio S. Giuseppe parlò alla Santissima sposa Maria con grande riverenza ed amore, e brevemente le disse come lui non aveva una casa capace per dimorarvi, ma solo una piccola stanza dove egli lavorava, e che perciò se si accontentava che l'avesse condotta qui per allora, perché poi avrebbero deciso quello che dovevano fare. L'umilissima sposa gli rispose che la conducesse pure dove lui dimorava, perché qui avrebbero conferito insieme, e avrebbero fatto quello che Dio avesse voluto, mentre l'avrebbero pregato di manifestare loro la sua divina volontà.

Contentissimo della risposta, il Santo la condusse al piccolo albergo, essendo già l'ora tarda. Entrati nella stanza diedero insieme lode a Dio, ringraziandolo di nuovo del beneficio che aveva fatto loro di unirli insieme. Il Santo piangeva nel vedersi tanto sprovvisto, non potendo dare alla sua sposa un luogo capace per il quale lei potesse stare ritirata, ma la sua santa Sposa gli fece animo e lo consolò. Dopo si rifocillarono con poco pane, acqua e alcuni frutti che il Santo aveva qui e dopo incominciarono a discorrere della bontà e della grandezza di Dio. 

Santi colloqui - Il Santo stava tutto assorto nell'udire le parole della Santissima Sposa, piangendo per la dolcezza e mentre il suo cuore giubilava per la consolazione. Le riferì tutto quello che, la notte prima che avesse la sorte di sposarla, l'Angelo gli aveva detto nel sonno, e benché la sua Sposa sapesse tutto ne mostrò gran contento. Le manifestò poi come a lui era già noto il voto di verginità che lei aveva fatto, e che ad imitazione sua l'aveva fatto anche lui; di questo la Santa Sposa si rallegrò, e incominciarono a parlare della sublimità di questa così rara virtù. Passarono infatti tutta la notte in queste conversazioni che parvero, al Santo, brevissimi momenti, tanta era la consolazione che sentiva nel ragionare con la sua purissima e Santissima Sposa, e nell'udire le sue parole tutte infiammate d'amore di Dio e tutte accese di carità perfetta, restando sempre più ammirato della grazia e della virtù della sua Sposa Santissima. 
Il Santo Sposo la chiamava spesso colomba mia; e le disse che non ne prendesse ammirazione di questo, perché avendogli dato l'Angelo una colomba quando gli parlò nel sonno, che significava essere lei stessa, così con ragione la poteva chiamare colomba sua, avendola, sotto tale figura, a lui consegnata. La Santissima Sposa chinava la testa, quando il suo Santo Sposo le diceva questo, dicendogli che lei stava in tutto soggetta a lui e che la chiamasse come a lui piaceva. Ogni volta che la Santa Sposa gli parlava, le sue parole erano come dardi infuocati che andavano a vibrarsi nel cuore del castissimo Sposo e l'accendevano sempre più di un amore ardente verso Dio, e di un amore puro e santo verso di lei. 

Umile dipendenza di Maria - Arrivata la mattina, avendo passato tutta la notte in sacri colloqui, la Vergine disse al suo sposo Giuseppe, che lei si ritrovava una piccola casetta a Nazareth, loro patria, che avrebbe appunto fatto per loro, bastando alla loro povertà ogni piccolo ricovero; e se a lui avesse fatto piacere di andare a stare lì, e se fosse stata la volontà dell'Altissimo, lei era prontissima ad andarvi, per vivere lì con la loro quiete. Il Santo Sposo Giuseppe gradì molto quanto la sua Sposa gli disse, e rimasero d'accordo di andare al Tempio a pregare e supplicare Dio, affinché si fosse degnato di manifestare loro, in questo, la sua divina volontà, così come anche in tutte le altre loro operazioni; e benché la sua Santissima Sposa sapesse benissimo quello che Dio voleva, tuttavia teneva celato il segreto, aspettando che Dio l'avesse manifestato al suo Sposo Giuseppe, perché lei voleva in tutto e per tutto dipendere dai suoi comandi e dai suoi ordini. 

La volontà di Dio - La mattina andarono per tempo al Tempio, e qui si trattennero molto a pregare, e Dio manifestò a Giuseppe la sua volontà, che era che andassero ad abitare a Nazareth, loro patria; lo stesso disse di nuovo alla Santissima Vergine. Quando ebbero terminato la loro orazione se ne tornarono al piccolo albergo, e qui Giuseppe chiese alla sua Sposa quello che doveva fare per adempire la volontà divina, e lei lo supplicò di dire lui quel tanto che aveva udito. Il Santo narrò tutto alla sua Sposa, dicendole inoltre che lui era anche pronto a fare quello che Dio avesse manifestato a lei, e lei gli confermò quello che lui le aveva detto e che credeva essere quella la volontà dell'Altissimo, cioè che si fossero ritirati a Nazareth loro patria; e dando lode a Dio, perché aveva manifestato loro la Sua volontà, stabilirono di partire subito; perciò il Santo trovò un vile giumento e lo caricò di tutte le cose che erano necessarie per il suo lavoro e di quel poco che aveva, e si risolvette di partire da Gerusalemme, tanto più che era libero da ogni lavoro, e non aveva da fare qui cosa alcuna. 

Partenza da Gerusalemme - Decisi già di partire la mattina seguente, si portarono prima al Tempio a pregare e dopo parlarono di nuovo al Sacerdote che li aveva sposati, domandandogli la benedizione. La Santa Sposa si licenziò anche da quelli con cui aveva dimorato al Tempio, e in particolare da chi aveva avuto cura di lei, e con la sua benedizione partì. I due Santi Sposi uscirono dal Tempio, dopo avere qui pregato, adorato e lodato il loro Dio. 

Somma gioia di Giuseppe - Benché il Santo Sposo avesse avuto sempre il desiderio di fare la sua dimora a Gerusalemme, per poter frequentare il Tempio, tuttavia partì molto contento, bastandogli, diceva lui, di avere la bella sorte della compagnia della Santissima e purissima sua Sposa, non avendo più che bramare nel mondo, essendo pienamente contento, e diceva sovente al suo Dio: «Dio mio, Tu mi hai fatto una grazia così grande nel darmi in custodia la tua diletta ed amata fanciulla Maria, che io ora non ho più che desiderare, mentre in lei il mio spirito trova tutto ciò che sa bramare, e le sue parole mi consolano abbastanza. Ella è un tesoro che da me sarà sempre più stimato, così come vado sempre più conoscendo il suo merito e le sublimi virtù di cui l'hai ricolmata». Poi, rivolto alla sua Sposa, le diceva: «Credi, mia Sposa, che Dio mi ha fatto una grazia così grande nel darti a me per compagna, che io ora non so più che bramare, solo che l'adempimento della volontà divina e di impiegarmi tutto al servizio del nostro Dio. E non sarà poca fortuna la mia, di poterti mantenere con il lavoro che farò se a Dio e a te così piacerà, che io mi impieghi nell'arte che ho imparato per sostentarmi. Quando poi Dio voglia che mi impieghi in altro, e a te non sia in piacere, eccomi pronto a fare tutto». La Santissima Sposa rispondeva a queste parole con grande umiltà e con grande prudenza, rimettendosi sempre al volere dell'Altissimo e a quello del suo Sposo Giuseppe, e con queste umili risposte il suo Sposo Giuseppe si affezionava sempre più, e ammirava sempre più le sue virtù, in modo tale, che diceva spesso fra di sé: «Se non sapessi chi fosse la mia sposa, e se non la conoscessi per figlia di Gioacchino ed Anna, direi certo che fosse scesa dal cielo, parendo a me, che una creatura umana non sia capace di tanta virtù e tanta grazia». Poi ringraziava il suo Dio che si era degnato di arricchirla tanto e privilegiarla sopra ogni altra creatura.


AVE MARIA PURISSIMA!
Tu Regis alti ianua 
et aula lucis fulgida
VIRGO POTENS, ORA PRO NOBIS!