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lunedì 25 marzo 2013

"O Mio Gesù!...



Ven Espíritu Santo, ven por medio de la poderosa intercesión del Corazón Inmaculado de María, tu amadísima Esposa
<<O Mio Gesù! Tu sei la Luce della Terra.
Tu sei la Fiamma che tocca tutte le anime.

La Tua Misericordia e il Tuo Amore 

non conoscono limiti.

Noi non siamo degni del Sacrificio che hai fatto 

con la Tua morte sulla Croce.

Eppure sappiamo che il Tuo Amore per noi 

è più grande dell’amore che abbiamo per Te.
Accresci in noi il Tuo Amore!

Donaci Signore il dono dell’umiltà in modo da essere meritevoli del Tuo Nuovo Regno.
Riempici di Spirito Santo in modo che possiamo marciare avanti e condurre il Tuo esercito
per proclamare la Verità della Tua Parola Santa e preparare i nostri fratelli e sorelle
per la Gloria della Tua Seconda Venuta sulla Terra.

Noi Ti onoriamo. 
Noi Ti lodiamo.
Ti offriamo i nostri dolori, le nostre sofferenze 
come dono per Te per salvare le anime.
Ti amiamo Gesù.
Abbi pietà di tutti i Tuoi figli 
ovunque essi si trovino. 
L'Immacolato Cuore di Maria 
interceda per noi.
AMEN!>>

Recitatarla, per tre volte, potendolo, 
preferibilmente durante ogni periodo di digiuno.

mercoledì 6 febbraio 2013

***...con gioia i sacrifici. OffriteMi tutto...



Opera scritta dalla Divina Sapienza per gli eletti degli ultimi tempi

31.01.13


Eletti, amici cari, sopportate con gioia i sacrifici. OffriteMi tutto e Io, Io, Gesù, benedico la vostra vita, passo dopo passo.



Sposa cara, sia gioia anche nel sacrificio, sia gioia anche nella pena: ciò che permetto è per la salvezza delle anime. Accanto alla supplica ci sia sempre il sacrificio. Piccola sposa, così si salvano le anime: con la preghiera ed il sacrificio, sopportato ed offerto per amore.

Mi dici: “Adorato Gesù, i sacrifici l’uomo li sopporta sempre a fatica. Accogli, Dolce Amore, il poco che sappiamo offrire e concedi al mondo le Grazie di salvezza.”

Sposa amata, so quello che ognuno può dare ed accolgo anche i più piccoli doni; ma credi che siano molti coloro che Mi offrono? No. Ti dico: sono pochi, mentre sono in gran numero quelli che nulla Mi vogliono offrire. Pensa e rifletti sulle Mie Parole: chi molto Mi offre molto riceve in cambio; chi poco Mi offre non può aspettarsi che poco e chi poi non offre non riceve.

Mi dici: “Dolce Amore, l’uomo del terzo millennio ancora questo non l’ha compreso. Gli uomini che poco dànno si aspettano molto e s’illudono di avere sempre di più, dando sempre di meno. Capisco, Dolce Amore, che il nemico ha confuso le menti. Questa è una sua azione da Te permessa.”

Sposa cara, il nemico agisce sempre col Mio Permesso ed Io, Io, Dio, permetto ciò che serve alle anime per la loro salvezza. L’uomo nello smarrimento cerca Luce, chiede Luce, supplica Luce ed Io, Dio, la concedo. Sposa cara, quando tutto va bene, l’uomo Mi dimentica e, spesso, non Mi pensa proprio. Questa situazione può durare a lungo, anche un’intera vita può durare; ma quando entrano il dolore, il patimento, ecco che la mente corre a Me per supplicare. Il dolore, il patimento sono la medicina che porta a Me, Dio, ogni anima.

Mi dici: “Dolce Amore, capisco il significato del grande dolore del mondo. In questo tempo, Tu, Dio Santissimo, vuoi che ogni uomo venga a Te. Questo è il fine delle dure prove di questo tempo e chi le sopporta con pazienza si avvia sulla strada della salvezza. Tu, Santissimo, Tu, Dolce Amore, usi sempre strategie mirate. Sapiente sei Tu, Gesù, e grande nell’Amore: non vuoi la perdita delle anime, ma che tutte si salvino! Se ogni  uomo giungesse a capire la grandezza del Tuo Amore! Il dolore, il patimento, Tu li permetti per la salvezza delle anime. Crei l’uomo per la Gioia, per la grande Felicità con Te, ma egli non obbedisce ai Tuoi Comandamenti e, spesso, segue le sue passioni, rischiando la rovina; Tu allora, Padre amorevolissimo, usi la medicina che serve per lui: la prova, il dolore, il patimento. Dio d’Amore e d’Infinita Tenerezza, faTTi conoscere sempre più. Ogni malato cada ai Tuoi Piedi per supplicare il Perdono, prima della guarigione, e passi, poi, la sua vita a benedirTi.”

Sposa amata, bene hai parlato, perché il Mio Spirito è in te. L’uomo deve chiedere non solo la guarigione, come sempre fa, ma prima il perdono dei suoi peccati.

Mi dici: “Nel dolore l’uomo chiede solo di essere liberato; pochi capiscono che devono supplicare il perdono dei peccati. Concedi ad ogni peccatore di capire la condizione della sua anima per poterla salvare.”

Piccola Mia, nella preghiera parlo all’uomo e lo guido alla salvezza; ma sono molti coloro che non pregano col cuore, ripetono solo con le labbra Signore, Signore, ma il cuore è un gelo, è una pietra, che non si lascia scalfire. Sposa cara Io, Io, Gesù, sono il Signore di pochi cuori che a Me si sono donati. A questi dono in terra un anticipo di Paradiso. Resta, felice, nel Mio Cuore e godine le Delizie d’Amore.  Ti amo.
                                                                                  Vi amo.

                                                                                              Gesù


Opera scritta dalla Divina Sapienza per gli eletti degli ultimi tempi


31.01.13


La Mamma parla agli eletti



Figli cari e tanto amati, percorrete la via di Luce, che vi indico. Non deviate, ma procedete, secondo la Mia Guida: vi conduco a Mio Figlio per essere felici! Insieme adoriamoLo. Vi amo.    
                                                                                 Ti amo, angelo Mio.

                                                                                              Maria Santissima



Maria Mater gratiæ,
Dulcis Parens clementiæ,
Tu nos ab hoste protege,
Et mortis hora suscipe.

lunedì 17 dicembre 2012

Poco fedeli e tiepidi molto...

LE CHIESE 
COME ROSE PROFUMATE



27 ‑ 1 ‑ 1944. Dice Gesù:
«È una pagina dolorosa a dettarla, a scriverla, a leggerla. Ma è verità e va detta. Scrivi. È per i sacerdoti.
Molto si accusano i fedeli d’esser poco fedeli e tiepidi molto. Molto si accusano gli uomini d’esser senza carità, senza purezza, senza distacco dalle ricchezze, senza spirito di fede. Ma come i figli, salvo rare eccezioni, sono come li formano i genitori, non tanto con le repressioni, quanto con l’esempio, altrettanto i fedeli sono, salvo le sempre esistenti eccezioni, quali li formano i sacerdoti, non tanto con le parole quanto con l’esempio.
Le chiese sparse fra mezzo alle case dell’uomo dovrebbero essere come un faro ed un purificatoio. Da esse dovrebbe sprigionarsi una luce dolce e potente, penetrante e attirante, che, come è della luce del giorno, penetrasse, nonostante tutti i serrami, nel fondo dei cuori.
Guardate una bella giornata d’estate. Una gloria di luce s’effonde dal sole e abbraccia la terra. Così vittoriosa e potente che anche nella stanza più chiusa l’oscurità non è mai completa. Sarà un raggio sottile come capello di bambino, sarà un punto tremolante su una parete, sarà un pulviscolo d’oro danzante nell’atmosfera, ma un piccolo segno di luce sta in quella stanza a testimoniare che fuori vi è lo sfolgorante sole di Dio.
Ugualmente nei cuori più chiusi, se dalle chiese sparse fra le case si effondesse una “luce” quale Io ve l’ho indicata come vostro segno, o sacerdoti che Io chiamo “luce del mondo” - ho chiamato così quando vi ho creati ‑ un filo, un punto, un pulviscolo di luce penetrerebbe, quel tanto da ricordare che vi è sul mondo “una Luce”, quel tanto da metter fame di luce, di “quella Luce”, nei cuori.
Ma quante sono le chiese dalle quali emana una così viva luce da forzare le chiuse porte dei cuori e penetrarvi e portarvi Dio, Dio che è Luce? Ma quante sono le anime delle chiese, voi parroci e curati, voi sacerdoti e monaci, voi tutti che Io ho vocati ad esser portatori di Me ai cuori, che siano talmente accesi dalla Carità da riuscire a vincere il gelo delle anime ed a portare nei cuori degli uomini l’amore di Dio e l’amore a Dio, a Dio che è Carità?
Gli uomini nei loro dolori, ed Io solo so se sono tanti, nei loro dolori, diversi dai vostri ‑ o almeno i vostri dovrebbero esser diversi dai loro, perché i vostri dovrebbero essere solo pene che vengono dallo zelo per il vostro Signore Iddio non sufficientemente amato, per i fedeli che si perdono, per i peccatori che non si convertono, questi e non altri dovrebbero essere i vostri dolori perché Io, chiamandovi, non vi ho additato una reggia, una tavola, una borsa, una famiglia, ma una croce, la mia Croce, sulla quale morii nudo, sulla quale spirai solo, sulla quale salii dopo essermi staccato, spogliato di tutto, anche della mia povertà che era ricchezza rispetto alla mia miseria di giustiziato al quale non resta che il patibolo fatto di poco legno e di tre chiodi e un pugno di spine tessute a corona, e questo per dire a tutti, a voi in specie, che le anime si salvano con il sacrificio, con la generosità nel sacrificio che va sino allo spogliamento totale, assoluto, degli affetti, dei comodi, del necessario, della vita ‑ gli uomini, nei loro dolori, dovrebbero poter guardare alla loro chiesa come ad una mamma sul cui grembo si va a piangere e ad ascoltare parole di conforto, dopo aver narrato i propri affanni, con la certezza d’esser ascoltati e compresi. Gli uomini, nei loro oscuramenti dati da tante cause, non sempre originate dalla loro volontà, ma imposte da altrui volontà, da un complesso di circostanze che li inducono a credere all’errore o a dubitare di Dio, dovrebbero trovare voi, portatori di luce, della mia luce, voi pietosi come il samaritano, voi maestri come il vostro Maestro, voi padri come il Padre vostro.
La terra, corrotta da tante cose, fermenta come corpo che imputridisce e contamina col suo lezzo di peccato le anime. Ma se le chiese sparse fra le case fossero incensieri dove un sacerdote vive ardendo e si arde amando, il lezzo del mondo sarebbe bilanciato dal profumo di Dio traspirante dai cuori dei sacerdoti viventi in totale “fusione” con Dio, annullati in Dio sino a non essere più che simili a Me che sono nel Sacramento a disposizione dell’uomo ad ogni ora ‑ Io, Dio, ci sono senza stanchezze, senza superbie, senza resistenze ‑ ed i cuori verrebbero purificati.
I sacerdoti così, perfetti, sono come il sole. Aspirano le anime al Cielo come fossero gocce di acqua, le purificano nell’atmosfera del Cielo e poscia sono come nubi che si sciolgono leggere in benefica rugiada, durante la notte, nel nascondimento, per portare refrigerio alle ferite ed alle arsioni dei cuori, poveri fiori feriti da tante cose.
Aspirano: per aspirare a sé occorre avere una grande forza. Solo l’amore vivissimo per il Signore e per i fratelli ve la possono dare. Fissi in Dio, in alto, molto in alto sulla terra, voi potete, se volete, attirare a voi, ossia a Dio in cui vivete, le anime. È un’operazione che richiede generosità e costanza. Anche il battere del ciglio deve servire a questo scopo. Tutte le vostre azioni devono aver questo per mèta. Vi sono sguardi che possono convertire un cuore quando da quegli sguardi traluce Dio.
Sciogliersi: sacrificarsi, con tutti i modi, nel nascondimento, portando alle anime arse il refrigerio celeste che si effonde così dolcemente che esse non sanno quando si è effuso ma se ne trovano roride. Proprio come fa la rugiada che, silenziosa e pudica, scende mentre tutto riposa: gli uomini, gli animali ed i fiori, e deterge l’aria dalle impurità diurne, e disseta e imperla gli steli e le fronde.
Sacrificio, sacrificio, sacrificio, o sacerdoti. Preghiera, preghiera, preghiera, o pastori.
Vi ho chiamato “pastori. Non vi ho chiamato “solitari” e non “capitani”. Il solitario vive a sé. Il capitano marcia alla testa dei suoi. Ma il pastore sta in mezzo al suo gregge e lo sorveglia. Non si isola perché il gregge si disperderebbe. Non cammina alla testa perché gli svagati del gregge rimarrebbero seminati per via, preda ai lupi ed ai ladroni.
Il pastore, se non è un pazzo, vive in mezzo al suo gregge, lo chiama, lo raduna, instancabile va su e giù lungo di esso, lo pre­cede nelle cose difficili, saggia lui per il primo le difficoltà, le appiana più che può, rende sicuri i passi maleagevoli con la sua fatica, poi resta nel punto difficile per sorvegliare il passaggio delle sue pecorelle e, se ne vede qualcuna paurosa o debo­le, se la prende sulle spalle e la porta oltre il punto pericoloso, e se viene il lupo non fugge ma si butta contro esso, avanti alle sue pecore, e le difende, anche a costo di morirne pur di salvarle. Si immola per esse, per saziare la fame della belva, di modo che questa non senta più bisogno di sbranare. Quante belve ci sono contro le anime! Il pastore non si perde in inutili discorsi coi passanti, non si divaga dietro a cose che non sono di sua competenza. Si occupa del suo gregge e basta.
Ora guardate. Non sembra di leggere il capo 8° di Ezechiele?
Primo idolo: la Gelosia.
Dovreste essere carità, non è vero? Carità per indurre altri alla carità. Che siete? Gelosi l’uno dell’altro. Vi offendete se un laico vi critica. Ma non vi criticate, e spesso ingiustamente, l’un l’altro? Il superiore critica gli inferiori. L’inferiore critica i superiori. Siete gelosi se uno di voi è notato, se uno di voi riesce meglio, se uno di voi diviene più ricco. Questo poi, che dovrebbe farvi orrore, è invece quello che più vi fa gola. Ma ero ricco Io, Sacerdote eterno? Siate perfetti e sarete notati e lodati, per quanto dovrebbe solo premervi la lode del vostro Dio. Siate perfetti e riuscirete nell’unico scopo degno della vostra veste: quello di portare anime a Dio.
Secondo idolo, anzi molti idoli: le diverse eresie che sostituiscono in voi il culto che dovreste avere.
Anche voi, come i settanta anziani nominati da Ezechiele, state incensando ognuno l’idolo che preferite. E lo fate nelle tenebre sperando che l’occhio dell’uomo non vi veda. Ma vi vede. E lo scandalizzate. Perché i fedeli, e gli uomini in genere, sono come i bambini che sembra non osservino, ma non lasciano mai di tenere d’occhio e d’orecchio i più grandi di loro.
Ma non sapete che, se anche l’uomo non vedesse, Dio vi vede? E perché dunque spargete i vostri incensi davanti alla potenza dell’oro o a quella dell’uomo? Non osservo Io dall’alto del mio trono troppi miei sacerdoti occupati a dedicare il loro tempo - quel tempo che do loro perché lo spendano nella loro missione sacerdotale ‑ in commerci umani, atti ad aumentare il loro benessere? Sì, lo vedo. Non osservo Io ‑ ed il cuore mi si rivolta ‑ troppi miei sacerdoti abiuranti la mia Legge per ubbidire alla legge di uomini disgraziati, sperandone onore e lucro? Sì, lo vedo.
Oh! i sacerdoti politicanti! I sinedristi di ora! Ricordino però questi quale fu la fine del Sinedrio proprio per mano di coloro ai piedi dei quali avevano prosternata la loro coscienza e infranta la mia Legge. E non dico di più. Questo per parte degli uomini. Il resto poi verrà dal Giudice eterno e giusto.
Terzo idolo: il senso.
Sì, vi è anche questo. E non dico di più per rispetto del mio “portavoce”. Ma ognuno esamini se stesso per vedere se, al posto dove uniche creature femminee lecite da ricordare con amore da un sacerdote ‑ mia Madre e la loro madre ‑ non sia una dea pagana. Pensate che toccate Me, che ricevete Me. E basta. Non mettete il Purissimo a contatto con una carne maculata di lussuria.
Quarto idolo: l’adorazione dell’oriente.
Le sètte. Sì, anche questo. E non dovrei guardare molti di voi con sdegno ed avere per molti le apostrofi che ho avuto per i farisei ed i dottori del mio tempo? E non dovrei suscitare delle “luci” fra i laici che mi amano come molti di voi non m’amano, per pietà delle anime che voi lasciate nel gelo, nel buio, nell’impurità, per le anime alle quali non siete via a Dio ma sentiero che porta al basso? E come osate ripetere la mia Parola e predicare la mia Legge quando Parola e Legge sono a voi condanna? Chi è mondo divenga ancor più mondo, chi non è mondo si mondi.
L’umanità si trova ad un grande bivio. Da esso si dipartono due strade: l’una porta salendo a Dio, l’altra conduce scendendo a Satana. Al bivio è un masso. Siete voi. Se farete di voi baluardo e spinta verso la prima, Satana non irromperà e le anime saranno spinte a Dio. Ma se voi per i primi rotolate verso la china di Satana, trascinerete l’umanità, con anticipata ora, verso gli orrori dell’Anticristo.
E se costui deve venire, guai a quelli che ne anticipano la venuta e la prolungano, perché esso cesserà d’essere all’ora in eterno fissata, e più lungo sarà il tempo della sua dimora e più numeroso il numero delle anime che si perdono. Non una di esse passerà invendicata, ricordatevelo. Ché, se il vostro Dio vede il passero che muore, come non può vedere un’anima che muore? Agli uccisori della stessa, quali che siano, chiederò ragione e darò condanna

COR IESU,
FONS VITAE ET SANCTITATIS, 
MISERERE NOBIS!

martedì 6 marzo 2012

Preghiamo SANTA PERPETUA E FELICITA, MARTIRI, per ottenere ... "la perpetua felicità!"



6 MARZO
SANTA PERPETUA E FELICITA, MARTIRI
Gloria di questo giorno.
La festa di queste due sante eroine della fede cristiana veniva celebrata, nelle chiese loro dedicate, domani 7 marzo, giorno anniversario del loro trionfo; ma la memoria di san Tommaso d'Aquino sembrava eclissare quella delle sue due grandi Martiri africane. Avendo perciò la Santa Sede elevato la loro memoria, per la Chiesa universale, al rito doppio, prescrisse d'anticipare d'un giorno la loro solennità; così la Liturgia presenta fin da oggi all'ammirazione del lettore cristiano lo spettacolo di cui fu testimone la città di Cartagine nell'anno 202 o 203. Niente ci fa meglio comprendere il vero spirito del Vangelo secondo il quale in questi giorni dobbiamo riformare i nostri sentimenti e la nostra vita. Queste due donne, queste due madri affrontarono i più grandi sacrifici; Dio chiese loro non soltanto la vita, ma più che la vita; ed esse vi si assoggettarono con quella semplicità e magnanimità che fece d'Abramo il Padre dei credenti.
La forza nella debolezza.
I loro nomi, come osserva sant'Agostino, erano un presagio della sorte che il cielo riservava loro: una perpetua felicità. L'esempio che diedero della forza cristiana è di per se stesso una vittoria che assicura il trionfo della fede di Gesù Cristo in terra d'Africa. Ancora pochi anni, e san Cipriano farà sentire la sua voce eloquente che chiama i cristiani al martirio. Dove trovare accenti più commoventi che nelle pagine scritte dalla mano della giovane donna di ventidue anni, Perpetua, la quale ci narra con una calma celestiale le prove che doveva passare prima d'arrivare a Dio, e che, sul punto d'andare all'anfiteatro, trasmise ad un altro perché completasse la sua sanguinosa tragedia?
Leggendo queste gesta, di cui i secoli non hanno potuto alterare né fascino, né grandezza, sentiamo quasi la presenza dei nostri antenati nella fede e ammiriamo la potenza della grazia divina, che suscitò un tale coraggio dal seno stesso d'una società idolatra e corrotta; e considerando qual genere di eroi Dio usò per infrangere la formidabile resistenza del mondo pagano, non si può fare a meno di ripetere con san Giovanni Crisostomo: "A me piace tanto leggere gli Atti dei Martiri; ma ho un'attrattiva particolare per quelli che ritraggono le lotte sostenute dalle donne cristiane. Più debole è l'atleta e più gloriosa è la vittoria; infatti il nemico vede l'avvicinarsi della disfatta proprio dal lato dove aveva sempre trionfato. Per la donna egli ci vinse; ora per la donna viene abbattuto. Nelle sue mani ella fu una arma contro di noi; ora ne diviene la spada che lo trapassa. In principio la donna peccò, e quale compenso del suo peccato ebbe in eredità la morte; ora la martire muore, ma muore per non peccare più. Sedotta da promesse menzognere, la donna violò il precetto divino; ora per non violare la fedeltà al divino benefattore, la martire preferisce sacrificare la vita. Quale scusa ora avrà l'uomo per farsi perdonare la sua codardia, quando delle semplici donne mostrano un sì virile coraggio? quando, così deboli e delicate, si sono viste trionfare dell'inferiorità del loro sesso, e, fortificate dalla grazia, riportare sì gloriose vittorie"? (Omelia Su vari passi del N. T.).
Le Lezioni di queste due Martiri narrano i tratti più salienti del loro combattimento. Vi sono inseriti frammenti del vero racconto scritto da santa Perpetua. Esso ispirerà senza dubbio a più di un lettore il desiderio di leggere per intero negli Atti dei Martiri [1] il resto del magnifico testamento di questa eroina.
VITA. - Sotto l'imperatore Severo, furono arrestati a Cartagine, in Africa, alcuni giovani catecumeni: Revocato e Felicita, tutti e due schiavi, e con loro Saturnino e Secondolo, e da ultimo, Vibia Perpetua, di famiglia distinta, educata con molta cura e sposata a un uomo di alta condizione. All'età di ventidue anni ella aveva ancora il padre e la madre, due fratelli, uno dei quali era, come lei, catecumeno, e un bambino al quale essa dava ancora il latte. Vibia Perpetua scrisse interamente di suo pugno la storia del suo martirio.

Eravamo già sotto la pressione dei nostri persecutori, racconta Perpetua, e mio padre, spinto dal grande amore che mi portava, faceva ogni sforzo per scuotermi e farmi cambiare d'avviso. Padre mio, gli dissi, io non posso chiamarmi con altro nome diverso da quel che sono, cioè cristiana.
A tale parola mio padre si slanciò contro di me e sembrava volesse cavarmi gli occhi, ma finì per dirmi soltanto delle villanie e delle ingiurie, e quindi si ritirò confuso per non aver potuto vincer la mia fermezza con tutti gli artifizi che il demonio gli aveva suggerito. Per qualche giorno non si fece più vedere da me e ne ringraziai il Signore. La sua lontananza mi era un sollievo. Durante questo breve intervallo ricevemmo il battesimo; e lo Spirito Santo, mentre io stavo nell'acqua, m'ispirò di domandare un'unica cosa: la pazienza nelle pene che avrei dovuto soffrire nel corpo.

Pochi giorni dopo fummo condotti in prigione. All'entrare ebbi uno spavento indicibile, perché io non avevo mai visto tenebre sì orrende. Che giorni tristi! Eravamo così ammucchiati uno contro l'altro che si soffocava; per di più si era costretti a subire ad ogni momento l'insolenzà dei soldati di guardia. Ma l'angoscia più grave mi veniva dal pensiero del mio bambino, che era lontano da me. Terzo e Pomponio, i cari diaconi che avevano cura di noi, riuscirono a ottenere, profondendo del denaro, che per alcune ore lungo la giornata fossimo condotti in luogo aperto, a respirare un poco d'aria. Allora, usciti dal fondo del carcere, ciascuno poteva ristorarsi come meglio gli piaceva. Mia cura era di dare il latte al bambino, già mezzo morto per l'inedia. Con molto affetto parlai a mia madre, confortai mio fratello, e raccomandai a tutti in modo speciale l'assistenza al piccino. Ma ero in pena nel vedere i miei cari afflitti per causa mia.

Dopo pochi giorni si diffuse la voce che saremmo stati giudicati. A tal notizia mio padre, accasciato dal dolore, corse dalla sua villetta e venne a vedermi, sperando di togliermi dal mio proposito, e mi diceva: "Figlia mia, abbi pietà dei miei capelli bianchi; abbi pietà di tuo padre, se almeno mi credi ancora degno d'essere chiamato tuo padre! Pensa a tua madre, ai tuoi fratelli, al tuo figlioletto, che senza di te non potrà vivere. Non ostinarti a questo modo, perché tu fai morire tutti, e ci mandi in rovina!".
Così parlava mio padre nel suo amor per me, e nello stesso tempo mi baciava le mani, si gettava ai miei piedi, mi chiamava non "figlia" ma signora e padrona. A simili accenti, io sentivo pietà per lui, perché di tutta la mia famiglia era l'unico che non si sarebbe gloriato del mio martirio; lo rassicurai dicendo: "Accadrà quel che Dio vorrà: poiché non siamo noi i padroni di noi stessi, ma Dio! Ed egli se ne andò molto rattristato".

Un giorno, durante la refezione, fummo improvvisamente chiamati per un interrogatorio. Andammo al foro. Sparsasi di ciò subito la voce, veniva agglomerandosi nei dintorni del foro una folla immensa. Montammo sul palco del tribunale. I miei compagni furono interrogati e confessarono. Quando venne il mio turno d'essere interrogata, mio padre apparve d'improvviso portando in braccio il mio figlioletto; mi trasse in disparte fuori del mio posto e in atto supplichevole mi disse: "Abbi pietà del bambino". Il procuratore Ilariano insisteva: "Abbi pietà dei capelli bianchi di tuo padre; "abbi compassione della tenera età di tuo figlio. Sacrifica alla salute degl'imperatori ". Non farò mai una cosa simile, risposi, io sono cristiana.

Allora il giudice pronunziò la sentenza, per la quale eravamo tutti condannati alle belve: noi scendemmo festanti dal palco per andare nelle prigioni. Poiché il mio bambino era abituato a prendere il latte da me ed a restare con me nella prigione, inviai subito a richiederlo a mio padre, ma egli non volle darlo. Piacque a Dio che il bimbo non domandasse più latte, di modo che io non ebbi più alcuna preoccupazione per lui, né venni a soffrire per questo, alcuna dolorosa conseguenza.

Fino a questo punto ho scritto io stessa il racconto; quello poi che accadrà in seguito, nel combattimento per il mio martirio, scriverà chi vorrà.
Anche Felicita ottenne da Dio un insigne favore. Ella era otto mesi che attendeva dal Signore un bambino. Man mano che il giorno dei giochi si avvicinava la sua tristezza aumentava, perché temeva che il suo stato di madre facesse rimandare il martirio ad altra epoca: la legge infatti proibiva di giustiziare a questo modo le madri. I suoi compagni di martirio non erano meno rattristati di lei, al pensiero d'abbandonare, sola, sul cammino della speranza e del bene che essi avrebbero posseduto così dolce amica e sorella. Perciò tutti si unirono in una sola preghiera in favore di Felicita. E tre giorni prima dei giochi, ella ebbe la grazia d'una bambina. Ai gemiti di lei nell'oscura prigione un carceriere disse: "Se tu in questo momento non sei capace di sopportare il dolore, che accadrà quando sarai di fronte alle bestie, che tu hai mostrato or ora di disprezzare e di non temere quando hai rifiutato di sacrificare?". Felicita rispose: "Adesso a soffrire sono io sola, ma allora ci sarà un Altro in me, che patirà per me, perché anch'io patirò per lui". La bambina di Felicita fu adottata da una cristiana.

Spuntò finalmente il giorno del trionfo. Camminavano i martiri dalla prigione all'anfiteatro come andassero al cielo, giulivi in volto, commossi e trepidanti non per il timore ma per la gioia. Veniva ultima Perpetua, placida in viso, il passo grave, calma e maestosa come si conviene a una matrona di Cristo; con la forza superiore e divina dei suoi occhi imponeva rispetto a tutti. Era con lei Felicita, gioiosa per la sua riacquistata liberazione, che le permetteva di combattere quel giorno con le fiere, e desiderosa di purificarsi in un secondo battesimo.

Per le due donne si era preparato una mucca furiosa (certo fu il demonio a suggerire questo animale generalmente sconosciuto nei giuochi), quasi si volesse recare maggior insulto al loro sesso. Si spogliarono queste sante donne delle loro vesti, si involsero in una rete, e in tale stato furono esposte alle belve. Perpetua fu esposta prima, e fu dalla mucca sollevata in aria con le corna. Ricadde sui lombi, battendo in terra fortemente. Nella caduta la sua tunica si aperse per buon tratto da un fianco; ed ella la ricongiunse subito con la mano e si ricoprì, più attenta al pudore che non al dolore.

"Richiamata dagli arenai, si accorse che la sua capigliatura era sciolta: e allora raccolse e rannodò la chioma, pensando che una martire non deve avere, morendo, i capelli scarmigliati, affinchè nessuno avesse a credere che si affliggeva nel momento della sua gloria. Così ricomposta, Perpetua si rialzò, e, vedendo Felicita che giaceva al suolo quasi morta (gettata anch'essa a terra dalla vacca), le si accostò, le diede la mano, la sollevò dal suolo. Si fermarono là in piedi ambedue. Il popolo, mosso a compassione, gridò che si facessero uscire dalla porta Sanavivaria. Ivi Perpetua accolta da un catecumeno a lei molto affezionato, di nome Rustico, sembrava una persona che esce da un profondo sonno, ma era in estasi, e, guardandosi intorno chiese con stupore di tutti: "Quando dunque saremo esposte a questa mucca?". E siccome le si rispose che ciò era già stato fatto, essa non se ne convinse, finché non vide sopra le sue vestimenta e sopra il suo stesso corpo le tracce di quanto aveva sofferto. Dopo di che fece chiamare suo fratello e Rustico, e disse loro: "State saldi nella fede, amatevi gli uni e gli altri, e non rendetevi scandalo dei nostri patimenti".

Quanto a Secondolo, Dio volle chiamarlo a sé mentre stava ancora chiuso nel carcere. Saturnino e Revocato, prima assaliti da un leopardo, furono poi crudelmente trascinati da un orso. Saturo fu prima esposto a un cinghiale, quindi a un orso; ma questa bestia non usci fuori della sua gabbia, così che, due volte rimasto immune, il martire fu chiamato dentro; solo alla fine dello spettacolo venne presentato a un leopadro, che con un sol morso lo immerse in un lago di sangue. "È lavato davvero! è lavato davvero! " gridò il popolo alludendo al battesimo. Poi il martire cadde svenuto e fu trasportato nello spoliario, ove già si trovavano gli altri martiri per essere scannati.

Ma il popolo reclamava il ritorno dei condannati, poiché voleva darsi al barbaro piacere di mirare le spade quando s'immergono nel corpo d'un uomo. I martiri da loro stessi s'alzarono, condiscendendo al desiderio del popolo; e, giunti nel mezzo dell'anfiteatro, si diedero il bacio per consumare così il martirio in pace; poi, immobili, silenziosi, attesero il ferro. Saturo, che marciava in testa, morì per il primo.

Perpetua era riserbata a un nuovo dolore. Colpita per sbaglio tra le coste e la gola diede un grido; poi, siccome il suo carnefice era un gladiatore novizio, prese essa stessa la mano tremante di quell'apprendista e si appoggiò la punta della spada sopra la gola. Sembrava che questa donna valorosa non potesse morire che di propria volontà, e che lo spirito immondo, dal quale era temuta, non potesse toccarla senza il suo consenso.


Nota sulla composizione degli Atti.
"Nel leggere questo celebre brano - d'un sì ardente e puro entusiasmo e d'una semplicità così bella e commovente, solo qua e là gravata di un tantino di retorica - ci si rende conto della sua intessitura. Il primo capitolo è un prologo da attribuirsi al redattore, che ha messo insieme le diverse parti narrate. Nel secondo capitolo il redattore narra sommariamente la simultanea cattura di Vibia Perpetua, giovane donna di ventidue anni, istruita e di famiglia ragguardevole; di due giovani, Saturnino e Secondolo; da ultimo di due schiavi, Revocato e Felicita, tutti catecumeni. (Un po' più tardi, un certo Saturo, loro istruttore, si sarebbe spontaneamente consegnato: paragrafo iv). Quindi dichiara che cede la parola a Perpetua che ha redatto di proprio pugno il racconto delle sue sofferenze...
Bisogna perciò immaginarsi che le cose siano andate press'a poco così: Perpetua e Saturo nell'oscura prigione ebbero l'agio di stendere una breve relazione dei patimenti che soffrirono, e prima di tutto dei "carismi" con cui Dio li visitò. Tali annotazioni cadono fra le mani d'un testimone oculare del loro supplizio, il quale indaga su particolari che non ha potuto vedere coi propri occhi, completa la narrazione dei martiri e, dai diversi elementi, ne ricava un insieme che inquadra in un'esortazione morale e religiosa. Bisogna dunque distinguere due parti negli Atti quella del compilatore e quella degli stessi martiri...
Io credo che, con tutta franchezza, si possa identificare nel redattore Tertulliano... Sono il suo stile, la sua lingua, le sue parole... Il testo poi fu redatto poco dopo il 202-303, data del supplizio dei martiri".
(Pietro di Labriolle, Histoire de la litterature latine chrétienne, 3a ediz., 1947, p. 156).
Santa Perpetua.
Tutta la cristianità s'inchina davanti a te, o Perpetua! Ma c'è di più: ogni giorno, il celebrante pronuncia il tuo nome fra i nomi privilegiati ch'egli ripete al cospetto della vittima divina; così la tua memoria è perpetuamente associata a quella di Cristo, cui il tuo amore rese testimonianza col sangue. Ma quale beneficio egli s'è degnato d'accordarci, permettendoci di penetrare i sentimenti della tua anima generosa nelle pagine vergate dalle tue mani e pervenute fino a noi attraverso i secoli! Là noi apprendiamo il tuo amore "più forte della morte" (Ct 8,6), che ti fece vittoriosa in tutti i combattimenti. L'acqua battesimale non aveva ancora bagnata la tua fronte, che già eri annoverata fra i martiri. Ben presto dovesti sostenere gli assalti di un padre, e superare la tenerezza filiale di quaggiù per preservare quella che dovevi all'altro Padre che sta nei cieli. Non tardò il tuo cuore materno ad essere sottoposto alla più terribile prova, quando il bambino che prendeva vita dal tuo seno ti fu portato via come un novello Isacco, e rimanesti sola nella veglia dell'ultimo combattimento.
"Dov'eri tu, diremo con sant'Agostino, quando neppure vedevi la bestia furibonda cui ti avevano esposta? Di quali delizie godevi, al punto d'essere divenuta insensibile a sì gravi dolori? Quale amore t'inebriava? Quale bellezza celeste ti cattivava? Quale bevanda ti aveva tolto il senso delle cose di quaggiù, tu, ch'eri ancora, nei vincoli della vita mortale?" (Per il giorno natalizio di santa Perpetua e Felicita).
Il Signore ti aveva predisposta al sacrificio. E allora comprendiamo come la tua vita sia divenuta affatto celeste, e come la tua anima, dimorante già per l'amore, in Gesù che ti aveva tutto chiesto e al quale nulla negasti, fosse sin d'allora estranea a quel corpo che doveva ben presto abbandonare. Ti tratteneva ancora un legame, quello che la spada doveva troncare; ma affinché la tua immolazione fosse volontaria sino alla fine, fu necessario che con la tua stessa mano vibrassi il colpo che schiudeva all'anima il passaggio al Sommo Bene. Tu fosti donna veramente forte, nemica del serpente infernale! Oggetto di tutto il suo odio, tu lo vincesti! Ed ecco che dopo secoli il tuo nome ha il privilegio di far palpitare ogni cuore cristiano.
Santa Felicita.
Ricevi anche tu i nostri omaggi, o Felicita! Tu fosti degna compagna di Perpetua. Nel secolo essa brillò nel novero delle matrone di Cartagine; ma, nonostante la tua condizione servile, il battesimo l'aveva resa tua sorella, e ambedue camminaste di pari passo nell'arena del martirio. Appena si rialzava dalle violente cadute, essa correva a te, e tu le tendevi la mano; la nobile donna e la schiava si confondevano nell'abbraccio del martirio. In tal modo gli spettatori dell'anfiteatro erano già in grado di capire come la nuova religione avesse insita in sé una virtù, destinata a far soccombere la schiavitù.
O Perpetua! o Felicita! fate che i vostri esempi non vadano perduti, e che il pensiero delle vostre virtù ed immolazioni eroiche ci sostengano nei sacrifici più piccoli che il Signore esige da noi. Pregate anche per le nuove Chiese che sorgono sulle sponde africane; esse si raccomandano a voi; beneditele, e fate che rifioriscano, per la vostra potente intercessione, la fede e i costumi cristiani.

[1] PG t. 3, c. 13-58 e H. Leclerq. XX: I Martiri, t. I, p. 122-139. Questi Atti costituiscono uno del brani più completi della letteratura cristiana, e la loro autenticità è al di sopra d'ogni sospetto.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 831-837



venerdì 25 marzo 2011

AVE, GRATIA PLENA!



AVE, GRATIA PLENA!

 



GUARDIAMO OGGI ALLA MAMMA  CELESTE

                                   nel momento in cui dice il suo "sì" alla Volontà del Signore.
     Questo "sì" è fiorito nella sua anima come frutto di tanto silenzio sia interiore che esteriore.
Non solo. Ma sbocciò dal suo Cuore anche come frutto di tanta preghiera.

Ben comprese allora il vero senso delle Scritture e tutta la portata della sua Vocazione accanto a Gesù che si incarnava nel suo seno per offrirsi sulla Croce in segno di salvezza per tutti.

Ora la Mamma va imitata, nel silenzio, nella preghiera, nel sacrificio, perché anche su di noi possa compiersi il Volere del Padre. 
E guardare a Maria Santissima significa allora consacrarsi a Lei e vivere questa consacrazione amando il v. Papa, il Vangelo, l'Eucaristia, il santo Rosario. 


DIO CI BENEDICA  
E  LA  VERGINE  CI  PROTEGGA.



AMDG et BVM