2. LE DOTI DEL CATECHISTA
Dipende soprattutto dal catechista che la sua missione riesca
o no. San Filippo Neri e san Giovanni Bosco catechizzavano i
ragazzi in qualche angolo di sacrestia, perfino sulla strada, senza
lusso di ambienti, senza mezzi, eppure incantavano come maghi
e trasformavano. Avevano quel che occorre più di tutto:
– doti religiose che fanno il cristiano;
– doti morali che fanno l’uomo;
– doti professionali, o del mestiere, che fanno il maestro;
– doti esterne che non fanno niente di nuovo, e non sono indispensabili,
ma danno pieno risalto alle doti precedenti e
permettono al catechista di brillare davanti ai ragazzi nella
luce completa di cristiano, uomo e maestro.
a) Doti religiose
5. Buona condotta. È una dote capitale. I fanciulli leggono
più sul catechista che sul catechismo; imparano più dalla condotta
che dalle parole, più cogli occhi che con le orecchie. Sono
come le spugne: assorbono soprattutto quello che vedono. E vedono
molto: hanno antenne finissime per captare tutto quello
che il catechista è interiormente. Se il catechista non è buono, la
sua voce può dire quello che vuole, ma cento altre voci escono da
lui a smentire ciò che le labbra pronunciano.
Non si riesce a insinuare nei fanciulli la dolcezza, il perdono,
quando lunghi pensieri di astio o di vendetta hanno dato una
piega dura al nostro volto.
Non si porta alla purezza con le belle parole, quando brutte
abitudini o pensieri cattivi oscurano la nostra anima.
Il catechista non può dare ciò che non possiede: anzi, egli
non insegna nemmeno ciò che ha, o ciò che sa, ma ciò che è.
6. Pietà. Dio ha riservato a sé solo di produrre nelle anime
la vita soprannaturale, ossia la grazia e le virtù. Il catechista è
soltanto uno strumento di cui Dio si serve: se resta unito a Dio,
vivendo in stato di grazia, farà del bene ai fanciulli; staccato da
Dio, col peccato mortale, la sua opera sarà sterile.
È come la lampadina elettrica: unita alla corrente, fa chiaro;
staccata dalla corrente, lascia all’oscuro.
Ci sono stati dei catechisti che, privi di doti esteriori, scarsi
di ingegno e di cultura, hanno tuttavia ottenuto frutti meravigliosi.
Avevano una pietà profonda che conquistava i fanciulli
più che tutta l’eloquenza di questo mondo.
Catechisti che non solo insegnavano Dio, ma lo mostravano
e facevano sentire, come il curato d’Ars, del quale si disse: «Andiamo
a vedere una trasparenza di Dio!».
Non si concepisce un catechista senza vera pietà.
Come può far amare il Signore se egli, per primo, non l’ama?
Come insegnerà a pregare, a frequentare i sacramenti, se non ha
gusto per la preghiera, per le funzioni, se non fa bene le genuflessioni,
il segno di croce, ecc.? E la pietà non è una maschera che
si mette e si leva: è un profumo che esce da un’anima desiderosa
di piacere a Dio e che i fanciulli riconoscono con una facilità
straordinaria.
Se i fanciulli si sentono amati, spalancano la porta del loro
cuore, si fidano, ascoltano, si lasciano persuadere e operano.
7. Convinzione profonda. Il catechista deve essere un entusiasta,
un convinto. Convinto che la sua missione è una cosa
grande, che le cose che insegna sono vere, che i fanciulli miglioreranno.
Queste convinzioni daranno anima, ali al suo apostolato;
con esse egli diventerà un artista del catechismo, senza di esse resterà
manovale del catechismo, incapace di edificare e trascinare.
Due alpinisti scalano una roccia: il primo, perché è di moda;
il secondo, per passione.
Sentiteli al ritorno: «Cosa ho veduto? – dice il primo. – Oh!
nulla di speciale: quattro corde, quattro alberi, dei torrenti, dei
prati, un cantoncino di cielo e nient’altro!». E sbadiglia.
Dice il secondo: «Cosa ho veduto? Non lo dimenticherò mai
più! Rocce, poi ancora rocce, e prati e torrenti e azzurro e sole
e cose meravigliose!». E mentre parla pare che tali meraviglie gli
ridano ancora nello sguardo e nell’anima.
Quei due dicono la stessa cosa, ma è il modo di dire, diverso.
Il primo non invoglia nessuno a tentare una scalata; il secondo
invece con il suo entusiasmo accenderà la passione della montagna
in altri e guiderà proseliti a nuove vette.
Così il catechista: non basta che dica, ma, dicendo, deve
invogliare, appassionare e trascinare.
b) Doti morali
8. Amare i fanciulli. Lacordaire ha scritto: «Dio volle che
nessun bene si facesse agli uomini fuor che amandoli». Ed è vero.
Se non si sentono amati, restano diffidenti, fanno per forza, o
non fanno affatto.
Il catechista stesso, se non vuol bene ai fanciulli, non troverà
mai la forza di superare gli insuccessi, le noie, le ingratitudini
inerenti al suo ufficio; tanto meno sarà capace di aver fiducia in
loro, di compatirli e di aver pazienza.
9. Pazienza. Perché la pazienza è necessaria al catechista.
«Con i fanciulli – dice san Francesco di Sales – occorre: un bicchierino
di sapienza, un barile di prudenza e un mare di pazienza».
E lo sanno tutti, tanto è vero che quando un maestro non riesce
con i fanciulli, il popolo dice senz’altro: «Non riesce perché
non ha pazienza». Quando invece un maestro è capace, virtuoso,
il popolo senz’altro esclama: «Quanta pazienza!».
10. Senso della giustizia. Il fanciullo non sopporta le parzialità
e le ingiustizie e, quando le vede o crede di vederle, soffre, si
allontana chiudendosi in se stesso.
In questa materia, cose che per noi sono sciocchezze, per
il fanciullo acquistano una importanza straordinaria. Bisogna
badare di evitarle, cercando di trattare tutti alla stessa maniera,
guardandosi da simpatie verso i più ricchi, i più intelligenti, i
meglio vestiti, ecc. Se qualche preferenza si può avere e mostrare
è verso i più poveri, i più ignoranti, i deficienti.
11. Rispetto della verità. Anche alla verità i fanciulli sono
sensibilissimi. Essi hanno una grande fiducia nel catechista.
Questi pertanto non deve mai permettersi, neppure per scherzo,
di dire cose non vere o di parlare con sottintesi e doppi sensi.
Non sarà mai troppa, a questo riguardo, la prudenza e la cura
di non perdere davanti al fanciullo il prestigio di essere uomini
di parola. Per esempio, si stia attenti quando si racconta, a non
cambiare i particolari. Il fanciullo, che ha memoria fedele soprattutto
per i particolari concreti, resta male se, nella seconda volta,
li trova diversi dalla prima; nel suo animo sorge il dubbio, che
poi passa con tutta facilità dai dettagli insignificanti alla sostanza
delle verità insegnate.
c) Doti professionali
12. Sapere. Per insegnare bisogna sapere: per insegnare uno,
bisogna sapere dieci: per insegnare bene, bisogna sapere benissimo.
Ed ecco una scala: chi sa benissimo, insegna bene; chi sa bene
insegna discretamente; chi sa appena passabilmente, insegna male.
Alle scuole elementari una maestra non insegna molte cose ed
esse sono più facili che le verità del catechismo, eppure si pretende
da lei che studi almeno tredici anni, che superi difficili esami.
Si dice: «Oh! si tratta poi di ragazzi!».
Tanto più è necessario sapere e avere idee chiare e precise. Se
no, non si può parlare con linguaggio facile e semplice.
Ecco cosa succede quando il catechista sa poco:
– nelle teste dei fanciulli entrano errori, dubbi e confusioni;
– il catechista parla e va avanti senza disinvoltura, senza brio e
fiducia in sé;
– i ragazzi si accorgono della sua poca scienza, e addio prestigio
di maestro!
13. Saper insegnare. Non è lo stesso che «sapere». Altro è
avere le idee nella testa propria e altro farle passare nella testa
degli altri.
Ci sono dei pozzi di scienza che non riescono a comunicarla
agli altri.
E ci sono degli oratori, bravissimi a parlare ai grandi, che
non riescono a fare stare attenti i piccoli.
E ci sono dei maestri capaci di insegnare bene ai fanciulli
storia e geografia, ma non sono capaci di insegnare il catechismo.
Un catechista quindi non solo deve sapere o avere la scienza;
ma deve avere l’abilità di comunicare ai piccoli la sua scienza con
la didattica, anzi, con la didattica catechistica.
14. Per arrivare al possesso di questa abilità, sono utilissimi:
Il senso di adattamento, cioè il saper proporzionare ciò che si
dice a chi ci ascolta. Si parla in maniera diversa ai bambini di età
diversa; e, se i bambini hanno la stessa età, in una maniera ai meno
intelligenti e in un’altra ai più intelligenti. Si cerca sempre di
dire cose facili e di dire in modo facile le cose difficili. Si devono
sempre presentare le cose sotto un aspetto simpatico che piaccia
ai fanciulli e le faccia amare.
La chiarezza: idee poche, ma colorite e incisive; meglio poco
e bene che tanto e confuso; parole facili, che i fanciulli già
conoscono e capiscono, concrete e, se possibile, accompagnate
da immagini. Non si dirà: «La sapienza divina», ma «Dio che è
tanto bravo». Non si dirà: «Pierino si vergognò», ma «Pierino è
diventato tutto rosso per la vergogna». Meglio ancora: «Pierino
per la vergogna è diventato rosso come un galletto».
Il saper raccontare: è una delle migliori risorse per riuscire
con i ragazzi, che sono desiderosi di racconti e bevono avidamente
le storie narrate con garbo e ampiezza.
d) Doti esterne
15. Il fanciullo è un caricaturista terribile: un minimo di
ridicolo che ci sia nel catechista, lo scopre subito.
Ma tutto ciò che è bravura vera, armonia, grazia, conquista
e incanta in fanciullo.
Basta poco per farsi beffeggiare da lui e basta poco per suscitare
il suo entusiasmo. Per questo bisogna che il catechista
sorvegli e controlli il suo esterno.
16. Stia attento all’espressione del volto. I fanciulli la osservano,
vi leggono i pensieri che la parola non è stata capace di dire,
ma soprattutto i sentimenti che il catechista nutre per loro.
Niente, quindi, sguardo truce. Niente tristezza esagerata. Il
fanciullo la prende per cattiveria. Se abbiamo dei crucci, dei malanni,
non facciamoli vedere agli alunni; e se fuori piove o tuona,
il nostro viso sia egualmente sereno, tranquillo, in modo che i
fanciulli dicano: il catechista è contento di essere con noi, egli è
buono, ci vuole bene.
17. Sorvegli lo sguardo. Ai fanciulli parla più l’occhio che la
bocca del catechista: nell’occhio essi vedono le sfumature della
parola. D’altra parte, è con l’occhio che il catechista li domina
e fa sentire che li vuol dominare. Un occhio vigile, penetrante,
acuto impressiona o soggioga i fanciulli.
18. Sorvegli il gesto. Un gesto naturale, sobrio rende più vivace
e attraente la parola, soprattutto coi piccoli, che sono abi-
tuati a supplire i vocaboli che mancano con la vivacissima mimica,
mettendo in moto occhi, mani, persona, tono di voce, testa,
tutto. Ma il gesto meccanico e goffo ci rende ridicoli e distrae.
19. Merita una cura speciale la voce. Il minimo che si domanda
è di articolare bene le parole, senza precipitare, senza
mangiar sillabe, senza ingarbugliarsi. Non gridare, assordando,
ma neanche parlar troppo basso o fra i denti in maniera che i
ragazzi non capiscano o facciano fatica a capire.
Cominciando, si parla piuttosto piano per attirare l’attenzione;
si prosegue facendo degli alto e dei basso, dei piano e dei
forte, rallentando in certi momenti e accelerando in altri.
Chi ha un bel timbro di voce, ne approfitti. Un bel timbro,
manifestando entusiasmo o pietà, può rendere seducenti anche
le cose più comuni.
Se il catechista ha qualche intercalare, ossia una parola o frase
che ripete con predilezione ogni tanto, si sorvegli, altrimenti
lo sorvegliano gli alunni che alla fine della lezione avranno contato
50 o 60 «insomma» o «non è vero» o altre simili perluzze.
20. Il portamento esterno ha pure la sua importanza. L’eleganza
esagerata, il profumo, la cipria, il rossetto della catechista
farebbero ridere i fanciulli, ma la trascuratezza, la sciatteria li
impressionerebbero male.
Andando a far catechismo si va a fare una cosa grande: il
vestito sia conveniente, la capigliatura composta, non manchino
la proprietà e il decoro. Lo meritano il catechismo e anche i
ragazzi.
21. E finalmente, se il catechista possiede delle abilità che
impressionano favorevolmente il ragazzo, non le nasconda, ma
le usi a favore dell’insegnamento. Il fatto che egli è un bravo
portiere, manda in visibilio gli alunni? E faccia il portiere nelle
partite, perché i fanciulli attaccano spesso la loro stima proprio
a queste bravure. La catechista ha una bella voce, fa dei bei disegni?
Esterni talvolta queste qualità, non per mettersi in mostra,
ma per far del bene.
Settembre 1972
Da Papa Luciani, OperaOmnia
AMDG et DVM