Sant’Antonio “Dottore dell’Evangelio”
Pubblichiamo un articolo di A. Gaspari apparso il 12 giugno 2016 su Zenit. Il mondo visto da Roma, alla vigilia della memoria liturgica di Sant’Antonio. Il Santo portoghese, noto in Italia come patavino, fu proclamato, nel 1946, Dottore della Chiesa da Papa Pio XII.
Aveva solo 36 anni quando il Signore lo ha ripreso in cielo, ma la sua testimonianza in terra è stata tale che ancora oggi a distanza di 821 anni dalla sua nascita, milioni di persone, lo pregano, lo ricordano, invocano la sua intercessione, e altrettante mettono il suo nome ai figli.
Stiamo parlando di Fernando Martins de Bulhões, noto al mondo come Antonio di Padova, religioso francescano portoghese, proclamato santo da papa Gregorio IX nel 1232 e dichiarato da Pio XII dottore della Chiesa nel 1946.
Avendolo conosciuto personalmente e in considerazione della mole di miracoli attribuitagli, Papa Gregorio IX lo canonizzò dopo solo un anno dalla morte.
Pio XII, nel 1946 lo ha innalzato tra i Dottori della Chiesa. Gli ha conferito il titolo di ‘Doctor Evangelicus’, in quanto nei suoi scritti e nelle prediche oltrechè nello stile di vita testimoniò in maniera profonda il Vangelo.
Sant’Antonio di Padova è festeggiato dalla Chiesa Cattolica il 13 giugno; è patrono del Portogallo, del Brasile e della Custodia di Terra Santa.
È patrono di un centinaio di città in Argentina, Brasile, Italia, Portogallo, Spagna. Il suo culto è fra i più diffusi al mondo.
Antonio fu primogenito di una famiglia benestante e aristocratica, Sua madre si chiamava Maria Tarasia Taveira e suo padre Martino Alfonso de’ Buglioni (Martinho Afonso de Bulhões), cavaliere del re e, secondo alcuni, discendente di Goffredo di Buglione.
La residenza della nobile famiglia era nei pressi della cattedrale di Lisbona, dove fu battezzato. Ebbe la prima educazione spirituale dai canonici della cattedrale. Intelligente, pacato, umile, all’età dei quindici anni decise di entrare a far parte dei Canonici regolari della Santa Croce dell’Abbazia di San Vincenzo di Lisbona.
La prima spinta forte verso il francescanesimo la ebbe nel 1219 quando a Coimbra vennero riportati i resti dei cinque martiri francescani Berardo, Ottone, Pietro, Accursio e Adiuto, che San Francesco aveva inviato in Marocco e che i musulmani avevano decapitato.
Antonio fu molto colpito da questa vicenda e raccontò in seguito che fu in quell’occasione che decide di diventare francescano e andare missionario.
Cambiò il suo nome di battesimo da Fernando in Antonio e si unì al romitorio dei francescani.
Insieme a un confratello, Filippino di Castiglia, nell’autunno del 1220 si imbarcò per andare in Missione in Marocco. Appena in Africa contrasse una malattia tropicale e fu deciso che tornasse a Coimbra, ma la nave si imbattè in una tempesta e naufragò vicino alle coste della Sicilia, vicino a capo Milazzo.
Dei pescatori portarono soccorso ai due frati, portati successivamente nel convento francescano.
Nel frattempo San Francesco D’Assisi aveva convocato un Capitolo Generale. Così nel 1221 Antonio si unì ai frati di Messina che a piedi partirono per andare nella valle della Porziuncola.
Al Capitolo arrivarono più di tremila frati. Antonio ebbe modo di incontrare san Francesco. Era il 30 maggio del 1221.
Le questioni discusse a quel Capitolo sono di grandissima attualità. Lassisti e Spiritualisti rischiavano di spaccare l’Ordine in due tronconi. L’Ordine s’era ingrandito tanto, ai giovani accorsi con entusiasmo mancava un’uguale adesione alla disciplina, mentre ai dotti risultavano strette le disposizioni sulla povertà assoluta.
Le cronache raccontano che con la mediazione del cardinale Capocci si giunse ad un compromesso che cercava di salvaguardare ad un tempo l’autorità morale di Francesco e l’integrità dell’Ordine. La nuova Regola verrà poi approvata da Papa Onorio III il 29 novembre 1223.
Antonio era sconosciuto, della sua umiltà e spiritualità se ne occupò Padre Graziano che guidava i frati della Romangna. Lo prese con sé e lo inviò all’eremo di Montepaolo, non lontano da Forlì dove si dedicò ad una vita semplice, a lavori umili, alla preghiera e alla penitenza.
Nella seconda metà del 1222 la comunità francescana scese a valle per assistere alle ordinazioni sacerdotali nella cattedrale di Forlì. Le cronache del tempo raccontano che venuta l’ora della conferenza spirituale il Vescovo ebbe bisogno di un buon predicatore che rivolgesse un discorso di esortazione e di augurio ai nuovi sacerdoti. Tutti si tirarono indietro ed il Vescovo ordinò a Antonio di mettere da parte ogni timidezza o modestia e di annunciare ai convenuti quanto gli venisse suggerito dallo Spirito.
La predica di Antonio fu eccezionale. E’ stato scritto che “La sua lingua, mossa dallo Spirito Santo, prese a ragionare di molti argomenti con ponderatezza, in maniera chiara e concisa”.
La predica fu così buona che i superiori richiamarono Antonio ad Assisi e lo destinarono alla predicazione per tutto l’ordine.
Lo stesso San Francesco scrisse “A frate Antonio, mio vescovo, frate Francesco augura salute. Mi piace che tu insegni teologia ai nostri fratelli, a condizione però che, a causa di tale studio, non si spenga in esso lo spirito di santa orazione e devozione, com’è prescritto nella regola”.
La fama predicatoria di Antonio era così nota che verso la fine del 1224, quando papa Onorio III chiese a Francesco di Assisi di inviare qualcuno dei suoi come missionario nella Francia meridionale per convertire i catari e gli albigesi, questi inviò Antonio.
Questa sua intensa attività di predicatore antieretico, gli valse il famoso appellativo di “martello degli eretici (malleus hereticorum)”.
Riguardo alla sua oratoria e al suo approccio umano, un cronista dell’epoca, il francese Giovanni Rigauldt, ha scritto che “gli uomini di lettere ammiravano in lui l’acutezza dell’ingegno e la bella eloquenza (…) Calibrava il suo dire a seconda delle persone, così che l’errante abbandonava la strada sbagliata, il peccatore si sentiva pentito e mutato, il buono era stimolato a migliorare, nessuno, insomma, si allontanava malcontento”.
Antonio era chiaro anche con i Vescovi, all’arcivescovo francese Simone de Sully, che si lamentava degli eretici, Antonio, invitato a predicare, disse: “Adesso ho da dire una parola a te, che siedi mitrato in questa cattedrale… L’esempio della vita dev’essere l’arma di persuasione; getta la rete con successo solo chi vive secondo ciò che insegna…”.
Lo stesso arcivescovo, riportano le cronache, chiese ad Antonio che lo confessasse per trovare la forza di mettere in pratica ciò che gli aveva ricordato.
Quando non aveva che 32 anni, Antonio fu nominato ministro provinciale per l’Italia settentrionale, in pratica, la seconda carica per importanza tra i Francescani.
Di sede a Padova, quando la città contava circa quindicimila abitanti ed era un grande centro di commerci e industrie, Antonio era la principale attrazione spirituale.
Chiese e piazze si riempivano per sentire i suoi sermoni o per confessarsi da lui.
La scottante dell’attualità degli insegnamenti di Sant’Antonio sono stupefacenti.
Le cronache e le agiografie riferite a quegli anni riportano come Antonio sapesse far convivere grande rigore e dolcezza d’animo.
Riporta la ‘Benignitas’: “Resse con lode per più anni il servizio dei frati, e sebbene per eloquenza e dottrina si può dire superasse ogni uomo d’Italia, tuttavia nell’ufficio di prelato si mostrava cortese in modo mirabile e governava i suoi frati con clemenza e benignità”.
Il suo biografo francese Giovanni Rigauld, ha scritto che nonostante la carica di Guardiano: “non sembrava affatto superiore, ma compagno dei frati; voleva essere considerato uno di loro, anzi inferiore a tutti. Quando era in viaggio, lasciava la precedenza al suo compagno… E pensando che Cristo lavò i piedi ai suoi discepoli, lavava anche lui i piedi ai frati e si adoperava a tenere puliti gli utensili della cucina”
Antonio stesso nei sermoni scrisse: “La vita del prelato deve splendere d’intima purezza, dev’essere pacifica con i sudditi, che il superiore ha da riconciliare con Dio e tra loro; modesta, cioè di costumi irreprensibili; colma di bontà verso i bisognosi. Invero, i beni di cui egli dispone, fatta eccezione del necessario, appartengono ai poveri, e se non li dona generosamente è un rapinatore, e come rapinatore sarà giudicato. Deve governare senza doppiezza, cioè senza parzialità, e caricare sé stesso della penitenza che toccherebbe agli altri”
In un’altra predicazione scrisse: “Assai più vi piaccia essere amati che temuti. L’amore rende dolci le cose aspre e leggere le cose pesanti; il timore, invece, rende insopportabili anche le cose più lievi”
In tempi in cui il potere temporale ed il possesso del denaro erano grandi tentazioni la Regola francescana imponeva ai Ministri Provinciali: “I frati, che sono ministri e servi degli altri frati, vìsitino e ammonìscano i loro fratelli e li corrèggano con umiltà e carità (…)
Benché sia permesso di provvedersi un buon corredo di cultura, pur si ricordi più di ogni altro di essere semplice nei costumi e nel contegno, favorendo così la virtù.
Abbia in orrore il denaro, rovina principale della nostra professione e perfezione; sapendo di essere capo di un Ordine povero e di dover dare il buon esempio agli altri, non si permetta alcun abuso in fatto di denaro.
Non sia appassionato raccoglitore di libri e non sia troppo intento allo studio e all’insegnamento, per non sottrarre all’ufficio ciò che dedica allo studio.
Sia un uomo capace di consolare gli afflitti, perché è l’ultimo rifugio dei tribolati, onde evitare che, venendo a mancare i rimedi per guarire, gli infermi non cadano nella disperazione.
Per piegare i protervi alla mansuetudine non si vergogni di umiliare e abbassare sé stesso rinunciando in parte al suo diritto per guadagnare l’anima”.
Come è evidente la storia, i miracoli, gli insegnamenti di Sant’Antonio tornano ad essere di grandissima attualità.
ESORDIO - LA DIGNITÀ DELLA VERGINE GLORIOSA
1. "Come un vaso d'oro massiccio, ornato di ogni specie di pietre preziose; come olivo che sta gemmando e come cipresso svettante verso l'alto" (Eccli 50,10-11).
Dice Geremia: "Soglio della gloria dell'altezza fin dal principio, luogo della nostra santificazione, aspettazione di Israele" (Ger 17,12-13). Il soglio, come a dire seggio solido, è chiamato così dal verbo "sedersi". Soglio di gloria è la beata Maria, che in tutto fu solida e integra: in lei fu la gloria del Padre, cioè il Figlio sapiente, anzi la stessa Sapienza, Gesù Cristo, quando da lei assunse la carne. Leggiamo nel salmo: "Affinché la gloria abiti nella nostra terra" (Sal 84,10). La gloria dell'altezza, cioè degli angeli, abitò in terra, cioè nella nostra carne. La Vergine Maria fu il soglio della gloria, cioè di Gesù Cristo che è la gloria dell'altezza, vale a dire degli angeli. Infatti dice l'Ecclesiastico: "Firmamento dell'altezza è la sua bellezza, bellezza del cielo nella visione della gloria" (Eccli 43,1).
Gesù Cristo è il "firmamento" ( da firmus), nel senso di sostegno, dell'altezza, cioè della sublimità angelica, che egli stesso ha confermato, mentre l'[angelo] apostata precipitava con i suoi seguaci. Leggiamo in Giobbe: "Tu forse hai fabbricato con lui i cieli, che sono saldissimi, quasi fusi", o fondati, "nel bronzo"? (Gb 37,18). Come dicesse: Non è stata forse la Sapienza del Padre che ha fabbricato i cieli, cioè la natura angelica? Infatti, "In principio Dio creò il cielo" (Gn 1,1): per "cielo" si intende ciò che nel cielo è contenuto.
Quando gli angeli ribelli furono trascinati via con le catene dell'inferno (cf. 2Pt 2,4), gli angeli fedeli, che restarono uniti al sommo Bene, furono confermati nella stabilità come nel bronzo. Nella perennità del bronzo è raffigurata l'eterna stabilità degli angeli fedeli. Gesù Cristo, "firmamento" della sublimità angelica, è anche la loro bellezza. Infatti egli sazia della bellezza della sua umanità quelli che ha confermato con la potenza della sua divinità. C'è anche lo splendore del cielo, cioè di tutte le anime che abitano nei cieli; splendore che consiste nella visione della gloria. Mentre infatti contemplano faccia a faccia la gloria del Padre, risplendono essi stessi di gloria. Ecco dunque quanto grande è la dignità della Vergine gloriosa, che meritò di essere Madre di colui che è il "firmamento" e la bellezza degli angeli, e lo splendore di tutti i santi.
Dice Geremia: "Soglio della gloria dell'altezza fin dal principio, luogo della nostra santificazione, aspettazione di Israele" (Ger 17,12-13). Il soglio, come a dire seggio solido, è chiamato così dal verbo "sedersi". Soglio di gloria è la beata Maria, che in tutto fu solida e integra: in lei fu la gloria del Padre, cioè il Figlio sapiente, anzi la stessa Sapienza, Gesù Cristo, quando da lei assunse la carne. Leggiamo nel salmo: "Affinché la gloria abiti nella nostra terra" (Sal 84,10). La gloria dell'altezza, cioè degli angeli, abitò in terra, cioè nella nostra carne. La Vergine Maria fu il soglio della gloria, cioè di Gesù Cristo che è la gloria dell'altezza, vale a dire degli angeli. Infatti dice l'Ecclesiastico: "Firmamento dell'altezza è la sua bellezza, bellezza del cielo nella visione della gloria" (Eccli 43,1).
Gesù Cristo è il "firmamento" ( da firmus), nel senso di sostegno, dell'altezza, cioè della sublimità angelica, che egli stesso ha confermato, mentre l'[angelo] apostata precipitava con i suoi seguaci. Leggiamo in Giobbe: "Tu forse hai fabbricato con lui i cieli, che sono saldissimi, quasi fusi", o fondati, "nel bronzo"? (Gb 37,18). Come dicesse: Non è stata forse la Sapienza del Padre che ha fabbricato i cieli, cioè la natura angelica? Infatti, "In principio Dio creò il cielo" (Gn 1,1): per "cielo" si intende ciò che nel cielo è contenuto.
Quando gli angeli ribelli furono trascinati via con le catene dell'inferno (cf. 2Pt 2,4), gli angeli fedeli, che restarono uniti al sommo Bene, furono confermati nella stabilità come nel bronzo. Nella perennità del bronzo è raffigurata l'eterna stabilità degli angeli fedeli. Gesù Cristo, "firmamento" della sublimità angelica, è anche la loro bellezza. Infatti egli sazia della bellezza della sua umanità quelli che ha confermato con la potenza della sua divinità. C'è anche lo splendore del cielo, cioè di tutte le anime che abitano nei cieli; splendore che consiste nella visione della gloria. Mentre infatti contemplano faccia a faccia la gloria del Padre, risplendono essi stessi di gloria. Ecco dunque quanto grande è la dignità della Vergine gloriosa, che meritò di essere Madre di colui che è il "firmamento" e la bellezza degli angeli, e lo splendore di tutti i santi.
2. "Soglio di gloria dell'altezza fin dal principio", cioè dalla creazione del mondo, Maria fu predestinata a essere Madre di Dio con potenza, secondo lo spirito di santificazione (cf. Rm 1,4). E continua: "Luogo della nostra santificazione, aspettazione di Israele". La Beata Vergine fu il luogo della nostra santificazione, cioè del Figlio di Dio che ci ha santificati. Di questo luogo, egli stesso dice in Isaia: "L'abete, il bosso e il pino verranno insieme ad ornare il luogo della mia santificazione; e glorificherò il luogo dove ho posto i miei piedi" (Is 60,13). L'abete è così chiamato (lat. abies da abeo, vado via) perché più di tutti gli alberi si spinge in alto, e raffigura i contemplativi. Il bosso invece che non si spinge in alto e non produce frutto, ma ha un verde perenne, sta ad indicare i neocredenti, che si mantengono nella viva fede di un verde perenne. Il pino è un albero che deve il suo nome alla forma acuminata delle sue foglie: gli antichi infatti lo definivano "acuto"; esso indica i penitenti che, consci dei loro peccati, con l'acutezza della contrizione pungono il loro cuore, per farne sgorgare il sangue delle lacrime.
Tutti costoro, cioè i contemplativi, i fedeli e i penitenti, in questa solennità vengono ad "onorare" con la devozione, con la lode e la celebrazione la Vergine Maria, che fu il luogo della santificazione di Gesù Cristo, nella quale egli stesso si è santificato. Infatti dice Giovanni: "Per loro io santifico me stesso" (Gv 17,19), di una santificazione creata, "affinché anch'essi siano santificati nella verità (Gv 17,19), cioè in me, che in me stesso, Verbo, santifico me stesso uomo, vale a dire per mezzo di me, Verbo, riempio me stesso di tutti i beni."E santificherò il luogo dei miei piedi". I piedi del Signore raffigurano la sua umanità; di essi Mosè dice: "Quelli che si avvicinano ai suoi piedi riceveranno la sua dottrina" (Dt 33,3). Nessuno può avvicinarsi ai piedi del Signore, se prima, come è detto nell'Esodo, non si è tolto i calzari, cioè le opere morte, dai piedi (cf. Es 3,5), vale a dire dagli affetti della mente. Avvicinati dunque a piedi nudi e riceverai il suo insegnamento. Dice infatti Isaia: "A chi comunicherà egli la scienza e a chi darà l'intelligenza delle cose udite? A quelli che sono divezzati dal latte e staccati dalle mammelle" (Is 28,9). Chi si allontana dal latte della concupiscenza del mondo e si stacca dalle mammelle della gola e della lussuria, sarà degno di essere ammaestrato nella scienza divina in questa vita, e di sentirsi dire nella vita futura: "Venite, benedetti del Padre mio!" (Mt 25,34).
Il luogo dei piedi del Signore fu la Vergine Maria, dalla quale egli ricevette l'umanità; e oggi ha glorificato quel "luogo" perché ha esaltato Maria al di sopra dei cori degli angeli. Per questo ti è chiaro che la beata Vergine fu assunta in cielo anche con il corpo, che fu il luogo dei piedi del Signore. Leggiamo nel salmo: "Álzati, Signore, e vieni nel luogo del tuo riposo, tu e l'arca della tua santificazione" (Sal 131,8). Il Signore si alzò quando salì alla destra del Padre. Si alzò anche l'arca della sua santificazione quando, in questo giorno, la Vergine Madre fu assunta all'etereo talamo, alla gloria celeste. Sta scritto nella Genesi che l'arca si fermò sopra i monti dell'Armenia (cf. Gn 8,4). Armenia s'interpreta "monte staccato", e raffigura la natura angelica che è detta monte in relazione agli angeli che restarono fedeli, e staccato in riferimento a quelli che precipitarono nell'inferno. L'arca del vero Noè, che ci ha fatto riposare dalle nostre fatiche, nella terra maledetta dal Signore (cf. Gn 5,29), si fermò in questo giorno sopra i monti dell'Armenia, vale a dire sopra i cori degli angeli.
A lode della beata Vergine, che è l'aspettazione di Israele, cioè del popolo cristiano, e per il maggior decoro di così grande solennità, illustrerò la citazione riportata all'inizio: "Come vaso di oro massiccio, ornato di ogni specie di pietre preziose; come olivo che sta gemmando e come cipresso svettante verso l'alto" (Eccli 50,10-11).
Tutti costoro, cioè i contemplativi, i fedeli e i penitenti, in questa solennità vengono ad "onorare" con la devozione, con la lode e la celebrazione la Vergine Maria, che fu il luogo della santificazione di Gesù Cristo, nella quale egli stesso si è santificato. Infatti dice Giovanni: "Per loro io santifico me stesso" (Gv 17,19), di una santificazione creata, "affinché anch'essi siano santificati nella verità (Gv 17,19), cioè in me, che in me stesso, Verbo, santifico me stesso uomo, vale a dire per mezzo di me, Verbo, riempio me stesso di tutti i beni."E santificherò il luogo dei miei piedi". I piedi del Signore raffigurano la sua umanità; di essi Mosè dice: "Quelli che si avvicinano ai suoi piedi riceveranno la sua dottrina" (Dt 33,3). Nessuno può avvicinarsi ai piedi del Signore, se prima, come è detto nell'Esodo, non si è tolto i calzari, cioè le opere morte, dai piedi (cf. Es 3,5), vale a dire dagli affetti della mente. Avvicinati dunque a piedi nudi e riceverai il suo insegnamento. Dice infatti Isaia: "A chi comunicherà egli la scienza e a chi darà l'intelligenza delle cose udite? A quelli che sono divezzati dal latte e staccati dalle mammelle" (Is 28,9). Chi si allontana dal latte della concupiscenza del mondo e si stacca dalle mammelle della gola e della lussuria, sarà degno di essere ammaestrato nella scienza divina in questa vita, e di sentirsi dire nella vita futura: "Venite, benedetti del Padre mio!" (Mt 25,34).
Il luogo dei piedi del Signore fu la Vergine Maria, dalla quale egli ricevette l'umanità; e oggi ha glorificato quel "luogo" perché ha esaltato Maria al di sopra dei cori degli angeli. Per questo ti è chiaro che la beata Vergine fu assunta in cielo anche con il corpo, che fu il luogo dei piedi del Signore. Leggiamo nel salmo: "Álzati, Signore, e vieni nel luogo del tuo riposo, tu e l'arca della tua santificazione" (Sal 131,8). Il Signore si alzò quando salì alla destra del Padre. Si alzò anche l'arca della sua santificazione quando, in questo giorno, la Vergine Madre fu assunta all'etereo talamo, alla gloria celeste. Sta scritto nella Genesi che l'arca si fermò sopra i monti dell'Armenia (cf. Gn 8,4). Armenia s'interpreta "monte staccato", e raffigura la natura angelica che è detta monte in relazione agli angeli che restarono fedeli, e staccato in riferimento a quelli che precipitarono nell'inferno. L'arca del vero Noè, che ci ha fatto riposare dalle nostre fatiche, nella terra maledetta dal Signore (cf. Gn 5,29), si fermò in questo giorno sopra i monti dell'Armenia, vale a dire sopra i cori degli angeli.
A lode della beata Vergine, che è l'aspettazione di Israele, cioè del popolo cristiano, e per il maggior decoro di così grande solennità, illustrerò la citazione riportata all'inizio: "Come vaso di oro massiccio, ornato di ogni specie di pietre preziose; come olivo che sta gemmando e come cipresso svettante verso l'alto" (Eccli 50,10-11).
AMDG et DVM