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giovedì 15 maggio 2014

Lettera ad un amico: «Figli miei, siate devoti di Maria, ama raccomandare: so quello che dico! Siate devoti di Maria!»


Carissimo Amico,

«Sono le leggi del Vangelo e i comandi di Cristo che conducono alla gioia e alla felicità: questa è la verità proclamata da san Filippo Neri ai giovani che incontrava nel suo quotidiano lavoro apostolico. Era, il suo, un annuncio dettato dall’intima esperienza di Dio fatta soprattutto nell’orazione» (S. Giovanni Paolo II, il 7 ottobre 1994, in occasione del quarto centenario della morte del santo). Pochi uomini hanno lasciato nella città di Roma un’impronta così forte, profonda e duratura come san Filippo Neri, questo “pazzo di dio”. Eppure non ha mai occupato posti importanti nella Chiesa. Ma la luce notevole che si è irradiata dalla sua persona si può percepire ancora oggi.

Filippo nasce a Firenze, in Toscana, il 21 luglio 1515, secondo di una famiglia con quattro figli. Suo padre, Francesco, è notaio. Sua madre, Lucrezia, muore quando egli ha cinque anni. Viene ben presto sostituita al focolare domestico da Alessandra, seconda moglie di Francesco, che circonda il bambino di una tenerezza particolare. Firenze è allora quella capitale delle arti e dei banchieri la cui fama si fa sentire anche lontano. Ancora molto giovane, Filippo, già notato per il suo carattere allegro e docile, frequenta i padri domenicani del convento di San Marco. Vi riceve una duplice influenza: quella della bellezza artistica, grazie ai dipinti realizzati sui muri dal Beato Fra Angelico; e quella di Savonarola, quel domenicano che, con la sua predicazione, ha sollevato la città circa trent’anni prima. Filippo ne deriva un ardente amore di Gesù e la chiamata alla conversione, ma, lungi dal condividere l’esaltazione di Savonarola, manifesterà equilibrio e mitezza.


Dopo il “sacco” (saccheggio) di Roma da parte dei lanzichenecchi imperiali, nel 1527, seguito da quello di Firenze, nel 1530, Filippo viene inviato presso un ricco parente che ha fatto fortuna nell’ambito tessile. Vi inizia una vita piena di calcoli di redditività sul commercio dei tessuti e delle lane, in cui conta solo il guadagno; ben presto, il giovane, turbato, si chiede come si possa in modo lecito ammassare tanto denaro quando i poveri sono così numerosi. Decide di lasciare il suo generoso benefattore per andare a condurre a Roma una vita più evangelica. Là, viene accolto da un compatriota fiorentino, direttore delle dogane, diventa precettore dei due figli del suo ospite e conduce una vita molto ascetica, nutrendosi di olive, pane e acqua. Roma si risolleva con fatica dalle devastazioni del terribile saccheggio del 1527. È considerata una città malfamata; eppure ospita correnti spirituali che lasciano presagire una rinascita della vita religiosa. Filippo approfitta della vicinanza dell’Università pontificia di Roma, “La Sapienza”, per studiare la filosofia e la teologia, non secondo un programma sistematico ma approfondendo le materie più utili per aiutare le persone che si rivolgeranno a lui.



L’ardore infuocato della carità

Il giovane si reca spesso di notte alla catacomba di San Sebastiano per pregare. Lì, durante la veglia di Pentecoste del 1544, lo Spirito Santo gli dona una grazia eccezionale: prova un ardore infuocato di carità nel suo cuore e vede una fiamma a forma di globo passargli attraverso le labbra; sente che questa fiamma gli arriva fino al cuore e lo fa vibrare molto intensamente. Questa grazia avrà una ripercussione su tutta la sua vita, poiché il suo cuore è stato come dilatato dall’amore divino. In occasione di una visita medica per una normale bronchite, il medico avrà lo stupore di constatare che delle costole sono state rotte dalla dilatazione fisica del cuore. In seguito, il Signore gratificherà spesso Filippo con estasi e doni soprannaturali.

Filippo attinge nelle sue lunghe ore di preghiera un intenso amore del prossimo che lo porta a visitare gli ospedali e ad acquisire una solida competenza d’infermiere. A quell’epoca, si tratta di un ministero quasi eroico, visto lo stato degli istituti di cura per i poveri; tuttavia, il giovane comprende rapidamente che i malati hanno soprattutto bisogno di sentirsi amati. Egli si occupa anche dei pellegrini poveri e infermi che arrivano a Roma, per i quali, insieme al suo confessore, Persiano Rosa, apre una casa di accoglienza. Ben presto, vi riceve anche dei convalescenti, che, non appena il loro stato inizia a migliorare, vengono cacciati dagli ospedali per far posto ad altri e si trovano spesso sulla strada, con gravi pericoli di ricadute. Questa attività si sviluppa a tal punto che, nel 1548, egli fonda la “Confraternita della Trinità dei Pellegrini”.



L’ora di fare il bene
Filippo Neri incontra spesso sant’Ignazio di Loyola e i suoi primi compagni, soprattutto san Francesco Saverio; prende in considerazione persino, per un momento, di unirsi a loro. Grazie alla sua influenza, viene introdotta a Roma la devozione eucaristica detta delle “Quaranta Ore”, tempo di adorazione in riparazione degli scandali occasionati dalle feste del carnevale. Egli prende parte all’organizzazione dei gruppi di adoratori, ed esorta coloro che hanno terminato il loro tempo di orazione dicendo: «Andate, l’ora della vostra preghiera è finita, ma non quella di fare il bene.»
Convinto dal suo confessore, nonostante la resistenza della sua umiltà, a ricevere il sacerdozio, Filippo viene ordinato il 23 maggio 1551, all’età di 35 anni. Consapevole della sua indegnità, ritarda la celebrazione della sua prima Messa, ma, a poco a poco, arriva a concepire il Santo Sacrificio come una felicità divina e l’atto più sublime che possa compiere un uomo. Tuttavia, poiché le sue estasi e levitazioni diventano sempre più frequenti, evita di celebrare in pubblico. D’altra parte, l’amministrazione del sacramento della Penitenza rende il suo ministero presso le anime molto più fecondo. A partire dal 1551, si stabilisce presso la comunità sacerdotale di San Girolamo della Carità. Dall’alba a mezzogiorno, sente le confessioni nella chiesa; poi celebra la santa Messa, riceve e confessa nuovamente, nella sua camera. Sa mettere a loro agio i suoi penitenti e far sentire loro subito la sua benevolenza e la sua carità sacerdotale, parlando a ognuno da parte del Signore e consigliando la comunione frequente. Ci riparte da lui sollevati e riconfortati; il numero dei suoi fedeli cresce senza sosta. Ma la sua influenza gli attira persecuzioni e calunnie; lo invadono allora uno sgomento profondo e una vivissima sofferenza, al pensiero che i suoi detrattori impediscono il compiersi del bene. «O Gesù, dice nella sua preghiera, non ho cessato di chiederti la virtù della pazienza, perché non me la concedi? Perché permetti che mi si presentino tante occasioni di preoccupazione, di collera, d’impazienza?» La sua richiesta è giustificata, perché, come sottolineava santa Teresa d’Avila in una celebre poesia: «La pazienza ottiene tutto.»
Filippo Neri riunisce dei giovani in cenacolo. Possiede l’arte di spiegare le cose difficili, ma sa anche far partecipare i suoi ascoltatori alla conversazione. Il suo umorismo, talvolta audace, gli attira la stima di molti giovani curiosi, presto trascinati nel solco della sua fede ardente. Un giorno, uno studente gli espone i suoi sogni e le sue ambizioni, e il santo si accontenta di rispondere con una domanda, sempre la stessa: «E poi?» Il giovane finisce con il rendersi conto della vanità dei suoi progetti quando li si pesa con il peso dell’eternità.

Nel suo messaggio per la quaresima 2012, papa Benedetto XVI ha scritto: «Desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in oblio: la correzione fraterna in vista della salvezza eterna. Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli… nelle comunità veramente mature nella fede, ci si prende a cuore non solo la salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo.»



Riuniti nel Suo Nome
Durante le riunioni organizzate per i giovani, ci si intrattiene sulle Sacre Scritture, soprattutto sul Vangelo secondo san Giovanni, ma anche sugli autori spirituali come Giovanni Cassiano, santa Gertrude, ecc. Ciascuno può esprimere liberamente il proprio pensiero sul passo che è stato letto, sotto il controllo di Filippo; quest’ultimo è persuaso che lo Spirito Santo operi grandemente in queste riunioni, perché dove saranno due o tre riuniti nel mio nome, io sarò in mezzo a loro, ha promesso Gesù (Mt 18, 20). A poco a poco, questi giovani si formano alla vita spirituale, garanzia di entusiasmo e di rinnovamento dei cuori. È la nascita dell’“Oratorio”. Questo termine designa dapprima il locale in cui ci si riunisce per pregare, poi il gruppo di coloro che lo frequentano, denominati “Oratoriani”. 

Le riunioni comportano due sedute, una di preghiera e l’altra di riflessione in quattro ambiti: la storia della Chiesa, la vita dei santi, le questioni riguardanti la vita morale, infine l’orazione e le sue difficoltà. I giovani preparano essi stessi delle esposizioni orali; Filippo desidera che si parli di realtà concrete, illustrate da esperienze tratte dalla vita dei santi o dalla storia della Chiesa. Dopo le loro riunioni, egli trascina i suoi discepoli nella visita di una chiesa o di un ospedale; poi tutti si ritrovano all’aria aperta, per esempio sul colle Gianicolo; là, delle ricreazioni musicali diventano ben presto veri e propri concerti, grazie alla partecipazione di musicisti come Palestrina e dei membri della cappella pontificia. Questa musica di prima qualità attira, a sua volta, altre persone. Convinto che il bello conduca al bene, Filippo Neri fa entrare l’arte nel suo progetto educativo, promuovendo iniziative capaci di condurre al vero e al bello.


Tra le personalità che si confidano con Filippo, si conta Giovanni Battista Salviati, lontano cugino della regina Caterina de Medici. Quest’ultimo si converte e passa dal grande fasto all’estrema umiltà; il santo deve intervenire per dissuaderlo dal ricercare troppe umiliazioni.


Nel 1557, entra ancora giovane all’Oratorio Cesare Baronio. Discernendo la tempra della sua anima, Filippo lo sottopone a una serie di prove che sviluppano in lui pazienza e umiltà. Poi, con un intento apologetico nei confronti della storiografia protestante, lo orienta verso lo studio della storia della Chiesa, dove eccellerà, in particolare con gli Annales Ecclesiastici, opera monumentale che diventerà una delle basi della scienza moderna della storia della Chiesa. In seguito verrà nominato cardinale.


Gabriele Tana, giovane affetto da tubercolosi, si rivolta contro questa malattia. Trascorre un periodo di deserto spirituale con visioni diaboliche ed è tentato dalla disperazione. Filippo riporta la pace nella sua anima: il giovane ritrova la serenità e, al momento di morire, manifesta una grande gioia. Filippo Neri è spesso chiamato al letto dei morenti. L’effetto della sua presenza è impressionante, spesso accompagnato da guarigioni miracolose. Con i suoi discepoli, visita assiduamente i malati, e invia i suoi giovani a mendicare per i poveri alla porta delle chiese, il che è particolarmente difficile per i gentiluomini vestiti all’ultima moda.



Raccoglimento e allegria
A partire dal 1559, Filippo inaugura i pellegrinaggi alle sette basiliche maggiori di Roma, in spirito di penitenza. L’atmosfera è improntata al raccoglimento e all’allegria spirituale. All’inizio, partecipano a questo pellegrinaggio una trentina di giovani, ma, in seguito, saranno centinaia se non migliaia. La vigilia, si comincia con il visitare San Pietro; l’indomani, ci si ritrova a San Paolo, poi alla catacomba di San Sebastiano, a San Giovanni in Laterano, alla Santa Croce in Gerusalemme, a San Lorenzo fuori le mura, per finire a Santa Maria Maggiore. In quello stesso periodo, si risvegliano i dibattiti riguardo alla memoria di Savonarola e alcuni vogliono far condannare le sue opere; Filippo contribuisce a far abbandonare questo progetto, ma la sua presa di posizione ha attirato l’attenzione su di lui e l’ha reso sospetto agli occhi di coloro che non apprezzano Savonarola. Il Cardinale Vicario (vale a dire il vicario del Papa per la diocesi di Roma) interviene e, temendo che le grandi processioni dell’Oratorio degenerino in sommosse, intima a Filippo il divieto di organizzare riunioni e quello di confessare, per quindici giorni. Il santo si sottomette e dissuade i suoi fedeli dal protestare contro le decisioni dell’autorità ecclesiastica: «Per me, gli ordini dei miei superiori sono sempre passati davanti a tutto il resto, e mi è dolce essere obbediente.» Essendo venuto improvvisamente a morire il Cardinale-Vicario, tutte le sanzioni vengono tolte.

Avviene che la Chiesa, nella persona dei suoi ministri, faccia soffrire i suoi figli. In simili circostanze, i santi sanno rimanerle fedeli. La fede ricorda loro che tra «Gesù Cristo, nostro Signore, che è lo Sposo, e la Chiesa, che è la sua Sposa, c’è un unico Spirito che ci governa e ci guida per la salvezza delle nostre anime, e che è attraverso lo stesso Spirito e lo stesso Signore che donò i dieci comandamenti che è guidata e governata la nostra santa Madre Chiesa» (Esercizi di sant’Ignazio, 365).


Una delegazioni di fiorentini, suoi compatrioti, chiede a Filippo Neri di assumere la cura della chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, sulle rive del Tevere; vi si stabilisce una comunità dell’Oratorio. A quell’epoca s’instaura la vita comunitaria dei preti dell’Oratorio. Sommerso da coloro che si rivolgono a lui, il fondatore ha, in effetti, invitato alcuni dei suoi discepoli di più vecchia data a ricevere anch’essi gli Ordini per consacrarsi ai fedeli dell’Oratorio. Non dà loro una Regola: essa è sostituita dalla sua direzione spirituale, arricchita da alcune prescrizioni di semplice buon senso, che riflettono una profonda conoscenza del cuore umano.

Un gusto criticato
DI QUI nel 1567, sotto papa san Pio V, un sordo complotto è sul punto di condurre alla soppressione dell’Oratorio. San Carlo Borromeo, allora arcivescovo di Milano, riesce a salvare questa fondazione. Essendo venuti due domenicani, su ordine del Papa, ad ascoltare i sermoni di Filippo, ne sono talmente soddisfatti ed edificati che, dopo la fine della loro missione, continuano a venire ad ascoltarli. Sette anni dopo, un giovane, escluso dall’Oratorio a causa della sua cattiva condotta, lancia una campagna di calunnie. Si critica il gusto del fondatore per lo spettacolo pubblico e le facezie, due strumenti per l’apostolato che egli utilizza volentieri. Filippo ne è addolorato; le persecuzioni di cui è oggetto lo affliggono sempre profondamente. Dopo la morte di san Pio V, il nuovo Papa, Gregorio XIII, affida all’Oratorio una piccola chiesa fatiscente dedicata a Maria, Santa Maria in Vallicella. Ben presto, si fa sentire la necessità di ricostruire interamente la chiesa. L’architetto è spaventato dal progetto: «Come si potrà fare una chiesa così grande?» Ma scavando nel luogo indicato dal santo, si trova un muro solido, già pronto per servire da fondamenta.
Nel 1575, l’Oratorio è ufficialmente eretto dal Papa, e, nel 1577, il fondatore viene eletto alla carica di primo Preposto generale. Affluiscono i postulanti. Filippo non desidera veder l’Oratorio sciamare fuori Roma. Eppure si fanno delle fondazioni di Oratori indipendenti a San Severino, Milano, Padova, ecc., che prendono per modello la casa romana, ma senza esserle sottomesse. Nel 1586, tuttavia, l’assemblea plenaria degli Oratoriani si pronuncia a favore di una fondazione a Napoli. In seguito, questa fondazione evolverà verso una vita religiosa più regolata, contrariamente all’Oratorio di Roma che manterrà lo stile informale voluto dal fondatore.
Nel marzo 1583, Paolo Massimo, figlio di nobile famiglia, quattordicenne, si ammala gravemente; Filippo lo va a trovare tutti i giorni. Al momento dell’agonia, l’adolescente lo fa chiamare. Arrivato dopo la sua morte, il santo lo stringe sul suo petto, si mette in preghiera e lo chiama due volte per nome. Il ragazzo apre gli occhi: Filippo gli chiede se vuole vivere o se preferisce morire. Il ragazzo risponde chiaramente che preferisce morire: «Va! gli dice Filippo, sii benedetto e prega per me», e Paolo muore. Ancora oggi, ogni anno, il 16 marzo, viene celebrato l’avvenimento al palazzo Massimo, vicino a piazza Navona. Questa risurrezione e alcune guarigioni straordinarie sono rapidamente conosciute nella città; esse contribuiscono alla reputazione di santità di Filippo Neri, che inventa ogni sorta di eccentricità per cercare di disilludere la gente. È felicissimo quando si dice di lui: «Vedete quel vecchio pazzo!» Prescrive inoltre ai suoi compagni e penitenti di compiere di tanto in tanto delle azioni umilianti, per preservarli dall’orgoglio. Nel 1590, resiste a Gregorio XIV, da poco eletto Papa, che desidera elevarlo al cardinalato.

Filippo Neri attribuisce una grande importanza ai sacramenti. «I confessori, dice, devono far penetrare nei loro penitenti qualche cosa della tenerezza dell’amore di Dio... Sforzatevi sempre di portare i peccatori a Cristo con la vostra amabilità e il vostro amore... Sforzatevi di far loro comprendere questo amore di Dio, l’unico capace di compiere realmente grandi cose.» L’amore di Cristo è il fondamento dell’apostolato del santo, caratterizzato dall’affabilità e dalla dolcezza: egli accoglie amabilmente tutti coloro che si presentano, sa ascoltarli, rallegrarsi con coloro che sono nella gioia, affliggersi con coloro che piangono. Una religiosa affetta da depressione si dichiara perduta. Filippo le assicura: «Ti dico che tu sei destinata al paradiso e te lo proverò. Dimmi dunque per chi è morto Cristo. – Per i peccatori. – Esatto. E tu chi sei? – Una peccatrice. – Allora il paradiso è per te poiché tu sei pentita dei tuoi peccati.» Per lui, l’umiltà si accompagna sempre all’amore: «Prima di tutto, bisogna essere umili», ripete spesso ai suoi discepoli. Egli sa che, nella vita spirituale, «si scende quando ci si innalza (con l’orgoglio) e si sale con l’umiltà» (Regola di san Benedetto, cap. 7). Filippo mira alla santificazione di tutti: «Le persone che vivono nel mondo, afferma, devono sforzarsi di arrivare alla santità nella loro propria casa. La vita di corte, la professione, il lavoro non sono ostacoli per chi vuole servire Dio».

«So quello che dico!»
Poiché la sua salute va sempre più deteriorandosi, Filippo Neri dà le dimissioni, nel dicembre 1593, dal suo incarico di Preposto generale, e l’assemblea plenaria dell’Oratorio elegge a succedergli Baronio. Ma il santo continua a ricevere nella sua camera e scende di tanto in tanto in chiesa per sentire la confessione di tre o quattro povere donne anziane. Quando le sue forze glielo permettono, si reca a far visita ad amici nel dolore, o ad ammalati, a cui porta un piccolo dono. Nella primavera del 1594, gli appare la Santa Vergine nella sua camera. Egli dichiara ai medici: «Non ho più bisogno di voi. La Madonna mi ha guarito», il che si rivela esatto. Filippo ha sempre avuto una devozione profonda per la Santa Vergine: «Figli miei, siate devoti di Maria, ama raccomandare: so quello che dico! Siate devoti di Maria!»

Un anno dopo, il 12 maggio 1595, ha un grave malessere e perde conoscenza. In presenza della santa Eucaristia portata da padre Baronio, si rianima d’improvviso e dice: «Ecco il mio Dio! Datemelo in fretta!» Il mattino del 26 maggio, festa del Santissimo Sacramento, molto presto, chiede che si facciano venire coloro che vogliono confessarsi a lui. Nella giornata, il medico gli dice: «Non vi ho mai visto così in buona salute!» La notte seguente, lo coglie un nuovo malessere e tutti i suoi confratelli accorrono al suo capezzale. Padre Baronio fa la raccomandazione dell’anima a Dio e chiede la benedizione del moribondo. Filippo alza la mano e resta qualche istante in questa posizione, con gli occhi rivolti verso il cielo; poi, abbassata la mano e chiusi gli occhi, spira tranquillamente come qualcuno che si addormenta.

Gregorio XV l’ha canonizzato il 12 marzo 1622. Il suo corpo, esposto in una bara di vetro, è conservato nella “sua chiesa” Santa Maria in Vallicella. Alla morte del santo, si contavano sette Oratori in Italia. Oggi esiste una federazione di circa ottanta comunità dette “Congregazione dell’Oratorio”, che contano circa cinquecento religiosi suddivisi in diciannove paesi.
Questo santo della gioia è vissuto in un’epoca difficile della storia della Chiesa (rilassatezza morale di molti membri del clero, Riforma protestante e sconvolgimenti politici), ma ci insegna che la Chiesa, fondata su Pietro (cf. Mt 16, 18), non cessa mai di essere custode delle promesse della vita eterna.
Dom Antoine Marie osb

giovedì 11 luglio 2013

Devozione all'Immacolata


32.
Devozione alla Madonna



Scritto da p.Lorenzo Sales imc   

Necessità ed eccellenza

Crederei di mancare al mio dovere e al mio speciale affetto alla SS. Vergine, se non prendessi tutte le occasioni propizie per parlarvi di Lei. S. Alfonso aveva fatto proposito di non tenere alcuna predica senza parlare di Maria SS., e riservava sempre una predica degli Esercizi a questo caro argomento. 

Predicando egli una volta sulla Madonna, un raggio di luce partì dall'effigie di Lei e venne a posarsi sul capo del Santo, alla presenza di una moltitudine di popolo (953). La Madonna fece questo miracolo per un gran Santo; ma invisibilmente lo fa anche per noi, ogni volta che parliamo di Lei. Dignare me laudare Te, Virgo Sacrata! È una grazia il poter parlare della Madonna; si concorre in qualche modo a realizzare ciò ch'Ella aveva di Sé predetto: Tutte le generazioni mi chiameranno beata (954).

Il mondo, come è consacrato al Cuore di Gesù e a S. Giuseppe, lo è anche alla Madonna. L'Italia Le è consacrata in modo particolare dal settembre 1959. Non v'è paese o borgata dove non vi sia una chiesa, un altare, un pilone, un'immagine della Madonna.

Questa divozione comincia con Nostro Signore ed è quasi tutta fondata sul Vangelo. Chi più di Nostro Signore amò e onorò la Madonna? Alle nozze di Cana, in omaggio a Lei, fece il suo primo miracolo. Persino gli eretici e scismatici dei primi tempi onorarono la Madonna. In Abissinia, la Chiesa ufficiale non è cattolica, eppure quanta divozione ha per la Madonna!

La divozione a Maria SS. è necessaria per salvarsi; ciò è moralmente certo, Suarez dice chiaramente che nessuno si salva senza la Madonna. La Chiesa applica alla SS. Vergine le parole della S. Scrittura: Chi mi avrà trovata, avrà trovata la vita e riceverà la salute dal Signore (955). La divozione alla Madonna non è dunque solo di consiglio, ma di necessità.

Ne consegue ch'essa è un segno di predestinazione. Sì, perché la Madonna null'altro desidera che la salvezza delle anime, ed è costituita così in alto, che può tutto. Nessun vero divoto della Madonna si è mai dannato. Quanti che avevano solo una tenue divozione verso dl Lei, furono da Lei convertiti! Alle volte ci domandiamo con stupore: " Come mai quel tale, dopo tanti anni di vita disordinata, si è convertito ed è morto così bene? ". La spiegazione la troviamo sempre lì: un po' di divozione alla Madonna... qualche Ave Maria ogni giorno... la medaglia al collo, e simili. Ho conosciuto una persona che da più di quarant'anni aveva lasciato ogni pratica religiosa, conservando solo la pia usanza della recita di tre Ave Maria ogni giorno. Ebbene, la Madonna le ottenne la grazia di fare una buona morte. Con questo non voglio dire che bastino tre Ave Maria e poi peccare; voglio dire che la Madonna, per un piccolo ossequio, magari dopo trenta o quarant'anni, riduce un'anima a pentimento.

Il desiderio proprio della Madonna è di salvar anime, cooperare perché il Sangue del suo Divin Figlio non sia sparso invano. Ella ha voluto dare il suo nome al nostro Istituto, perché si salvino più anime che è possibile. Tutte le anime che salverete, sarà per mezzo di Maria. Se uno vuol salvarsi senza passare per la Madonna, sbaglia.

Lo Scaramelli riporta la seguente visione: Diverse anime tentavano di salire per una magnifica scala rossa, in cima alla quale stava Gesù; ma per quanti sforzi facessero, non riuscivano a raggiungere la sommità. Poco discosto v'era un'altra scala, bianca, in cima alla quale stava la Madonna; molte anime la salivano con facilità e, giunte sulla sommità, la Madonna le faceva passare a Gesù. Allora anche le prime che invano avevano tentato di salire per la scala rossa, si portarono presso quest'altra ed esse pure con facilità riuscirono a salirla (956). Questo per dimostrare come non si possa giungere a Gesù, se non per mezzo della Madonna. Ad Jesum per Mariam!

La divozione alla Madonna non è solo pegno di predestinazione, ma anche di santificazione. Chi non ha vera divozione alla Madonna, non sarà mai un santo Religioso, un santo Sacerdote, un santo Missionario. Chi vuol giungere alla santità senza la Madonna, vuol volare senz'ali. Senza di Lei si fa nulla. E che fa Ella per la nostra santificazione? Ci sostiene nelle tentazioni e in tutte le miserie di cui è piena la nostra vita; ci difende dal demonio; ci dà la forza di superare tutte le difficoltà.

A convincerci di ciò basterebbe il fatto di S. Maria Egiziaca, narrato dallo Scaramelli. Costei era una grande peccatrice. Quando il mondo cominciò a venirle in uggia, pensò di entrare in una chiesa, ma, giunta alla porta, non vi poté entrare. Disperata peri vani tentativi, si prostrò davanti ad un'immagine della Madonna e chiese la grazia di poter entrare. La Madonna la esaudì. Entrata in chiesa, si pose subito sotto la protezione di Maria SS.; poi andò in un deserto, dove visse 47 anni a far penitenza. In tutto questo tempo la sola sua maestra fu la Madonna, che di una grande peccatrice fece una grande santa (957).

Tutti i Santi furono divoti della Madonna. La più bella omelia di S. Girolamo è quella sulla Madonna (958). Non avrei mai creduto che questo santo piuttosto rustico, fosse tutto tenerezza nel parlare alla Madonna. S. Filippo, fin da fanciullo, fu grandemente divoto della Vergine e si fermava delle ore a conversare con Lei davanti alla sua effigie. Lo faceva col trasporto, per l'amore tenerissimo che le portava S. Giovanni Berchmans pure era divotissimo della Madonna e ne parlava con santo entusiasmo; andava ripetendo a tutti: a Siate divoti della Madonna! "
S. Bernardo dice che la Madonna è fonte e canale. È fonte di grazia, basta andarla a prendere; ed è canale, perché tutte le grazie passano da Lei (959).
Tolta la Divinità, tutto il resto datelo pure alla Madonna. Ella è la Madre di Gesù e, come tale, in bei modi, a Lui comanda. Coriolano non cedette a nessuno, tranne alle istanze di sua madre. Quando Mosè disse a Dio: " Se non vuoi esaudirmi, toglimi da libro della vita " (960), Dio cedette alle sue suppliche. Mosè era, sì, un santo uomo, ma non era certo la Madonna.

Ella è regina del cielo e della terra, regina potentissima. Non è solo il re che comanda, ma anche regina. Le preghiere della Madonna, più che preghiere potrebbero dirsi comandi, perché il Signore vuole ch'Ella comandi.
Con esattezza teologica si dice che ciò che Iddio può per onnipotenza, la Madonna lo può con la preghiera. Non che la Madonna sia onnipotente ex malo è per volontà di Dio, lo è per grazia. La Madonna, in Dio e con Dio, può tutto. Ella è tesoriera e dispensatrice di tutte le grazie. Ella può persino far violenza a Nostro Signore, come fece alle nozze Cana. Ella è, al dire dei Santi, l'onnipotenza supplichevole.

Dobbiamo ringraziare il Signore che abbia voluto così, stimarci ben fortunati di non dover sempre ricorrere fino al trono di Dio per ottenere grazie, ma di avere a nostra disposizione questo gran mezzo. La Madonna, vedete, è più tenera!...
Dunque la Madonna può tutto. E vuole? Oh, se vuole! Con la sua tenerezza materna Ella entra nelle intenzioni del suo Divin Figlio: sa quanto siamo costati a Lui, sa che Nostro Signore vuol salvi tutti gli uomini; conosce questo gran desiderio di Gesù, questa precisa volontà di Dio: che ci salviamo e ci santifichiamo. Perciò basta che noi chiediamo e ci disponiamo a ricevere le sue grazie. Che se la Madonna soccorre anche i peccatori che Le danno qualche segno di divozione, che cosa non farà per quelli che la venerano e si adoprano a farla conoscere, amare e venerare?

Non temete di essere troppo divoti della Madonna, di onorarla troppo. Chi non ha divozione a Maria, non ha né vocazione sacerdotale, né vocazione Religiosa. Non è tuttavia necessario di sentirla sensibilmente; la vera divozione sta nella volontà. E nemmeno dobbiamo aver paura di far torto a Nostro Signore, amando molto la Madonna. Più l'amiamo, più ricorriamo a Lei, e più facciamo piacere a Nostro Signore. Dunque ricordatelo: se non saremo divoti della Madonna non faremo mai niente.


Come dimostrare il nostro amore 
alla Madonna

RIGUARDARLA COME MADRE 

 - Prima di tutto bisogna che riguardiamo Maria SS. come vera nostra Madre, sull'esempio di S. Filippo che soleva chiamarla: " Mamma mia! Mamma mia! ". Così pure faceva S. Giuseppe Cafasso e diceva sovente ai penitenti: " Ricordatevi che avete in Maria SS. una seconda Madre, che vi ama più della prima, senza tuttavia prenderle il posto ". Invece taluni parlano della Madonna come di un qualsiasi Santo canonizzato!.. In una madre si ha fiducia, le si vuol bene. Eccitare quindi in noi l'amore filiale alla Madonna, desiderare di sentirlo sempre più forte in noi, ripeterle anche noi con grande affetto: " Mamma mia! Mamma mia! ".

EVITARE IL PECCATO 

- Una cosa sola dispiace a Gesù e quindi anche alla Madonna: il peccato! Può uno essere divoto e piantarle uno stile nel cuore? Ebbene tutto ciò che ferisce il Signore, ferisce la Madonna Bisogna avere un po' di riguardo! Il peccato mortale non può stare con la vera divozione a Maria... E se capitasse una disgrazia? Mettersi subito a posto, ricorrere ugualmente a Lei, che è rifugio dei peccatori.
Dobbiamo inoltre guardarci dai peccati veniali, che sono un insulto, uno schiaffo, come per Gesù, così per la Madonna. Anche la Madonna ha portato il peso dei nostri peccati, Corredentrice con Nostro Signore. Perciò bisogna star attenti e fare ogni sforzo per diminuire il numero delle nostre mancanze, procurare che non ci sia mai la volontà o l'avvertenza piena. Insomma, avere in abominio il peccato e coltivare in noi questo abominio.

PRESTARLE OSSEQUIO 

- Parleremo in seguito delle diverse pie pratiche in onore della Madonna; qui solo vi ricordo come in ogni locale, studio, dormitorio, abbiamo il Crocifisso e l'effigie della Madonna. Perché dunque, quando entriamo in uno di questi locali, non salutare, dopo il Crocifisso, anche la Madonna? E così di altri ossequi. S. Alfonso era ascritto a quasi tutte le Compagnie erette in onore della Madonna. A chi gli domandava, come fosse possibile adempierne tutti gli obblighi, rispondeva: " Per intanto comincio a essere ascritto e a portarne l'abitino " (961). Taluni, al veder baciare un'immagine della Madonna, dicono " Uh, roba da bimbi! ". No, no; bisogna amare e rispettare tutto quello che riguarda la Madonna. S. Giovanni Berchmans dice che un ossequio, anche se piccolo ma costante, prestato alla Madonna è sempre molto efficace (962). Così è delle piccole mortificazioni fatte in suo onore.

FARCI SUOI SCHIAVI 

- Per meritarci la grazia di giungere alla santità, dobbiamo fare ciò che insegna S. Luigi Maria Grignon di Monfort, nel suo trattatello sulla divozione alla Madonna: farci schiavi di Maria; come S Francesco Zaverio che si faceva schiavo di Nostro Signore e talora si faceva persino legare le mani e i piedi. A noi piace di più essere figli; comunque, siamo schiavi volontari, e la Madonna ci tratterà bene. Questa schiavitù consiste in una donazione totale di noi stessi a Maria, che può così disporre a suo piacimento di quanto facciamo, e meritiamo; donazione totale, assoluta, irrevocabile. Non apparteniamo più a noi, ma alla Madonna.

Come conseguenza pratica, dobbiamo far tutto con la Madonna, tutto per la Madonna e tutto ricevere da Lei.

Far tutto con Maria; cioè fare tutte le nostre azioni in unione con Lei. S. Giuseppe Cafasso diceva che la Madonna bisogna prenderla socia in tutto. " Quando andate a predicare - soleva dire - prendetevi sempre insieme la Madonna ". Far tutto con Maria vuol dire ancora prendere la Madonna come nostro modello in tutte le azioni: come farebbe la Madonna questa azione?

Far tutto in Maria: assuefarci cioè a poco a poco, a raccoglierci in noi stessi come in un oratorio, con Maria: come una lampada che arde sempre alla sua presenza.

Far tutto per Maria: tutto cioè per piacere a Lei, tutto come vuole Lei. Se vogliamo far piacere a Nostro Signore in tutte le nostre azioni, dobbiamo farle in modo che piacciano anche alla Madonna, e farle per piacere alla Madonna. Allora Essa presenta tutto a Nostro Signore come se fosse roba sua e nostra insieme; e certo Essa non vorrà scapitarne; perciò aggiusterà tutto in modo che Gesù ne sia contento.

Prendere tutto da Maria: quando siamo tutti suoi, non ci mancherà più niente. Ella ha la vista buona, ricorda tutto, pensa a tutto. Il Signore ha voluto così: che ricorressimo prima alla Madonna, la quale, essendo Essa pure come noi semplice creatura, benché perfettissima, ha compassione delle nostre miserie. Il primo gradino della scala per salire a Dio, è la Madonna. Sì, tutto da Maria!... Darci interamente alla Madonna, anima e corpo, perché disponga di noi a suo piacimento e ci aiuti a farci santi.
AVE MARIA PURISSIMA!

venerdì 21 giugno 2013

METTIAMOCI ALLA SCUOLA DI

Maria il mio amore, la mia consolazione, la mamma mia.

SAN FILIPPO NERI

L'Obbedienza

- L'obbedienza buona è quando si ubbidisce senza discorso e si tiene per certo quello
che è comandato è la miglior cosa che si possa fare.
- L'obbedienza è il vero olocausto che si sacrifica a Dio sull'altare del nostro cuore, e
bisogna sforzarci d'obbedire anche nelle cose piccole, e che paiono di niun momento,
poiché in questo modo la persona si rende facile ad essere obbediente nelle cose
maggiori.
- E' meglio obbedire al sagrestano e al portinaio quando chiamano, che starsene in
camera a fare orazione.
- A proposito di colui che comandava diceva: Chi vuol esser obbedito assai, comandi
poco.

La Gioia Cristiana

- Figliuoli, state allegri, state allegri. Voglio che non facciate peccati, ma che siate
allegri.
- Non voglio scrupoli, non voglio malinconie. Scrupoli e malinconie, lontani da casa
mia.
- L'allegrezza cristiana interiore è un dono di Dio, derivato dalla buona coscienza,
mercé il disprezzo delle cose terrene, unito con la contemplazione delle celesti...Si
oppone alla nostra allegrezza il peccato; anzi, chi è servo del peccato non può
neanche assaporarla: le si oppone principalmente l'ambizione: le è nemico il senso, e
molto altresì la vanità e la detrazione. La nostra allegrezza corre gran pericolo e
spesso si perde col trattare cose mondane, col consorzio degli ambiziosi, col diletto
degli spettacoli.
- Ai giovani che facevano chiasso, a proposito di coloro che si lamentavano, diceva:
Lasciateli, miei cari, brontolare quanto vogliono. Voi seguitate il fatto vostro, e state
allegramente, perché altro non voglio da voi se non che non facciate peccati. E
quando doveva frenare l'irrequietezza dei ragazzi diceva: State fermi, e, sotto voce, se
potete.


La Devozione a Maria

- Figliuoli miei, siate devoti della Madonna: siate devoti a Maria.
- Sappiate, figliuoli, e credete a me, che lo so: non vi è mezzo più potente ad ottenere
le grazie da Dio che la Madonna Santissima.
- Chiamava Maria il mio amore, la mia consolazione, la mamma mia.
- La Madonna Santissima ama coloro che la chiamano Vergine e Madre di Dio, e che
nominano innanzi a Lei il nome santissimo di Gesù, il quale ha forza d'intenerire il
cuore.

La Confessione

- La confessione frequente de' peccati è cagione di gran bene all'anima nostra, perché
la purifica, la risana e la ferma nel servizio di Dio.
- Nel confessarsi l'uomo si accusi prima de' peccati più gravi e de' quali ha maggior
vergogna: perché così si viene a confondere più il demonio e cavar maggior frutto

dalla confessione.


La Mortificazione

- Figliuoli, umiliate la mente, soggettate il giudizio.
- Tutta l'importanza della vita cristiana consiste nel mortificare la razionale.
- Molto più giova mortificare una propria passione per piccola che sia, che molte
astinenze, digiuni e discipline.
- Quando gli capitava qualche persona che avesse fama di santità, era solito provarla
con mortificazioni spirituali e se la trovava mortificata e umile, ne teneva conto,
altrimenti l'aveva per sospetta, dicendo: Ove non è gran mortificazione, non può
esservi gran santità.
- Le mortificazioni esteriori aiutano grandemente all'acquisto della mortificazione

interiore e delle altre virtù.


L'Umiltà

- Figliuoli, siate umili, state bassi: siate umili, state bassi.
- Umiliate voi stessi sempre, e abbassatevi negli occhi vostri e degli altri, acciò
possiate diventar grandi negli occhi di Dio.
- Dio sempre ha ricercato nei cuori degli uomini lo spirito d'umiltà, e un sentir basso
di sè. Non vi è cosa che più dispiaccia a Dio che l'essere gonfiato della propria stima.
- Non basta solamente onorare i superiori, ma ancora si devono onorare gli eguali e
gli inferiori, e cercare di essere il primo ad onorare.
- Per fuggire ogni pericolo di vanagloria voleva il Santo che alcune devozioni
particolari si facessero in camera, ed esortava che si fuggisse ogni singolarità. A
proposito della vanagloria diceva: Vi sono tre sorta di vanagloria. La prima è
Padrona e si ha quando questa va innanzi all'opera e l'opera si fa per il fine della
vanagloria. La seconda è la Compagna e si ha quando l'uomo non fa l'opera per fine
di vanagloria, ma nel farla sente compiacenza. La terza è Serva e si ha quando nel
far l'opera sorge la vanagloria, ma la persona subito la reprime.
- Per acquistare il dono dell'umiltà sono necessarie quattro cose: spernere mundum,
spernere nullum, spernere seipsum, spernere se sperni: cioè disprezzare il mondo,
non disprezzare alcuno, disprezzare se stesso, non far conto d'essere disprezzato. E
soggiungeva, rispetto all'ultimo grado: A questo non sono arrivato: a questo vorrei
arrivare.
- Fuggiva con tutta la forza ogni sorta di dignità: Figliuoli miei, prendete in bene le mie
parole, piuttosto pregherei Iddio che mi mandasse la morte, anzi una saetta, che il
pensiero di simili dignità. Desidero bene lo spirito e la virtù dei Cardinali e dei Papi,

ma non già le grandezze loro.



Desiderio di Perfezione

- Non è tempo di dormire, perché il Paradiso non è fatto pei poltroni.
- Bisogna desiderare di far cose grandi per servizio di Dio, e non accontentarsi di una
bontà mediocre, ma aver desiderio (se fosse possibile) di passare in santità ed in
amore anche S. Pietro e S. Paolo: la qual cosa, benché l'uomo non sia per conseguire,
si deve con tutto ciò desiderare, per fare almeno col desiderio quello che non
possiamo colle opere.
- Non è superbia il desiderare di passare in santità qualsivoglia Santo: perché il
desiderare d'essere santo è desiderio di voler amare ed onorare Dio sopra tutte le
cose: e questo desiderio, se si potesse, si dovrebbe stendere in infinito, perché Dio è
degno d'infinito onore.
- La santità sta tutta in tre dita di spazio, e si toccava la fronte, cioè nel mortificare la
razionale, contrastando cioè a se stesso, all'amore proprio, al proprio giudizio.
- La perfezione non consiste nelle cose esteriori, come in piangere ed altre cose simili,
e le lacrime non sono segno che l'uomo sia in grazia di Dio.

- Parlando il Santo di spirito e della perfezione diceva: Ubbidienza, Umiltà, Distacco!


La volontà di Dio

- Io non voglio altro se non la tua santissima volontà, o Gesù mio.
- Quando l'anima sta rassegnata nelle mani di Dio, e si contenta del divino
beneplacito, sta in buone mani, ed è molto sicura che le abbia ad intervenire bene.
- Ognuno vorrebbe stare sul monte Tabor a vedere Cristo trasfigurato: accompagnar
Cristo sul monte Calvario pochi vorrebbero.
- E' ottimo rimedio, nel tempo delle tribolazioni e aridità di spirito, l'immaginarsi di
essere come un mendico, alla presenza di Dio e dei Santi, e come tale andare ora da
questo Santo, ora da quell'altro a domandar loro elemosina spirituale, con
quell'affetto e verità onde sogliono domandarla i poveri. E ciò si faccia alle volte
corporalmente, andando ora alla Chiesa di questo Santo, ed ora alla Chiesa di
quell'altro a domandar questa santa elemosina.
- Al P. Antonio Gallonio, fortemente tormentato da una interna tribolazione, S. Filippo
diceva: Abbia pazienza, Antonio: questa è la volontà di Dio. Abbi pazienza, sta saldo;
questo è il tuo Purgatorio.
- A chi si lamentava di certe prove diceva: Non sei degno, non sei degno che il Signore
ti visiti.
- Quietati che Dio la vuole, disse una volta ad una mamma a cui moriva una piccola

figlia, e ti basta essere stata balia di Dio.

Presenza in Dio e confidenza in Lui

- Spesso esortava i suoi figli spirituali che pensassero di aver sempre Dio davanti agli
occhi.
- Chi non sale spesso in vita col pensiero in Cielo, pericola grandemente di non salirvi
dopo morte.
- Paradiso! Paradiso! era il grido col quale calpestava ogni grandezza umana.
- Buttatevi in Dio, buttatevi in Dio, e sappiate che se vorrà qualche cosa da voi, vi
farà buoni in tutto quello in cui vorrà adoperarvi.
- Bisogna avere grande fiducia in Dio, il quale è quello che è stato sempre: e non

bisogna sgomentarsi per cosa accada in contrario.



L'Amore di Dio

Chi vuole altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che si voglia. Chi dimanda
altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che dimanda. Chi opera e non per Cristo,
non sa quello che si faccia.
- L'anima che si dà tutta a Dio, è tutta di Dio.
- Quanto amore si pone nelle creature, tanto se ne toglie a Dio.
- All'acquisto dell'amor di Dio non c'è più vera e più breve strada che staccarsi
dall'amore delle cose del mondo ancor piccole e di poco momento e dall'amor di se
stesso, amando in noi più il volere e servizio di Dio, che la nostra soddisfazione e
volere.
- Come mai è possibile che un uomo il quale crede in Dio, possa amare altra cosa che
Dio?
- La grandezza dell'amor di Dio si riconosce dalla grandezza del desiderio che l'uomo
ha di patire per amor suo.
- A chi veramente ama Dio non può avvenire cosa di più gran dispiacere quanto non
aver occasione di patire per Lui.
- Ad uno il quale ama veramente il Signore non è cosa più grave, né più molesta
quanto la vita.
- I veri servi di Dio hanno la vita in pazienza e la morte in desiderio.
- Un'anima veramente innamorata di Dio viene a tale che bisogna che dica: Signore,
lasciatemi dormire: Signore, lasciatemi stare.
Presenza in Dio e confidenza in Lui
- Spesso esortava i suoi figli spirituali che pensassero di aver sempre Dio davanti agli
occhi.
- Chi non sale spesso in vita col pensiero in Cielo, pericola grandemente di non salirvi
dopo morte.
- Paradiso! Paradiso! era il grido col quale calpestava ogni grandezza umana.
- Buttatevi in Dio, buttatevi in Dio, e sappiate che se vorrà qualche cosa da voi, vi
farà buoni in tutto quello in cui vorrà adoperarvi.
- Bisogna avere grande fiducia in Dio, il quale è quello che è stato sempre: e non
bisogna sgomentarsi per cosa accada in contrario.
La volontà di Dio
- Io non voglio altro se non la tua santissima volontà, o Gesù mio.
- Quando l'anima sta rassegnata nelle mani di Dio, e si contenta del divino
beneplacito, sta in buone mani, ed è molto sicura che le abbia ad intervenire bene.
- Ognuno vorrebbe stare sul monte Tabor a vedere Cristo trasfigurato: accompagnar
Cristo sul monte Calvario pochi vorrebbero.
- E' ottimo rimedio, nel tempo delle tribolazioni e aridità di spirito, l'immaginarsi di
essere come un mendico, alla presenza di Dio e dei Santi, e come tale andare ora da
questo Santo, ora da quell'altro a domandar loro elemosina spirituale, con
quell'affetto e verità onde sogliono domandarla i poveri. E ciò si faccia alle volte
corporalmente, andando ora alla Chiesa di questo Santo, ed ora alla Chiesa di
quell'altro a domandar questa santa elemosina.
- Al P. Antonio Gallonio, fortemente tormentato da una interna tribolazione, S. Filippo
diceva: Abbia pazienza, Antonio: questa è la volontà di Dio. Abbi pazienza, sta saldo;
questo è il tuo Purgatorio.
- A chi si lamentava di certe prove diceva: Non sei degno, non sei degno che il Signore
ti visiti.
- Quietati che Dio la vuole, disse una volta ad una mamma a cui moriva una piccola
figlia, e ti basta essere stata balia di Dio.


La Tentazione

- Le tentazioni del demonio, spirito superbissimo e tenebroso, non si vincono meglio
che con l'umiltà del cuore, e col manifestare semplicemente e chiaramente senza
coperta i peccati e le tentazioni al confessore.
- Contro le tentazioni di fede invitava a dire: credo, credo, oppure che si recitasse il
Credo.
- La vera custodia della castità è l'umiltà: e però quando si sente la caduta di
qualcuno, bisogna muoversi a compassione, e non a sdegno: perché il non aver pietà
in simili casi, è segno manifesto di dover prestamente cadere.
- Ai giovani dava cinque brevi ricordi: fuggire le cattive compagnie, non nutrire
delicatamente il corpo, aborrire l'ozio, fare orazione, frequentare i Sacramenti
spesso, e particolarmente la Confessione.

Giaculatorie

Padre Zazzara diceva che il Santo lodava molto le giaculatorie, ed in diversi tempi
dell'anno gliele insegnava e ne faceva dire ogni giorno quando una, quando un'altra.
- Per tenere vivo il pensiero della divina presenza ed eccitare la confidenza in Dio
sono utilissime alcune orazioni brevi e quelle spesse volte lanciare verso il cielo tra il
giorno, alzando la mente a Dio da questo fango del mondo: e chi le usa, ne ricaverà
frutto incredibile con poca fatica.

Ave, Gratia Plena!

lunedì 27 maggio 2013

SAN FILIPPO NERI, CONFESSORE


SAN  FILIPPO  NERI, CONFESSORE

La gioia.

La gioia è il carattere principale del Tempo pasquale: gioia soprannaturale, motivata dal trionfo dell'Emmanuele e dal sentimento della nostra liberazione dei vincoli della morte. Ora, questo sentimento di allegrezza interiore ha regnato in modo caratteristico nel servo di Dio che oggi onoriamo. Ed è proprio di un tale uomo, il cuore fu sempre nel giubilo e nell'entusiasmo delle cose divine, che si può dire con la Sacra Scrittura "che il cuore del giusto è come un festino continuo" (Prov. 15, 15). Uno dei suoi ultimi discepoli, il Padre Faber, fedele alla dottrina del maestro, c'insegna nell'opera Il progresso spirituale che il buon umore è uno dei mezzi principali di avanzamento nella perfezione cristiana. Noi accogliamo, dunque, con altrettanta allegrezza che rispetto, la figura radiosa e bonaria di Filippo Neri, l'Apostolo di Roma nel xvi secolo.

La carità.
L'amore di Dio, un amore ardente che si comunicava invincibilmente a tutti quelli che lo avvicinavano, fu la caratteristica principale della sua vita. Tutti i santi hanno amato Iddio, poiché l'amore suo è il primo e il più grande dei comandamenti; ma la vita di san Filippo realizza questo precetto con una pienezza, si direbbe quasi, incomparabile. La sua esistenza non fu che un trasporto d'amore verso il supremo Signore di tutte le cose; e, senza un miracolo della potenza e della bontà di Dio, questo amore così ardente nel cuore di Filippo avrebbe consumato la sua vita prima del tempo. Era arrivato al ventinovesimo anno d'età, quando un giorno, durante l'Ottava di Pentecoste, il fuoco della carità divina infiammò il suo cuore, con un tale impeto, che si spezzarono due costole nel petto, lasciando così al cuore lo spazio necessario per cedere, ormai senza pericolo, ai trasporti che lo invadevano tutto. Questa frattura non si rinsaldò mai più. Ognuno lo avrebbe potuto constatare, essendogli rimasto esteriormente una visibile prominenza. Grazie a tale miracoloso sollievo, Filippo poté vivere ancora cinquant'anni in preda a tutti gli ardori di un amore che apparteneva più al cielo che alla terra.
La santità e la dedizione alla Chiesa.
Questo serafino in corpo umano fu come una risposta vivente agli insulti contro i quali la pretesa Riforma perseguitava la Chiesa cattolica.
Lutero e Calvino l'avevano chiamata l'infedele e la prostituta di Babilonia; ed ecco che questa medesima Chiesa poteva mostrare, agli amici ed ai nemici, figli come una Teresa nella Spagna, un Filippo Neri, a Roma. ma il protestantesimo si preoccupava molto

di scuotere il giogo, e ben poco dell'amore. In nome della libertà della fede, oppresse i deboli ovunque dominò, e s'impiantò con la forza anche là dove veniva respinto, senza però rivendicare il diritto di Dio che deve essere amato. Fu così che si vide scomparire, dai paesi che invase, quel sentimento di dedizione, fonte del sacrificio verso Dio e verso il prossimo.
Passò un lungo periodo di tempo prima che la pretesa Riforma si accorgesse che esistono ancora degli infedeli sulla superficie del globo. E se, più tardi, essa si è fastosamente imposta l'opera delle missioni, sappiamo abbastanza quali apostoli sceglie, come organi delle sue strane società bibliche. É dunque dopo tre secoli che si accorge che la Chiesa cattolica non ha cessato di produrre delle corporazioni votate alle opere di carità. Preoccupata da una tale scoperta, essa esperimenta, in alcuni luoghi, le sue diaconesse e le sue infermiere. Qualunque cosa avvenga da uno sforzo così tardivo, si può ragionevolmente credere che non assumerà mai vaste proporzioni; e ci è permesso di pensare che quello spirito di dedizione che sonnecchiò durante tre secoli nel cuore del protestantesimo, non sia precisamente l'essenza del suo carattere, quando lo si è visto, nelle contrade che ha invaso, disseccare persino la sorgente dello spirito di sacrificio, arrestando violentemente la pratica dei consigli evangelici, i quali non trovano la loro ragione di essere che nell'amor di Dio.
Gloria dunque a Filippo Neri, uno dei più degni rappresentanti della divina carità nel xvi secolo! Sotto il suo impulso, prima Roma, e ben presto poi tutta la cristianità, ripresero nuova vita con la frequenza dei Sacramenti, e nell'aspirazione ad una pietà più fervorosa. La sua parola, la sua stessa presenza, elettrizzavano il popolo cristiano nella città santa. E fino ad oggi l'orma dei suoi passi non si è cancellata. Ogni anno il ventisei maggio, Roma celebra la memoria del suo pacifico riformatore. Filippo divide con i santi apostoli l'onore di essere Patrono della città di san Pietro.

Il taumaturgo.
Filippo ebbe il dono dei miracoli, e mentre non chiedeva per se stesso che l'oblio ed il disprezzo, vide invece stringersi intorno a sé tutto un popolo che domandava ed otteneva, con l'intercessione della sua preghiera, la guarigione dei mali della vita presente, e nello stesso tempo, la riconciliazione delle anime con Dio. Anche la morte stessa obbedì al suo comando, come ne dette testimonianza quel giovane principe Paolo Massimo, che Filippo richiamò alla vita, quando già si preparavano i suoi funerali. Mentre questo adolescente rendeva l'ultimo respiro, il servo di Dio, al quale si era rivolto perché lo assistesse nel transito, celebrava il santo Sacrificio. Poi, al suo ingresso nel palazzo, Filippo vede ovunque i segni del lutto: il padre desolato, le sorelle in lacrime, la famiglia costernata; tristi costatazioni che colpiscono il suo sguardo. Il giovinetto era deceduto dopo una malattia di sessantacinque giorni, che aveva sopportato con rara pazienza. Filippo si getta in ginocchio e, dopo un'ardente preghiera, impone la mano sulla testa del defunto, chiamandolo a nome e a voce alta. Paolo, risvegliato dal sonno della morte per mezzo di quella potente parola, apre gli occhi, rispondendo teneramente: "Padre mio". E poi aggiunge: "Vorrei solamente confessarmi". I presenti si allontanano un momento e Filippo resta solo, con colui che ha riconquistato dalla morte. Ben presto i parenti vengono chiamati, e Paolo, in loro presenza, parla con Filippo della madre e di una sorella che egli amava teneramente e che la morte gli rapì. Durante questo conversazione il volto del giovane, fino a poco fa sfigurato dalla febbre, riprende i suoi colori e la sua grazia di un tempo. Mai Paolo era sembrato così pieno di vita! Il santo gli domanda allora se sarebbe morto volentieri di nuovo. "Oh! sì, molto volentieri, risponde il ragazzo; perché così potrò vedere in Paradiso mia madre e mia sorella" "Vai allora, risponde Filippo, parti verso la felicità, e prega il Signore per me". A queste parole, il giovanetto torna a spirare ed entra nelle gioie dell'eternità, lasciando i presenti commossi di dolore e di ammirazione. Tale era quest'uomo favorito quasi continuamente dalle visite del Signore, nei rapimenti e nelle estasi; dotato di spirito profetico; che penetrava le coscienze con uno sguardo, che spandeva il profumo delle sue virtù, attirando così le anime con irresistibile incanto. La gioventù romana di ogni condizione si stringeva intorno a lui. Ad alcuni abbatteva gli scogli, ad altri, tendeva la mano per salvarli nel naufragio. I poveri, i malati erano costantemente oggetto della sua sollecitudine. A Roma, egli si moltiplicava, esplicando ogni forma di zelo, lasciando così anche dopo di lui un impulso per le buone opere che non si è mai affievolito.

Il fondatore.
Filippo aveva compreso che la conservazione del costume cristiano dipendeva specialmente dalla efficace diffusione della parola di Dio, e nessuno si mostrò più sollecito di lui nel procurare ai fedeli apostoli capaci di invitarveli con una predicazione solida ed attraente. Egli fondò, sotto il nome di Oratorio, una istituzione che ancora dura, ed il cui scopo era di rianimare e di mantenere la pietà nelle popolazioni. Questa istituzione, che non bisogna confondere con l'Oratorio della Francia, si propone di utilizzare lo zelo ed il talento di quei sacerdoti che la divina vocazione non chiama alla vita del chiostro, ma che, associandosi nei loro sforzi, giungono ugualmente a produrre abbondanti frutti di santificazione.
Fondando l'Oratorio, senza legare i membri di questa associazione coi voti religiosi, Filippo si adattava al genere di vocazione che essi avevano ricevuto dal cielo, e assicurava loro, per lo meno, i vantaggi di una regola comune, con l'aiuto dell'esempio: aiuto così efficace per sostenere l'anima nel servizio di Dio e nella pratica delle opere di zelo. Ma il santo apostolo era troppo attaccato alla fede della Chiesa, per non stimare la vita religiosa come lo stato di perfezione. Durante tutta la sua lunga carriera, non cessò d'indirizzare verso il chiostro quelle anime che a lui sembravano chiamate alla professione dei voti. Per mezzo suo i diversi ordini religiosi si accrebbero di un numero immenso di persone, da lui messe alla prova con discernimento: in modo tale che sant'Ignazio di Loyola, amico intimo di Filippo e suo ammiratore, lo paragonava scherzosamente alla campana che convoca i fedeli in Chiesa, anche se essa non vi entra!
La lotta contro il protestantesimo.
La terribile crisi che agitò il cristianesimo nel xvi secolo e tolse alla Chiesa cattolica un numero così grande delle sue province, colpì dolorosamente Filippo. Soffriva crudelmente nel vedere tanti lasciarsi inghiottire, gli uni dopo gli altri, nel baratro dell'eresia. Gli sforzi che lo zelo tentava di fare per riconquistare quelle anime sedotte dalla pretesa Riforma, facevano battere il suo cuore, mentre con occhio vigile, osservava le manovre con le quali il protestantesimo lavorava per mantenere la sua influenza. Le Centurie di Magdeburgo, vasta compilazione storica, era destinata a sovvertire i lettori, persuadendoli, con l'aiuto di brani falsificati, di fatti denaturati e spesso anche inventati, che la Chiesa Romana aveva abbandonato l'antica fede e sostituito la superstizione alle pratiche primitive. Questo lavoro sembrò a Filippo di una portata così pericolosa, che solo un'opera superiore per erudizione, attinta dalle reali fonti della verità, avrebbe potuto assicurare il trionfo della Chiesa cattolica.

Egli aveva intuito il genio di Cesare Baronio, uno dei suoi compagni all'Oratorio. Prendendo in mano la causa della fede, ordinò a quest'uomo sapiente di entrare subito nella lizza, e di opporsi al nemico della vera fede, basandosi sul terreno della storia. Gli Annali ecclesiastici furono il frutto di questa grande idea di Filippo; ed il Baronio stesso ne rende testimonianza al principio del suo ottavo libro. Quattro secoli sono passati su quest'opera insigne. Con i mezzi scientifici di cui disponiamo adesso, è facile segnalarne le imperfezioni; ma la storia della Chiesa, mai è stata raccontata con una dignità, una eloquenza ed una imparzialità superiore a quelle che regnano in questa sapiente esposizione di fatti, che abbraccia il corso di dodici secoli.
L'eresia accusò il colpo; l'erudizione malsana e infedele dei Centuriatori si eclissò in presenza di questa leale narrazione, e si può affermare che il flusso che saliva dal protestantesimo si arrestò di fronte agli Annali del Baronie, nei quali la Chiesa appariva finalmente quale è sempre stata "colonna e fondamento della verità" (I Tim. 3, 15). La santità di Filippo ed il genio del Baronio avevano deciso della vittoria. Numerosi ritorni alla fede romana vennero a consolare i cattolici così dolorosamente decimati; e se ai nostri giorni innumerevoli abiure annunciano la prossima rovina del protestantesimo, è giusto attribuirlo in gran parte al successo del metodo storico inaugurato negli Annali.
VITA. - Filippo nacque a Firenze nel 1515. Dopo un'infanzia molto pia, si recò a Roma per studiare filosofia e teologia. Divenuto sacerdote nel 1551, si consacrò interamente al servizio delle anime e, per essere di maggior aiuto, fondò la Congregazione dell'Oratorio, che fu approvata da Gregorio XIII nel 1575. La sua orazione era cosi elevata che spesso egli era rapito in estasi; era dotato del dono della profezia e da quello di leggere nelle anime. Nel 1593 dette le dimissioni da Superiore dell'Oratorio e mori il 24 maggio 1602. Venti anni dopo, veniva canonizzato insieme a Ignazio di Loyola, a Teresa d'Avila e a Francesco Saverio.
Amor di Dio.
Tu hai amato il Signore Gesù, o Filippo, e tutta la tua non è stata che un continuo atto d'amore; ma non hai voluto godere da solo del sommo bene. I tuoi sforzi erano tesi a farlo conoscere da tutti gli uomini, affinché tutti lo amassero insieme a te e pervenissero al loro ultimo fine. Durante quarant'anni fosti l'Apostolo infaticabile della città santa, e nessuno poté sottrarsi all'azione del fuoco divino che ardeva in te. Noi osiamo pregarti di volgere gli sguardi anche sopra di noi. Insegnaci ad amare Gesù risorto. Non ci basta di adorarlo e di rallegrarci del suo trionfo; ci è necessario di amarlo: poiché il susseguirsi dei suoi misteri, dall'Incarnazione fino alla Risurrezione, non ha altro fine che quello di rivelarci, in una luce sempre più intensa, la sua divina amabilità. È amandolo sempre di più, che arriveremo ad innalzarci sino al mistero della sua risurrezione, che finisce di svelarci tutte le ricchezze del suo cuore. Più egli si eleva nella nuova vita che ha abbracciata uscendo dalla tomba, e più ci sembra pieno di amore per noi, sollecitando il nostro cuore a stringersi a lui. Prega, Filippo, e domanda che "il nostro cuore e la nostra carne trasaliscano nel Dio vivente" (Sal. 83, 2). Degnati di introdurci, dopo il mistero della Pasqua, in quello dell'Ascensione; disponi le nostre anime a ricevere il divino Spirito nella Pentecoste; e, quando il mistero dell'Eucarestia brillerà ai nostri sguardi nella solennità che si avvicina, tu che, avendola festeggiata un'ultima volta quaggiù alla fine della giornata sei salito verso l'eterno soggiorno ove Gesù si mostra senza velo, prepara le anime nostre a ricevere ed a gustare "questo pane vivente che dà la vita al mondo" (Gv. 6, 33).
La tua santità fu caratterizzata dallo slancio dell'anima verso Dio, e tutti quelli che ti avvicinavano, partecipavano ben presto a questa disposizione che, sola, può rispondere all'appello del Redentore. Tu sapevi impossessarti delle anime e condurle a perfezione, seguendo la via della fiducia e della generosità di cuore. In questa grande opera il tuo metodo fu di non averne uno, imitando gli Apostoli e gli antichi Padri, ed affidandoti a quella virtù propria della parola di Dio. Per mezzo tuo la fervente assiduità ai sacramenti riapparve quale indice più sicuro della vita cristiana. Prega per il popolo fedele e vieni in aiuto a tante anime che si agitano e si esauriscono nelle vie tracciate dalla mano dell'uomo, e che, troppo spesso, ritardano od impediscono l'intima unione del Creatore con la creatura.

Amore alla Chiesa.
O Filippo! tu hai amato ardentemente la Chiesa di quell'amore che è il segno indispensabile della santità. La tua elevata contemplazione, non ti distraeva dalla sorte dolorosa di questa santa Sposa di Cristo, così provata nel secolo che ti vide nascere e morire. Gli sforzi dell'eresia trionfante in tanti paesi, stimolavano lo zelo nel tuo cuore: ottieni anche a noi dallo Spirito Santo quella viva attrazione per la verità cattolica, che ci renderà sensibili alle sue disfatte e alle sue vittorie. Non ci basta di salvare le anime nostre; dobbiamo desiderare ardentemente il progresso del regno di Dio sulla terra, l'estirpazione delle eresie e l'esaltazione della santa Chiesa nostra madre, offrendo, per tutto ciò, il nostro aiuto con ogni mezzo a noi possibile. É a questa condizione che saremo figli di Dio. Ispiraci col tuo esempio, o Filippo, quest'ardore con il quale noi dobbiamo associarci in tutto ai sacri interessi della madre comune. Prega pure per la Chiesa militante che ti ha contato tra le sue file, come uno dei suoi migliori soldati. Servi valorosamente la causa di questa Roma che si fa un onore di esserti riconoscente di tanti favori a lei prestati. Tu l'hai santificata, durante la tua vita mortale; santificala ancora e difendila dall'alto del cielo.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 683-690