Le nozze di Cana nelle versioni di Giotto e
Jacopo Torriti (particolare)
CARISSIMI AMICI
Penso tutti conoscano l'episodio
evangelico delle Nozze di Cana: Giovanni 2, 1 11.
Ritengo utilissimo
leggere il commento che fa Gesù a questo episodio fondamentale della nostra
Fede Cristiana. Non so voi, ma a me è capitato di sentire pochi commenti ben
fatti a questo riguardo e soprattutto con una teologia così alta, come invece
ritroviamo qui.
Sono queste lezioni che
dovrebbero levare ogni dubbio sul fatto che la povera Maria Valtorta (visto
anche il suo stato di inferma paralizzata e soprattutto di inferma spesso in
fin di vita) abbia potuto scriverle di testa sua.
Ora siccome Gesù ci
insegna che chi sa parlare di Dio in questo modo non può essere né l’uomo più
erudito, né tanto meno il “cosaccio” (che allora vorrebbe dire che si è
convertito, cosa che non può più succedere in eterno!), ma solo “le voci” che
parlano sotto ispirazione dello Spirito Santo, allora vi invito a leggere con
molta calma, meditare, contemplare (e magari stamparvi) queste pagine che
finalmente chiariscono, in maniera magistrale, il perché ed i veri motivi ed i
vari simbolismi nascosti in questo episodio evangelico.
19 ‑
1 ‑ 47.
Dice Gesù:
«Avrei potuto parlare
prima per darti questa gemma, o mio piccolo Giovanni [ossia:
Maria Valtorta]. Ma tale è la dignità del S. Sacrificio, troppo poco conosciuto
per ciò che è da troppi cristiani cattolici, che ho dato la precedenza alla
spiegazione di esso. Ed è questa la prima lezione che do a molti, parlando
eccezionalmente in dì festivo e su un brano evangelico che ho già trattato
secondo l’insegnamento consueto. Quando un sacerdote o una voce parla in nome
di Dio e per ordine di Dio, quando si ubbidisce ad un precetto, Io, che sono il
Signore, taccio perché grande è la dignità di un maestro che parla in mio nome
e per ordine mio, e grande è la dignità di un rito, grandissima quella della S.
Messa, rito dei riti così come l’Eucarestia è il Sacramento dei Sacramenti.
Or dunque ascolta, o
mio piccolo Giovanni. Ti ho detto molto tempo fa [1] ‑ eri al luogo di esilio
e soffrivi come solo Io so quanto – che ogni brano ed episodio evangelico è una miniera di insegnamenti. Ricordi? Ti avevo mostrato la
seconda moltiplicazione dei pani e ti avevo detto che,
come con pochi pesci e pochi
pani avevo potuto sfamare le turbe, altrettanto i vostri spiriti possono essere sfamati all’infinito dai pochi
brani che sono riportati dai 4 Vangeli. Infatti sono 20 secoli che di essi si sfama un numero incalcolabile
di uomini. Ed Io, ora, attraverso il
mio piccolo Giovanni ho dato aumento di episodi e parole perché veramente
l’inedia sta per consumare gli spiriti e Io ne ho pietà. Ma anche da quei pochi episodi dei 4 Vangeli vengono, da 20 secoli, pane e
pesci agli uomini perché ne siano saziati e ne avanzino ancora.
Tutto ciò fa lo Spirito
Santo, che è il Maestro docente sulla cattedra dell’insegnamento evangelico.“Quando sarà venuto il Paraclito,
Egli vi ammaestrerà in ogni vero e vi insegnerà ogni cosa e vi rammenterà tutto
quanto ho detto”[2] insegnando lo
spirito vero di ogni parola, di ogni lettera
dell’episodio. Perché è lo spirito
della parola, e non la parola in sé, che dà la vita allo spirito. La parola
incompresa è suono vano. È incompresa quando è solo vocabolo, rumore, non
“vita, seme di vita, scintilla, sorgente” che mette radici, accende, lava e nutre.
Le nozze di Cana [3]. Ecco che da 20 secoli sono spunto ai maestri di spirito a predicare la
santità del matrimonio compiuto con la grazia di Dio, a predicare la potenza
delle preghiere di Maria, il suo insegnamento all’ubbidienza: “Fate ciò che
Egli vi dirà”, la potenza mia che muta l’acqua in vino, e così via. Nessuno di questi frutti colti dal
brano evangelico sono errati. Ma non questi soli sono i frutti che l’episodio
porta e che voi potete coglierne.
Mia piccola innamorata,
amante di Me, affamata di Me Eucarestia, questo è uno degli episodi della mia
vita pubblica in cui è in germe il miracolo ultimo dell’Uomo‑Dio: l’Eucarestia. La
Risurrezione è già miracolo di Dio‑Uomo ((G In queste parole c’è la spiegazione
sulla differenza che c’è fra “Uomo-Dio” e “Dio-Uomo” tante volte contestata dai
detrattori valtortiani. Essi infatti dicevano che dare all’Evangelo il titolo
di “Poema dell’Uomo-Dio” era il primo errore fatto dagli editori, mentre invece
è esattissimo, come ci confermerà anche Maria SS. stessa in altra parte!)), il primo di tutti i miracoli venuti da quando, dalla Vittima
distrutta dal Sacrificio, emerse il glorificato Gesù Dio‑Uomo, il Vittorioso.
Prima era ancora nascosto
il Dio nell’Uomo. La sua Natura
trapelava per bagliori nella parola e nei miracoli, simile alle vampate che
incoronano dentro per dentro un monte e fanno dire: “Qui si cela il fuoco e
questo monte, in apparenza simile a molti altri, è un vulcano che ha per sua
anima l’elemento fuoco in luogo di essere unicamente strati su strati di terre
e di rocce”.
Ma l’Umanità del Cristo
che doveva patire e morire era in tutto simile a quella di ogni uomo, avendo
una carne soggetta alla legge della materia, col bisogno di cibo, di sonno, di
bevande, di vesti, e disagio di freddo o di calore, e stanchezze per molto
lavoro o lungo cammino, e compattezze di carne, e ‑ miseria per
l’Onnipresente ‑ e costrizione in un unico luogo. Tutto meno la colpa e gli
appetiti alla stessa. Anzi, tutto, e
soprattutto ciò che è il martirio dei giusti: il dover vivere fra
i peccatori vedendo le offese fatte all’Eterno da essi, e le discese dell’uomo
nella fanghiglia dei bruti.
L’Uomo ‑ Io te lo dico,
Maria ‑ ha sofferto, col suo intelletto e col suo cuore di Giusto, più di
questo che di ogni altra cosa. Il fetore del vizio e del peccato! La verminaia
di tutte le concupiscenze! Io te lo dico: ho cominciato ad espiarle da quando
le ho avute vicine, tanto era il tormento che davano all’anima e all’intelletto
mio. Gli angeli hanno numerato i colpi
degli immateriali flagelli dei vizi dell’uomo sulla mia Umanità, numerosi
quanto e dolorosi più di quelli del flagrum romano.
Dopo il Sacrificio, il
mio vero Corpo, pur restando vero Corpo, assunse la libera bellezza e potenza
dei corpi glorificati, quella che sarà anche la vostra. Quella in cui la materia
somiglierà allo spirito con il quale visse e lottò per farsi regina come esso
re. E il Corpo fu glorioso come lo Spirito che in esso era divino, non più
soggetto a tutto quello che prima lo mortificava, e lo spazio non fu più ostacolo, né
ostacolo il muro, né ostacolo la lontananza, né ostacolo l’essere Io qui nel
Cielo voi lì sulla terra, perché Io fossi in Cielo e in terra vero Dio e vero
Uomo colla mia Divinità, con la mia Anima, col mio Corpo e col mio Sangue,
infinito come alla mia Natura divina si conviene, contenuto in un frammento di
Pane come il mio Amore volle, reale, onnipresente, amante, vero Dio, vero Uomo,
vero Cibo all’uomo, sino alla consumazione dei secoli, e vero gaudio degli
eletti per ciò che non è più secolo ma eternità.
L’Eucarestia è il
miracolo ultimo dell’Uomo – Dio. La Risurrezione, il miracolo primo del Dio –
Uomo che da Se stesso trasmuta il suo Cadavere in Vivente eterno. L’Eucarestia, trasformazione delle specie del pane e del vino in
Corpo e Sangue di Cristo, è al limite fra le due epoche come una stella, quella
del mattino, fra i due tempi che han nome notte e giorno. E quando brilla la
stella del mattino il viandante si dice: “Ora è giorno” benché ancora non sia
giorno, perché sa che quella luce, ai limiti del cielo, è presagio
d’alba. L’Eucarestia è la Stella
del mattino del tempo nuovo. La sua luce di miracolo
d’amore è presagio d’alba, dell’alba del tempo di Grazia. Per questo sta, raggiante dei suoi
fuochi, sospesa fra il tempo che si chiude e quello che s’apre, alla fine della
mia predicazione, all’inizio della Redenzione.
Se la stella
dell’Epifania brillò per dire ai re che il Re universale era dato al mondo, la stella
della mia Eucarestia brillò nella Cena pasquale per dire al mondo che il vero
Agnello stava per essere immolato, che già si immolava, dandosi spontaneamente
in perpetuo cibo agli uomini perché il Sangue suo non bagnasse soltanto gli
stipiti e gli architravi, ma circolasse, tutt’uno con loro, a farli santi, e la
Carne immacolata fortificasse la loro debolezza mentre l’Anima del Cristo e la
Divinità del Verbo abitano in loro portando seco l’inscindibile Presenza del
Padre e dell’Eterno Spirito. E fra l’annuncio della stella epifanica e
l’annuncio della stella eucaristica, ecco brillare con i suoi simboli incompresi la luce del miracolo
di Cana a dire al mondo ciò che avrebbe fatto,
nel cuore di pietra degli uomini e con la
povera acqua del loro pensiero, la Sapienza e Potenza incarnata.
“Tre giorni dopo c’era un
banchetto”. Tre giorni: tre epoche, prima del convito di gioia.
La prima, dalla creazione
del mondo sino alla punizione del diluvio;
la seconda, dal diluvio
alla morte di Mosè.
La terza, da Giosuè, mia
figura, alla mia venuta.
E ancora tre epoche, o
tre giorni: i tre anni della mia predicazione prima del convito pasquale. E come avviene per un banchetto
nuziale, che la preparazione ad esso è sempre più piena più si avvicina il
momento del festino, così fu per il mio convito d’amore. Perciò sempre più
chiare le voci del concerto profetico e le luci degli attendenti il vero Sposo
che veniva a sposare Sé all’Umanità per farla regina.
“E vi era la Madre di
Gesù”. La Madre! Può mancare
la Madre se deve essere partorito l’uomo nuovo? Può non esservi Eva se deve
essere d’ora in avanti la “Vita” dove era la Morte? E può mancare la Donna
mentre si avvicina l’ora che il Serpente avrà oppresso il capo e limitata la
sua libertà d’azione? Non può. E la Madre dei viventi, l’Eva senza macchia, la
Donna dell’ “Ave” e del “Si faccia”, la Donna dal calcagno potente, la Corredentrice, è presente al convito con cui ha
inizio lo sponsale dell’Umanità con la Grazia.
Ma “venuto a mancare il
vino” i convitati non avrebbero gioito per la presenza di Gesù. Oh! veramente quando venni per il mio
convito di Grazia trovai che il vino mancava presto. Era troppo poco, e presto
fu consumato, e gli uomini caddero in tristezza perché Io deludevo le loro
speranze di inebriarsi di umani succhi di potenza e vendetta.
Che avevo trovato
iniziando la mia missione? “Idrie di pietra preparate per le purificazioni dei Giudei”. Ossia per le purificazioni
materiali. Ecco. I cuori, dopo secoli e secoli di impura assimilazione
della Sapienza, si erano mutati in idrie di pietra. E non già per purificare se
stessi, ma per servire a purificare. Il rigorismo, l’esteriorità dei riti. Quel
rigorismo che induriva senza servire a detergere neppure se stessi. Il solito peccato di superbia del
credersi perfetti e di credere impuri gli altri. La durezza opaca della pietra opposta alla luce e alla duttilità
della Sapienza che illumina a comprendere e aiuta ad amare. Cuori chiusi. Anche
l’acqua che li empie non li fa morbidi. Serve a ghiacciarli. E nulla più.
Gettata l’acqua, essi sono aridi, duri e senza profumo. Questo è l’esteriorità dei riti che
colmano senza penetrare, senza trasformare, senza far dolci e profumati. Le idrie, i cuori, erano vuoti. Non contenevano neppure quel minimo
di cosa utile che è l’acqua per purificare gli altri. Erano vuoti. Non avevano neppure
pensato a colmarsi del minimo.Vuoti,
arcigni, scabri, inutili, scuri nell’interno come un antro, bigi all’esterno
per polvere e vecchiaia.
“Empite d’acqua le
idrie”. Oh! quanta l’acqua
viva che Io ho versato nei cuori di pietra degli ebrei perché almeno avessero
un minimo per essere utili ad alcunché! Ma essi non si mutarono e nella quasi maggioranza respinsero l’acqua,
restando vuoti, duri, oscuri, arcigni.
“E ora attingete”. Ecco. Nei cuori dove l’acqua fu accolta si
mutò in vino eletto, tanto che il maestro di tavola disse: “Tutti dànno al principio il
vino migliore e poscia il peggiore, mentre tu hai serbato il migliore alla
fine”. Ho infatti serbato il
migliore alla fine, Io, sposo del gran convito. Nell’Ultima Cena, ultimo atto
del Maestro, Io, Sposo, ho mutato non l’acqua in vino, ma il vino in Sangue mio
per una nuova trasformazione che vi aiutasse, o uomini, ad essere felici della
mia felicità che è santa ed eterna. Avevo per tre anni empito
le idrie vuote dell’Acqua veniente dal Cielo. Ma ora l’acqua non bastava più.
Veniva il tempo della lotta e del giubilo, e il vino è utile al lottatore e
immancabile ai conviti. Ed Io vi ho dato l’Eucarestia, il mio Sangue, perché
beveste la mia stessa forza, e forti foste, e la mia ilare volontà di servire
Iddio, e diveniste eroi come il Maestro vostro, e la mia gioia fosse in voi.
Né quel miracolo di
trasformazione di una specie nell’altra ha più avuto
fine. Le idrie del convito di
Cana si vuotarono presto lasciando ebbri gli
invitati alle nozze. La mia Eucarestia empie
i calici e le pissidi di tutta la terra da secoli. E sino alla fine dei secoli gli
affamati, gli esausti, i sitibondi, gli stanchi, gli afflitti, i morenti e quelli
che appena cominciano a vivere con ragione, i puri come i penitenti, i malati
come i sani, i sacerdoti come i laici, gli uomini d’ogni razza e condizione,
sulle vette e nelle pianure, fra le nevi polari e all’equatore, sulle acque e
sulle terre, vengono a bere, a mangiare, a nutrirsi, a salvarsi, a vivere del mio Sangue e della mia Carne, di
questo Vino dato alla fine del Convito, alle soglie della Redenzione, perché
fosse il Convito perpetuo dello Sposo a chi lo ama e la Redenzione continua dei
vostri languori e cadute.
Le nozze di Cana. La
trasformazione dell’acqua in vino. La Cena di Pasqua: la transustanziazione del
pane e vino nel mio Corpo e nel mio Sangue.
La prima, a segnare l’inizio della mia
missione di trasformazione degli ebrei dell’antico tempo in discepoli del
Cristo.
La seconda, a segnare il principio della
transustanziazione degli uomini in figli di Dio per la grazia rivivente in
loro. L’ultimo miracolo dell’Uomo
Dio. Il primo e perpetuo miracolo dell’Amore umanizzato. Questa, mio piccolo Giovanni, una
delle applicazioni ‑ ed è la più alta ‑ del miracolo delle nozze di Cana.
Ed in te, e per sempre,
il mio Corpo e il mio Sangue siano quelle Cose preziose e incorruttibili per le
quali, come dice Simon Pietro4], sei stata riscattata, affinché tu
esalti le virtù di Colui che dalle tenebre ti chiamò all’ammirabile sua luce.
La mia pace a te, piccola sposa, anelante all’Amore. La pace a te. La pace
a te. La pace a te.»
(da: Maria
Valtorta, I Quaderni del 45-50, 19.1.1947 – ed. CEV)
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1 Il
28 maggio 1944, nel dettato di commento all’episodio della Seconda moltiplicazione dei
pani della grande opera sul Vangelo. Per il luogo dell’esilio, rimandiamo a pag.
231 nota 6.
2 Giovanni 14, 26.
3 Giovanni
2, 1‑11. L’insegnamento che segue potrebbe essere messo come commento
all’episodio delle Nozze
di Cana, in una riedizione della grande opera sul Vangelo..
4 1
Pietro 2, 9.
Buona meditazione.
La Pace sia con voi.
AMDG et BVM