Quo vadis?
pag. 160
di Henryk Sienkiewicz
pag. 160
Licia lo ascoltava guardandolo coi suoi occhî azzurri, i quali, nella luce della luna, erano
come fiori mistici bagnati di rugiada.
– Sì, Marco, ciò è vero, diss'ella, sprofondando sempre più la sua testa nella sua spalla.
E in quel momento si sentivano supremamente felici, poichè intendevano che oltre l'amore
c'era un'altra forza che li univa, soave e irresistibile, colla quale l'amore diveniva infinito, non soggetto a mutamenti, a inganni, a tradimenti e neanche alla morte.
I loro cuori si sentivano assolutamente
sicuri che per qualunque cosa che potesse avvenire, essi non avrebbero cessato di amarsi e di
essere l'uno dell'altro. Per questa ragione si insinuava nella loro anima una fiducia indicibile.
Vinicio sentiva inoltre che quell'amore non era semplicemente profondo e puro, ma anche
nuovo; tale come il mondo non conosceva e non poteva dare. Nel suo cervello era tutto questo amore:
Licia, la dottrina di Cristo, la luce della luna tranquillamente adagiata sui cipressi, la notte solenne
– così che gli sembrava che l'universo intero ne fosse pieno.
Un istante dopo bisbigliò con voce tremante:
– Tu sarai l'anima della mia anima, l'essere più caro per me. I nostri cuori palpiteranno insieme
e innalzeremo insieme la preghiera e la gratitudine a Cristo. O mia carissima! vivere assieme,
onorare assieme il dolce Dio, e sapere che chiusi gli occhî dalla morte, si riapriranno ancora, come
dopo un sonno soave, alla nuova luce, che cosa si potrebbe imaginare di più delizioso? Stupisco solo
di non averlo capito prima. E sai tu che cosa mi pare? Che nessuno possa resistere a questa religione.
Fra duecento o trecento anni sarà la religione di tutti. La gente dimenticherà Giove e non vi
sarà più altro Dio che Cristo e non altri templi che cristiani. A chi non deve essere cara la propria
felicità? Ah! io ho assistito alla conversazione tra Paolo e Petronio. Sai tu che cosa ah, abbia finito
per dire Petronio? «Ciò non fa per me», ma non seppe dire altro.
– Ripetimi le parole di Paolo, disse Licia.
– La conversazione ebbe luogo a casa mia, di sera. Petronio incominciò a parlare colla solita
celia gaia. Paolo gli disse: «Come mai tu, o saggio Petronio, puoi negare che Cristo sia esistito e sia
risorto, dal momento che tu non eri al mondo a quel tempo, e dal momento che Pietro e Giovanni lo
hanno veduto e io stesso l'ho veduto sulla strada di Damasco? Provaci, prima di tutto, colla tua sapienza, che noi siamo bugiardi e poi nega la nostra testimonianza.»
Petronio rispose ch'egli non aveva
idea di negare, visto che avvenivano molte cose incomprensibili, affermate da persone degne
di fede. Ma la scoperta, aggiunse, di un altro dio straniero è una cosa diversa dall'accettare la sua
dottrina. «Non ho punto voglia di imparare cosa che può deformare la vita e sciupare la sua bellezza.
Non importa se i nostri dèi siano veri o falsi; essi sono belli, il loro impero ci è piacevole e noi
viviamo senza preoccupazioni.»
– «Tu sei preparato a respingere la religione dell'amore, della giustizia
e della misericordia, disse Paolo, per paura delle preoccupazioni; ma pensa, Petronio, la tua
vita è proprio veramente libera da ogni preoccupazione? Guarda, nè tu nè alcuno dei più ricchi e più
potenti, sa, quando va a letto, se si sveglierà con una sentenza di morte. Dimmi, Petronio, non è vero
che se Cesare appartenesse a questa religione dell'amore e della giustizia, anche la tua felicità sarebbe
più sicura? Tu temi per i tuoi piaceri, ma la tua vita non sarebbe più lieta? In quanto agli ornamenti
e alla bellezza della vita, se voi avete inalzato tanti splendidi templi e statue alle divinità
maligne, vendicatrici, adultere e infedeli, che cosa non farete in onore di un Dio buono e misericordioso?
Tu sei soddisfatto della tua sorte perchè sei ricco e vivi nell'opulenza; ma benchè nato da una
grande famiglia, ti poteva ben capitare di essere povero e abbandonato da tutti, e allora sarebbe stato
meglio per te che la gente fosse stata cristiana. Genitori ricchi di Roma, che non amano affaticarsi
intorno ai loro figli, li cacciano spesso da casa; questi fanciulli sono chiamati alunni. Il caso avrebbe
potuto fare di te uno di loro. Ma questo, non potrebbe avvenire se i parenti fossero della nostra religione.
Se tu, adulto, avessi sposata una donna che tu amavi, saresti stato desideroso di sapertela fedele
per tutta la vita. Guarda che cosa avviene intorno a voi; quale viltà, quale vergogna, quale traffico
della fedeltà delle mogli! Sì, voi stessi vi maravigliate se vi trovate dinanzi a una donna che
chiamate univira cioè di un solo marito. Ma io ti dico che le donne che portano Cristo nel cuore non
violeranno mai la fede giurata ai loro mariti, come i mariti cristiani rimarranno sempre fedeli alle
loro mogli. Voi non siete sicuri nè dei vostri regnanti, nè dei vostri padri, nè delle vostre consorti,
nè dei vostri figli, nè dei vostri servi. Tutti tremano dinanzi a voi, e voi tremate dinanzi i vostri
schiavi, perchè sapete che possono rivoltarsi a ogni momento contro la vostra oppressione, come è
avvenuto più di una volta. Benchè ricco, tu non sei sicuro che non ti giunga domani l'ordine di rinunciare
alle tue ricchezze; tu sei giovine, ma domani ti si può ingiungere di morire. Tu ami, e ti aspetta
il tradimento; tu sei innamorato delle ville e delle statue, ma domani un ordine ti può lanciare
nei luoghi desolati della Pandataria; tu hai migliaia di domestici, ma domani tutti questi servi possono
lasciarti dissanguare. Se tutto questo è vero, come puoi tu essere tranquillo e felice, come puoi
tu abbandonarti ai piaceri? Ma io proclamo l'amore, proclamo la religione che ingiunge ai Cesari di
amare i loro sudditi, ai padroni i loro schiavi, agli schiavi di servire con amor e di essere buoni e
misericordiosi, l'amore che promette per ultimo una felicità interminabile come un mare senza fine.
Come dunque, Petronio, puoi tu dire che quella religione distrugge la vita, se invece la corregge e se
tu saresti cento volte più felice e più sicuro s'essa dominasse tutto il mondo, come la signoria di
Roma?»
«Così parlò Paolo. Petronio rispose: «Ciò non fa per me. Fingendosi sonnolento, se ne andò,
e andandosene, aggiunse: Preferisco la mia Eunice, o piccolo ebreo, ma non mi piacerebbe di discutere con te sulla piattaforma.»
«Io ascoltavo le parole di Paolo coll'anima estasiata, e quando s'intrattenne delle nostre donne,
esaltai con tutto il cuore la religione nella quale tu sei cresciuta come un giglio cresce in un
campo fecondo in primavera. E pensai: Vi è Poppea che buttò via due mariti per Nerone, vi è Calvia
Crispinilla, vi è Nigidia, vi sono quasi tutte quelle che conosco, tranne Pomponia; costoro mercanteggiarono la fede e il giuramento; ma nè Pomponia nè Licia sono della stessa stoffa.
Licia non abbandonerebbe
il focolare domestico, non lo ingannerebbe e non ne spegnerebbe il fuoco, se anche
tutto ciò in cui avessi fede mi abbandonasse e mi tradisse. Perciò io ti domandavo intimamente come
potevo mostrarmiti grato, se non adorandoti e amandoti? Sentivi tu che ad Anzio io parlavo e
conversavo con te tutto il tempo, come se tu mi fossi stata vicina? Ti amo cento volte di più per essermi sfuggita dal palazzo di Cesare. Non so più che farne della casa di Nerone. Non sento più il bisogno nè del suo lusso, nè della sua musica; non voglio che te. Dimmi una sola parola e lascieremo
Roma per andarcene a vivere lontano.
AMDG et DVM