L’ATEISMO, OSSIA LA LOGICA
DELL’AUTODISTRUZIONE
Augusto Guerriero (1893-1981), narratore e giornalista molto celebre, con lo
pseudonimo di Ricciardetto, scriveva sul
settimanale "Epoca", in cui teneva pure
una fitta e interessante corrispondenza
con i lettori.
Ebbene una lettrice, nel
settembre 1970, gli scrisse invitandolo a
non trattare di religione perché i suoi
articoli critici «hanno contribuito -
diceva - a scuotere la religiosità di un
ragazzo che sta perdendo la fede» e forse
anche di altri lettori sprovveduti.
L’onesto giornalista rispose, confessando tra l’altro: «Ha ragione. E tante
volte ho fatto voto di non scrivere più
di religione proprio per le considerazioni, che fa lei. Ma, poi, ci ricado, purtroppo; ma per una ragione molto profonda. Veda, gentile signora, la mancanza di
fede non è come la mancanza di un qualsiasi altro bene morale o materiale. Per
me è un dramma. Sa che a volte, se ci
penso, mi commuovo? Sì, proprio così, mi
commuovo, e piango su me stesso e sulla
mia miseria» (1).
Augusto Guerriero, Ricciardetto, pubblicò poi un volume intitolato Quaesivi
et non inveni: Ho cercato e non ho trovato... Dio (2). Non sappiamo se sia
morto senza aver risolto un tale "dramma".
Resta tuttavia la sua confessione,
che penso potrebbe fare chiunque si professi ateo: l’ateismo nella vita di un
uomo non può non essere che un dramma,
che può culminare in una tragedia se vissuto nella sua logica esistenziale.
Jacques Maritain (1882-1973), grande
filosofo francese, nel 1906 passò dall’ateismo alla fede cattolica. Una tale
esperienza lo spinse a scrivere in un suo
celebre libro, intitolato Umanesimo integrale, quanto segue:
«L’ateismo, se potesse esser vissuto
sino alla radice del volere, disorganizzerebbe, ucciderebbe metafisicamente la
volontà; e ogni esperienza assoluta dell’ateismo, non per accidente ma per
effetto strettamente necessario, inscritto nella natura delle cose, se è coscientemente e rigorosamente condotta, provoca alla fine la dissoluzione psichica.
Potrebbe citarsi, come testimonianza,
la tragica esperienza di Nietzsche; si
potrebbe anche invocare la grande intuizione di Dostoievskij realizzata nel personaggio Kirilloff.
Kirilloff incarna
proprio, agli occhi di Dostoievskij, lo
sforzo dell’uomo per vivere l'ateismo
nelle sue radici metafisiche, nelle sue
più profonde radici ontologiche.
Ricordiamo, nel romanzo intitolato I
demoni, il dialogo di Kirilloff con
Pietro Stepanovicth, qualche minuto prima di suicidarsi.
«Se Dio esiste - dice Kirilloff - tutto
dipende da lui e io non posso niente al
di fuori della sua volontà. Se non esiste tutto dipende da me e io sono tenuto
ad affermare la mia indipendenza. Ho cercato durante tre anni l’attributo della
mia divinità e l’ho trovato. L’attributo
della mia divinità è l’indipendenza, è
tutto ciò mediante cui posso mostrare al
più alto grado la mia insubordinazione,
la mia nuova e terribile libertà, giacché
essa è terribile. Mi ammazzerò per affermare la mia insubordinazione, la mia
nuova e terribile libertà». Senza aver letto San Tommaso d’Aquino,
Dostoievskij sapeva bene che il più
profondo attributo metafisico della divinità è l’aseità. Ed è questo attributo
che Kirilloff, perché esistenzialmente
ateo, deve manifestare in se stesso: sottomettendo la propria esistenza alla sua
indipendenza assoluta»(2).
SE UN ATEO AMA PUÒ ARRIVARE
SINO ALLE RADICI DEL MISTERO
Jan Paul Sartre (1905-1980), filosofo
francese caposcuola dell’esistenzialismo, uomo politico attivissimo, premio
Nobel per la letteratura, religiosamente
ritenuto ateo, si vide costretto a scrivere:
«Dio è morto, ma l’uomo non è diventato ateo. Questo silenzio del trascendente, congiunto alla permanenza del bisogno
religioso presso l’uomo moderno, ecco il
grande problema di ieri e di oggi. Tutto
tace e tutto in me esige Dio» (3).
Storicamente e secondo l’esperienza di
non pochi uomini di pensiero, un tale
problema può avere una soluzione: ci
vuole onestà e sincerità anzitutto con se
stessi.
Un esempio.
Pieter Van Der Meer fu letterato e uomo
politico olandese dello scorso secolo.
Passò dall’ateismo e dalla militanza
politica marxista alla fede cattolica. In
un suo libro, tradotto in italiano col
titolo La verità vi farà liberi, sintetizzò così il suo travaglio di ateo
inquieto e sincero:
«Son passato, lottando, attraverso
tutte le forme di ateismo. Ma c'è un
ateismo positivo e un ateismo negativo
che è stupido, ad uso esclusivo dei
“ruminanti”.
L’ateismo positivo è una ricerca torturante della risposta al perché della
vita, dell’evoluzione senza fine di
miliardi di soli e di stelle, della sofferenza degli uomini, dell’arte e della
bellezza: è la nostalgia della Risposta
assoluta. E se non si persiste appassionatamente in questa ricerca per una
risposta positiva, l’ateismo diviene un
passatempo, un atteggiamento snob e una
letteratura pseudo-tragica.
Tutte queste fasi le ho sperimentate nel mio corpo e nella mia intelligenza.
Perciò quando sento parlare un ateo, non
mi fido affatto di lui. Un atteggiamento
di esistenza tragica fatto di incredulità
sembra avere maggior grandezza umana
della fede. Ma è un errore. Se l’ateismo
non è una fase transitoria, ma un atteggiamento definitivo, è una casa vuota in
cui ci si stabilisce, e allora diventa
puramente negativo.
Il vero ateismo sbocca nell’umano con
tutto il tragico e la meravigliosa felicità dell’amore. In realtà, l’ateismo
dovrebbe mancare d’amore. E se un ateo
ama, allora continua a cercare fino alle
radici del mistero» (4).
Avevano ragione i filosofi d’un tempo di
definire l’uomo animal religiosum: un
animale religioso. Cioè a dire, la religiosità è naturalmente insita nella natura dell’essere umano.
L’apertura verso il mistero e la relativa ammissione di Qualcuno che la riempia sono elementi essenziali perché l’uomo possa dirsi uomo; che questo mondo
debba pur avere un senso è un postulato
della logica più elementare, anche se
resta impossibile capire tutto. Nella
Bibbia è detto che solo lo stolto può
avere la presunzione di affermare che Dio
non c’è. E stolto è chi non sa usare o
non vuole usare lo strumento ragione mettendo a base il principio di causalità
sufficiente, senza del quale è impossibile qualsiasi ragionamento.
UNA RELIGIONE... ATEA?
Albert Einstein, uno tra i più grandi
scienziati dello scorso secolo, scrisse:
«Difficilmente troverete uno spirito
profondo nell’indagine scientifica senza
una caratteristica religiosità. Il
sapiente, infatti, è compenetrato dal
senso della causalità per tutto ciò che
avviene. La sua religiosità consiste nell’ammirazione estasiata delle leggi della
natura; gli si rivela una mente così
superiore che tutta l’intelligenza messa
dagli uomini nei loro pensieri non è al
cospetto di essa che un riflesso assolutamente nullo.
Questo sentimento è il leit-motiv della
vita e degli sforzi dello scienziato
nella misura in cui può affrancarsi dei
suoi egoistici desideri» (5).
La religiosità è così radicata nell’uomo, da esserci chi ipotizza che non sia
neppure necessario credere in Dio. Tra
questi lo scrittore, molto conosciuto in
Italia e fuori, Leonardo Sciascia; il
quale in un libro intervista affermava:
«Non occorre nemmeno essere certi dell’esistenza di Dio per essere religiosi o
credere nell’immortalità dell’anima:
basta soltanto essere certi che la nostra
esistenza, questo nostro mondo, deve
avere un qualche senso, un qualche significato... Per parte mia, credo che la
3
nostra epoca celi una ricerca disperata,
ancorché spesso sotterranea, di Dio, sete
di misticismo, bisogno di quell’assoluto
che Dio solo può dare» (6).
Leonardo Sciascia però non si pose la
domanda, che era la conseguenza logica
della sua affermazione, e sarebbe stata
la seguente: Se necessariamente “questo
mondo deve avere un senso, un significato", se lo è dato da sé o gli è stato dato
da Qualcun’altro? Speriamo che, almeno
prima di morire, se la sia posta e se ne
sia data la “logica” risposta.
Più radicale di Sciascia, anzi più logico di lui, c’era stato già qualcuno:
Paul-Louis Couchoud (1879-1959), storico
francese delle religioni ma scettico. In
un’opera intitolata Le dieu Jésus (Parigi
1951), aveva avuto la presunzione di
dimostrare che Gesù non era esistito; e
che la sua religione sarebbe una derivazione della letteratura apocalittica giudaica.
Nell’anno accademico 1926-27
all’Ecole des Hautes Etudes Sociales, a
Parigi, «si tenne una serie di conferenze dal titolo generale: La renaissance
religeuse. Vi parlò anch’egli su un tema
a lui congeniale: Adieu au Christianisme,
Addio al Cristianesimo, che poi si rivelò
un "addio a Dio stesso”, poiché egli professava di navigare come l’umanità verso
l’ateismo; ma soggiungeva subito: non
addio alla religione, no, questa resterà,
trasformandosi in una religione atea.
Perché, ci chiediamo questo desiderio
persistente di avere una religione qualunque, sia pure atea? Perché voler salvare un nome ad ogni costo, anche mettendosi in contraddizione con tutti i
dizionari e con la storia? Perché tutti
(atei compresi) sanno che avere la sensibilità religiosa è una garanzia di quelle capacità spirituali, senza delle quali
nessuno ha il diritto, e non deve avere
neppure il coraggio di essere ricevuto
nel consorzio umano» (7).
RADICI PSICOLOGICA E METAFISICA
DEL SENTIMENTO RELIGIOSO
A questo punto non possiamo non affermare che il prepotente permanere, perfino nello scettico, del sentimento religioso al punto di sfociare addirittura in
una religione "atea", o alla Leonardo
Sciascia o alla Paul-Louis Couchoud,
indica chiaramente la sua universalità e
la sua radice psicologica e metafisica
nell’uomo, in ogni uomo.
Radice psicologica. Secondo San Tommaso
d’Aquino l’uomo tende alla religiosità, e
quindi alla religione, a causa dei difetti e dei limiti che avverte in se stesso: non esiste l’uomo che non li avverta, eccetto che non sia un pazzo. Ogni
uomo che riflette, infatti, non può non
trovarsi in deficit in tutte le partite,
sia in quella fisica che etica. La
coscienza e la conoscenza di questo deficit lo sprona immancabilmente alla ricerca di Qualcuno o di un Qualcosa con cui
stabilire un rapporto che lenisca il suo
dramma esistenziale: questa esigenza psicologica la si chiama sentimento religioso; che può sfociare nella religione, dal
latino religare (legare), legare insieme
l’uomo a Qualcuno o a Qualcosa a lui
superiore al fine di stabilire quei rapporti nei quali consiste appunto la religione.
«In questo laborioso travaglio psicologico possiamo distinguere due momenti:
quello negativo, della pura insoddisfazione; e quello positivo, della ricerca
di ciò che può colmare il vuoto che ci
affligge; il momento del disagio umano e
quello dell’aspirazione al divino.
Nel
primo l’uomo guarda se stesso, nel secondo scruta il cielo; nel primo è pessimista, nel secondo è ottimista; nel primo
teme, nel secondo spera e ama; nel primo
si sente cadere nel nulla, nel secondo si
avvinghia con tutte le forze alla mano
misteriosa che lo salva» (8).
Radice metafisica. La radice psicologica rimanda a quella metafisica, ossia
postula un rapporto con Qualcuno che è al
di là e al di sopra dell’uomo: insomma,
«il nulla della creatura - diciamo noi
credenti - si scopre di fronte al
Creatore. Tutti i nostri difetti sono
radicati in questo difetto metafisico,
che è il nostro nulla originario; e il
sentimento religioso, visto in queste
profondità, può essere chiamato il sentimento della creatura, cioè il sentimento
del nulla dal quale Dio ci ha tratti e
nel quale siamo sempre in atto di cadere; dal quale però continuamente ci salva
l’onnipotenza divina. La base metafisica
della religione è dunque in quel fiat
potente, che Dio pronunciò - e pronuncia
- nel silenzio dell’eternità e nel frastuono dei secoli chiamando all’essere le
cose che non sono; e il sentimento religioso è l’eco di quel fiat; eco vivente
e affettuosa, ripercossa nel cuore di
ogni essere intelligente» (9).
LA POESIA DI OGGI: UN RIMPIANTO
DI UNA RELIGIONE PERDUTA
Purtroppo non tutti dal sentimento
religioso passano alla religione, anche
se vivono in un contesto cristiano e cattolico, e addirittura ispirano le loro
opere alla religione. Un esempio:
Goffredo Petrassi, che fu tra i maggiori
compositori di musica del ‘900, sovrintendente de La Fenice di Venezia e direttore artistico dell’Accademia filarmonica romana.
Riproduciamo un tratto di una
intervista pubblicata su La Stampa di
Torino del 14.7.1984:
- Maestro, lei ha scritto il Magnificat,
ha musicato i Salmi. La fede, che ruolo
ha nella sua vita?
- Non potrei dire di essere un uomo di fede al cento per cento. In tutta la mia
vita ho avuto dei dubbi. Per questo non
parlo mai di fede, ma di religiosità.
- Ma questa religiosità ha ancora spazio nella vita e nell’arte?
- Io penso di sì. La religiosità sarà
sempre una tendenza dell’uomo. L’uomo
capace di pensiero desidererà sempre
vedere oltre se stesso, oltre la natura, oltre la realtà delle cose. In
questo senso sono religioso. Penso
alla divinità, malgrado i miei dubbi
in proposito.
Mario Soldati (1906-1999), scrittore,
giornalista e regista di cinema scriveva
sul Corriere della Sera del 10.1.1982:
«Tutto il guaio del mondo, oggi, è proprio questo: tutto il mondo soffre di
avere perduto la religione. E quasi tutta
la poesia di oggi non è, in un modo o in
un altro, che il rimpianto di una religione perduta. Montale, per esempio: la
sua ispirazione continua non è che il
dolore di una mancanza, l’orrore di un
vuoto. Leopardi non aveva mai perdonato a
Gesù di non esistere. Ma Leopardi non
soltanto era rimasto religioso: era
diventato più religioso ancora, l’aveva
trasformato in un immenso, disperato
amore per la bellezza dell’Universo e per
la vita intera».
Per certuni, purtroppo, quel che si suol
chiamare sentimento religioso può essere
(magari incoscientemente) una moda per
liberarsi dal giogo del Credo e da quello, anche più incomodo, del Decalogo.
C’È ANCHE UN SURROGATO... DI DIO
Il semplice sentimento religioso può
portare, per pigrizia mentale nella
ricerca della verità, a sostituire a Dio
dei surrogati, che sembrano dare un senso
alla vita, ma sono una illusione.
Vittorio Mathieu, docente di filosofia
morale all’Università di Torino asserisce:
«L’ateismo, sul piano strettamente
filosofico - come è stato sostenuto - è
probabile che non esista, non sia praticabile. È indubbio, però, che ci sono
persone che dicono (e forse in buona fede
ne sono convinte) di essere atee. Ma in
realtà rinunciano a riconoscere Dio per
trasferire le caratteristiche sull’universo, sulla natura, sul caso, sulla
legge, sullo Stato, sull’uomo» (10); non
solo, ma anche sul Partito, l’ideologia,
il Sesso, ecc.
Qualche esempio.
La Classe Operaia, ossia il Partito, al
posto di Dio. Secondo Marx, infatti, la
vera realtà è il Proletariato, la Classe
operaia, che si identifica con il Partito
comunista, che è il depositario e il
custode della verità: nella coscienza del
comunista, perciò, il Partito prende il
posto di Dio; e si regola perciò secondo
i suoi ordini e i suoi interessi; e così
moralità è uguale a fare l’interesse del Partito, senza discutere né possibilità
di critica.
A tale proposito è illuminante la testimonianza di Ignazio Silone
(1900-1978).
Ignazio Silone fu celebre scrittore di
romanzi e di drammi. Come uomo politico
fu tra i fondatori del Partito Comunista
Italiano nel 1921, che rappresentò a
Mosca nel Komintern con Togliatti. Esule
in Svizzera, pur rischiando la vita per
mano dei compagni comunisti, nel 1931
abbandonò il partito, spiegandone le
motivazioni etiche in un suo libro intitolato: Uscita di sicurezza, del quale
citiamo solo un’affermazione che spiega
tutto:
«Il Partito comunista, per i suoi militanti, non è solo, né principalmente, un
organismo politico, ma scuola chiesa
caserma famiglia: è un’istituzione totalitaria nel senso più completo e genuino
della parola, e impegna interamente chi
vi si sottomette. È un regime di umanità
coatta e implica una buona dose di menzogne, di doppiezza, d’insincerità. Il
comunista sincero, pertanto, il quale
conservi per miracolo il nativo spirito
critico, e persista ad applicarlo ai
fatti del Partito, si espone alle penose
e contraddittorie traversie del nonconformista, e prima di consumare la
definitiva sottomissione o l’abiura liberatrice deve soffrire ogni specie di triboli» (11).
All’opposto di Silone troviamo
Giancarlo Pajetta (1911-1990), che fu
partigiano comunista, deputato alla
Costituente e al Parlamento, direttore
dell’Unità.
Quando Kruscev rivelò i terrificanti crimini di Stalin, fu intervistato da un giornalista (1.12.1961). Alla
domanda: “Lei, Pajetta, riconosce che la
verità deve venire prima della rivoluzione?”, rispose da perfetto comunista: “Tra
la verità e la rivoluzione, io scelgo la
rivoluzione”.
LA SESSUALITÀ SENZA PRINCIPI MORALI
UCCIDE DIO
Il Sesso al posto di Dio. Il sesso vissuto come fine a se stesso induce a vivere come se Dio non ci fosse; e, quindi,
Dio non interessa.
Albert Camus (1913-1960), premio Nobel
per la letteratura, fu lo scrittore
francese le cui opere hanno per tema centrale l’assurdità del vivere.
Eppure, nei
sui Taccuini pubblicati postumi, fa una
osservazione che fa pensare:
«C’è un momento - egli scrisse - in cui
la sessualità sembra una vittoria, quando si libera degli imperativi morali. Ma
presto diventa una disfatta, e la sola
vittoria è quella che si consegue su di
essa: la castità.
La sessualità sfrenata conduce a una
filosofia della non significazione del
mondo. La castità invece restituisce un significato al mondo» (12).
La sessualità, senza limiti né razionali né morali, è come un sonnifero, una
droga, che rende ottusa la ragione. La
forza dell’istinto prende il dominio
sulla persona e la rende schiava; l’animale, che nonostante tutto, dorme in
fondo alla coscienza dell’uomo si sveglia
e non serve la ragione (secondo la logica della creazione), ma si fa servire da
essa per inventare sempre più forti esperienze del piacere sessuale: a questo
punto Dio non solo non interessa, ma lo
si dimentica perché Dio è... un rischio
per i propri comodi animaleschi.
L’influsso spaventoso del disordine
sessuale nella perdita della fede o nella
sua negazione è una constatazione dolorosa che è davanti agli occhi di tutti: la
carne uccide lo spirito.
François Coppée (1842-1908) era poeta e
drammaturgo francese. Nella prefazione a
un suo libro, tradotto in italiano col
titolo Saper soffrire, confessa:
«Ciò che mi staccò dalla fede furono, lo
dico schiettamente, le crisi dell’adolescenza e la vergogna di dovermi confessare di certe cose. Molti uomini converranno con me, se sono sinceri, che le regola imposta dalla Religione ai sensi li
mosse ad allontanarsi da essa: e più
tardi, solo più tardi, domandarono alla
ragione e alla scienza gli argomenti che
permettessero loro di non darsene pensiero» (13).
Georges Bernanos (1888-1948) è il famoso scrittore francese il cui capolavoro è
il romanzo: Diario di un curato di campagna. In una sua splendida pagina si
legge:
«La castità non ci è prescritta come un
castigo, è invece una delle condizioni
misteriose ma evidenti - l’esperienza lo
attesta - di quella conoscenza soprannaturale di se stessi, di se stessi in Dio,
che si chiama fede.
L’impurità non distrugge questa conoscenza ma ne annulla il bisogno. Non si
crede più, perché non si desidera più
credere. Non desiderate più conoscervi.
Questa verità profonda non vi interessa
più. Questa verità profonda, la vostra,
non vi interessa più. E avrete un bel
dirvi che i dogmi, i quali ieri ottenevano la vostra adesione, sono sempre presenti al vostro pensiero e che soltanto
la ragione li respinge; ciò non conta!
Non si possiede veramente che ciò che si
desidera; giacché per l’uomo non c’è possesso reale, assoluto. Non vi desiderate
più. Non desiderate più la vostra gioia.
Non potevate amarvi che in Dio, non vi
amerete più. E non vi amerete più, né in
questo mondo né nell’altro, eternamente»
(14).
DIO MIO, PERCHÉ NON ESISTI?
«Dio mio, perché non esisti?/Dove rimani?/Vieni, finalmente, vieni!/Qui è tanto
difficile senza di te!». Ho trascritto il
grido di un grande scettico, scrittore e
filosofo: Aleksandr Zinovev. Egli, nato
nel 1922 a Mosca, fu, quando ancora c’era
l’Unione Sovietica, un dissidente; e,
quindi, perseguitato per i suoi scritti
di satira e di critica al regime.
Nel suo
romanzo Cime abissali, pubblicato in
russo a Losanna nel 1976 con grande successo internazionale, si legge quella che
qualche critico chiamato la Preghiera
dell’uomo ateo, che inizia appunto con i
versi sopra riportati. Nel contesto della
situazione tragica del feroce regime
comunista egli, pur essendo agnostico
convinto, non si arrende all’assenza di
Dio, ma ne invoca accoratamente l’esistenza, anzi la esige.
Ma ecco i suoi
versi:
«L’han provato i ciclotroni nei laboratori/lo dàn per sicuro negli auditori:/di
cromosomi ed elettroni è pieno il
mondo,/non c’è proprio posto per te, o
Dio./Ma che m’importa?/ Sopravvivenze e
frode del pretume./Eppure ti scongiuro,
Dio mio:/sii per me almeno qualcosa!/
Quanto vuoi debole e miserello,/non tutto
misericordie e onnisciente,/non tutto
amoroso e previdente,/sii pur sordastro e
tardo nel reagire./ Signore, mi basta ben
poco,/una piccolezza, non me la negare:/per amor di Dio, sii onniveggente!/
Per favore, ti scongiuro, vedi!/Vedi soltanto, semplicemente vedi;/vedi continuamente, a tutt’occhi vedi/quanto nel mondo
si fa pro o contro./D’una sola cosa ti
devi occupare:/ vedi ciò che faccio io -
che fanno gli altri./Sono disposto a
farti sconto:/se ti è difficile vedere
proprio tutto,/vedi almeno di tutto un
centesimo,/sii almeno per questo,
Signore!/A viver senza uno che veda/più
non ce la faccio. Perciò/grido a squarciagola: Padre!!!/Io non prego, io esigo:
sii!/ Sussurro e urlo a perdifiato:/Sii,
Padre, sii!/No, non pretendo, ti scongiuro:/ Sii!!!» (15).
GERLANDO LENTINI
NOTE
1) Epoca, 20.9.1970, n. 1043; 2) J. Maritain,
Umanesimo integrale, ed. Borra, Bologna 1962, pp. 109-
110; 3) Cit. da G. Bevilacqua, in Equivoci: mondo
moderno e Cristo, ed. Morcelliana 1953, p. 89 - 4) P.
Van Der Meer, La verità vi farà liberi, Ed Apollinee
1973, pp. 67-68; 5) A. Einstein, Come io vedo il
mondo, Newton Compton Editori, Roma 1975, pp. 23-24; 6)
L. Sciascia, La Sicilia come metafora, ed. Mondadori,
Milano 1979, p. 64; 7) G. Granire, in Il Simbolo, Ed.
Pro civitate cristiana, Assisi 1953, p.22; 8) ivi, p.
23; 9) ivi, p. 23; 10) V. Mathieu in V. Messori,
Inchiesta sul Cristianesimo, ed. Mondatori, Torino
1987, p. 345; 11) I. Silone, Uscita di sicurezza,
Longanesi ed., Milano 1976, pp. 108-109; 12) A. Camus,
Taccuini 1942-1951, ed. Bompiani; 13) F. Coppée, Saper
soffrire, ed. S.A.S. Roma 1944, introduzione; 14) G.
Bernanos, Diario di un curato di campagna, Mondadori
1965, pp. 126-127; 15) A. Zinovev, Cime abissali,
Losanna 1976, ed. L’Age d’Omme; trad. it. e cit. in
Russia Cristiana 1977, n. 3.