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giovedì 30 ottobre 2014

Il Rosario: come la fionda...- «Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con lo scudo: ma io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti ...e tutta questa moltitudine conoscerà che il Signore non salva con la spada, né con la lancia»

Il Rosario: come la fionda nella mano di Davide

Il Sinodo della famiglia conoscerà altre tappe ed altre sollecitazioni e forse non poche sorprese.
Riprendiamo, dal testo dell'Enciclica di Po XII Ingruentium Malorum, sulla recita del Santo Rosario [qui], la parte che ne richiama l’importanza nella vita familiare. È un linguaggio cui non siamo più abituati, lirico a tratti, ma sostanzioso; dice cose intramontabili. E il Santo Rosario è arma potente contro il male, ogni tipo di male, per ogni cristiano [vedi anche qui equi].

[...] Benché non vi sia certamente un unico modo di pregare per poter conseguire questo aiuto, tuttavia Noi stimiamo che il rosario mariano sia il mezzo più conveniente ed efficace, come del resto viene chiaramente suggerito dall’origine stessa, più divina che umana, di questa pratica e dalla sua intima natura.


Che cosa infatti di più adatto e più bello dell’orazione domenicale (Padre Nostro) e del saluto angelico (Ave Maria), che formano come i fiori di cui s’intreccia questa mistica corona? Aggiungendosi, inoltre, alle ripetute preghiere vocali la meditazione dei sacri misteri, ne deriva l’altro grandissimo vantaggio, che tutti, anche i più semplici e i meno istruiti, hanno in ciò una maniera facile e pronta per alimentare e custodire la propria fede. 
E invero, dalla meditazione frequente dei misteri, l’animo attinge e insensibilmente assorbe la virtù che essi racchiudono, si accende straordinariamente alla speranza dei beni immortali, e viene fortemente e soavemente spronato a seguire il sentiero battuto da Cristo medesimo e dalla sua Madre. 

La recita stessa di formule identiche tante volte ripetute, nonché rendere questa preghiera sterile e noiosa, quale mirabile virtù, invece, possiede, come si può sperimentare, per infondere fiducia in chi prega e fare dolce violenza al cuore materno di Maria! Ma soprattutto Noi desideriamo che in seno alla famiglia sia dappertutto diffusa la consuetudine del santo rosario, religiosamente custodita e sempre più sviluppata. Invano, infatti, si cerca di portare rimedio alle sorti vacillanti della vita civile, se la società domestica, principio e fondamento dell'umano consorzio non sarà diligentemente ricondotta alle norme dell'evangelo. A svolgere un compito così arduo, Noi affermiamo che la recita del santo rosario in famiglia è mezzo quanto mai efficace.

Quale spettacolo soave e a Dio sommamente gradito, quando, sul far della sera, la casa cristiana risuona al frequente ripetersi delle lodi in onore dell'augusta Regina del Cielo! Allora il rosario recitato in comune aduna davanti all'immagine della Vergine, con una mirabile unione di cuori, i genitori e i figli, che ritornano dal lavoro del giorno; li congiunge piamente con gli assenti, coi trapassati; tutti infine li stringe, più strettamente, con un dolcissimo vincolo di amore, alla Vergine santissima, che, come madre amorosissima, verrà in mezzo allo stuolo dei suoi figli, facendo discendere su di essi con abbondanza i doni della concordia e della pace familiare. 


Allora la casa della famiglia cristiana, fatta simile a quella di Nazaret, diventerà una terrestre dimora di santità e quasi un tempio, dove il rosario mariano non solo sarà la preghiera particolare che ogni giorno sale al cielo in odore di soavità, ma costituirà altresì una scuola efficacissima di virtuosa vita cristiana. 

I grandi misteri della redenzione, infatti, proposti alla loro contemplazione, col mettere sotto i loro occhi i fulgidi esempi di Gesù e Maria, insegneranno ai grandi a imitarli ogni giorno, a ricavare da essi conforto nelle avversità, e, dagli stessi, verranno richiamati a umilmente volgersi verso quei celesti tesori «dove non giunge ladro, né tignola consuma» (Lc 12, 33); porteranno, inoltre, a conoscenza dei piccoli le principali verità della fede, facendo quasi spontaneamente sbocciare nelle loro anime innocenti la carità verso l'amorevolissimo Redentore, mentre essi, dietro il buon esempio dei loro genitori genuflessi davanti alla maestà di Dio, fin dai teneri anni impareranno quanto sia grande il valore della preghiera recitata in comune.

Non esitiamo quindi ad affermare di nuovo pubblicamente che grande è la speranza da Noi riposta nel santo rosario, per risanare i mali che affliggono i nostri tempi. Non con la forza, non con le armi, non con la umana potenza, ma con l’aiuto divino ottenuto per mezzo di questa preghiera, forte come Davide con la sua fionda, la Chiesa potrà affrontare impavida il nemico infernale, ripetendo contro di lui le parole del pastore adolescente: «Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con lo scudo: ma io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti ...e tutta questa moltitudine conoscerà che il Signore non salva con la spada, né con la lancia» (1 Re 17, 44.49).

domenica 19 ottobre 2014

MOLTO MOLTO BELLO

Pio XII parla agli sposi cristiani. 

Vincolo, famiglia, comunione

Il punto 5. della "Relatio Synodi", 18.10.2014, conclusiva della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi: "Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione" (5-19 ottobre 2014) [qui], dichiara: "Il cambiamento antropologico-culturale influenza oggi tutti gli aspetti della vita e richiede un approccio analitico e diversificato."

A questo proposito è bene ribadire cose già dette, ma che giova riaffermare. Il "cambiamento antropologico" di cui si parla non può riguardare l'interiorità profonda e l'essenza dell'uomo - essere umano uomo e donna, che quella è e quella resta -, di creatura voluta amata e redenta dal Suo Creatore, che trova la sua vera dignità e libertà nell'essere a Lui ordinata e dunque nel rapporto personale e comunitario con Lui. Ciò che cambia nello scorrere del tempo sono i 'gusti', le 'mode', le 'contingenze' (cioè situazioni e conseguenze); ma l'essenza dell'uomo è quella che è. Inoltre essa o è portata alla sua pienezza d'essere, in Cristo, oppure non è nulla! La dissoluzione dell'identità cristiana nell'Occidente discende dai Lumi e oltre. Essa trova il suo culmine oggi attraverso lo storicismo e l'antropocentrismo veicolati nella Chiesa anche dallo "spirito del concilio" tuttora imperante. Dir questo non significa non avere il senso della storia o sminuire l'uomo; ma situarlo al suo posto, cioè orientato e ordinato al Creatore e non come centro di tutto. Senza obliterare la "storia della salvezza" portata a compimento da Cristo Signore.

Purtroppo subiamo l'effetto dell'abbandono della philosophia perennis operato dallo "spirito del concilio". Ed è per questo che la dimensione ontologica è stata sostituita da quella fenomenologica ed esistenziale, che l'odierna gerarchia sembra privilegiare. L'abbandono della metafisica ha messo all'angolo la fede, il Soprannaturale, l'ontologia e ha fondato le innovazioni di 'rottura' - ché tali sono - nell'antropocentrismo. Il vizio di fondo e nodo centrale di tutto è che, in base ai presupposti storicisti, la continuità con la tradizione è oggi riferita al soggetto chiesa anziché all'oggetto rivelazione. E, mentre le verità eterne non possono evolvere, lo storicismo trasferisce ad esse la mutevolezza che invece appartiene al divenire che esse devono orientare e fecondare. Il Signore è lo stesso ieri oggi sempre.

I discorsi, incisivi e densi di verità eterne, di un Papa che è nel cuore di tanti credenti sono il miglior antidoto alle tossine veicolate dal nuovo documento, nonostante le rettifiche apportatevi in seguito alle note contestazioni. Letti con attenzione, essi danno anche le motivazioni profonde e ineludibili dei principi vigorosamente e limpidamente affermati. (Maria Guarini)

MOLTO MOLTO BELLO

Un “sì” per sempre, come l’amore di Cristo
22 aprile 1942
 Il sì, erompente dal vostro labbro per impulso del vostro volere, annoda intorno a voi il vincolo coniugale, e insieme lega per sempre le vostre volontà. Il suo effetto è irrevocabile: il suono, espressione sensibile del vostro consenso, passa; ma il consenso stesso formalmente è fissato, non passa, è perpetuo, perché è consenso nella perpetuità del vincolo, mentre un consenso di vita soltanto per qualche tempo fra gli sposi non varrebbe a costituire il matrimonio. L’unione dei vostri sì è indivisibile; ond’è che non vi è vero matrimonio senza inseparabilità, né vi è inseparabilità senza vero matrimonio.
Ma se la volontà degli sposi, contratto che l’abbiano, non può più sciogliere il vincolo matrimoniale, potrà forse farlo l’autorità, superiore ai coniugi, stabilita da Cristo per la vita religiosa degli uomini? Il vincolo del matrimonio cristiano è così forte, che, se esso ha raggiunto la sua piena stabilità con l’uso dei diritti coniugali, nessuna potestà al mondo, nemmeno la Nostra, quella cioè del Vicario di Cristo, vale a rescinderlo.
Gesù e Maria con la loro presenza santificarono le nozze di Cana: là il divin Figlio della Vergine fece il primo miracolo, quasi a dimostrare anzi tempo che iniziava la sua missione nel mondo e il regno di Dio dalla santificazione della famiglia e dell’unione coniugale, origine della vita. Là cominciò la elevazione del matrimonio, il quale doveva ergersi nel mondo soprannaturale dei segni, che producono la grazia santificante, a simbolo della unione di Cristo con la Chiesa (Efesini 5, 32); unione indissolubile e inseparabile, nutrita di quell’amore assoluto e senza fine, che sgorga dal Cuore di Cristo. Come potrebbe l’amore coniugale essere e dirsi simbolo di tale unione, quando fosse deliberatamente limitato, condizionato, solubile, quando fosse una fiamma di amore soltanto a tempo? No: elevato all’eccelsa e santa dignità di sacramento, improntato e stretto in così intima connessione con l’amore del Redentore e con l’opera della redenzione, non può essere e affermarsi che indissolubile e perpetuo.
È vero; un vincolo può talora costituire un gravame, una servitù, come le catene che stringono il prigioniero. Ma può essere anche un potente soccorso e una sicura garanzia, come la corda che lega l’alpinista ai suoi compagni di ascensione, o come i legamenti che uniscono le parti del corpo umano e lo rendono spedito e franco nei suoi movimenti; e tale è ben il caso del vincolo indissolubile del matrimonio.


La Santa Comunione,
mezzo efficacissimo per la vita spirituale della famiglia

7 giugno 1939

Ogni anima cristiana ha bisogno dell’Eucaristia, secondo la parola di Nostro Signore Gesù Cristo: “Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna” (Gv 6, 54. 55).
La Comunione Eucaristica ha dunque per effetto di alimentare l’unione santificante e vivificante dell’anima con Dio, di mantenere e fortificare la vita spirituale ed interiore, d’impedire che nel viaggio e nel combattimento terreno venga a mancare ai fedeli quella vita che è stata loro comunicata nel Battesimo.1
Di questi beni così preziosi Gesù Cristo vuole arricchire le anime nella Santa Comunione: e beati coloro che, assecondando le sue amorose intenzioni, sanno valersi di questo mezzo così valido di santificazione e di salute! Ma di tutti questi aiuti hanno particolare bisogno gli sposi e i genitori cristiani che, rendendosi conto delle gravi responsabilità, da loro assunte, si sono proposti di volervi seriamente corrispondere.
La famiglia ha bisogno, come di base, di intima unione di anime soprattutto, non solo di corpi, unione fatta di amore e di pace scambievole. Ora l’Eucaristia è, secondo la bella espressione di Sant’Agostino, segno di unione, vincolo di amore, signum unitatis, vinculum caritatis, e perciò unisce e quasi rinsalda tra loro i cuori.
A sostenere i pesi, le prove, i dolori comuni, ai quali ogni famiglia anche ben ordinata non può sfuggire, vi è bisogno di quotidiane energie; la Comunione Eucaristica è generatrice di forza, di coraggio, di pazienza, e con la letizia soave che diffonde nelle anime ben disposte fa sentire quella serenità che e il tesoro più prezioso del domestico focolare.
Pensiamo con gioia, diletti figli, che voi, ritornando alle vostre città, ai vostri paesi, alle vostre parrocchie, darete questo bello ed edificante spettacolo di accostarvi spesso alla Mensa Eucaristica, e dalla chiesa rientrerete nelle vostre case portando tra le pareti domestiche Gesù e, con Gesù, ogni bene. (Fonte: In tua justitia libera me Domine)
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1. Allora era scontato: che viene perduta col peccato e non recuperata se non attraverso il pentimento, il proposito di non ricadere e la confessione.

martedì 12 agosto 2014

Come vivere la consacrazione alla Madonna nei nostri giorni

Come vivere la consacrazione alla Madonna nei nostri giorni


di Plinio Corrêa de Oliveira

[Conferenza tenuta nel 1959 dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira per i membri del Terz’Ordine Carmelitano di San Paolo del Brasile, e pubblicato successivamente sulla rivista «O Mensageiro Carmelitano» (15-05-59). Fervido devoto di Elia profeta, fondatore remoto del Carmelo, il prof. Plinio Corrêa de Oliveira è stato per lunghi anni Priore del Terz’Ordine col nome di Isaia della Madonna del Perpetuo Soccorso.]

Andare oltre le esteriorità

Come Terziari Carmelitani, dobbiamo evitare di restare appena nelle esteriorità. Lo scapolare è un oggetto materiale che simboleggia in modo sensibile il nostro vincolo spirituale con la Madonna. Ma, proprio perché tale simbolo rappresenta bene questa situazione, alcuni spiriti potrebbero facilmente cedere all’idea che il suo mero uso è sufficiente per mantenerli uniti alla Madonna.

La stessa imposizione dello scapolare, fatta abitualmente in modo solenne e festoso, parla molto ai sensi e all’immaginazione. Perciò alcune persone potrebbero figurarsi che il semplice fatto di riceverlo stabilirebbe tra loro e la Madonna un vincolo così profondo che, anche senza nessun onere da parte loro, le manterrebbe ipso facto unite alla Madonna come perfetti Terziari.

La condizione dell’uomo sulla terra è tale che perfino le cose più lodevoli sono suscettibili di abusi, non perché in esse vi sia qualcosa di male, ma perché il male risiede nell’uomo decaduto col peccato originale.

Possiamo quindi dire che le esteriorità sono oltremodo utili, opportune, necessarie alla natura umana. Ma non vanno prese nel modo sbagliato, rimanendo appena nella realtà materiale del simbolo e dimenticando tutto ciò che esso significa.

L’apostolato laico nei nostri tempi

Dobbiamo compenetrarci dell’idea che il semplice possesso dello scapolare e la professione come membri del Terz’Ordine non costituiscono l’essenza del nostro vincolo con la Madonna. Queste esteriorità sarebbero vuote senza una speciale consacrazione interiore alla Vergine del Carmelo. È questo l’elemento fondamentale della nostra condizione di Terziari Carmelitani.

L’uso dello scapolare e la professione religiosa non sono che un oggetto materiale e un atto giuridico — tutte e due di grande significato ed importanza, intendiamoci — che esprimono questa consacrazione. Ma il punto principale è che il Terziario sia interiormente consacrato alla Madonna e viva questa consacrazione tutta la vita con crescente intensità.

In cosa consiste concretamente questa consacrazione interiore? Come possiamo vivere questa consacrazione nei nostri tempi? Ecco il tema della mia conferenza.

Il Terziario Carmelitano vive nel mondo. Egli è un laico e svolge il suo apostolato nel mondo. Questo apostolato consiste nel agire nella società civile per promuovere la salvezza delle anime per tutti i mezzi leciti, compresso quello di permeare con lo spirito della Chiesa tutti i valori dell’ordine temporale.

Non si tratta quindi di evitare le cose del mondo, di fuggire al deserto a fare l’eremita, di rinchiudersi nel silenzio sacrale di un monastero contemplativo. Non si tratta nemmeno di entrare a far parte d’un ordine religioso dedicato all’apostolato esterno. Si tratta, nel nostro caso, di vivere pienamente nel mondo, orientando a Dio i valori della società civile, creata pure da Lui e della quale si può esigere che Gli dia gloria. Si tratta di comunicare a questi valori un vero carattere cristiano.

In queste condizioni, dobbiamo avere un’idea esatta di come la consacrazione alla Madonna si realizzi nel mondo. Ma parlare di "mondo" è troppo generico. Noi dobbiamo considerare la società civile come essa è concretamente nei giorni nostri, con le peculiarità cioè dei nostri tempi.

Per vivere i nostri tempi dobbiamo, sì, conoscerne gli aspetti positivi. Ma non possiamo dimenticare gli aspetti negativi. Chi è il principe di questo mondo? Chi è il nemico al quale noi non possiamo servire? Chi è quell’altro "signore" che ci chiede pure di consacrarci a lui, con una consacrazione del tutto opposta ed escludente riguardo alla consacrazione alla Madonna? Senza un deciso rigetto di questo "signore" e di ogni forma di servitù e di vassallaggio a lui, la nostra consacrazione alla Madonna non sarà veramente piena.

Eccoci passati dall’enunziazione generica del problema alla domanda concreta: come possiamo realizzare la nostra consacrazione alla Madonna come figli della Chiesa Militante del secolo XX?

Questo implica un’altra domanda: quale sono i valori genuini della società civile? Per rispondere a questa domanda prendo spunto da alcune considerazioni teoriche.

Dio, causa finale e causa esemplare dell’universo

Dio è il fine di tutte le cose. È quindi naturale che tutte le cose siano ordinate a Lui. E ciò si realizza quando tutto è ordinato al compimento della Legge di Dio, alla salvezza delle anime e all’esaltazione della Chiesa.

Questi principi sono così veri, chiari e conosciuti che non credo di dover trattenermi sull’argomento. Vi è però un’altro principio, raramente proposto all’attenzione della massa dei fedeli. Ed è su questo che vorrei parlare più a lungo.

Dio ha creato l’universo e poi ha concesso all’uomo la facoltà di poter completare diversi aspetti dell’ordine e della bellezza dell’universo, per mezzo della sua azione. Il Dante rende molto bene l’idea quando dice che, se le creature sono figlie di Dio, le opere del genio umano sono le Sue nipoti. Nel creare l’universo, Dio aveva in mente un meraviglioso piano di armonia e di bellezza. Ma Egli realizzò appena una parte di quel piano, lasciandone il resto al genio e all’arbitrio dell’uomo.

Qual’è questo piano?

Insisto sull’idea della bellezza nel universo. La tendenza oggi è di considerare l’universo soprattutto come un’immensa macchina di funzionamento perfetto.

Per esempio, quando si parla della saggezza del Creatore, si risalta come le cose sono concatenate fra di loro in modo tale che non si distruggono, non si scontrano, bensì coesistono in armonia appoggiandosi a vicenda. È una visione funzionale del universo, interamente valida, che però ne svela appena un aspetto, proprio quello più gradito al nostro secolo meccanicista ed ultra-tecnicista.

C’è però un’altro aspetto dell’universo che riguarda Dio in quanto causa esemplare, cioè in quanto Essere increato e infinitamente bello, la cui bellezza si rispecchia in mille modi nelle creature, di modo tale che non c’è nessuna creatura che, d’un modo o d’altro, non rifletta la bellezza increata di Dio.

La bellezza di Dio si rispecchia soprattutto nel insieme, gerarchico e armonico, di tutte le creature. Sicché, in un certo senso, possiamo dire che non c’è mezzo migliore per conoscere la bellezza infinita e increata di Dio che contemplare la bellezza finita e creata dell’universo, considerato non tanto in ogni essere isolato, ma nel suo insieme.

La Santa Chiesa Cattolica: immagine perfetta di Dio

Dio si rispecchia ancora, in modo eminente, in un’opera più nobile e più perfetta dell’universo stesso: il Corpo Mistico di Cristo, la società soprannaturale che noi veneriamo col nome di Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana. La Chiesa da se costituisce un universo di elementi, variegati ed armonici, che cantano e rispecchiano, ognuno a modo suo, la santa ed ineffabile bellezza del Verbo Incarnato.

Nel contemplare sia l’universo che la Santa Chiesa Cattolica, noi possiamo elevarci alla considerazione della bellezza santa, infinita, increata di Dio.

Vi sono alcune regole di estetica che possono aiutarci a comprendere la bellezza nell’universo, come ponto di partenza per elevarci alla considerazione della bellezza increata di Dio. La più fondamentale è la coesistenza armonica dell’unita nella varietà. In cosa consiste questa regola? Anziché darne una definizione astratta, forse conviene considerarla concretamente in una creatura: il mare.


Il mare rispecchia la bellezza infinita di Dio

Il primo elemento che salta agli occhi è proprio l’unità. Tutti i mari comunicano fra di loro, costituendo un’immensa massa d’acqua che cinge la terra intera. Contemplando un pezzo di mare in qualunque posto del mondo, una delle più deliziose riflessioni che possiamo fare è considerare che quella massa liquida che ci sta davanti non si esaurisce nell’orizzonte, ma ha dietro di se immensità che susseguono ad altre immensità, fino a formare un’unica immensità che è il mare, che si muove, gioca, ruzza su tutta la superficie della terra.

Ma allo stesso tempo che mostra quella splendida unità, il mare impressiona anche per la grande varietà di aspetti.

Una prima varietà è quella dei movimenti. Ora il mare si presenta manso e sereno, sembrando voler soddisfare tutti i desideri di pace, di tranquillità e di riposo della nostra anima. Ora egli si muove discretamente, soavemente, formando sulla superficie piccole onde che sembrano voler giocare con noi per farci sorridere e rilassare il nostro spirito, presentandoci le realtà amene e piacevoli della vita. Ora egli si mostra maestosamente impetuoso, alzandosi in sublimi movimenti, scagliandosi con furia contro i faraglioni, dislocando dagli abissi masse d’acqua colossali che sommergono le isole e invadono i continenti. Egli sembra in preda ad una furia inarrestabile, che canta col fragore delle acque scatenate una grandezza imprigionata nelle sue profondità, e che nessuno avrebbe intuito nei momenti di dolcezza.

Vi è nel mare una seconda varietà, quella della estetica. A volte egli è così diafano che possiamo attraversarlo con lo sguardo come se fosse un cristallo, scorgendone perfino il fondo. A volte egli si presenta invece cupo, impenetrabile, profondo, misterioso. A volte egli ostenta immense superfici aperte, che si perdono in panorami sconfinati. A volte invece egli è circoscritto dagli accidenti geografici e forma piccoli golfi chiusi nei quali, per così dire, egli ci si mostra nell’intimità, facendosi piccolo per farsi gustare meglio.

Un’altra varietà sta nei rumori del mare. Ora il suo mormorio sembra una carezza che ninna e addormenta. Ora il suo rumore, in sottofondo, è come la conversazione d’un vecchio amico mille volte sentito. Ora invece egli parla col ruggito dominatore d’un re che vuole imporsi sugli elementi.

Il modo nel quale il mare si "comporta" sulla spiaggia è pure incredibilmente variato. Ora egli piomba sulla sabbia risoluto e sbuffante. Ora egli arriva con passo pigro, in onde che procedono languidamente. Ora invece egli sembra fermo, contentandosi appena con bagnare la terra.

Tutte queste varietà del mare, però, non avrebbero nessuna nesso, e quindi nessun incanto, se non si presentassero sul grande sfondo d’una unità fissa, invariabile e grandiosa. Questa è la bellezza dell’unità nella varietà.

La varietà del mare è in questo modo bella perché non è una qualsiasi varietà, bensì una varietà armonica. In cosa consiste?

Varietà armonica nel mare

Un primo elemento è che questa varietà giunge all’opposizione. Cioè, essa è così amplia che i suoi aspetti estremi giungono ad essere opposti e come contraddittori fra di loro. Questa varietà, proprio perché riunisce in una sola gamma estremi così dispari, possiede una suprema armonia, un’indiscutibile bellezza. Noi non riscontreremmo tanta bellezza nel mare se egli non fosse, per esempio, così estremamente furioso, così estremamente maestoso, ma anche così estremamente grazioso. Il mare armonizza l’estremo della mansuetudine e l’estremo della furia.

Un secondo elemento è che questa varietà che giunge all’opposizione deve comportare una certa simmetria. Se il mare, per esempio, fosse estremamente furioso in alcuni momenti ma appena un poco sereno in altri momenti, vi sarebbe uno squilibrio, la sua bellezza non sarebbe perfetta. Affinché l’opposizione sia perfetta, il mare dev’essere tanto furioso in alcuni momenti quanto egli è sereno in altri momenti.

Abbiamo poi le varietà armoniche delle gamme intermedie. Ci sono certe situazioni di transizione fra uno stato e l’altro, nelle quali non possiamo dire che il mare sia di questo o di quel modo. Egli sta passando da un estremo all’altro, con tutt’una ricchissima gamma di situazioni intermedie così splendidamente sfumate ed armoniche che spesso il linguaggio umano non riesce nemmeno a coglierli.

Prendiamo l’esempio d’un mare che comincia a calmarsi dopo la tempesta. Chi ha vissuto la tempesta dirà: ecco che il mare finalmente si calma! Chi lo compara invece col mare sereno dirà: il mare è ancora agitato! È una sorta di contraddizione di aspetti opposti che coesistono in una situazione intermedia.

Un’ultimo elemento è la continuità. Da un estremo all’altro il mare non balza, ma attraversa tutte le gamme intermedie, con maggior o minor velocità, in una sequenza di sfumature successive. Quando questa sequenza è perfetta, a volte può anche sembrare che il mare non cambia, salvo poi, dopo un certo tempo, accorgersi che si ha davanti un panorama nuovo. In questo caso, i cambiamenti sono così delicati ed impercettibili, che eccedono alla nostra capacità sensoriale.

Vi è, finalmente, un elemento non tanto visibile nel mare, ma molto vistoso nel firmamento: la varietà del progresso.

Possiamo scorgere nel firmamento una varietà di aspetti che vanno dall’aurora fino alla notte. Il giorno sorge incantevole, giovanile, fresco. Man mano che avanza, va guadagnando colori, forza e maestà, fino a raggiungere la gloriosa pienezza del mezzo giorno. Poi va declinando lentamente fino a sprofondare nella tristezza del tramonto. Finalmente, prende il suo aspetto notturno, che conserva fino ai primi bagliori dell’aurora.

Possiamo menzionare anche un’altro principio che conferisce al firmamento la sua particolare bellezza: è il principio monarchico, cioè la disposizione delle molteplici forme della varietà attorno a un elemento o punto centrale, in funzione del quale esse si armonizzano e si spiegano a vicenda. È questo, per esempio, il ruolo del sole nel firmamento.

Ecco i vari principi di bellezza esistenti in due splendide creature di Dio: il mare e il firmamento.



La Vergine Santissima: apice della bellezza dell’universo

La dottrina cattolica ci insegna che la bellezza di queste creature è un’immagine di Dio, puro Spirito infinitamente perfetto. Ma, visto che l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, essa è anche un’immagine dell’uomo. I vari aspetti del mare e del firmamento, per esempio, fanno pensare all’anima umana in alcuni suoi atteggiamenti, soprattutto quando essa riflette veramente la santità di Dio Nostro Signore.

Queste regole dell’estetica dell’universo che ho appena spiegato servono quindi anche per considerare la bellezza della santità nell’uomo e, soprattutto, nella più alta delle creature: la Madonna


La Madonna, così spesso paragonata al firmamento od al mare, possiede un’anima d’una immensità insondabile, un’anima nella quale tutte le forme di virtù e di bellezza coesistono in una perfezione super-eminente, e della quale noi non possiamo farci un’idea esatta. La Madonna è proprio quell'oceano, quel firmamento di virtù davanti al quale rimaniamo estasiati, allibiti, e che dobbiamo cercare di amare e di imitare.

Possiamo riscontrare nella Madonna la stessa unità nella varietà nei molteplici doni con i quali Dio l’ha onorata. 

Ella è madre di clemenza e di misericordia, ma è anche "terribile come un esercito schierato a battaglia" 1
Ella è la salute degli infermi, ma è anche la Madonna dei dolori; 
Ella è ausilio dei cristiani e anche rifugio dei peccatori. 
Ella è celebrata per la sua imparagonabile umiltà, e ciononostante tutti i veggenti che hanno avuto la gioia di contemplarLa coincidono nel commentare la Sua sovrana maestà.

Nella Madonna si armonizzano perfettamente gli aspetti più contrastanti e perfino apparentemente inconciliabili. Per esempio, vi può essere un contrasto più radicale di quello d’essere la Vergine Madre? Ella è Vergine delle vergini. Ma potrebbe benissimo essere chiamata pure Madre delle madri

Nessuna è più pienamente Vergine di Lei. Nessuna è più pienamente Madre di Lei.


La consacrazione alla Madonna nei giorni nostri

La consacrazione alla Madonna consiste nel darsi a Lei. E, giacché noi possiamo realizzare in noi stessi, in qualche modo, le virtù che in Lei rifulgono in modo eccelso, darsi a Lei significa servirLa e cercare di imitarLa. La conoscenza della Madonna, l’ammirazione per la Madonna, il servizio alla Madonna e il desiderio di imitarLa sono quindi gli elementi della perfetta consacrazione.

Ma dobbiamo procedere ad un’altra domanda: come possiamo vivere questa consacrazione nelle condizioni concrete dei nostri giorni?

La società dev’essere tale che gli stessi principi di bellezza universale che abbiamo appena spiegato, e che poi si traducono in principi di moralità e di santità, si riflettano non solo nelle anime ma in tutto ciò che circonda l’uomo.

Per una misteriosa affinità, le forme, i suoni, i colori, gli aromi possono esprimere stati di spirito dell’uomo. Bisogna quindi che esprimano stati di spirito virtuosi, affinché l’uomo possa trarre dagli ambienti nei quali vive risorse per la sua santificazione. Gli ambienti devono contenere immagini di Dio che parlino ai sensi, devono essere tali da stimolare nell’uomo la pratica della virtù, devono suscitare in lui l’appetenza della bellezza increata di Dio, che lui poi vedrà faccia a faccia nella gloria dei Cieli.

Ecco la grande missione dei laici che vivono nel mondo: organizzare l’ordine temporale in modo tale che formi le anime attirandole verso il Cielo. È chiaro che questo ordine temporale avrebbe una consonanza profonda con la Rivelazione, con gli insegnamenti e leggi della Chiesa, così come con i dettami della vera scienza. Sarebbe perciò il Regno di Cristo, il Regno di Maria sulla terra.

Torno dunque alla domanda: nel nostro secolo, in cosa consiste il servizio alla Madonna? Consiste nel salvare le anime per tutti i mezzi leciti, fra i quali voglio accentuare questo: ordinare tutte le cose secondo lo spirito che ho appena descritto, costruendo in questo modo la cultura e la civiltà cristiane. Sia una che l’altra, in fondo, non sono che la disposizione delle cose affinché siano in questa vita un riflesso di Dio, orientando quindi le anime per la vita eterna.

Essere consacrato alla Madonna e servirLa significa sostentare, promuovere e difendere contro eventuali nemici la cultura e la civiltà cristiane, che costituiscono quella pace in terra promessa agli uomini di buona volontà dagli angeli a Betlemme. L’unica pace che gli uomini di buona volontà possono avere sulla terra è la pace di Cristo nel Regno di Maria.

Possiamo dunque dire che il vero Terziario Carmelitano, consapevole di cosa implichi la sua consacrazione, è non solo una persona di spiccata vita interiore, ma anche un soldato genuino della cultura e della civiltà cristiane.

Problemi dell’apostolato nel secolo XX

Per comprendere ancor meglio come dobbiamo servire la Madonna nel nostro secolo, dobbiamo considerare certe circostanze ad esso peculiari.

Noi viviamo in un processo rivoluzionario che, iniziatosi col Protestantesimo e l’Umanesimo nel secolo XVI, ha ottenuto un grande trionfo con la Rivoluzione francese nel secolo XVIII. Questo processo giunge adesso al suo culmine con l’affermarsi del comunismo. Siamo quindi nel vortice di una lunga serie di apostasie. E in questo consiste il marchio dominante degli avvenimenti nei giorni nostri, delle circostanze nelle quali la Chiesa vive, agisce e lotta attualmente.2

In tutti i tempi la Chiesa si è trovata davanti avversari da contrastare. Ma forse mai essa ha dovuto subire un attacco così furibondo che la colpisce in ogni punto della sua dottrina, delle sue costumi, delle sue istituzioni e delle sue leggi. M
ai i suoi nemici avevano ostentato una tale coerenza, una tale unità di intenzione e un tale rancore quanto nei giorni nostri. I testi pontifici in questo senso sono talmente numerosi che io mi esimo dal menzionarli.

Dunque, da qualsiasi angolazione noi consideriamo il panorama odierno, dobbiamo collocare al centro questo fenomeno, cioè l’offensiva plurisecolare delle forze del male contro la Chiesa che oggi giunge al suo parossismo. Viviamo, come ho detto poc’anzi, in un processo rivoluzionario che corrode una realtà gloriosa, luminosa ma ormai agonizzante: la Civiltà cristiana.

Abbiamo quindi un nemico da contrastare e un patrimonio da difendere. Questo patrimonio è l’immenso e inapprezzabile tesoro delle tradizioni tramandateci da venti secoli di Civiltà cristiana. Un patrimonio che non va considerato come un valore estatico ma, al contrario, come qualcosa che i successivi secoli hanno man mano costruito. Anche noi, per la nostra fedeltà e la nostra lotta, accresciamo questo tesoro della tradizione. Davanti a noi c’è la Rivoluzione, che rappresenta esattamente il contrario di tutto ciò che amiamo. Noi dobbiamo confrontarla in tutte le sue manifestazioni.

Ecco un aspetto essenziale del apostolato cattolico nei giorni nostri. Questo aspetto merita un’ulteriore spiegazione.

Il cattolico deve’essere un uomo del suo tempo?


Dicono che il cattolico dev’essere un uomo del suo tempo, con lo sguardo aperto ad ogni forma di progresso, adattandosi in tutta la misura del possibile al mondo nel quale vive.

Nessuno oserebbe dire che queste affermazioni siano in se false. Ma dobbiamo saper distinguere un’accettazione intelligente e piena di discernimento, da un’accettazione sprovveduta, spensierata, debole che assume non solo gli aspetti buoni dell’epoca ma anche tutto ciò che lo spirito della Rivoluzione vi ha instillato, a volte velatamente.

Se vogliamo essere pienamente uomini del nostro tempo dobbiamo saper tracciare questa linea divisoria con molta chiarezza.

Ogni epoca dice di voler distanziarsi da quella precedente correggendone i difetti. Ma capita spesso che voglia anche distanziarsene perché dissente dai suoi valori. E qui ci vuole discernimento. Riguardo all’epoca immediatamente anteriore alla nostra, noi non vogliamo, non possiamo e non dobbiamo né accettare tutto né rigettare tutto. Dobbiamo analizzare con attenzione i diversi elementi.

Nessun’epoca passata deve rimanere intoccata. È sempre possibile, per mezzo di un vero progresso, abolirne i difetti e migliorarne i valori. Ma questo non basta. Noi non possiamo perdere di vista che molte delle trasformazioni in atto oggidì non rappresentano affatto un lavoro intelligente per depurare e perfezionare le tradizioni che abbiamo ricevuto dai nostri padri ma, al contrario, costituiscono un voluto sforzo di distruzione sistematica o di corrosione surrettizia dei valori della Civiltà cristiana.

In una lettera indirizzata al cardinale Carlos Mota, arcivescovo di San Paolo, mons. Dell’Acqua, allora Sostituto della Segreteria di Stato della Santa Sede, affermava che, per effetto del laicismo, il mondo contemporaneo aveva ormai perso quasi completamente il senso cristiano della vita.

Richiamo l’attenzione di lor signori su queste ultime parole. Noi sappiamo che l’uomo non può rimanere privo di qualsiasi senso. Se egli perde il senso cristiano, è giocoforza che lo rimpiazzi con un senso non cristiano. Dobbiamo quindi concludere che la stragrande maggioranza degli uomini di oggi sono segnati, in grado minore o maggiore, da un senso non cristiano della vita, quando non addirittura da un senso anticristiano. Noi stessi, figli del nostro tempo, siamo esposti al rischio di portare nel nostro spirito, a volte anche velatamente, alcune infiltrazioni di questo senso anticristiano della vita.

Troppo frequentemente ci troviamo attorno persone che pensano di avere il vero spirito cattolico perché ricevono ogni tanto i sacramenti e praticano alcuni atti di pietà. Eppure, il loro modo di pensare, di sentire, e di agire sono segnati da uno spirito opposto a quello della Chiesa. Anche se in grado ovviamente minore, questo succede perfino con persone pietose. In queste condizioni, c’è motivo per essere diffidenti perfino con noi stessi.

Con grande diligenza dobbiamo dedicarci al compito di discernere ciò che in nostra epoca è buono da ciò che è cattivo. Ci spinge il timore di, per sbaglio, spacciare qualcosa di quel deposito di tradizioni cattoliche che abbiamo ricevuto da nostri padri e che dobbiamo trasmettere non solo intatto ma accresciuto.

Dobbiamo, sì, correggere giudiziosamente il passato. Ma cambiarlo senza discernimento, sconsideratamente, in ogni caso, e a volte perfino appena per la smania di cambiare, ecco un atteggiamento che va decisamente respinto. Niente di più estraneo alla vera consacrazione alla Madonna di questa negligenza nel proteggere la tradizione cristiana.

Se un membro del Terzo’Ordine Carmelitano si consegna al mondo senza ritegno, sappia che egli serve due signori, egli non è un vero Carmelitano e la sua consacrazione non è una vera consacrazione.

Ripudiando dunque formalmente l’idea che dobbiamo conservare intatto il passato, affermiamo che mai nella storia della Civiltà cristiana fu così difficile discernere fra i veri valori del passato e quello che nei giorni nostri dev’essere rettificato.

La tradizione nel magistero pontificio


Per illustrare questo punto, niente meglio delle luminose parole di Papa Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, del 19 gennaio 1944. Il Santo Padre spiega molto bene in cosa consista un rinnovamento fatto secondo lo spirito della Chiesa, animato da un profondo amore alla tradizione:

"Le cose terrene scorrono come un fiume nell’alveo del tempo: necessariamente il passato cede il posto e la via all’avvenire, e il presente non è che un istante fugace che congiunge l’uno con l’altro. È un fatto, è un moto, è una legge; non è in se un male. Il male sarebbe, se questo presente che dovrebbe essere un flutto tranquillo nella continuità della corrente, divenisse una tromba marina, sconvolgendo ogni cosa come tifone o uragano al suo avanzarsi, e scavando con furioso distruggimento e rapimento un abisso tra ciò che fu e ciò ch deve seguire. Tale sbalzi disordinati, che fa la storia nel suo corso, costituiscono allora e segnano ciò che si chiama una crisi, vale a dire un passaggio pericoloso, che può far capo a salvezza o a rovina irreparabile, ma la cui soluzione è tuttora avvolta di mistero entro la caligine delle forze contrastanti. (...)

"Patriziato e Nobiltà, voi rappresentate e continuate la tradizione. (...)

"Molti animi, anche sinceri, s’immaginano e credono che la tradizione non sia altro che il ricordo, il pallido vestigio di un passato che non c’è più, che non può più tornare, che tutt’al più viene con venerazione, con riconoscenza se vi piace, relegato e conservato in un museo. (...)

"Ma la tradizione è cosa molto diversa dal semplice attaccamento ad un passato scomparso; è tutto l’opposto di una reazione che diffida di ogni sano progresso. Il suo stesso vocabolo etimologicamente è sinonimo di cammino e di avanzamento. Sinonimia, non identità. Mentre infatti il progresso indica soltanto il fatto del cammino in avanti passo innanzi passo, cercando con lo sguardo un incerto avvenire; la tradizione dice pure un cammino in avanti, ma un cammino continuo, che si svolge in pari tempo tranquillo e vivace, secondo le leggi della vita. (...)

"In forza della tradizione, la gioventù, illuminata e guidata dall’esperienza degli anziani, si avanza di un passo più sicuro, e la vecchiaia trasmette e consegna fiduciosa l’aratro a mani più vigorose che proseguono il solco cominciato. 


"Come indica col suo nome, la tradizione è il dono che passa di generazione in generazione la fiaccola che il corridore ad ogni cambio pone in mano e affida all’altro corridore, senza che la corsa si arresti o si rallenti. Tradizione e progresso s’integrano a vicenda con tanta armonia, che, come la tradizione senza il progresso contraddirebbe a sé stessa, così il progresso senza la tradizione sarebbe una impresa temeraria, un salto nel buio".


Conclusione


Reverendi sacerdoti, cari confratelli, abbiamo dunque visto che la nostra consacrazione alla Madonna, espressa nel atto affettivo della professione religiosa e ricordata dall'uso dello scapolare, si realizza nei giorni nostri nel ricondurre le anime e tutti i valori della società temporale affinché diano gloria a Dio, sulla scia della Civiltà cristiana, avendo Dio come causa esemplare, e proseguendo nella traiettoria indicata dai magnifici principi della tradizione cristiana.
Grazie!


domenica 8 dicembre 2013

SACRA VIRGINITAS



PIO XII
LETTERA ENCICLICA
SACRA VIRGINITAS(1)
LA CONSACRATA VERGINITÀ

INTRODUZIONE
La sacra verginità e la castità perfetta consacrata al servizio di Dio sono certamente, per la chiesa, tra i tesori più preziosi che il suo Autore le abbia lasciato, come in eredità.
Per questo motivo i santi padri sottolineavano che la verginità perpetua è un bene eccelso di carattere essenzialmente cristiano. Essi osservano a buon diritto che, se i pagani dell'antichità richiedevano dalle vestali un tale tenore di vita, questo era temporaneo;(2) e quando nell'Antico Testamento si comanda di conservare e praticare la verginità, si trattava soltanto di una condizione preliminare al matrimonio (cf. Es 22, 16-17; Dt 22, 23-29; Eccle 42, 9); sant'Ambrogio(3) aggiunge: «Noi leggiamo che anche nel tempio di Gerusalemme vi erano delle vergini. Ma che cosa dice l'apostolo? "Tutte queste cose avvenivano ad essi in figura" (1 Cor 10, 11) per preannunciare il futuro».
E, certamente, fin dai tempi apostolici questa virtù cresce e fiorisce nel giardino della chiesa. Quando negli Atti degli apostoli (At 21, 9) si dice che le quattro figlie del diacono Filippo furono vergini, più che la loro giovinezza, si vuole indicare uno stato di vita. Non molto tempo dopo, Sant'Ignazio di Antiochia ricorda nel suo saluto le vergini,(4) che costituivano già, insieme con le vedove, un elemento importante della comunità cristiana di Smirne. Nel II sec. - come attesta s. Giustino - «molti e molte, di sessanta e settant'anni, si conservano intatti sin dall'infanzia, per l'insegnamento di Cristo».(5) Poco alla volta si accrebbe il numero di uomini e donne che avevano consacrato a Dio la loro castità; e nello stesso tempo il loro compito nella chiesa acquistò importanza maggiore, come più diffusamente abbiamo esposto nella Nostra costituzione apostolica Sponsa Christi.(6)
Inoltre i santi padri - come Cipriano, Atanasio, Ambrogio, Giovanni Crisostomo, Girolamo e Agostino e non pochi altri - nei loro scritti celebrarono la verginità con altissimi elogi. Questa dottrina dei santi padri, arricchita nel corso dei secoli dai dottori della chiesa e dai maestri dell'ascetica cristiana, influisce certo molto tra i cristiani d'ambo i sessi nel suscitare e confermare il proposito di consacrarsi a Dio con la perfetta castità e di perseverare in essa fino alla morte.
Il numero dei fedeli così consacrati a Dio, dall'origine della chiesa fino ai nostri giorni, è incalcolabile: gli uni hanno conservato intatta la loro verginità, gli altri hanno votato al Signore la loro vedovanza dopo la morte del consorte; altri, infine, hanno scelto una vita casta dopo aver fatto penitenza dei loro peccati; ma tutti hanno questo di comune tra loro: che si sono impegnati ad astenersi per sempre, per amore di Dio, dai piaceri della carne. Ciò che i santi padri hanno proclamato circa la gloria e il merito della verginità, sia a tutte queste anime consacrate di invito, di sostegno e di forza a perseverare fermamente nel sacrificio e a non sottrarre e prendere per sé una parte anche minima dell'olocausto offerto sull'altare di Dio.
La castità perfetta è la materia di uno dei tre voti che costituiscono lo stato religioso(7) ed è richiesta nei chierici della chiesa latina ordinati negli ordini maggiori(8) e nei membri degli istituti secolari,(9) ma è praticata pure da numerosi laici, uomini e donne che, pur vivendo al di fuori dello stato pubblico di perfezione, rinunziano completamente, di proposito o per voto privato, al matrimonio e ai piaceri della carne per poter servire più liberamente il loro prossimo e unirsi a Dio più facilmente e intimamente.
A tutti i dilettissimi figli e figlie, che in qualsiasi modo hanno consacrato a Dio il loro corpo e la loro anima, rivolgiamo il Nostro cuore paterno e li esortiamo vivamente a confermarsi nel loro santo proposito e a restarvi diligentemente fedeli.
Vi sono, però, oggi alcuni che, allontanandosi in questa materia dal retto sentiero, esaltano tanto il matrimonio da anteporlo alla verginità; essi disprezzano la castità consacrata a Dio e il celibato ecclesiastico. Per questo crediamo dovere del Nostro apostolico ufficio proclamare e difendere, al presente in modo speciale, l'eccellenza del dono della verginità, per difendere questa verità cattolica contro tali errori.
 
I.
VERA IDEA DELLA CONDIZIONE VERGINALE
Anzitutto vogliamo osservare che la parte essenziale del suo insegnamento circa la verginità, la chiesa l'ha ricevuta dalle labbra stesse dello Sposo divino.
Quando infatti i discepoli si mostrarono colpiti dai gravissimi obblighi e fastidi del matrimonio che il Maestro aveva loro esposto, gli dissero: «Se tale è la condizione dell'uomo verso la moglie, non conviene sposarsi» (Mt 19, 10). Gesù Cristo rispose che non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è concesso; alcuni infatti sono impossibilitati al matrimonio per difetto di natura, altri per la violenza e la malizia degli uomini, altri invece si astengono da esso spontaneamente e di propria volontà «per il regno dei cieli»; e concluse: «Chi può comprendere, comprenda» (Mt 19, 11-12).
Il Maestro divino allude non agli impedimenti fisici per il matrimonio ma al proposito della libera volontà di astenersi per sempre dalle nozze e dai piaceri del corpo. Facendo il paragone tra coloro che spontaneamente rinunciano ai piaceri del corpo e quelli che sono costretti a rinunciarvi dalla natura o dalla violenza umana, non c'insegna forse il divin Redentore che la castità deve essere perpetua, affinché sia realmente perfetta?
I santi padri, inoltre, e i dottori della chiesa hanno insegnato apertamente che la verginità non è una virtù cristiana se non la si abbraccia «per il regno dei cieli» (Mt 19, 12), cioè per poter attendere più facilmente alle cose celesti, per conseguire più sicuramente l'eterna salvezza, per poter condurre infine più speditamente, con diligente operosità, anche gli altri al regno dei cieli.
Non possono, quindi, arrogarsi il merito della verginità quei cristiani e quelle cristiane che si astengono dal matrimonio o per egoismo o per sfuggirne gli oneri, come avverte sant'Agostino,(10) o anche per ostentare con superbia farisaica l'integrità dei loro corpi: il concilio di Gangra (Asia Minore) condanna chi si astiene dal matrimonio come da uno stato abominevole, e non per la bellezza e la santità della verginità.(11)
L'apostolo delle genti, ispirato dallo Spirito Santo, ammonisce: «Chi non è sposato, è sollecito delle cose di Dio, del modo di piacere a lui... E la donna non sposata e vergine pensa alle cose di Dio per essere santa di corpo e di spirito» (1 Cor 7, 32.34). Ecco lo scopo principale, la prima ragione della verginità cristiana: aspirare unicamente alle cose divine e dirigervi la mente e lo spirito; voler piacere a Dio in tutto; pensare a lui intensamente, e consacrargli totalmente corpo e spirito.
I santi padri hanno sempre interpretato in questa maniera la parola di Cristo e la dottrina dell'apostolo delle genti: fin dai primi tempi della chiesa si stimava verginità la consacrazione fatta a Dio del corpo e dell'anima. San Cipriano richiede dalle vergini «che, per essersi consacrate a Dio, si astengano da ogni piacere carnale, consacrino a Dio il corpo e l'anima ... e non siano sollecite di abbigliarsi o di piacere ad alcuno, tranne che al loro Signore».(12) Il vescovo di Ippona precisa: «La verginità non è onorata perché tale, ma perché consacrata a Dio ... e noi non lodiamo le vergini perché tali, ma perché sono vergini consacrate a Dio con devota continenza». (13) I prìncipi dei teologi, san Tommaso d'Aquino(14) e san Bonaventura(15) si richiamano all'autorità di sant'Agostino per insegnare che la verginità non ha la fermezza della virtù, se non si fonda sul voto di conservarla sempre illibata. Difatti la dottrina di Cristo intorno all'astinenza perpetua del matrimonio viene praticata nel modo più ampio e perfetto da coloro che si obbligano con voto perpetuo alla sua osservanza: né si può giustamente affermare che sia migliore e più perfetto il proposito di coloro che intendono riservarsi la possibilità di liberarsi dall'impegno.
I santi padri hanno considerato questo vincolo di castità perfetta come una specie di matrimonio spirituale fra l'anima e Cristo; alcuni di essi, anzi, sono giunti fino a paragonare con l'adulterio la violazione del voto fatto.(16) Perciò sant'Atanasio scrive che la chiesa cattolica è solita chiamare le vergini: spose di Cristo.(17) E sant'Ambrogio, scrivendo concisamente della vergine esclama: «La vergine è sposa di Dio».(18) Gli scritti del dottore di Milano attestano,(19) già al VI secolo, la grande somiglianza tra il rito della consacrazione delle vergini e quello della benedizione nuziale, ancora in uso oggi.(20)
Perciò i santi padri esortano le vergini ad amare il loro Sposo divino più di quanto amerebbero il proprio marito e a conformare sempre i loro pensieri e le loro azioni alla sua volontà.(21) «Amate di tutto cuore il più bello dei figli degli uomini - scrive loro sant'Agostino - voi ne avete tutta la facoltà: il vostro cuore è libero dai legami del matrimonio... Dal momento che avreste dovuto portare un grande amore ai vostri sposi, quanto più dovete amare Colui per amore del quale voi avete rinunziato agli sposi? Sia fisso nel vostro cuore Colui che per voi è stato infisso sulla croce».(22) Tali sono, d'altra parte, i sentimenti e le risoluzioni che la chiesa stessa richiede dalle vergini il giorno della loro consacrazione, quando le invita a pronunciare le parole rituali: «Ho disprezzato il regno del mondo e tutto il fasto del secolo per amore di nostro Signore Gesù Cristo, che ho conosciuto, che ho amato, e nel quale ho amorosamente creduto».(23) È quindi solo l'amore di lui che spinge con dolcezza la vergine a consacrare interamente il suo corpo e la sua anima al divin Redentore, secondo le bellissime espressioni che san Metodio d'Olimpo fa dire a una di esse: «O Cristo, tu sei tutto per me. Io mi conservo pura per te e, portando una lampada splendente, vengo incontro a te, o Sposo mio».(24) Sì, è l'amore di Cristo che spinge la vergine a ritirarsi, e per sempre, dentro le mura del monastero per contemplarvi e amare con maggiore speditezza e facilità il suo Sposo celeste, e la stimola potentemente a impegnarsi con tutte le forze fino alla morte nelle opere di misericordia in favore del prossimo.
Riguardo poi agli uomini «che non si sono contaminati con donne, poiché sono vergini» (Ap 14, 4) l'apostolo san Giovanni afferma che essi seguono l'Agnello dovunque egli vada. Meditiamo l'esortazione che fa loro sant'Agostino: «Seguite l'Agnello, perché la carne dell'Agnello è anch'essa vergine... voi avete ben ragione di seguirlo, con la verginità del cuore e della carne, dovunque vada. Che cos'è infatti seguire se non imitare? perché Cristo ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio, come dice san Pietro apostolo, "affinché seguiamo le sue orme" (1 Pt 2, 21)».(25) Tutti questi discepoli infatti e tutte queste spose di Cristo hanno abbracciato lo stato di verginità, come dice san Bonaventura, per la conformità allo Sposo Cristo, al quale esso rende conformi i vergini».(26) La loro ardente carità verso Cristo non poteva contentarsi di semplici vincoli di affetto con lui: essa aveva assoluto bisogno di manifestarsi con l'imitazione delle sue virtù e, in modo speciale, con la conformità alla sua vita tutta consacrata al bene e alla salvezza del genere umano. Se i sacerdoti, se i religiosi e le religiose, se tutti quelli che in un modo o nell'altro hanno consacrato la vita al servizio di Dio, osservano la castità perfetta, questo è in definitiva perché il loro divino Maestro è rimasto egli stesso vergine fino alla morte. «È proprio il Figlio unico di Dio - esclama san Fulgenzio - e Figlio unico della Vergine, l'unico Sposo di tutte le sacre vergini, frutto, ornamento e ricompensa della santa verginità, che lo ha dato alla luce e spiritualmente lo sposa e dal quale è resa feconda senza lesione dell'integrità, ornata per rimanere sempre bella, incoronata per regnare gloriosa nell'eternità».(27)
Qui crediamo opportuno, venerabili fratelli, spiegare più diffusamente e con maggiore accuratezza per quali ragioni l'amore di Cristo spinga le anime generosamente a rinunciare al matrimonio e quali legami segreti esistano fra la verginità e la perfezione della carità cristiana. L'insegnamento di Cristo, ricordato più sopra, faceva già capire che la perfetta rinunzia al matrimonio libera gli uomini da oneri pesanti e da gravi doveri. Ispirato dallo Spirito di Dio, l'apostolo dei gentili ne dà la ragione in questi termini: «Io vorrei che voi foste senza inquietudini... Chi invece è sposato, si preoccupa delle cose del mondo, del modo di piacere alla moglie ed è diviso» (1 Cor 7, 32-33). Si deve tuttavia notare che l'apostolo non biasima gli uomini perché si preoccupano delle loro consorti, né le spose perché cercano di piacere al marito; ma afferma piuttosto che il loro cuore è diviso tra l'amore del coniuge e l'amore di Dio e che sono troppo oppressi dalle preoccupazioni e dagli obblighi della vita coniugale, per potersi dare facilmente alla meditazione delle cose divine. Poiché s'impone loro la legge chiara e imperiosa del matrimonio: «saranno due in una carne sola» (Gn 2, 24; cf. Mt 19, 5). Gli sposi infatti sono legati l'uno all'altro negli avvenimenti tristi e in quelli lieti (cf. 1 Cor 7, 39). Si comprende quindi facilmente perché le persone, che desiderano consacrarsi al servizio di Dio, abbraccino lo stato di verginità come una liberazione, per potere cioè servire più perfettamente Dio e dedicarsi con tutte le forze al bene del prossimo. Per citare infatti alcuni esempi, come avrebbero potuto affrontare tanti disagi e fatiche quell'ammirabile predicatore dell'evangelo che fu san Francesco Saverio, quel misericordioso padre dei poveri che fu san Vincenzo de' Paoli, un san Giovanni Bosco, insigne educatore dei giovani, una santa Francesca Saverio Cabrini, instancabile «madre degli emigranti», se avessero dovuto pensare alle necessità materiali e spirituali del proprio coniuge e dei propri figli?
Vi è però un'altra ragione per la quale le anime che ardentemente desiderano consacrarsi al servizio di Dio e alla salvezza del prossimo, scelgono lo stato di verginità. Essa è addotta dai santi padri, quando trattano dei vantaggi di una completa rinunzia ai piaceri della carne allo scopo di gustar meglio le elevazioni della vita spirituale. Senza dubbio - come essi hanno chiaramente notato - tali piaceri, legittimi nel matrimonio, non sono per sé da condannarsi; anzi il casto uso del matrimonio è nobilitato e santificato da un sacramento speciale. Tuttavia, bisogna egualmente riconoscere che in seguito alla caduta di Adamo le facoltà inferiori della natura resistono alla retta ragione e talora spingono l'uomo ad agire contro i suoi dettami. Secondo l'espressione del dottore angelico, l'uso del matrimonio «trattiene l'animo dal darsi interamente al servizio di Dio».(28)
Proprio perché i sacri ministri possano godere di questa spirituale libertà di corpo e di anima e per evitare che si immischino in affari terreni, la chiesa latina esige da essi che si assumano volontariamente l'obbligo della castità perfetta.(29) «Se poi una tale legge - come affermava il Nostro predecessore d'immortale memoria Pio XI - non vincola nella stessa misura i ministri della chiesa orientale, anche presso di essi il celibato ecclesiastico è in onore, e in certi casi - soprattutto quando si tratta dei gradi più alti della gerarchia - è necessariamente richiesto e imposto».(30)
I ministri sacri, però, non rinunciano al matrimonio unicamente perché si dedicano all'apostolato, ma anche perché servono all'altare. Se i sacerdoti dell'Antico Testamento già dovevano astenersi dall'uso del matrimonio mentre servivano nel tempio per non contrarre un'impurità legale, come gli altri uomini (cf. Lv 15, 16-17; 22,4; 1 Sam 21, 5-7),(31) quanto maggiore non è la necessità della perpetua castità per i ministri di Gesù Cristo, i quali offrono ogni giorno il sacrificio eucaristico? Riguardo a questa perfetta continenza dei sacerdoti ecco quanto dice in forma interrogativa san Pier Damiani: «Se il nostro Redentore ha amato tanto il fiore del pudore intatto che non solo volle nascere dal seno di una Vergine, ma volle essere affidato anche alle cure di un custode vergine, ciò quando, ancora fanciullo, vagiva nella culla, a chi, dunque, ditemi, vuole egli confidare il suo corpo, ora che egli regna, immenso, nei cieli?».(32)
Per questo motivo soprattutto, secondo l'insegnamento della chiesa, la santa verginità supera in eccellenza il matrimonio. Già il divin Redentore ne aveva fatto un consiglio di vita più perfetta ai discepoli (cf. Mt 19, 10-11). E l'apostolo san Paolo, dopo aver detto di un padre che dà a marito la sua figlia «egli fa bene», aggiunge subito: «Chi però non la dà a marito, fa meglio ancora» (1 Cor 7, 38). Nel corso del suo paragone tra il matrimonio e la verginità, l'apostolo più di una volta mostra il suo pensiero, soprattutto quando dice: «Io vorrei che tutti voi foste come me... dico poi ai celibi e alle vedove: è conveniente per essi restare come sono io» (1 Cor 7, 7-8; cf.1 et 26). Se dunque la verginità, come abbiamo detto, è superiore al matrimonio, questo avviene senza dubbio, perché essa mira a conseguire un fine più eccelso;(33) essa poi è un mezzo efficacissimo per consacrarsi interamente al servizio di Dio, mentre il cuore di chi è legato alle cure del matrimonio resta più o meno «diviso» (cf. 1 Cor 7, 33).
L'eccellenza della verginità risalterà ancor maggiormente se ne consideriamo l'abbondanza dei frutti: «poiché dal frutto si riconosce l'albero» (Mt 12, 33).
Il Nostro animo si riempie di immensa e soave letizia al pensiero della falange innumerevole di vergini e di apostoli che, dai primi tempi della chiesa fino ai giorni nostri, hanno rinunciato al matrimonio per consacrarsi più liberamente e più completamente alla salvezza del prossimo per amore di Cristo, e hanno sviluppato iniziative veramente mirabili nel campo della religione e della carità. Non vogliamo certo disconoscere i meriti di quelli che militano nell'Azione cattolica, né i frutti del loro apostolato: con le loro opere, essi possono spesso raggiungere delle anime che sacerdoti e religiosi o religiose non avrebbero potuto avvicinare. Ma, senza alcun dubbio, si deve far risalire a questi ultimi la maggior parte delle opere di carità. Costoro, infatti, con grande generosità seguono e dirigono la vita degli uomini in ogni età e condizione; e quando vengono meno per la stanchezza o per malattia, lasciano ad altri, come in eredità, la continuazione della loro missione. Così avviene che il bambino, appena nato, trova sovente delle mani verginali che l'accolgono e non gli fanno mancare quanto l'intenso amore materno potrebbe dargli; fatto grandicello e giunto all'età della ragione, è affidato a educatori o educatrici che vegliano alla sua istruzione cristiana, allo sviluppo delle sue facoltà e alla formazione del suo carattere. Se si ammala, troverà sempre qualcuno che, spinto dall'amore di Cristo, lo curerà premurosamente. L'orfanello, il misero, il prigioniero, non mancheranno di conforto e aiuto: i sacerdoti, i religiosi, le sacre vergini vedranno in lui un membro sofferente del corpo mistico di Gesù Cristo, memori delle parole del divin Redentore: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero pellegrino e mi avete ospitato, nudo e mi avete rivestito, malato e mi avete visitato, prigioniero e siete venuti a trovarmi... In verità vi dico, tutto ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l'avete fatto a me» (Mt 25, 35-36.40). Che diremo in lode di tanti missionari, che si consacrano, a costo delle maggiori fatiche e lontani dalla loro patria, alla conversione delle masse infedeli? Che delle spose di Cristo, le quali dànno loro una preziosa collaborazione? A tutti e a ciascuno di essi ripetiamo volentieri le parole della Nostra
esortazione apostolica Menti Nostrae: «Per la legge del celibato, il sacerdote, ben lontano dal perdere interamente la paternità, l'accresce all'infinito, perché egli genera figliuoli, non per questa vita terrena e caduca, ma per la celeste ed eterna».(34)
La verginità non è solamente feconda per le opere esteriori a cui permette di dedicarsi più facilmente e più pienamente; essa lo è anche per le forme più perfette di carità verso il prossimo, quali sono le ardenti preghiere e i gravi disagi volontariamente e generosamente sopportati a questo scopo. A ciò hanno consacrato tutta la loro vita i servi di Dio e le spose di Cristo, quelli specialmente che vivono nei monasteri.
Infine, la verginità consacrata a Cristo è per se stessa una tale espressione di fede nel regno dei cieli e una tale prova d'amore verso il divin Redentore, che non c'è da meravigliarsi nel vederla arrecare frutti così abbondanti di santità. Numerosissimi sono le vergini e gli apostoli, votati alla castità perfetta, che sono l'onore della chiesa per l'alta santità della loro vita. La verginità, infatti, dà alle anime una forza spirituale capace di condurle fino al martirio e questo è l'insegnamento della storia che propone alla nostra ammirazione tante schiere di vergini, da Agnese di Roma a Maria Goretti.
A tutta ragione la verginità è detta virtù angelica; san Cipriano scrivendo alle vergini afferma giustamente: «Quello che noi saremo un giorno, voi già cominciate ad esserlo. Voi fin da questo secolo godete la gloria della risurrezione, passate attraverso il mondo senza contagiarvene. Finché perseverate caste e vergini, siete eguali agli angeli di Dio».(35) All'anima assetata di purezza e arsa dal desiderio del regno dei cieli, la verginità viene presentata «come una gemma preziosa», per la quale un tale «vendette tutto ciò che aveva e la comprò» (Mt 13, 46). Coloro che sono sposati e perfino quelli che stanno immersi nel fango dei vizi, quando vedono le vergini, ammirano spesso lo splendore della loro bianca purezza e si sentono spinti verso un ideale che superi i piaceri del senso. Lo afferma l'Aquinate scrivendo: «Alla verginità ... si attribuisce la bellezza più sublime»,(36) e questo è senza dubbio il motivo per cui le vergini sono di esempio a tutti. Difatti tutti costoro, uomini e donne, con la loro perfetta castità non dimostrano forse chiaramente che il dominio dell'anima sul corpo è un effetto dell'aiuto divino e un segno di provata virtù?
Ci piace ancora sottolineare un altro frutto soavissimo della verginità: le vergini manifestano e rendono pubblica la perfetta verginità della stessa loro madre la chiesa, e la santità dei loro vincoli strettissimi con Cristo. A ciò sapientemente si ispirano le espressioni del pontefice nel rito della consacrazione delle vergini e nelle preghiere rivolte al Signore: «Affinché vi siano anime più sublimi che, disdegnando nel matrimonio i piaceri della carne, ne cerchino il significato recondito, e invece di imitare ciò che si fa nel matrimonio, amino quanto in esso è simboleggiato».(37)
Gloria altissima per le vergini è, certo, l'essere delle immagini viventi in quella perfetta integrità, che unisce la chiesa al suo Sposo divino. Esse inoltre offrono un segno mirabile della fiorente santità e di quella spirituale fecondità, in cui eccelle la società fondata da Gesù Cristo, alla quale è motivo di una gioia quanto mai intensa. A questo proposito sono magnifiche le espressioni di san Cipriano: «La verginità è un fiore che germoglia dalla chiesa, decoro e ornamento della grazia spirituale, gioia della natura, capolavoro di lode e di gloria, immagine di Dio che riverbera la santità del Signore, porzione più eletta del gregge di Cristo. Se ne rallegra la chiesa, la cui gloriosa fecondità in esse abbondantemente fiorisce: e quanto più cresce lo stuolo delle vergini tanto più grande è il gaudio della Madre».(38)
 
II.
CONTRO ALCUNI ERRORI
La dottrina che stabilisce l'eccellenza e la superiorità della verginità e del celibato sul matrimonio, come già dicemmo, annunciata dal divin Redentore e dall'apostolo delle genti, fu solennemente definita dogma di fede nel concilio di Trento(39) e sempre concordemente insegnata dai santi padri e dai dottori della chiesa. I Nostri predecessori, e Noi stessi, ogni qualvolta se ne presentava l'occasione, l'abbiamo più e più volte spiegata e vivamente inculcata. Tuttavia, poiché di recente vi sono stati alcuni che hanno impugnato con serio pericolo e danno dei fedeli questa dottrina tramandataci dalla chiesa, Noi, spinti dall'obbligo del Nostro ufficio, abbiamo creduto opportuno nuovamente esporla in questa enciclica, indicando gli errori, proposti spesso sotto apparenza di verità.
Anzitutto, si discostano dal senso comune, che la chiesa ebbe sempre in onore, coloro che considerano l'istinto sessuale come la più importante e maggiore inclinazione dell'organismo umano e ne concludono che l'uomo non può contenere per tutta la vita un tale istinto, senza grave pericolo di perturbare il suo organismo, soprattutto i nervi, e di nuocere quindi all'equilibrio della personalità.
Come giustamente osserva san Tommaso, l'istinto più profondamente radicato nel nostro animo è quello della propria conservazione, mentre l'inclinazione sessuale viene in secondo luogo. Spetta inoltre all'impulso direttivo della ragione, privilegio singolare della nostra natura, regolare tali istinti fondamentali e nobilitarli dirigendoli santamente.(40)
È vero, purtroppo, che le facoltà del nostro corpo e le passioni, sconvolte in seguito al primo peccato di Adamo, tendono al dominio non solo dei sensi ma anche dell'anima, offuscando l'intelligenza e debilitando la volontà. Ma la grazia di Gesù Cristo, principalmente attraverso i sacramenti, ci viene data proprio perché, vivendo la vita dello spirito, teniamo a freno il corpo (cf. Gal 5, 25; 1 Cor 9, 27). La virtù della castità non pretende da noi l'insensibilità agli stimoli della concupiscenza, ma esige che la sottomettiamo alla retta ragione e alla legge di grazia, tendendo con tutte le forze a ciò che nella vita umana e cristiana vi è di più nobile.
Per acquistare poi questo perfetto dominio sui sensi del corpo, non basta astenersi solamente dagli atti direttamente contrari alla castità, ma è assolutamente necessario rinunciare volentieri e con generosità a tutto ciò che, anche lontanamente, offende questa virtù: l'anima potrà allora regnare pienamente sul corpo e condurre una vita spirituale tranquilla e libera. Come non vedere, alla luce dei principi cattolici, che la castità perfetta e la verginità, lungi dal nuocere allo sviluppo e progresso naturale dell'uomo e della donna li accrescono e li nobilitano?
Abbiamo recentemente condannato con tristezza l'opinione che presenta il matrimonio come il solo mezzo di assicurare alla personalità umana il suo sviluppo e la sua perfezione naturale.(41) Alcuni infatti sostengono che la grazia, concessa dal sacramento ex opere operato, santifica l'uso del matrimonio fino a farne uno strumento più efficace ancora che la verginità, per unire le anime a Dio, poiché il matrimonio cristiano è un sacramento, mentre la verginità non lo è. Noi denunziamo in questa dottrina un errore pericoloso. Certo, il sacramento accorda agli sposi la grazia d'adempiere santamente i loro doveri coniugali e consolida i vincoli dell'amore reciproco che li unisce, ma non fu istituito per rendere l'uso del matrimonio quasi il mezzo in sé più atto ad unire a Dio l'anima degli sposi col vincolo della carità.(42) Quando l'apostolo san Paolo riconosce agli sposi il diritto di astenersi per qualche tempo dall'uso del matrimonio per attendere alla preghiera (cf. 1 Cor 7, 5), non viene precisamente a dire che una tale rinunzia procura all'anima maggiore libertà per attendere alle cose divine e pregare?
Infine non si può affermare - come fanno alcuni - che il «mutuo aiuto»(43) ricercato dagli sposi nel matrimonio, sia un aiuto più perfetto per giungere alla santità che la solitudine del cuore delle vergini e dei celibi. Difatti, nonostante la loro rinuncia a un tale amore umano, le anime consacrate alla castità perfetta non impoveriscono per questo la propria personalità umana, poiché ricevono da Dio stesso un soccorso spirituale immensamente più efficace che il «mutuo aiuto» degli sposi. Consacrandosi interamente a Colui che è il loro principio e comunica loro la sua vita divina, non si impoveriscono, ma si arricchiscono. Chi, con maggiore verità che i vergini, può applicare a sé la mirabile espressione dell'apostolo san Paolo: «Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me»? (Gal 2, 20).
Questa è la ragione per cui la chiesa sapientemente ritiene che si deve mantenere il celibato dei sacerdoti, poiché sa bene quale sorgente di grazie spirituali esso costituisca per una sempre più intima unione con Dio.
Crediamo opportuno ricordare brevemente un altro errore ancora: alcuni allontanano i giovani dai seminari e le giovani dagli istituti religiosi sotto pretesto che la chiesa abbia oggi maggior bisogno dell'aiuto e dell'esercizio delle virtù cristiane da parte di fedeli uniti in matrimonio e viventi in mezzo agli altri uomini, che non da parte di sacerdoti e di vergini, che per il voto di castità vivono come appartati dalla società. Tale opinione, venerabili fratelli, è evidentemente quanto mai falsa e perniciosa.
Non è Nostra intenzione, certamente, negare che gli sposi cattolici con una vita esemplarmente cristiana possano produrre frutti abbondanti e salutari in ogni luogo e in ogni circostanza con l'esercizio delle virtù. Chi però consigliasse, come preferibile alla consacrazione totale a Dio, la vita matrimoniale, invertirebbe e confonderebbe il retto ordine delle cose. Senza dubbio, venerabili fratelli, Noi auspichiamo ardentemente che si istruiscano convenientemente quanti aspirano al matrimonio e i giovani sposi, non solo sul grave dovere di educare rettamente e diligentemente i figli, ma anche sulla necessità di aiutare gli altri, secondo le possibilità, con la professione della fede e l'esempio della virtù. Dobbiamo, tuttavia, per dovere del Nostro ufficio condannare energicamente coloro che si applicano a distogliere i giovani dall'entrare in seminario, negli ordini o congregazioni religiose o dall'emissione dei santi voti, insegnando loro che sposandosi faranno un bene spirituale maggiore con la pubblica professione della loro vita cristiana, come padri e madri di famiglia. Si farebbe molto meglio a esortare col maggiore impegno possibile i molti laici sposati, affinché cooperino con premura alle imprese d'apostolato laico, piuttosto che cercare di distogliere dal servizio di Dio nello stato di verginità quei giovani, troppo rari, purtroppo, oggi, che desiderano consacrarvisi. Molto opportunamente scrive a questo proposito sant'Ambrogio: «È stato sempre proprio della grazia sacerdotale spargere il seme della castità e suscitare l'amore per la verginità».(44)
Inoltre giudichiamo opportuno avvertire che è completamente falsa l'asserzione, secondo cui le persone consacrate a una vita di castità perfetta diventano quasi estranee alla società. Le sacre vergini che spendono tutta la loro vita al servizio dei poveri e dei malati, senza distinzione di razza, di condizione sociale e di religione, non partecipano forse intimamente alle loro miserie e alle loro sofferenze, e non li compatiscono forse con la tenerezza di una mamma? E il sacerdote non è forse il buon pastore che, sull'esempio del divin Maestro, conosce le sue pecorelle e le chiama per nome? (cf. Gv 10, 14; 10, 3). Ebbene, è proprio in forza della castità perfetta, da loro abbracciata, che questi sacerdoti, religiosi e religiose possono dedicarsi interamente a tutti gli uomini e amarli del medesimo amore di Cristo. E anche quelli di vita contemplativa contribuiscono certamente molto al bene della chiesa, con le supplici preghiere e con l'offerta della loro immolazione per la salvezza altrui; sono anzi sommamente da lodare perché, nelle circostanze presenti, si consacrano all'apostolato e alle opere di carità secondo le norme da Noi date nella lettera apostolica Sponsa Christi,(45) né possono quindi venir considerati come estranei alla società, dal momento che doppiamente ne promuovono il bene spirituale.
 
III.
LA VERGINITÀ È UN SACRIFICIO
Passiamo ora, venerabili fratelli, alle conseguenze pratiche della dottrina della chiesa circa l'eccellenza della verginità.
Innanzi tutto, bisogna dire chiaramente che, dalla superiorità della verginità sul matrimonio, non segue che essa sia mezzo necessario alla perfezione cristiana. È possibile giungere alla santità anche senza consacrare a Dio la propria castità, come lo prova l'esempio di tanti santi e sante, fatti oggetto di culto pubblico dalla chiesa, i quali furono coniugi fedeli, eccellenti padri e madri di famiglia; e non è raro incontrare anche oggi persone coniugate, che tendono alla perfezione, con grande impegno.
Si osservi, inoltre, che Dio non impone la verginità a tutti i cristiani, come insegna l'apostolo san Paolo: «Intorno alle vergini non ho nessun comando di Dio, ma do un consiglio» (1 Cor 7, 25). La castità perfetta, quindi, non è che un consiglio, un mezzo capace di condurre più sicuramente e più facilmente alla perfezione evangelica e al regno dei cieli quelle anime «a cui è stato concesso» (Mt 19,11). «Essa non è imposta, ma proposta», nota sant'Ambrogio.(46)
La castità perfetta come, da parte dei cristiani, esige una libera scelta prima della loro offerta totale al Signore, così, da parte di Dio, richiede un dono e una grazia. Già lo stesso divin Redentore l'aveva annunciato: «Non tutti comprendono questa parola, ma solo quelli a cui è concesso. ... Chi può comprendere, comprenda» (Mt 19, 11.12). Commentando le parole di Cristo, san Girolamo invita «ciascuno a valutare le proprie forze, e vedere se gli sarà possibile adempiere gli obblighi della verginità e della castità. Di per sé, infatti, la castità è soave e attira a sé tutti. Ma bisogna ben misurare le forze, affinché chi può comprendere, comprenda. È come se la voce del Signore chiamasse i suoi soldati e li invitasse alla ricompensa della verginità. Chi può comprendere, comprenda: chi può combattere, combatta, vinca e trionfi».(47)
La verginità è una virtù difficile. Perché la si possa abbracciare, non basta solamente aver fatta la risoluzione ferma e decisa d'astenersi per sempre dai piaceri leciti del matrimonio: bisogna anche saper padroneggiare e domare con una vigilanza e una lotta costanti le rivolte della carne e le passioni del cuore; fuggire le allettative del mondo e vincere le tentazioni del demonio. Aveva ben ragione san Giovanni Crisostomo di affermare: «La radice e il frutto della verginità è una vita crocifissa».(48) Al dire di sant'Ambrogio, la verginità è quasi un sacrificio e la vergine è «l'ostia del pudore, la vittima della castità».(49) San Metodio d'Olimpo giunge a paragonare le vergini ai martiri(50) e san Gregorio Magno insegna che la castità perfetta sostituisce il martirio: «Il tempo delle persecuzioni è passato, ma la nostra pace ha un suo martirio: anche se non mettiamo più il nostro collo sotto il ferro, tuttavia noi uccidiamo con la spada dello spirito i desideri carnali della nostra anima».(51) La castità consacrata a Dio esige, quindi, anime forti e nobili, pronte al combattimento e alla vittoria, «per il regno dei cieli» (Mt 19, 12).
Prima di incamminarsi per questo arduo sentiero, chi per propria esperienza si sentisse impari alla lotta, ascolti umilmente l'avvertimento di san Paolo: «Coloro che non possono contenersi, si sposino: è meglio sposarsi che bruciare» (1 Cor 7, 9). Per molti, infatti, la continenza perpetua sarebbe un peso troppo grave, per poterla ad essi consigliare. Così i sacerdoti, direttori spirituali di giovani che credono di avere una vocazione sacerdotale o religiosa hanno lo stretto dovere di esortarli a studiare attentamente le loro disposizioni e di non lasciarli entrare per tale via, qualora presentino poche speranze di poter camminare fino alla fine con sicurezza e buon esito. Tali sacerdoti esaminino prudentemente le attitudini dei giovani e - se parrà opportuno - chiedano il consiglio dei medici. Se, infine, restasse ancora qualche serio dubbio, soprattutto nei riguardi della loro vita passata, intervengano con fermezza per farli desistere dall'abbracciare lo stato di castità perfetta o per impedire la loro ammissione agli ordini sacri o alla professione religiosa.
Benché la castità consacrata a Dio sia una virtù ardua, la sua pratica fedele, perfetta, è possibile alle anime che, dopo aver bene considerato ogni cosa, hanno risposto con cuore generoso all'invito di Gesù Cristo e fanno quanto è loro possibile per conservarla. Infatti, per l'impegno assunto nello stato di verginità o di celibato esse riceveranno da Dio una grazia sufficiente per poter mantenere la loro promessa. Perciò, se vi fosse qualcuno che non sentisse d'aver ricevuto il dono della castità (anche dopo averne fatto voto),(52) non cerchi di mettere innanzi la sua incapacità di soddisfare all'obbligazione assunta. «Perché "Dio non comanda l'impossibile, ma, comandando, ammonisce di fare quanto puoi e di chiedere quello che non puoi"(53) e ti aiuta affinché possa».(54) Ricordiamo questa verità, tanto consolante, anche a quei malati che sentono infiacchita la loro volontà in seguito ad esaurimenti nervosi e ai quali certi medici, talora anche cattolici, consigliano troppo facilmente di farsi dispensare dai loro obblighi, sotto pretesto di non poter osservare la castità senza nuocere al proprio equilibrio psichico. Quanto invece più utile e più opportuno sarebbe aiutare tali infermi a rinforzare la volontà e convincerli che la castità non è impossibile neppure per essi! «Fedele è Dio, il quale non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze, ma con la tentazione provvederà anche il buon esito dandovi il potere di vincere» (1 Cor 10, 13).
I mezzi raccomandati dal divin Redentore stesso per difendere efficacemente la nostra virtù sono: una vigilanza continua, con la quale facciamo quanto ci è possibile da parte nostra e una costante preghiera con la quale chiediamo a Dio ciò che noi non possiamo fare a causa della nostra debolezza: «Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione, lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mt 26, 41).
Una tale vigilanza, che si estenda ad ogni tempo e circostanza della nostra vita, ci è assolutamente necessaria: «la carne, infatti ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito desideri contrari alla carne» (Gal 5, 17). Se alcuno cedesse, anche leggermente, alle lusinghe del corpo, facilmente si sentirebbe trascinato a quelle «opere della carne» (cf. Gal 5, 19-21), enumerate dall'apostolo, che costituiscono i vizi più abominevoli dell'umanità.
Perciò dobbiamo anzitutto vigilare sui movimenti delle passioni e dei sensi, dobbiamo dominarli anche con una volontaria asprezza di vita e con le penitenze corporali, in modo da renderli sottomessi alla retta ragione e alla legge di Dio: «Quelli che sono di Cristo, hanno crocifisso la loro carne con i suoi vizi e le sue concupiscenze» (Gal 5, 24). Lo stesso apostolo delle genti confessa di sé: «Maltratto il mio corpo e lo rendo schiavo, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso diventi reprobo» (1 Cor 19, 27). Tutti i santi e le sante hanno vegliato attentamente sui movimenti dei sensi e delle loro passioni e li hanno rintuzzati, talora con somma asprezza, secondo il consiglio del divin Maestro: «Ma io dico a voi, che chiunque avrà guardato una donna con cattivo desiderio, in cuor suo ha già peccato con lei. Se il tuo occhio destro ti scandalizza, stràppalo e bùttalo via da te: è meglio per te che perisca una delle tue membra piuttosto che mandare tutto il tuo corpo all'inferno» (Mt 5, 28-29). Con tale raccomandazione è chiaro quello che richiede da noi il divin Redentore: non dobbiamo, cioè, neppur col pensiero cedere mai al peccato e dobbiamo allontanare energicamente da noi tutto ciò che possa macchiare, anche leggermente, questa bellissima virtù. E in questo nessuna diligenza è troppa; nessuna severità è esagerata. Se la salute malferma o altre cause non permettono a qualcuno maggiori austerità corporali, non lo dispensino mai tuttavia dalla vigilanza e dalla mortificazione interiore.
A questo proposito giova anche ricordare quello che i santi padri(55) e i dottori della chiesa(56) insegnano: è più facile vincere le lusinghe e le attrattive della passione, evitandole con una pronta fuga, che affrontandole direttamente. A custodia della castità, dice san Girolamo, serve più la fuga che la lotta aperta: «Per questo io fuggo, per non essere vinto».(57) E tale fuga consiste non solo nell'allontanare premurosamente le occasioni del peccato, ma soprattutto nell'innalzare la mente, durante queste lotte, a Colui al quale abbiamo consacrato la nostra verginità. «Rimirate la bellezza di Colui che vi ama»,(58) ci raccomanda sant'Agostino.
Tutti i santi e le sante hanno sempre considerato la fuga e l'attenta vigilanza per allontanare con diligenza ogni occasione di peccato come mezzo migliore per vincere in questa materia: purtroppo, però, sembra che oggi non tutti pensino così. Alcuni sostengono che tutti i cristiani, e soprattutto i sacerdoti, non devono essere segregati dal mondo, come nei tempi passati, ma devono essere presenti al mondo e, perciò, è necessario metterli allo sbaraglio ed esporre al rischio la loro castità, affinché dimostrino se hanno o no la forza di resistere. Quindi i giovani chierici devono tutto vedere, per abituarsi a guardare tutto tranquillamente e rendersi così insensibili ad ogni turbamento. Per questo permettono loro facilmente di guardare tutto ciò che capita, senza alcuna regola di modestia; di frequentare i cinematografi, persino quando si tratta di pellicole proibite dai censori ecclesiastici; sfogliare qualsiasi rivista, anche oscena; leggere qualsiasi romanzo, anche se messo all'Indice o proibito dalla stessa legge naturale. E concedono questo perché dicono che ormai le masse di oggi vivono unicamente di tali spettacoli e di tali libri; e, chi vuole aiutarle, deve capire il loro modo di pensare e di vedere. Ma è facile comprendere quanto sia errato e pericoloso questo sistema di educare il giovane clero per guidarlo alla santità del suo stato. «Chi ama il pericolo, perirà in esso» (Eccli 3, 27). Viene opportuno l'avviso di sant'Agostino: «Non dite di avere anime pure, se avete occhi immodesti, perché l'occhio immodesto è indizio di cuore impuro».(59)
Un metodo di formazione così funesto, poggia su un ragionamento molto confuso. Certo, Cristo nostro Signore disse dei suoi apostoli: «Io li ho mandati nel mondo» (Gv 17, 18); ma prima aveva anche detto di essi: «Essi non sono del mondo, come neppure io sono del mondo» (Gv 17, 16), e aveva pregato con queste parole il suo Padre divino: «Non ti chiedo che li tolga dal mondo, ma che li liberi dal male» (Gv 17, 15). La chiesa quindi, che è guidata dai medesimi principi, ha stabilito norme opportune e sapienti per allontanare i sacerdoti dai pericoli in cui facilmente possono incorrere, vivendo nel mondo;(60) con tali norme la santità della loro vita viene messa sufficientemente al riparo dalle agitazioni e dai piaceri della vita laicale.
A più forte ragione i giovani chierici, per essere formati alla vita spirituale e alla perfezione sacerdotale e religiosa, devono venire segregati dal tumulto secolaresco, prima di essere inseriti nella lotta della vita; restino pure a lungo nel seminario o nello scolasticato per ricevervi un'educazione diligente e accurata, imparando poco alla volta e con prudenza a prendere contatto con i problemi del nostro tempo, conforme a quanto scrivemmo nella Nostra esortazione apostolica Menti Nostrae.(61) Quale giardiniere esporrebbe alle intemperie delle giovani piante esotiche, col pretesto di sperimentarle? Ora, i seminaristi e i giovani religiosi sono pianticelle tenere e delicate, da tenersi ben protette e da allenare progressivamente alla lotta.
Gli educatori del giovane clero faranno opera ben più lodevole e utile, inculcando a questi giovani le leggi del pudore cristiano. Non è forse il pudore la migliore difesa della verginità, tanto da potersi chiamare la prudenza della castità? Esso avverte il pericolo imminente, impedisce di esporsi al rischio e impone la fuga in occasioni, a cui si espongono i meno prudenti. Il pudore non ama le parole disoneste o volgari e detesta una condotta anche leggermente immodesta; fa evitare attentamente la familiarità sospetta con persone di altro sesso, poiché riempie l'anima di un profondo rispetto verso il corpo, che è membro di Cristo (cf. 1 Cor 6, 15) e tempio dello Spirito Santo (cf. 1 Cor 6, 19). L'anima veramente pudica ha in orrore il minimo peccato di impurità e tosto si ritrae al primo risveglio della seduzione.
Il pudore inoltre suggerisce e mette in bocca ai genitori e agli educatori i termini appropriati per formare la coscienza dei giovani in materia di purezza. «Pertanto - come in una recente allocuzione abbiamo ricordato - tale pudore non deve essere spinto fino ad un silenzio assoluto, sino ad escludere dalla formazione morale qualsiasi prudente e riservato accenno a tale problema».(62) Tuttavia, troppo spesso, ai giorni nostri, alcuni educatori si credono in dovere di iniziare fanciulli e fanciulle innocenti a segreti della procreazione, in una maniera che offende il loro pudore. Ora proprio il pudore cristiano esige in questa materia una giusta misura.
Esso poi è alimentato dal timore di Dio, quel timore filiale che si basa su una profonda umiltà e che ispira orrore per il minimo peccato. San Clemente I, Nostro predecessore, già l'aveva affermato: «Chi è casto nel suo corpo, non se ne vanti, ben sapendo che da un altro gli viene il dono della continenza».(63) Nessuno forse, meglio di sant'Agostino, ha dimostrato l'importanza dell'umiltà cristiana per salvaguardare la verginità: «La perpetua continenza, e molto più la verginità, sono uno splendido dono dei santi di Dio; ma con somma vigilanza bisogna vegliare che la superbia non lo corrompa... Quanto maggiore è il bene che io vedo, tanto più temo che la superbia non lo rapisca. Tale dono della verginità nessuno lo custodisce meglio di Dio che l'ha concesso; e "Dio è carità" (1 Gv 4, 8). La custode, quindi, della verginità è la carità, ma l'abitazione di tale custode è l'umiltà».(64)
Un altro consiglio ancora è da ricordarsi: per conservare la castità non bastano né la vigilanza né il pudore. Bisogna anche ricorrere ai mezzi soprannaturali: alla preghiera, ai sacramenti della penitenza e dell'eucaristia e ad una devozione ardente verso la santissima Madre di Dio.
La castità perfetta, non dimentichiamolo, è un eccelso dono di Dio. «Esso è stato dato (cf. Mt 19, 11) - osserva acutamente san Girolamo - a quelli che l'hanno chiesto, a quelli che l'hanno voluto, a quelli che si sono preparati a riceverlo. Perché a chi chiede sarà dato, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto (cf. Mt 7, 8)».(65) Sant'Ambrogio aggiunge che la fedeltà delle vergini al loro Sposo divino dipende dalla preghiera.(66) E, come insegna sant'Alfonso de' Liguori, così ardente nella sua pietà, nessun mezzo è più necessario e più sicuro per vincere le tentazioni contro la bella virtù, che un ricorso immediato a Dio.(67)
Alla preghiera, tuttavia, bisogna aggiungere la pratica frequente del sacramento della penitenza: esso è una medicina spirituale che ci purifica e ci guarisce. Così pure bisogna nutrirsi del pane eucaristico: il Nostro predecessore d'immortale memoria Leone XIII lo additava come il migliore «rimedio contro la concupiscenza».(68) Quanto più un'anima è pura e casta, tanto più ha fame di questo Pane, da cui attinge forza contro ogni seduzione impura e col quale si unisce più intimamente al suo Sposo divino: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui» (Gv 6, 57).
Ma per custodire illibata e perfezionare la castità, esiste un mezzo la cui meravigliosa efficacia è confermata dalla ripetuta esperienza dei secoli: e, cioè, una devozione solida e ardentissima verso la vergine Madre di Dio. In un certo modo, tutti gli altri mezzi si riassumono in tale devozione: chiunque vive la devozione mariana sinceramente e profondamente, si sente spinto certamente a vegliare, a pregare, ad accostarsi al tribunale della penitenza e all'eucaristia. Perciò esortiamo con cuore paterno i sacerdoti, i religiosi e le religiose a mettersi sotto la speciale protezione della santa Madre di Dio, Vergine delle vergini; ella, che - secondo la parola di sant'Ambrogio(69) - è «la maestra della verginità» e la madre potentissima soprattutto delle anime consacrate al servizio di Dio.
Sant'Atanasio osserva che la verginità è entrata nel mondo per Maria,(70) e sant'Agostino insegna: «La dignità verginale ebbe i suoi esordi con la Madre di Dio».(71) Seguendo il pensiero di sant'Atanasio,(72) sant'Ambrogio propone alle vergini la vita di Maria vergine come modello: «O figliuole, imitate Maria!(73) La vita di Maria rappresenti per voi, come in un quadro, la verginità; in tale vita contemplate la bellezza della castità e l'ideale della virtù. Prendetene l'esempio per la vostra vita: poiché in essa, come in un modello, sono espresse le lezioni della santità; vedrete ciò che avete da correggere, copiare, conservare... Essa è l'immagine della verginità. Maria, infatti, fu tale che basta la vita di lei sola a formare l'insegnamento per tutti...(74) Sia, dunque, Maria a regolare la vostra vita».(75) «Tanto grande fu la grazia sua, che ella non riservava solo per sé il dono della verginità, ma anche a quelli che vedeva conferiva il pregio dell'integrità».(76) Sant'Ambrogio aveva ben ragione di esclamare: «O ricchezze della verginità di Maria!».(77) A motivo di tali ricchezze, ancora oggi alle sacre vergini, ai religiosi e ai sacerdoti è quanto mai utile contemplare la verginità di Maria, per osservare con più fedeltà e perfezione la castità del loro stato.
La meditazione delle virtù della beata Vergine non vi basti, tuttavia, dilettissimi figli e figlie: ricorrete a lei con una confidenza assoluta, e seguite il consiglio di san Bernardo che esorta: «Chiediamo la grazia e chiediamola per mezzo di Maria».(78) In modo particolare durante quest'anno mariano affidate a Maria la cura della vostra vita spirituale e della perfezione, seguendo l'esempio di san Girolamo che asseriva: «Per me la verginità è una consacrazione in Maria e in Cristo».(79)
 
IV.
TIMORI E SPERANZE
Nelle gravi difficoltà, che la chiesa sta attraversando, è di grande consolazione al Nostro cuore di pastore supremo, venerabili fratelli, vedere la stima e l'onore tributati alla verginità, che fiorisce nel mondo intero, anche oggi, come sempre nel passato, nonostante gli errori ai quali abbiamo accennato e che vogliamo credere passeggeri.
Non nascondiamo, tuttavia, che alla Nostra gioia fa ombra una certa tristezza, perché vediamo che, in non poche nazioni, va man mano diminuendo il numero di coloro che, rispondendo alla chiamata divina, abbracciano lo stato della verginità. Ne abbiamo già accennato sufficientemente le cause principali, e non c'è motivo di ripeterle. Confidiamo piuttosto che gli educatori della gioventù, caduti in questi errori, si ravvedano al più presto, li ripudino e si sforzino di ripararli. Essi aiuteranno con tutto l'impegno i giovani che si sentono chiamati da una forza soprannaturale al sacerdozio o alla vita religiosa e li assisteranno del loro meglio perché possano raggiungere questo alto ideale della loro vita. Piaccia al Signore che novelle e folte schiere di sacerdoti, di religiosi e di religiose sorgano al più presto proporzionate in numero e santità ai bisogni presenti della chiesa, per coltivare la vigna del Signore.
Inoltre, come esige la coscienza del Nostro ministero apostolico, esortiamo i genitori ad offrire volentieri al servizio di Dio quei loro figli che vi si sentissero chiamati. Se questo costa a loro, se ne provano tristezza o amarezza, meditino le riflessioni indirizzate da sant'Ambrogio alle madri di famiglia di Milano: «Parecchie fanciulle io ho conosciuto, che volevano essere consacrate vergini, ma le loro madri vietavano loro perfin di uscire... Se le vostre figlie volessero amare un uomo, potrebbero legittimamente scegliersi chi loro piace. E così, chi ha il diritto di scegliere un uomo, non ha il diritto di scegliere Dio?».(80)
Ripensino, quindi, i genitori al grande onore di avere un figlio sacerdote o una figlia che ha consacrato allo Sposo divino la sua verginità. «Voi avete capito, o genitori! - esclama ancora sant'Ambrogio a riguardo delle sacre vergini -. La vergine è un dono di Dio, un'oblazione del padre; è il sacerdozio della castità. La vergine è l'ostia della madre, il cui sacrificio quotidiano placa la collera divina».(81)
Non vogliamo terminare questa lettera enciclica, venerabili fratelli, senza volgere in modo speciale il Nostro pensiero e il Nostro cuore verso le anime consacrate a Dio che, in non poche nazioni, soffrono dure e terribili persecuzioni. Prendano esse esempio da quelle vergini della primitiva chiesa, che con invitto coraggio subirono il martirio per la loro verginità.(82)
Perseverino tutti con fortezza d'animo nella loro santa risoluzione di servire a Cristo «fino alla morte» (Fil 2, 8). Si ricordino del grande valore che le loro sofferenze fisiche e morali e le loro preghiere hanno al cospetto di Dio per l'avvento del suo regno nelle loro nazioni e nella chiesa intera. Si confortino, infine, nella certezza che «chi segue l'Agnello ovunque vada» (Ap 14, 4), canterà eternamente un «cantico nuovo» (Ap 14, 3), che nessun altro potrà cantare.
Il Nostro cuore paterno si volge con paterna commozione verso quei sacerdoti, quei religiosi e quelle religiose, che coraggiosamente confessano la loro fede fino al martirio. Noi preghiamo per essi come anche per tutte le anime consacrate, in ogni parte del mondo, al servizio divino, perché Dio le confermi, le fortifichi, e le consoli, e vi invitiamo ardentemente, venerabili fratelli, insieme con i vostri fedeli, a pregare in unione con Noi, al fine di ottenere a tali anime le consolazioni celesti e i soccorsi divini.
Frattanto, a voi, venerabili fratelli, a tutti i sacerdoti e religiosi, a tutte le sacre vergini, in modo speciale a tutti quelli «che soffrono persecuzioni per la giustizia» (Mt 5, 10), e a tutti i vostri fedeli, impartiamo di gran cuore l'apostolica benedizione, come pegno delle grazie divine e attestato della Nostra paterna benevolenza.
Roma, presso San Pietro, nella festa dell'Annunciazione della santissima Vergine, il 25 marzo 1954, anno XVI del Nostro pontificato.
 
PIO PP. XII

(1) PIUS PP. XII, Litt. enc. Sacra virginitas de sacra virginitate, [Ad venerabi les Fratres Patriarchas, Primates, Archiepiscopos, Episcopos aliosque locorum Ordinarios, pacem et communionem cum Apostolica Sede habentes], 25 martii 1954: AAS 46(1954), pp. 161-191.
Introduzione: Una candida legione; Elogio paterno. - I. Vera idea della condizione verginale: Per il regno dei cieli; «Spose di Cristo»;  Seguire l'Agnello; Verginità e apostolato; Spirituale libertà; Superiorità morale; Onore della chiesa. - II. Contro alcuni errori: Dominio dei sensi, Operai della chiesa, Verginità feconda. - III. La verginità è un sacrificio: Virtù difficile; Aiuti divini; Vigilare e pregare; Fuggire le occasioni; Il pudore cristiano; Mezzi soprannaturali; L'esempio di Maria. - IV. Timori e speranze: Dare figli alla chiesa; Nuovi martiri cristiani.
(2) Cf. S. AMBROSIUS, De virginibus, lib. I, c. 4, n.15: PL 16,193; De virginitate, c. 3, n. 13: PL 16, 269.
(3) S. AMBROSIUS, De virginibus, lib. I, c. 3, n. 12: PL 16, 192.
(4) S. IGNATIUS ANTIOCH., Ep. ad Smyrn., c. 13: ed. Funk-Diekamp, Patres Apostolici, vol. I, p. 286.
(5) S. IUSTINUS, Apol. I pro christ., c. 15: PG 6, 349.
(6) Cf. Const. apost. Sponsa Christi: AAS 43(1951), pp. 5-8.
(7) Cf. CIC, can. 487.
(8) Cf. CIC, can. 132 § 1.
(9) Cf. Const. apost. Provida Mater, art. III, § 2: AAS 39(1947), p. 121.
(10) S. Augustinus, De sancta virginitate, c. 22: PL 40, 407.
(11) Cf. can. 9: Mansi, Coll. concil., II, 1096.
(12) S. CYPRIANUS, De habitu virginum, 4: PL 4, 443.
(13) S. AUGUSTINUS, De sancta virginitate, cc. 8 et 11: PL 40, 400 et 401. 
(14) S. THOMAS, Summa theol., II-II, q. 152, a. 3, ad 4.
(15) S. BONAVENTURA, De perfectione evangelica, q. 3, a. 3 sol. 5. 
(16) Cf. S. CYPRIANUS, De habitu virginum, c. 20: PL 4, 459.
(17) Cf. S. ATHANASIUS, Apol. ad Constant. 33: PG 25, 640.
(18) S. AMBROSIUS, De virginibus, lib. I, c. 8, n. 52: PL 16, 202.
(19) Cf. S. AMBROSIUS, De virginibus, lib. III, cc. 1-3, nn. 1-14: PL 16, 219-224; De institutione virginis, c. 17, nn. 104-114: PL 16, 333-336.
(20) Cf. Sacramentarium Leonianum, XXX: PL 55, 129; Pontificale Romanum, De benedictione et consecratione virginum.
(21) Cf. S. CYPRIANUS, De habitu virginum, cc. 4 et 22: PL 4, 443-444 et 462; S. AMBROSIUS, De virginibus, lib. I, c. 7, n. 37: PL 16, 199.
(22) S. AUGUSTINUS, De sancta virginitate, cc. 54-S5: PL 40, 428.
(23) Pontificale Romanum, De benedictione et consecratione virginum. 
(24) S. METHODIUS OLYMPI, Convivium decem virginum, orat. XI, c. 2: PG 16, 209.
(25) S. AUGUSTINUS, De sancta virginitate, c. 27: PL 40, 411. 
(26) S. BONAVENTURA, De perfectione evangelica, q. 3, a. 3.
(27) S. FULGENTIUS, Epist. 3, c. 4, n. 6: PL 65, 326.
(28) S. THOMAS, Summa theol., II-II, q. 186, a. 4. 
(29) Cf. CIC. can. 132 § 1.
(30) Cf. Litt. enc. Ad catholici sacerdotii: AAS 28(1936), pp. 24-25; EE 5/1042.
(31) Cf. S. SIRICIUS Papa, Ep. ad Himer., 7: PL 56, 558-559.
(32) S. PETRUS DAM., De coelibatu sacerdotum, c. 3: PL 145, 384.
(33) Cf. S. THOMAS, Summa theol., II-II, q. 152, aa. 3-4.
(34) AAS 42(1950), pp. 663; EE 6/1819.
(35) S. CYPRIANUS, De habitu virginum, 22: PL 4, 462; cf. S. AMBROSIUS, De virginibus, lib. I. c. 8. n. 52: PL 16, 202.
(36) S. THOMAS, Summa theol., II-II, q. 152, a. 5.
(37) Pontificale Romanum, De benedictione et consecratione virginum. 
(38) S. CYPRIANUS, De habitu virginum, 3: PL 4, 443.
(39) Sess. XXIV, can. 10: COD 755.
(40) Cf. S. THOMAS, Summa theol., I-II, q. 94, a. 2.
(41) Cf. Allocutio ad Moderatrices supremas Ordinum et Institutorum Religiosarum, 15 sept. 1952: AAS 44(1952), p. 824.
(42) Cf. Decretum S. Officii De matrimonii finibus, 1 apr. 1944: AAS 36 (1944), p. 103; DS 3838.
(43) Cf. CIC, can. 1013 § 1.
(44) S. AMBROSIUS, De virginitate, c. 5, n. 26: PL 16, 272.
(45) Cf. AAS 43(1951), p. 20.
(46) S. AMBROSIUS, De viduis, c. 12, n. 72: PL 16,256; cf. S. CYPRIANUS, De habitu virginum, c. 23: PL 4, 463.
(47) S. HIERONYMUS, Comment. in Matth., XIX, 12: PL 26,136. 
(48) S. IOANNES CHRYSOSTOMUS, De virginitate, 80: PG 48, 592. 
(49) S. AMBROSIUS, De virginibus, lib. I, c. 11, n. 65: PL 16,206.
(50) Cf. S. METHODIUS OLYMPI, Convivium decem virginum, orat. VII, c. 3: PG 18, 128-129. 
(51) S. GREGORIUS MAGNUS, Hom. in Evang., lib. I, hom. 3, n. 4: PL 76, 1089.
(52) Cf. CONC. TRID., sess. XXIV, can. 9: COD 755(12-13).
(53) Cf. S. AUGUSTINUS, De natura et gratia, c. 43, n. 50: PL 44, 271.
(54) CONC. TRID., sess. VI, c. 11: COD 675(16-18).
(55) f. S. CAESARIUS ARELAT., Sermo 41: ed. G. Morin, Maredsous 1937, vol. I, p. 172.
(56) Cf. S. THOMAS, In Ep. I ad Cor. , VI, lect. 3; S. FRANCISCUS SALESIUS, Introduction à la vie dévote, part. IV, c. 7; S. ALPHONSUS A LIGUORI, La vera sposa di Gesù Cristo, c. 1, n. 16; c. 15, n. 10.
(57) S. HIERONYMUS, Contra Vigilant., 16: PL 23, 352.
(58) S. AUGUSTINUS, De sancta virginitate, c. 54: PL 40, 428.
(59) S. AUGUSTINUS, Epist. 211, n. 10: PL 33, 961.
(60) Cf. CIC, cann. 124-142. Cf. PIUS X, Exhort. ad clerum cath. Haerent animo: ASS 41(1908), pp. 565-573; EE 4/app.; PIUS XI, Litt. enc. Ad catholici sacerdotii: AAS 28(1936), pp. 23-30; EE 5/1038-1051; PIUS XII, Adhort. apost. Menti Nostrae: AAS 42(1950), pp. 692-694; EE 6/1899-1907.
(61) Cf. AAS 42(1950), pp. 690-691; 6/1894-1897.
(62) Alloc. Magis quam mentis, 23 sept. 1951: AAS 43(1951), p. 736.
(63) S. CLEMENS ROM., Ad Corinthios, XXXVIII, 2: ed. Funk-Diekamp, Patres Apostolici, vol. I, p. 148.
(64) S. AUGUSTINUS, De sancta virginitate, cc. 33 et 51: PL 40, 415 et 426; cf. cc. 31-32 et 38: PL 40, 412-415 et 419.
(65) S. HIERONYMUS, Comm. in Matth., XIX, 11: PL 26, 135.
(66) Cf. S. AMBROSIUS, De virginibus, lib. III, c. 4, nn. 18-20: PL 16, 225. 
(67) Cf. S. ALPHONSUS A LIG., Pratica di amar Gesù Cristo, c. 17, nn. 7-16.
(68) LEO XIII, Enc. Mirae caritatis, 28 maii 1902: Acta Leonis XIII, XXII (1902-03), p. 124; EE 3.
(69) S, AMBROSIUS, De institutione virginis, c. 6, n. 46: PL 16, 320.
(70) Cf. S. ATHANASIUS, De virginitate: ed. Th. Lefort, Muséon, XLII, 1929. p. 247.
(71) S. AUGUSTINUS, Serm. 51, c. 16, n. 26: PL 38, 348.
(72) S. ATHANASIUS, De virginitate: ed. Th. Lefort, Muséon, XLII, p. 244.
(73) S. AMBROSIUS, De institutione virginis, c. 14, n. 87: PL 16,328.
(74) S. AMBROSIUS, De virginibus, lib. II, c. 2, nn. 6 et 15: PL 16, 208 et 210. 
(75) S. AMBROSIUS, De virginibus, lib. II, c. 3, n. 19: PL 16, 211.
(76) S. AMBROSIUS, De institutione virginia, c. 7, n. 50: PL 16, 319. 
(77) S. AMBROSIUS, De institutione virginia, c. 13, n. 81: PL 16, 339.
(78) S. BERNARDUS, In nativitate B. Mariae Virginia, Sermo de aquaeductu, n. 8: PL 183, 341-342.
(79) S. HIERONYMUS, Epist. 22, n. 18: PL 22, 405.
(80) S. AMBROSIUS, De virginibus, lib. I, c. 10, n. 58: PL 16, 205.
(81) S. AMBROSIUS, De virginibus, lib. I, c. 7, n. 32: PL 16, 198.
(82) Cf. S. AMBROSIUS, De virginibus, lib. II, c. 4, n. 32: PL 16, 215-216.
 
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