Visualizzazione post con etichetta Papa Giovanni Paolo I. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Papa Giovanni Paolo I. Mostra tutti i post

giovedì 27 aprile 2017

Martire d'amore incompreso e sottovalutato

EN ES FR IT PT ]


GIOVANNI PAOLO I
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 6 settembre 1978

La grande virtù dell'umiltà
Alla mia destra e alla mia sinistra ci sono Cardinali e Vescovi, miei fratelli nell'episcopato. Io sono soltanto il loro fratello maggiore. Il mio saluto affettuoso a loro e anche alle loro diocesi.

Giusto un mese fa, a Castelgandolfo, moriva Paolo VI, un grande Pontefice, che ha reso alla Chiesa, in 15 anni, servizi enormi. Gli effetti si vedono in parte già adesso, ma io credo che si vedranno specialmente nel futuro. Ogni mercoledì egli veniva qui e parlava alla gente. Nel Sinodo 1977 parecchi vescovi hanno detto: « I discorsi di Papa Paolo del mercoledì sono una vera catechesi adatta al mondo moderno ». Io cercherò di imitarlo, nella speranza di poter anch'io, in qualche maniera, aiutare la gente a diventare più buona. Per esser buoni, però, bisogna essere a posto davanti a Dio, davanti al prossimo e davanti a noi stessi. Davanti a Dio, la posizione giusta è quella di Abramo, che ha detto: « Sono soltanto polvere e cenere davanti a te, o Signore! ». Dobbiamo sentirci piccoli davanti a Dio. Quando io dico: Signore io credo; non mi vergogno di sentirmi come un bambino davanti alla mamma; si crede alla mamma; io credo al Signore, a quello che Egli mi ha rivelato. I comandamenti sono un po' più difficili, qualche volta tanto difficili da osservare; ma Dio ce li ha dati non per capriccio, non per suo interesse, bensì unicamente per interesse nostro. Uno, una volta, è andato a comperare un'automobile dal concessionario. Questi gli ha fatto un discorso: guardi che la macchina ha buone prestazioni, la tratti bene, sa? Benzina super nel serbatoio, e, per i giunti, olio, di quello fino. L'altro invece: Oh, no, per sua norma, io neanche l'odore della benzina posso sopportare, e neanche l'olio; nel serbatoio metterò spumante, che mi piace tanto e i giunti li ungerò con la marmellata. Faccia come crede; però non venga a lamentarsi, se finirà in un fosso, con la sua macchina! Il Signore ha fatto qualcosa di simile con noi: ci ha dato questo corpo, animato da un'anima intelligente, una buona volontà. Ha detto: questa macchina vale, ma trattala bene.

Ecco i comandamenti. Onora il Padre e la Madre, non uccidere, non arrabbiarti, sii delicato, non dire bugie, non rubare... Se fossimo capaci di osservare i comandamenti, andremmo meglio noi e andrebbe meglio anche il mondo. Poi c'è il prossimo... ma il prossimo è a tre livelli: alcuni sono sopra di noi, alcuni sono al nostro livello, altri sono sotto. Sopra ci sono i nostri genitori. Il catechismo diceva: rispettarli, amarli, obbedirli. Il Papa deve inculcare rispetto ed obbedienza dei figli per i genitori. Mi dicono che qua ci sono i chierichetti di Malta. Venga uno, per favore... I chierichetti di Malta, che, per un mese, hanno fatto servizio in San Pietro. Allora, tu come ti chiami? - James! - James. E, senti, sei mai stato ammalato, tu? - No. - Ah, mai? - No. - Mai stato ammalato? - No. - Neanche una febbre? - No. - Oh, che fortunato! Ma, quando un bambino è ammalato, chi è che gli porta un po' di brodo, un po' di medicina? Non è la mamma? Ecco. Dopo tu diventi grande, e la mamma diventa vecchia, e tu diventi un gran signore, e la mamma poverina sarà a letto ammalata. Ecco. E allora chi è che porterà alla mamma un po' di latte e la medicina? Chi è? - Io e i miei fratelli. - Bravo! Lui e i suoi fratelli, ha detto. E questo mi piace. Hai capito?
Ma non succede sempre. Io, vescovo di Venezia, andavo qualche volta, nelle case di ricovero. Una volta ho trovato un'ammalata, un' anziana: « Come va Signora? » - « Beh, da mangiare, bene! Caldo? Riscaldamento? Bene » - « Allora è contenta Signora? » - « No » - si è messa quasi a piangere. « Ma perché piange? » - « Mia nuora, mio figlio non vengono mai a trovarmi. Vorrei vedere i nipotini ». Non basta il caldo, il cibo, c'è un cuore; bisogna pensare anche al cuore dei nostri vecchi. Il Signore ha detto che i genitori devono essere rispettati e amati, anche quando sono vecchi. E oltre ai genitori c'è lo Stato, ci sono i Superiori. Può il Papa raccomandare l'obbedienza? Bossuet, che era un grande vescovo, ha scritto: « Dove nessuno comanda tutti comandano. Dove tutti comandano, nessuno più comanda, ma il caos ». Qualche volta si vede anche in questo mondo qualcosa del genere. Quindi rispettiamo quelli che sono superiori. 

Poi ci sono i nostri eguali. E qui, di solito, ci sono due virtù da osservare: la giustizia, la carità. Ma la carità è l'anima della giustizia. Bisogna voler bene al prossimo, il Signore ce l'ha raccomandato tanto. Io raccomando sempre non solo le grandi carità, ma le piccole carità. 

Ho letto in un libro, scritto da Carnegie, americano, intitolato « l'arte di far gli amici », questo piccolo episodio: una signora aveva quattro uomini in casa: il marito, un fratello, due figli grandi. Lei sola doveva fare le spese, lei la biancheria e stirare, lei la cucina, lei tutto. Una domenica vengono a casa. La tavola è preparata per il pranzo, ma sul piatto c'è solo un pugnetto di fieno. Oh! Gli altri protestano e dicono: cosa, fieno! e lei dice « no, è tutto preparato. Lasciate che vi dica: cambio i cibi, vi tengo puliti, faccio di tutto. Mai, mai una volta che abbiate detto: ci hai preparato un bel pranzetto. Ma dite qualche cosa! Non sono di sasso. Si lavora più volentieri, quando si è riconosciuti. Sono le piccole carità. In casa nostra abbiamo tutti qualcuno, che aspetta un complimento ». Ci sono i più piccoli di noi, ci sono i bambini, i malati, perfino i peccatori. 
Io sono stato molto vicino, come vescovo, anche a quelli che non credono in Dio. Mi son fatto l'idea che essi combattono, spesso, non Dio, ma l'idea sbagliata che essi hanno di Dio. Quanta misericordia bisogna avere! E anche quelli che sbagliano... Bisogna veramente essere a posto con noi stessi. 

Mi limito a raccomandare una virtù, tanto cara al Signore: ha detto: imparate da me che sono mite e umile di cuore. Io rischio di dire uno sproposito, ma lo dico: il Signore tanto ama l'umiltà che, a volte, permette dei peccati gravi. Perché? perché quelli che li hanno commessi, questi peccati, dopo, pentiti, restino umili. Non vien voglia di credersi dei mezzi santi, dei mezzi angeli, quando si sa di aver commesso delle mancanze gravi. Il Signore ha tanto raccomandato: siate umili. Anche se avete fatto delle grandi cose, dite: siamo servi inutili. Invece la tendenza, in noi tutti, è piuttosto al contrario: mettersi in mostra. Bassi, bassi: è la virtù cristiana che riguarda noi stessi.


Alle coppie di sposi novelli
La presenza di sposi novelli commuove particolarmente, perché la famiglia è una grande cosa. Io una volta ho scritto un articolo sul giornale e mi sono permesso di scherzare, citando Montaigne, uno scrittore francese, il quale diceva: « Il matrimonio è come una gabbia: quelli che son fuori, fanno di tutto per entrare, quelli che son dentro fan di tutto per uscire ». No no no. Però, però alcuni giorni dopo mi è capitata una lettera di un vecchio Provveditore agli studi, che aveva scritto libri e mi ha rimproverato dicendo: « Eccellenza, ha fatto male a citare Montaigne, io e mia moglie ci siamo uniti da 60 anni ed ogni giorno è come il primo giorno ». Anzi, mi ha citato un altro poeta francese, in francese, ma io lo dico in italiano: ti amo ogni giorno di più: oggi molto più di ieri, ma molto meno di domani. E faccio l'augurio che, a voi, succeda la stessa cosa.


Ai partecipanti al VII Convegno Internazionale organizzato dalla Società Internazionale dei Trapianti
Nous devons un salut particulier aux membres du septième Congrès international de la Société pour les transplantations d'organes. Nous sommes très touché de votre visite, qui est un hommage au Pape, et surtout de votre désir d'éclairer et d'approfondir les graves problèmes humains et moraux en jeu dans les recherches ou dans la technique chirurgicale qui sont votre lot. Nous vous encourageons, en ce domaine, à solliciter l'aide d'amis catholiques, experts en théologie et en morale et très au fait de vos problèmes, possédant une connaissance très sûre de la doctrine catholique et un sens profondément humain.
Nous nous contentons aujourd'hui de vous exprimer nos félicitations et notre confiance, pour l'immense travail que vous mettez au service de la vie humaine, afin de la prolonger dans les meilleures conditions. Tout le problème est d'agir dans le respect de la personne et de ses proches, qu'il s'agisse des donneurs d'organes ou des bénéficiaires, et de ne jamais transformer l'homme en objet d'expérience. Il y a le respect de son corps, il y a aussi le respect de son esprit. Nous prions Dieu, l'Auteur de la vie, de vous inspirer, de vous assister, dans ces magnifiques et redoutables responsabilités. Qu'il vous bénisse, avec tous ceux qui vous sont chers!

Adesso, se permettete, vorrei invitarvi ad unirvi alle mie preghiere, per una intenzione che mi sta molto a cuore. Voi avete saputo dalla stampa, dalla televisione, che, oggi, a Camp David, negli Stati Uniti, comincia una importante riunione tra i governanti di Egitto, Israele e Stati Uniti, per trovare una soluzione al conflitto del Medio Oriente. Questo conflitto, che da più di 30 anni si combatte sulla terra di Gesù, ha già causato tante vittime, tante sofferenze, sia fra gli arabi, sia fra gli israeliani, e come una brutta malattia ha contagiato i Paesi vicini. Pensate al Libano, un Libano martire, sconvolto dalle ripercussioni di questa crisi. Per questo, quindi, vorrei pregare, insieme, per la riuscita della riunione di Camp David: che queste conversazioni spianino la via ad una pace giusta e completa. Giusta, cioè con soddisfazione di tutte le parti in conflitto. Completa, senza lasciar irrisolta alcuna questione: il problema dei Palestinesi, la sicurezza d'Israele, la città Santa di Gerusalemme. Preghiamo il Signore di illuminare i responsabili di tutti i popoli interessati, perché siano lungimiranti e coraggiosi nel prendere le decisioni che devono portare la serenità e la pace in Terra Santa ed in tutto il mondo d'Oriente.

Chiediamo Loro di intercedere presso il Padre...
poiché dal Cielo... molto possono aiutarci i Santi.

JHS
MARIA!

PAPA LUCIANI


L'amico di Papa Luciani: "Potevo salvarlo ma invece non l'ho fatto"

"L'arcivescovo Perantoni voleva che gli portassi in Vaticano una lettera per avvisarlo del pericolo. Mi rifiutai. 'Te ne pentirai', mi rimproverò il presule. Tre giorno dopo Giovanni Paolo I era morto"


Non vuole portarsi il segreto nella tomba: «Avrei potuto salvare la vita a Papa Giovanni Paolo I. Non l'ho fatto. E oggi non riesco a perdonarmelo. A qualcuno devo pur dirlo». Giuseppe Pedullà compirà 83 anni il 20 giugno. A guardarlo, viene da pensare che camperà oltre i 100. Ma lo scrupolo di coscienza è giustificato dal peso che si porta sulle spalle. È un macigno enorme, che lo opprime, che lo schiaccia, che non lo fa dormire da quel martedì 26 settembre 1978, quando si rifiutò di consegnare in Vaticano una lettera che il frate francescano Pacifico Maria Luigi Perantoni, arcivescovo emerito di Lanciano e Ortona, voleva far giungere direttamente nelle mani del comune amico Albino Luciani, da appena un mese salito al soglio di Pietro, per avvisarlo che era in pericolo di vita. «Ignoro come Perantoni fosse giunto al convincimento che qualcuno intendesse uccidere il Papa.
So soltanto che, nel momento in cui gli dissi che non me la sentivo di farmi latore di un messaggio così spaventoso, egli mi rimproverò stizzito: “Te ne pentirai!”. Oh, se me ne sono pentito! Tre giorni dopo il Santo Padre era già morto». La voce gli si smorza in gola, fino a diventare un pianto sommesso.
Pedullà, originario di Marina di Gioiosa Ionica (Reggio Calabria), abita a Piacenza d'Adige, nella Bassa padovana, in un appartamento trasformato in sacrario. Il salotto è dominato da un ritratto di Luciani assiso sul trono papale. Ma già dall'ingresso si percepisce che questo è un luogo speciale. Ai muri sono appesi vari reperti: il dagherrotipo di un austero Giovanni Luciani, padre del futuro pontefice, in posa con il bastone da passeggio, il panciotto, la camicia dal colletto diplomatico, la Lavallière, la lobbia; immagini della sorella del «Papa del sorriso», scattate dal padrone di casa, e del patriarca di Venezia con Paolo VI durante la storica visita in laguna del 1972, quando Giovanni Battista Montini gli pose sulle spalle la stola, quasi a indicarlo come proprio successore; istantanee di Pedullà con padre Pio da Pietrelcina e sulla tomba di Giovanni Paolo I nelle Grotte vaticane; infine 54 foto delle stimmate e delle ferite che piagavano mani, polsi, ginocchia e gambe di Natuzza Evolo («frequentavo la mistica», spiega il conterraneo calabrese), deceduta nel 2009, nelle quali il sangue disegna la croce, il volto di Cristo e la sigla JHS, Jesus Hominum Salvator.
È uno squilibrato, un fanatico, un visionario, Giuseppe Pedullà? Catone Sbardellini, ex sindaco dc di Villabartolomea, 20 chilometri da qui, che conosco da più di 30 anni e che lo ebbe come cliente all'ingrosso della sua Caver (cappelli di paglia), testimonia che no, non è né un pazzo né un mitomane, semmai un uomo semplice e pio, molto perbene, che si è trovato al centro di vicende assai più grandi di lui. E mi assicura che sono vere tutte le conoscenze accumulate dall'anziano in ambito ecclesiastico. E non solo nelle alte sfere curiali, aggiungo io: Pedullà indossa una cravatta recante sul retro l'etichetta «E. Marinella per Silvio Berlusconi» e, fra i molti trofei casalinghi, vanta un astuccio contenente l'orologio, con scudetto tricolore e firma dell'allora presidente del Consiglio, che il Cavaliere fece produrre in tiratura limitata per il vertice Nato-Russia del 28 maggio 2002 a Roma, «ma non l'ho mai indossato perché detesto Vladimir Putin, ha perseguitato i cristiani», chiarisce, facendosi sopraffare da uno dei tanti singulti che scandiranno l'intervista.
Ho rivolto la domanda in modo brutale al diretto interessato: è mai stato in cura per problemi psichiatrici? Avrei voluto anche chiedergli se fosse in grado di esibire un certificato di salute mentale. Non ve n'è stato bisogno. Ha reagito con estrema serenità. È sceso in strada a recuperare dall'auto il referto con cui lo scorso 9 aprile, alle 10.36, è stato accettato al polo ospedaliero di Schiavonia d'Este dell'Ulss 17. «Mi ci hanno portato con l'ambulanza del 118 perché quella mattina mi ero alzato dal letto con forti giramenti di testa». Quattro ore dopo è tornato a casa sulle proprie gambe con un'unica terapia: due compresse di Arlevertan, un farmaco contro le sindromi vertiginose, per 20 giorni. Dopo cinque aveva già smesso di prenderle. «Quadro neurologico normale», ha attestato la dottoressa Annalisa Donà. «Tac cerebrale ed esami bioumorali nella norma», ha concordato il suo collega Filippo Ometto. Nemmeno un valore fuori posto nelle analisi ematochimiche. Sano di mente e di corpo. Tanto che gli hanno rinnovato la patente ed è ancora capace di scendere in Calabria guidando senza soste per 1.120 chilometri.
Volendo sgravarsi almeno un po' del suo insopportabile fardello, Pedullà ebbe tre incontri con Edoardo Luciani, il fratello del pontefice morto in circostanze misteriose dopo appena 33 giorni di regno, e parecchi altri con Antonia, la sorella più giovane, detta Nina, della quale finì per diventare amico. «Se ne sono andati entrambi, lui nel 2008 e lei nel 2009. Antonia abitava a Levico. Approfittavo delle cure termali per passare lunghi periodi nella località del Trentino. Era un pretesto per stare con lei. Mi mettevo ai fornelli e cucinavo a casa sua. Mi donò questi oggetti appartenuti ad Albino», e mostra due cappelli a busta di astrakan, sei paia di occhiali e due vecchi libri di scuola recanti il cognome «Luciani» scritto con la stilografica dal futuro papa sulla carta velina che fodera le copertine. «Sono rimasto in contatto con il figlio Roberto, professore, che vive ancora a Levico. L'altra figlia, Lina, abita a Roma. Infatti fu la prima della famiglia ad accorrere nel Palazzo Apostolico e a vedere il cadavere dello zio pontefice adagiato nel letto. Qualche anno dopo venne assunta presso la Sala stampa della Santa Sede».
Il trait d'union fra Pedullà e il cardinale Luciani fu monsignor Perantoni, nato nel 1895 a Cavalcaselle (Verona) da umili contadini, entrato a 15 anni nell'Ordine dei frati minori (del quale fu ministro generale dal 1945 al 1951), ordinato prete nel 1920 e consacrato vescovo nel 1952, quando gli venne affidata la diocesi di Gerace. Trascorso un decennio, il frate fu nominato arcivescovo di Lanciano e Ortona. Nel 1970, quasi alla fine del mandato, dispose una ricognizione medico-scientifica sulle reliquie del miracolo eucaristico di Lanciano, avvenuto nel secolo VIII sotto gli occhi di un monaco dubbioso, che vide l'ostia consacrata e il vino nel calice da messa trasformarsi in carne e sangue. Il professor Odoardo Linoli, docente di anatomia e istologia patologica, primario degli Ospedali riuniti di Arezzo, concluse che «il sangue è vero sangue e la carne è vera carne, costituita da tessuto muscolare del cuore; che il sangue e la carne appartengono alla specie umana; che il sangue e la carne appartengono allo stesso gruppo sanguigno AB e ciò sta ad indicare la unicità della persona».
Come conobbe Perantoni?
«In Calabria facevo parte di un gruppetto di fedeli che lo seguivano ovunque andasse, fra i quali Guido Laganà, esponente della Dc. Purtroppo l'arcivescovo di Reggio Calabria, Giovanni Ferro, stroncò la carriera di padre Pacifico nella convinzione che egli avesse contatti con la 'ndrangheta».
Si sbagliava?
«Certo! Era accaduto che il nostro pastore si fosse battuto per trasferire la sede episcopale da Gerace a Locri, sul litorale, provocando le ire della 'ndrangheta, che arrivò al punto di erigere uno sbarramento sulla strada Gerace-Locri per impedire al vescovo di scendere a valle. Finché Antonio Macrì, capo della cosca che controllava la Locride, non diede ordine di lasciarlo passare».
E ciò insospettì l'arcivescovo Ferro.
«Esatto. In realtà Perantoni era uno studioso, lontanissimo dai malavitosi. Aveva una cultura sterminata, conosceva parecchie lingue, stare accanto a lui era un arricchimento continuo. Andavo a trovarlo spesso in vescovado, gli facevo da autista, gli portavo le torte».
Sua eccellenza era goloso?
«No, è che io sono pasticciere».
E perché lo seguiva ovunque?
«Sono molto religioso. Un dono della mamma. La sera, dopo aver lavorato tutto il giorno, leggeva le vite dei santi. E di notte si alzava per aggiungere olio alla lucerna che illuminava il suo altarino privato sul comò della camera».
Ecco, mi parli della sua famiglia.
«Mio padre Domenico partecipò come volontario alla guerra in Africa orientale. Tornò invalido al 100 per cento. Mia madre Marianna gestiva il bar-tabaccheria Odeon a Marina di Gioiosa Ionica. Sette figli. Io sono il secondogenito. Vivevamo dentro un magazzino, privo di luce, acqua e gas. Dopo la quinta elementare fui mandato a lavorare nella pasticceria di Silvio Scardò, a Siderno Marina. Fino ai 25 anni affiancai mia madre all'Odeon. In questo modo quattro miei fratelli poterono diplomarsi o laurearsi. Prima di salire al Nord, comprai un terreno, firmando una montagna di cambiali, e costruii un nuovo bar, con due piani soprastanti. Lo lasciai ai miei, pagato. Un patrimonio di almeno 60 milioni di lire, parliamo del 1957, comprendente sala biliardo ed emporio di liquori, profumi e cancelleria».
Che lavori fece al Nord?
«Aiuto gestore in un lido con ristorante, sala da ballo e campeggio a Baveno. Cameriere al bar Motta di corso Italia a Genova. Autista del professor Michele Burnengo, docente all'Università di Parma. Commerciante di pelletteria in fiere e mercati del Veneto. Nel 1968 mi sposai a Canda. Tre anni dopo, il matrimonio, dal quale non erano nati figli, fu dichiarato nullo dalla Rota romana. Ho vissuto a Trecenta e Badia Polesine. Nel 2005 ho portato in Italia un'insegnante, Ecaterina Boghean, che in Moldavia, dove svolgo attività filantropiche, guadagnava 50 euro al mese. Oggi siamo marito e moglie».
Perché scelse proprio il Veneto?
«Per stare vicino a monsignor Perantoni, che nel 1974 diede le dimissioni e si ritirò a Peschiera del Garda, presso il santuario della Madonna del Frassino, dove morì nel 1982. È sepolto lì. Lui e il cardinale Luciani erano devotissimi alla Vergine. Entrambi facevano parte della Pontificia academia mariana internationalis. Mi confidò che il patriarca di Venezia gli aveva raccontato della sua visita a suor Lucia dos Santos. Luciani era uscito sconvolto dal colloquio, avvenuto l'11 luglio 1977 nel carmelo di Coimbra. La veggente di Fatima gli predisse: “Lei sarà papa dopo Paolo VI, ma per pochissimo tempo”». (Piange).
Mi risulta che il contenuto di quel dialogo non fosse stato svelato da Luciani neppure al fratello Edoardo.
«Si vede che Perantoni per lui era più di un fratello: un confessore. Tant'è che io, incontrando un giorno il patriarca lì al Frassino, me ne uscii ingenuamente con questa frase: eminenza, sono sicuro che sarà lei il prossimo papa. Al che Perantoni mi fulminò con lo sguardo. Ma Luciani, bonario, sviò da sé il pronostico con un gesto della mano: “No, no, per carità, preghiamo affinché il Signore ci conservi Paolo VI”».
Ebbe altri incontri con il cardinale?
«Sì, a Peschiera e a Venezia, in patriarcato. Vedendo il rapporto filiale che mi legava all'arcivescovo Perantoni, mi aveva preso a benvolere».
Che tipo era Luciani?
«Catechista, catechista, catechista. Di una fedeltà granitica al magistero e di una bontà angelica. Una volta mi disse: “Dovrai soffrire tanto”. Rimasi turbato: erano le stesse parole che mi aveva rivolto padre Pio».
In che modo conobbe il santo di Pietrelcina?
«Nel 1962 andai a San Giovanni Rotondo perché mia sorella Antonietta, bella ragazza, si era fidanzata con un geometra gelosissimo che le rovinava la vita con urli e scenate. Chiesi al frate di aiutarla. Mi batté una mano sulla spalla: “Sta' tranquillo, non preoccuparti”. L'indomani Antonietta trovò la forza di mollare quell'individuo. Oggi è felicemente sposata con un perito agrario».
Incontrò padre Pio in quell'unica occasione?
«No, andavo a trovarlo ogni due o tre mesi. Mi chiamava Pepè, il medesimo nomignolo usato da Perantoni. Alle 4 di mattina c'era già la fila di postulanti ad aspettarlo. Ai malati che sarebbero guariti diceva la frase con cui accolse me: “Sta' tranquillo”. Gli altri li congedava con una formula diversa: “Sia fatta la volontà di Dio”. Lui già sapeva che sarebbero morti. Una mattina gridò a uno sconosciuto: “Vieni qui, non vergognarti di mostrarti accanto a me”. Si trattava di un caporione del Pci che cadde convertito ai suoi piedi».
Lei, così vicino alle gerarchie, frequentava un religioso malvisto addirittura da Pio XII?
«Nel periodo di maggiore incomprensione con il Vaticano vidi quel sant'uomo costretto a celebrare messa dentro una celletta che misurava sì e no 2 metri per 1,80. Soffrì anche sotto Giovanni XXIII. E la vuol sapere una cosa? Prima di morire, Papa Roncalli consegnò al suo segretario una lettera dicendogli: “Questa è per padre Pio. Non vorrei essermi sbagliato sul suo conto”. Così mi riferì fra' Angelico, cuoco di Perantoni, che l'aveva appreso dallo stesso arcivescovo».
Ne conosceva di segreti, questo Perantoni.
«Al trentesimo giorno del pontificato di Giovanni Paolo I, mi telefonò: “Pepè, vieni subito qui”. Mi trovavo a Trecenta. Presi l'auto e corsi a Peschiera. Passeggiammo per due ore sul piazzale del Frassino. Alla fine cercò di pormi fra le mani una lettera: “Questa la devi portare tu, di persona, ad Albino Luciani in Vaticano. Il Papa è in grave pericolo”. Aveva scritto a mano sulla busta il nome di Sua Santità. Mi rifiutai di compiere quell'ambasciata».
Perché?
«Pensavo che Perantoni esagerasse ed ero terrorizzato».
Non gli chiese su che cosa si fondassero i suoi timori?
«No. Capisco che le sembri strano, ma io sono un povero signor Nessuno. Per me era inimmaginabile che qualcuno potesse attentare alla vita del Papa. E invece... Tre giorni dopo ero di nuovo al santuario del Frassino a piangere, amaramente pentito, esattamente come mi aveva predetto Perantoni».
Neppure in questa circostanza domandò all'arcivescovo notizie sul contenuto della lettera che lei non ebbe il coraggio di recapitare a Papa Luciani?
«No».
Ma è contro ogni logica!
«Sarà contro ogni logica, ma io mi comportai così. Non tutti sono preparati come voi giornalisti, abituati a fare interrogatori tipo quello cui mi sta sottoponendo. Certo, avrei potuto prendere in consegna la lettera e tenermela. Oggi costituirebbe una prova. Ma non commisi questo sacrilegio».
Si sarà almeno fatto un'idea su chi avrebbe avuto interesse a eliminare Giovanni Paolo I.
«Gesù Cristo non venne forse messo in croce per 30 denari?».
Sia più esplicito.
«Con il tempo, mi sono ricordato di una frase che il cardinale Luciani disse a Perantoni: “I soldi che abbiamo appartengono ai poveri, perché sono i poveri, e non i ricchi, a mantenere la Chiesa. E noi che facciamo? Li diamo a Calvi!”. Non gli andava giù che la Banca Cattolica del Veneto fosse finita sotto il controllo del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi». (Nel 1972 il patriarca di Venezia ebbe un aspro scontro con l'arcivescovo Paul Marcinkus, presidente dell'Istituto per le opere di religione, circa la gestione del Banco San Marco e la vendita al Banco Ambrosiano del 37 per cento delle azioni della Banca Cattolica, effettuata dallo Ior senza informarne l'episcopato veneto. Secondo molte fonti, Luciani, appena eletto papa, avrebbe manifestato la volontà di rimuovere Marcinkus dalla presidenza, «perché un vescovo non deve dirigere una banca», ndr).
Perantoni le parlò mai di contrasti fra Giovanni Paolo I e monsignor Marcinkus?
«No. L'unico dissidio di cui mi parlò fu quello con il cardinale Sebastiano Baggio, originario di Rosà, prefetto della congregazione che aveva il potere di promuovere o retrocedere i vescovi. Il Papa insisteva con Baggio per nominare patriarca di Venezia un uomo di propria fiducia, in modo che continuasse l'opera da lui lasciata in sospeso. Per due volte il cardinale si rifiutò di uniformarsi alla volontà del Santo Padre. Al terzo tentativo Luciani si spazientì: “Se a Venezia non mandi chi ti dico, ci dovrai andare tu”. Baggio uscì dallo studio papale sbattendo la porta. Il giorno dopo Luciani era morto. Di lì a un mese il cardinale vicentino fu riconfermato prefetto della Congregazione per i vescovi». (Con il titolo di copertina «La grande loggia vaticana», sul settimanale Op diretto da Mino Pecorelli, poi morto assassinato, apparve il 12 settembre 1978, cioè nove giorni dopo l'insediamento di Giovanni Paolo I, un elenco di 113 alti prelati iscritti alla massoneria, nel quale figuravano i nomi di Baggio e Marcinkus, ndr).
Se i presunti nemici di Luciani fossero stati tanto potenti da farlo ammazzare nelle stanze vaticane, non crede che avrebbero potuto agire molto prima, e in modo indolore, «orientando» lo Spirito Santo a scegliere un papa diverso quale successore di Paolo VI?
«Perantoni mi raccontò ciò che il suo amico Albino gli aveva rivelato circa l'andamento del conclave. Il patriarca di Venezia era talmente atterrito dall'idea di essere eletto che una mattina, vedendo quattro cardinali intenti a parlottare nei corridoi, rientrò precipitosamente nella sua stanza per non dare nell'occhio. Uno dei porporati chiese: “Chi è?”. Un altro rispose: “Ma come, non l'hai riconosciuto? È il patriarca di Venezia”. Quei quattro cardinali erano tutti del Sudamerica e, conquistati da tanta ritrosia, votarono compatti per lui insieme ad altri porporati stranieri».
Lei non provò mai a informare qualche autorità religiosa dei sospetti dell'arcivescovo Perantoni?
«Mi stia a sentire. Una sera sono a cena a Bagnolo di Po dai fratelli Fantinati, latifondisti. Il Tg1 annuncia che Papa Wojtyla intende beatificare padre Pino Puglisi, ucciso dalla mafia a Palermo nel 1993. Mi viene spontaneo battere un pugno sul tavolo: e Giovanni Paolo I, allora, non è stato anche lui vittima di un complotto mafioso? Decido di avviare una raccolta di firme perché Luciani sia proclamato beato. Parto per Roma. Entro nella basilica di San Pietro. Vedo una trentina di berretti rossi che, finita una celebrazione, si avviano verso una navata laterale. Li raggiungo nella sacrestia in fondo a sinistra e ne fermo uno, di colore. Scoprirò poi che era il cardinale Bernardin Gantin, originario del Benin, e che Papa Luciani il giorno successivo al proprio insediamento lo aveva nominato presidente del Pontificio consiglio Cor Unum, il dicastero della Curia romana che promuove le iniziative umanitarie della Santa Sede. Chiedo di parlargli. Lui mi accarezza la guancia e risponde: “Aspetti”. Si toglie i paramenti liturgici, congeda i presenti e mi chiede: “Sono qui, che vuole?”. Io gli illustro il mio proposito per una petizione a favore di Giovanni Paolo I beato. Lui replica: “È già santo”. Allora mi viene spontaneo fargli il nome dell'arcivescovo Perantoni. All'udirlo, il porporato ha un soprassalto e smette di guardarmi in faccia. Io lo supplico, gli tiro persino la veste: eminenza, eminenza, perché distoglie lo sguardo?, mi dica come devo comportarmi. Però Gantin taglia corto: “Lei è furbo, lei sa come fare”. Quindi, con aria complice, si lascia andare a un gesto tutto italiano: mi dà leggermente di gomito».
Fatico a decifrare la scena.
«Ma dottore, suvvia! In Vaticano le cose le sanno. Fra di loro se le dicono». (Esibisce un biglietto autografo di auguri per il 2002 scritto dal cardinale Gantin «con grande cordialità» e spedito a Badia Polesine, Riviera Matteotti 177, il precedente indirizzo di Pedullà).
E lei che fece?
«Cominciai la campagna affinché Luciani venisse elevato alla gloria degli altari. Raccolsi oltre 100.000 firme, girando tutti i santuari d'Italia e piazzando il mio banchetto in molte città, persino in Germania, Moldavia, Ucraina». (Mostra fasci di fotocopie con dati anagrafici e firme). «Le portai al vescovo di Belluno, Vincenzo Savio, il quale, prima di morire per un tumore, fece aprire la causa di beatificazione. Anche Savio era un santo. Sua madre visse quasi tutta la sua vita semiparalizzata. Mentre agonizzava, lui le chiese: “Mamma, facciamo il patto di Elia ed Eliseo?”. Il profeta Elia, prima di salire in paradiso, lasciò il mantello al discepolo Eliseo, che divenne a sua volta profeta. Il vescovo Savio ottenne dalla madre il mantello della sofferenza, sopportò il male con grande dignità, fino ad avere il coraggio di annunciare dal pulpito che il cancro lo stava uccidendo e di chiedere ai preti e ai fedeli di pregare per la sua anima».
Ma chi è lei? Un collezionista di futuri santi e beati?
«Ci scherza, eppure ho speso la vita per la Chiesa. Ho portato in giro con la mia auto suor Brigida Maria Postorino, fondatrice delle Figlie di Maria Immacolata. Sono stato amico di padre Bonaventura Maria Raschi, il francescano a cui la Madonna chiese di costruirle un santuario sul monte Fasce di Genova, un esorcista legato a padre Massimiliano Kolbe, il santo polacco martirizzato dai nazisti nel “bunker della fame” di Auschwitz: per più di 70 volte aveva scacciato Satana. Preparavo pranzi e dolci per l'arcivescovo di Trento, Giovanni Maria Sartori. Ho visitato fino all'ultimo suor Gesuina Vago delle Piccole Serve del Sacro Cuore di Gesù, morta a 109 anni nell'istituto di Casatenovo senza che il medico sapesse cosa scrivere sul certificato di morte: non era mai stata malata in vita sua, semplicemente si mise a letto, smise di mangiare e 20 giorni dopo il suo respiro cessò».
Non parlò con nessun altro della lettera di Perantoni?
«Con mia madre: scoppiò in lacrime e mi supplicò di tacere per non danneggiare il clero. E con un vescovo del Centro Italia». (Ne fa il nome però mi prega di non rivelarlo per evitargli imbarazzi). «Nel 2005 chiesi udienza a Benedetto XVI. Dalla Segreteria di Stato vaticana mi rispose monsignor Gabriele Caccia: “Ella potrà comunicare per iscritto quanto intende riferire al Santo Padre”. Non ebbi il coraggio di farlo. Ma ora il tempo stringe e ho deciso di rimediare. Tutti devono sapere che Albino Luciani fu vittima di un complotto».
A me pare più verosimile che sia rimasto vittima delle sue coronarie malandate.
«I fratelli Edoardo e Antonia in privato non erano di questo parere. La sorella mi nominava spesso don Licio Boldrin, parroco di Frassinelle Polesine, molto legato a Luciani, quasi a lasciar intendere che sapesse qualcosa». (Don Boldrin nel 1981 divenne campione di Flash, telequiz condotto in Rai da Mike Bongiorno, ndr). «È mio amico. Andò a trovare il Papa in Vaticano, portandogli una torta. Ancora se lo rimprovera: “Non vorrei che gli avesse fatto male il dolce cucinato da mia madre”».
Perché dopo queste peripezie continua ad avere fiducia nella Chiesa?
«Perché è mia mamma. Vede, noi Pedullà siamo sette figli: tre hanno ucciso moralmente nostra madre per motivi di eredità, ma quattro l'hanno sempre venerata. Se è capitato questo nella mia famiglia, come posso condannare la Chiesa? Io la amavo, la amo e la amerò anche dopo morto». (Piange).
http://cristianesimo.it/luciani.htm
http://w2.vatican.va/content/john-paul-i/it.html

JHS
MARIA!

domenica 7 luglio 2013

Una delizia !


GIOVANNI PAOLO I
UDIENZA GENERALE
Mercoledì 13 settembre 1978

Vivere la fede

<<Il mio primo saluto va ai miei confratelli vescovi, che vedo qui numerosi.
Papa Giovanni, in una sua nota, che è stata anche stampata, ha detto: « Stavolta ho fatto il ritiro sulle 7 lampade della santificazione ». 7 virtù, voleva dire e cioè fede, speranza, carità, prudenza, giustizia, fortezza, temperanza. 

Chissà se lo Spirito Santo aiuta il povero Papa oggi ad illustrare almeno una di queste lampade, la prima: la fede. Qui, a Roma, c'è stato un poeta, Trilussa, il quale ha cercato anche lui di parlare della fede. In una certa sua poesia, ha detto: « Quella vecchietta ceca, che incontrai / la sera che mi spersi in mezzo ar bosco, / me disse: - se la strada nun la sai / te ciaccompagno io, che la conosco. / Se ciai la forza de venimme appresso / de tanto in tanto te darò na voce, / fino là in fonno, dove c'è un cipresso, / fino là in cima, dove c'è una croce. / Io risposi: Sarà... ma trovo strano / che me possa guidà chi nun ce vede... / La ceca, allora, me pijò la mano / e sospirò: - Cammina -. Era la fede ». Come poesia, graziosa; come teologia, difettosa. Difettosa perché quando si tratta di fede, il grande regista è Dio, perché Gesù ha detto: nessuno viene a me se il Padre mio non lo attira. S. Paolo non aveva la fede, anzi perseguitava i fedeli. Dio lo aspetta sulla strada di Damasco: « Paolo - gli dice - non sognarti neanche di impennarti, di tirar calci, come un cavallo imbizzarrito. Io sono quel Gesù che tu perseguiti. Ho disegni su di te. Bisogna che tu cambi! ». Si è arreso, Paolo; ha cambiato, capovolgendo la propria vita. 

Dopo alcuni anni scriverà ai Filippesi: « Quella volta, sulla strada di Damasco, Dio mi ha ghermito; da allora io non faccio altro che correre dietro a Lui, per vedere se anche io sarò capace di ghermirlo, imitandolo, amandolo sempre più ». Ecco che cosa è la fede: arrendersi a Dio, ma trasformando la propria vita. Cosa non sempre facile. 

Agostino ha raccontato il viaggio della sua fede; specialmente nelle ultime settimane è stato terribile; leggendo si sente la sua anima quasi rabbrividire e torcersi in conflitti interiori. Di qua, Dio che lo chiama e insiste, e di là, le antiche abitudini, « "vecchie amiche" - scrive lui -; e mi tiravano dolcemente per il mio vestito di carne e mi dicevano: "Agostino, come?!, tu ci abbandoni? Guarda, che tu non potrai più far questo, non potrai più far quell'altro e per sempre!" ». Difficile! « Mi trovavo - dice - nello stato di uno che è a letto, al mattino. Gli dicono: "Fuori, Agostino, alzati!". Io invece, dicevo: "Sì, ma più tardi, ancora un pochino!". 

Finalmente il Signore mi ha dato uno strattone, sono andato fuori. Ecco, non bisogna dire: Sì, ma; sì, ma più tardi. Bisogna dire: Signore, sì! Subito! Questa è la fede. Rispondere con generosità al Signore. Ma chi è che dice questo sì? Chi è umile e si fida di Dio completamente! ».

Mia madre mi diceva quand'ero grandetto: da piccolo sei stato molto ammalato: ho dovuto portarti da un medico all'altro e vegliare notti intere; mi credi? Come avrei potuto dire: mamma non ti credo? Ma sì che credo, credo a quello che mi dici, ma credo specialmente a te. E così è nella fede. Non si tratta solo di credere alle cose che Dio ha rivelato ma a Lui, che merita la nostra fede, che ci ha tanto amato e tanto fatto per amore nostro. 
Difficile è anche accettare qualche verità, perché le verità della fede son di due specie: alcune gradite, altre ostiche al nostro spirito. 

Per esempio, è gradito sentire che Dio ha tanta tenerezza verso di noi, più tenerezza ancora di quella che ha una mamma verso i suoi figlioli, come dice Isaia. Com'è gradito e congeniale. C'è stato un grande vescovo francese, Dupanloup, che ai rettori dei seminari era solito dire: con i futuri sacerdoti, siate padri; siate madri. E' gradito. 

Con altre verità, invece, si fa fatica. Dio deve castigare; se proprio io resisto. Egli mi corre dietro, mi supplica di convertirmi ed io dico: no!, quasi sono io a costringerlo a castigarmi. Questo non è gradito. Ma è verità di fede. 

E c'è un'ultima difficoltà, la Chiesa. S. Paolo ha chiesto: Chi sei Signore? - Sono quel Gesù che tu perseguiti.
Una luce, un lampo ha attraversato la sua mente. Io non perseguito Gesù, manco lo conosco: perseguito invece i cristiani. Si vede che Gesù e i cristiani, Gesù e la Chiesa sono la stessa cosa: inscindibile, inseparabile.
Leggete San Paolo: « Corpus Christi quod est Ecclesia ». Cristo e Chiesa sono una sola cosa. Cristo è il Capo, noi, Chiesa, siamo le sue membra. Non è possibile aver la fede, e dire io credo in Gesù, accetto Gesù ma non accetto la Chiesa. 

Bisogna accettare la Chiesa, quella che è, e come è questa Chiesa? Papa Giovanni l'ha chiamata « Mater et Magistra ». Anche maestra. San Paolo ha detto: « Ognuno ci accetti come aiuti di Cristo ed economi e dispensatori dei suoi misteri ».
Quando il povero Papa, quando i vescovi, i sacerdoti propongono la dottrina, non fanno altro che aiutare Cristo. Non è una dottrina nostra, è quella di Cristo; dobbiamo solo custodirla, e presentarla. Io ero presente quando Papa Giovanni ha aperto il Concilio l'11 ottobre 1962. Ad un certo punto ha detto: Speriamo che con il Concilio la Chiesa faccia un balzo avanti. Tutti lo abbiamo sperato; però balzo avanti, su quale strada? Lo ha detto subito: sulle verità certe ed immutabili. Non ha neppur sognato Papa Giovanni che fossero le verità a camminare, ad andare avanti, e poi, un po' alla volta, a cambiare. Le verità sono quelle; noi dobbiamo camminare sulla strada di queste verità, capendo sempre di più, aggiornandoci, proponendole in una forma adatta ai nuovi tempi. 

Anche Papa Paolo aveva lo stesso pensiero. La prima cosa che ho fatto, appena fatto Papa, fu di entrare nella Cappella privata della Casa Pontificia; lì in fondo Papa Paolo ha fatto fare due mosaici: San Pietro e San Paolo: San Pietro che muore, San Paolo che muore; ma sotto San Pietro ci sono le parole di Gesù: Pregherò per te, Pietro, perché non venga mai meno la tua fede. Sotto San Paolo, che riceve il colpo di spada: ho consumato la mia corsa, ho conservato la fede. Voi sapete che nell'ultimo discorso del 29 giugno, Paolo VI ha detto: dopo quindici anni di pontificato, posso ringraziare il Signore; ché ho difeso, ho conservato la fede.

E' madre anche la Chiesa. Se è continuatrice di Cristo e Cristo è buono: anche la Chiesa deve essere buona; buona verso tutti; ma se per caso, qualche volta ci fossero nella Chiesa dei cattivi? Noi ce l'abbiamo, la mamma. Se la mamma è malata, se mia madre per caso diventasse zoppa, io le voglio più bene ancora. Lo stesso, nella Chiesa: se ci sono, e ci sono, dei difetti e delle mancanze, non deve mai venire meno il nostro affetto verso la Chiesa. Ieri - e finisco - mi hanno mandato il numero di « Città Nuova »: ho visto che hanno riportato, registrandolo, un mio brevissimo discorso, con un episodio. Un certo predicatore Mac Nabb, inglese, parlando ad Hyde Park, aveva parlato della Chiesa. 

Finito, uno domanda la parola e dice: belle parole le sue. Però io conosco qualche prete cattolico, che non è stato coi poveri e si è fatto ricco. Conosco anche dei coniugi cattolici che hanno tradito la loro moglie; non mi piace questa Chiesa fatta di peccatori. Il Padre ha detto: ha un po' ragione, ma posso fare un'obiezione? - Sentiamo - Dice: scusa, ma sbaglio oppure il colletto della tua camicia è un po' unto? - Dice: sì, lo riconosco. - Ma è unto, perché non hai adoperato il sapone, o perché hai adoperato il sapone e non è giovato a niente? No, dice, non ho adoperato il sapone. Ecco. 

Anche la Chiesa cattolica ha del sapone straordinario: vangelo, sacramenti, preghiera. Il vangelo letto e vissuto; i sacramenti celebrati nella dovuta maniera; la preghiera ben usata sarebbero un sapone meraviglioso capace di farci tutti santi. 

Non siamo tutti santi, perché non abbiamo adoperato abbastanza questo sapone. 

Vediamo di corrispondere alle speranze dei Papi, che hanno indetto e applicato il Concilio, Papa Giovanni, Papa Paolo. Cerchiamo di migliorare la Chiesa, diventando noi più buoni. Ciascuno di noi e tutta la Chiesa potrebbe recitare la preghiera ch'io sono solito recitare: Signore, prendimi come sono, con i miei difetti, con le mie mancanze, ma fammi diventare come tu mi desideri.

Io devo dire una parola anche ai nostri cari ammalati, che vedo lì. Lo sapete, Gesù ha detto: mi nascondo dietro a loro; quello che viene fatto a loro vien fatto a me. Quindi nelle loro persone noi veneriamo il Signore stesso e auguriamo che il Signore sia loro vicino, li aiuti, e li sostenga.

A destra invece ci sono gli sposi novelli. Hanno ricevuto un grande sacramento; facciamo voti che questo sacramento ricevuto sia veramente apportatore non solo di beni di questo mondo, ma più di grazie spirituali. Nel secolo scorso c'era in Francia Federico Ozanam, grande professore; insegnava alla Sorbona, ma eloquente, ma bravissimo! Suo amico era Lacordaire, il quale diceva: « E' così bravo, è così buono, si farà prete, diventerà un vescovone, questo qui! ». No! Ha incontrato una brava signorina, si sono sposati. Lacordaire c'è rimasto male, e ha detto: « Povero Ozanam! E' cascato anche lui nella trappola! ». Ma due anni dopo, Lacordaire venne a Roma, e fu ricevuto da Pio IX. « Venga, Padre, - dice - venga. Io ho sempre sentito dire che Gesù ha istituito sette sacramenti: adesso viene Lei, mi cambia le carte in tavola; mi dice che ha istituito sei sacramenti, e una trappola! No, Padre, il matrimonio non è una trappola, è un grande sacramento! ». Per questo facciamo di nuovo gli auguri a questi cari Sposi; che il Signore li benedica!>>

© Copyright 1978 - Libreria Editrice Vaticana