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domenica 8 settembre 2013

EPISODI che rivelano l'ammirevole virtù della piccola araba, la Beata Maria di Gesù Crocifisso, MARIA BAOUARDY-IL PICCOLO NULLA!



Ascoltiamo ancora la serva di Dio [ossia MARIA BAOUARDY, ora BEATA] riferire ciò che segue:

«Per mostrarvi la mia ignoranza vi racconto di orribili pensieri che mi assaliro­no, durante uno dei miei viaggi per mare. 

Mi credevo colpevole di tutti questi pen­sieri, considerandoli veri crimini. Così quando sbarcai, il mio primo pensiero fu di correre presso un confessore. Mi accusai, come se davvero avessi commesso tutti i peccati il cui pensiero si era presentato mio malgrado nel mio spirito. Il sacerdote mi fece una lunga e pressante esortazione per incitarmi al pentimento. Prima di as­solvermi, mi chiese di promettere a Dio di correggermi. 
Gli risposi: Padre mio, mi è impossibile prometterglielo; volevo dire che non dipendeva da me il non avere più di questi pensieri. Convinto a causa della mia risposta, non solo dei miei crimini, ma anche della mia ostinazione, il ministro di Dio mi rimandò senza assolvermi, dopo avermi fatto le più terribili minacce. Io non sapevo più cosa fare; ero quasi di­sperata. 

Come sempre, implorai allora la mia buona Madre del Cielo. Sentii una vo­ce dirmi: Va in tale via, entra in tale casa, sarai illuminata e consolata. Mi alzai, e arrivai nel luogo indicatomi. Bussai, e una voce dolce come se venisse dal Cielo, mi rispose: Entra. lo entrai, e mi trovai davanti una donna che mi disse: avvicina­ti, Maria. Sei inconsolabile, ma ti sbagli, poiché tu non sei colpevole. Maria, avere i più orribili pensieri non è peccato; il peccato non esiste fino a quando l'anima non vi acconsente. Tu ti sei dunque espressa male. Và di nuovo da quel confessore, e digli le cose nel modo che ti dirò adesso. Passai la notte con quella persona che mi conosceva molto bene e parlammo tutto il tempo di Gesù e del Cielo. 
L'indo­mani, di buon mattino, ero già ai piedi dello stesso sacerdote. Gli spiegai le cose così come la persona sconosciuta mi aveva insegnato a fare, e il confessore, invece di rimproverarmi, mi incoraggiò. 

Ascoltate ancora cosa mi è successo quand'ero in mare e ammirate la potenza della fede, persino in una peccatrice. 

Una tempesta fu­riosa si era levata; dopo inutili sforzi per resistere ai venti e ai flutti, il capitano ave­va dichiarato che tutte le speranze erano perdute. I passeggeri si gettarono nelle barche di salvataggio, in mezzo ad una confusione indescrivibile. Il capitano li contò, mancava all'appello una persona. Scese subito nelle cabine, e arrivò alla mia. Ero coricata e dormivo profondamente. Mi svegliò gridando: Alzati, vestiti, e sali su di una barca, siamo perduti. Mi vestii alla meglio e salii sul ponte. 

Mi sen­tii ispirata a pregare, dopo avere rimproverato a tutti la loro mancanza di fede. In ginocchio con gli occhi rivolti al cielo, dissi, stendendo le braccia: Signore Gesù, tu che sei potente, calma il mare. O potenza della fede! Lo credereste? La tempe­sta cessò, le onde si calmarono, e noi fummo salvi. Ecco ciò che Dio ha fatto at­traverso una peccatrice come me, con un solo grido di fede. Ah! se noi avessimo la fede, una grande fede, otterremmo tutto da Dio».

Chissà quanti altri simili episodi la sua umiltà ha dovuto farle tacere. Quelli che noi abbiamo citato basteranno a convincere il lettore dell'ammirevole virtù di Maria B. 

Cor Mariae Immaculatum, 
intercede pro nobis

domenica 9 settembre 2012

“Mamma! Io sento! Oh! Signore, io ti adoro!”. La folla è presa dal solito entusiasmo e tanto più lo è perché si chiede: “E come può già saper parlare se mai udì parola da quando è nato? Un miracolo nel miracolo! Gli ha slegato la favella e aperto le orecchie e insieme lo ha istruito a parlare. Viva Gesù di Nazaret!


DOMENICA XXIII, Anno B, Tempo Ordinario: 9 sett. 2012.
Vangelo
Marco 7,31-37:
31Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. 32Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. 33Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; 34guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». 35E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. 36E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano 37e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».


*
[da L’Evangelo come mi è stato rivelato, 341.4-6]
[Gesù, con i suoi apostoli, si dirige verso Cedes. Al tramonto si fermano alla prima casa di un paese, accolti da una donna premurosa]


“È quasi sera. Fermatevi in casa mia. Casa da poveri. Ma di onesti. Posso darvi del latte non appena tornano i miei figli con le pecore. Il mio uomo vi accoglierà volentieri”.
“Grazie, donna. Se il Maestro vorrà, resteremo qui”.
La donna va alle sue faccende mentre gli apostoli chiedono a Gesù cosa devono fare.
“Sì. È bene. Domani andremo a Cedes e poi verso Paneade. Ho pensato, Bartolomeo. Conviene fare come tu dici. Mi hai dato un buon consiglio. Spero trovare così altri discepoli e mandarli avanti a Me a Cafarnao. So che a Cedes devono ormai esservene stati alcuni, fra i quali i tre pastori libanesi”.
Torna la donna e chiede: “Ebbene?”.
“Sì, donna buona. Restiamo qui per la notte”.
“E per la cena. Oh! graditela. Non mi pesa. E poi ci è stata insegnata la misericordia da alcuni che sono i discepoli di quel Gesù di Galilea, detto il Messia, che fa tanti miracoli e predica il Regno di Dio. Ma qui non c’è mai venuto. Forse perché siamo ai confini siro-fenici. Ma sono venuti i suoi discepoli. Ed è già molto. Per la Pasqua noi del paese vogliamo andare tutti in Giudea per vedere se lo vediamo questo Gesù. Perché abbiamo dei malati e i discepoli ne hanno guariti alcuni, ma altri no. E fra questi c’è un giovane figlio di un fratello della moglie di mio cognato”.
“Che ha?”, chiede Gesù sorridendo.
“È… Non parla e non sente. Nato così. Forse un demonio è entrato nel seno della madre per farla disperare e soffrire. Ma è buono, come indemoniato non fosse. I discepoli hanno detto che per lui ci vuole Gesù di Nazaret, perché deve essere con qualche cosa di mancante, e solo questo Gesù… Oh! ecco i miei figli e il mio sposo! Melchia, ho accolto questi pellegrini in nome del Signore e stavo raccontando di Levi… Sara, va’ presto a mungere il latte e tu, Samuele, scendi a prendere olio e vino nella grotta, e porta mele dal solaio. Spicciati, Sara, prepareremo i letti nelle stanze alte”.
“Non ti affaticare, donna. Staremo bene da per tutto. Potrei vedere l’uomo di cui parlavi?”.
“Sì… Ma… Oh! Signore! Ma sei forse Tu il Nazareno?”.
“Sono Io”.
La donna crolla in ginocchio strillando: “Melchia, Sara, Samuele! Venite ad adorare il Messia! Che giorno! Che giorno! E io l’ho in casa mia! E gli parlavo così! […] Oh! Melchia! Il Messia da noi”.



“Sì. Ma sta’ buona, donna, e non lo dire a nessuno. Va’ piuttosto a prendere il sordomuto e portamelo qui…”, dice Gesù sorridendo…



…E presto Melchia torna col giovane sordomuto e con i parenti di lui e mezzo paese almeno… La madre dell’infelice adora Gesù e lo supplica.
“Sì, sarà come tu vuoi”, e preso per mano il sordomuto lo attira un po’ fuori dalla folla che si accalca […]. Gesù si accosta bene il sordomuto, gli pone gli indici nelle orecchie e la lingua sulle labbra socchiuse, poi, alzando gli occhi al cielo che imbruna, alita sul volto del sordomuto e grida forte: “Apritevi!”, e lo lascia andare.
Il giovane lo guarda un momento mentre la folla bisbiglia. È sorprendente la mutazione del volto prima apatico e mesto del sordomuto e poi sorpreso e sorridente. Si porta le mani alle orecchie, le preme e le stacca… Si persuade che sente per davvero e apre la bocca dicendo:



 “Mamma! Io sento! Oh! Signore, io ti adoro!”.
La folla è presa dal solito entusiasmo e tanto più lo è perché si chiede: “E come può già saper parlare se mai udì parola da quando è nato? Un miracolo nel miracolo! Gli ha slegato la favella e aperto le orecchie e insieme lo ha istruito a parlare. Viva Gesù di Nazaret! Osanna al Santo, al Messia!”.
E si premono contro di Lui […], mentre alcuni, istruiti dalla donna della casa, si bagnano il viso o le membra con le superstiti gocce rimaste nel catino.
Gesù li vede e grida: “Per la vostra fede siate tutti guariti. Andate alle vostre case. Siate buoni, onesti. Credete nella parola del Vangelo. E tenete ciò che sapete per voi finché sia l’ora di bandirlo sulle piazze e per le vie della Terra. La mia pace sia con voi”.
Ed entra nella vasta cucina, dove splende il fuoco e tremolano le luci di due lucerne.


a cura di Claudia Vecchiarelli © Centro Editoriale Valtortiano


Cor Sanctissimum Mariae, ora pro nobis.

domenica 2 settembre 2012

La statua della Vergine esce in processione, e molti di questi ulivi si coprono inspiegabilmente di fiori.


Il Santuario della Madonna di Roverano e la sua fioritura straordinaria degli olivi

In Italia possiamo annoverare, ma sono sempre gradite eventuali ulteriori segnalazioni, tre "fioriture miracolose" che si rinnovano ogni anno da secoli. 
Curiosamente si riferiscono tutte ad eventi straordinari iniziati nel XIV secolo. 
Sembra quasi, che, con questi fenomeni, il Cielo ci voglia ammonire a non liquidare troppo facilmente, come fanno purtroppo anche molti studiosi sedicenti "cattolici", gli episodi e i racconti relativi a fatti remoti. 
Quante volte del resto ci siamo imbattuti in libri o pubblicazioni che classificano senza esitazione come "leggende" gli avvenimenti trasmessici esclusivamente per via orale? 
Certo lo storico ha il dovere di indagare con rigore ed onestà intellettuale. 
Ciò non lo autorizza tuttavia a scartare aprioristicamente ogni fenomeno di tipo soprannaturale solo perchè mancano magari relazioni scritte od atti notarili. 
La Chiesa, sul punto, si è sempre espressa con prudenza e circospezione. In molti casi però ha avallato, a volte esplicitamente, altre volte "de facto", molti miracoli antichi e tali pronunciamenti rappresentano, in fin dei conti, la guida e la garanzia più sicura per il fedele. Tornando dunque alle "fioriture miracolose" possiamo ricordare quella di Bra, di cui ci siamo già occupati in un altro articolo, e quella di Gualdo Tadino, in Umbria, legata alla straordinaria figura del Beato Angelo da Casale. 
Il 15 gennaio di ogni anno, dal 1324, tutti i cespugli di biancospino posti lungo il percorso compiuto dal corteo funebre che accompagnava alla sepoltura quell'uomo di Dio, continuano inspiegabilmente a fiorire abbondantemente mentre transita la processione con la statua del beato. 
*
Oggi tratteremo però di un santuario mariano ligure meno noto, quello della Madonna di Roverano. 
Quì a fiorire misteriosamente, ogni 7 settembre alla sera, sono alcuni ulivi che si trovano esattamente di fronte all'ingresso dell'edificio sacro. 
Al termine della S. Messa votiva, quando la statua della Vergine esce in processione, molti di questi ulivi si coprono inspiegabilmente di fiori. 
Ricordiamo che tale pianta perviene normalmente alla fioritura, a seconda dei luoghi e delle altitudini, tra i mesi di maggio e giugno. Il fenomeno si verifica dalla metà del '300 e testimonia l'autenticità di un'apparizione avvenuta in quel luogo. 

 LA STORIA 
 Il colle di Roverano si trova in provincia di La Spezia, vicino al confine fra i comuni di Borghetto Vara e Carrodano. 
L'ambiente è tutt'ora, e ovviamente ancor di più nel Medio Evo, verde, relativamente lontano dai centri abitati, votato prevalentemente alla coltura degli ulivi e alla pastorizia. 
Per raggiungere il Santuario si deve percorrere una breve strada in salita, contrassegnata da una piccola cappella, che si diparte dalla via Aurelia in località detta Termine. 
I fatti che hanno dato origine alla devozione popolare risalgono, come detto, al XIV secolo. 
La tradizione locale narra di una apparizione di Maria a due pastorelle, di cui una sordomuta, della guarigione miracolosa di costei e del ritrovamento di un quadretto votivo, raffigurante la Madonna, su un ramo d'ulivo. 
La giovane, su invito della bella Signora, si reca subito ad avvisare il parroco del vicino paese di L'Ago e il buon prete, convinto dall'evidente guarigione, raduna tosto un gruppo di fedeli e giunge rapidamente sul colle in processione. 
Provvede quindi a condurre l'icona in chiesa. 
Il dipinto però si volatilizza nottetempo dalla parrocchia per comparire, la mattina seguente, appeso al medesimo ramo d'ulivo. 
La Sacra Effige, di stile bizantineggiante, raffigura, su una tavola di cm. 70 x 80 circa, la Madre di Dio che tiene in braccio il Bambino benedicente. 
Erano i giorni 7 ed otto settembre, vigilia e festa della Natività di Maria, di un anno imprecisato che comunque le fonti più accreditate collocano fra il 1350 e il 1352. "Trattasi di racconti che seguono un clichè consolidato e diffuso" - commentano compassati i soliti dotti che la sanno lunga - "Ci troviamo evidentemente di fronte alla 'cristianizzazione' di credenze ancestrali, di origine pagana: l'uso di decorare gli alberi..., di identificarli come manifestazioni della divinità..., il mese di settembre rappresenta un periodo di riti propiziatori per la fine dei raccolti...", e via di questo passo. 
 Rispondiamo: 
E' vero che lo schema narrativo del ritrovamento di immagini, e della loro traslazione miracolosa, è presente in numerose vicende legate alla nascita di santuari mariani, specialmente nel Medio Evo. 
Solo per rimanere nella zona pensiamo alla Madonna dell'Orto di Chiavari, a quella di Montallegro presso Rapallo, a Nostra Signora dell'Agostina a Riccò del Golfo, alla Madonna del Soccorso a Vezzano Ligure.
Detto ciò però, cosa autorizza a classificare sbrigativamente questi episodi come miti, leggende o favole? 
Esistono forse documenti storici che accreditano tali posizioni? 
No. Esistono tradizioni orali che contraddicono la versione tramandataci? 
Tanto meno. 
Esistono altre fonti autorevoli di segno opposto? 
Assolutamente no. 
Ed allora? 
Di fatto esiste solo il pregiudizio anticristiano e materialista della cosiddetta cultura contemporanea. 
E dunque mi chiedo: questa è scienza od oscurantismo? 
Qualcuno forse vorrebbe insegnare a Dio il modo in cui dovrebbe manifestare la Sua potenza? 
Venendo invece a considerazioni più serie, ci permettiamo di notare come questi episodi miracolosi di traslazione si siano verificati, in maggioranza, fra il basso Medio Evo e l'età rinascimentale. 
Siamo dunque nel periodo di maggiore espansione della potenza turca che certo distrusse moltissime chiese ed almeno altrettante ne trasformò in moschee. 
I mussulmani inoltre hanno sempre fortemente combattuto le immagini sacre tant'è che i loro edifici di culto ne risultano assolutamente privi. 
Ecco allora che, laddove non riuscirono gli uomini a salvare statue e dipinti, non di rado la Divina Provvidenza venne in soccorso dei cristiani spostando in Occidente taluni di questi oggetti. 
L'esempio più eclatante resta certamente quello della S. Casa di Loreto. 

IL SANTUARIO 
Anche le vicende relative all'edificazione del tempio sono assai simili a molti altri luoghi beneficati da una speciale presenza di Maria. 
Dapprima sorge una piccola cappella costruita, per moto spontaneo, dai fedeli borghigiani. 
Col passare del tempo però la devozione, invece di svanire, si amplia sempre più. 
Ecco allora che si rendono necessari ampliamenti e la costruzione di un ricovero per i pellegrini. 
L'edificio attuale venne infine consacrato nel 1875 e la facciata completamente rinnovata negli anni '30 del XX secolo. 
Il giorno 8 settembre 1901 si procedette, fra il giubilo di tutti gli abitanti della zona, alla solenne incoronazione del simulacro col titolo di "Regina di Roverano". 
La Madre di Dio comunque, a conferma della predilezione per questo luogo, non mancò, oltre che attraverso la fioritura costante degli ulivi, di manifestarsi con la concessione di grazie straordinarie. 

Si racconta, ad esempio, che nell'inverno del 1748 il vicerè del Messico si trovasse a passare nelle vicinanze. 
Lui e la sua scorta vennero improvvisamente aggrediti da una banda di malfattori. Il nobile si rivolse dunque alla Vergine di Roverano che, secondo il suo racconto, lo trasportò immediatamente, assieme ai suoi accompagnatori, in un luogo sicuro piuttosto lontano. 

Non vorremmo inoltre dimenticare il fatto attestato, nel 1780, dal maggiordomo dell'allora Arcivescovo di Genova mons. Giovanni Lercari. 
Egli ricevette, dal parroco di L'Ago, un ramoscello fiorito proveniente da Roverano. 
L'alto prelato aveva infatti espresso il desiderio di poterne avere uno nella sua residenza. 
L'arcivescovo si trovava però, in quei giorni lontano dalla città e, quando fece ritorno, il maggiordomo si dimenticò di consegnargli la scatola. 
La medesima venne ritrovata, quasi per caso, soltanto dopo parecchi mesi e, una volta apertala, il servitore si rese conto, con stupore, che i fiori erano ancora aperti e freschi come se fossero stati appena colti.
Un ulteriore episodio è attestato in data 30 agosto 1823. 
Un gruppo di umili operai lavorava, sotto il sole caliente, alla costruzione della strada carrozzabile che conduce dall'Aurelia al Santuario. 
Al momento della pausa per il pranzo si accorsero che il vino era terminato. 
Ma, come nell'episodio evangelico delle Nozze di Cana, 
La loro Mamma Celeste si impietosì ed i cronisti ci raccontano che le pinte si riempirono repentinamente di ottimo vino. 
Gli operai poterono così ristorarsi e ringraziare la Beata Vergine per la grazia concessa. 

RICONOSCIMENTI ECCLESIASTICI 
Molte furono, come riferiscono i cronisti, anche le guarigioni ottenute per intercessione della Beata Vergine di Roverano. 
Alcune di esse, rimaste a lungo ignote per l'umiltà e la modestia dei beneficiati, sono raccontate nell'interessante volumetto, dedicato al Santuario, scritto da Gian Emanuele Cavallo nel 1990. 
L' autore, tra l'altro, ricorda anche due significativi episodi della Seconda Guerra Mondiale nei quali, secondo il popolo fedele, la celeste protezione di Maria avrebbe preservato i paesi di L'Ago e Carrodano da possibili feroci rappresaglie progettate dai tedeschi in ritirata. 
Ciò che vorremmo comunque sottolineare, al termine di questo breve articolo, è la lunga serie di riconoscimenti e benefici concessi dalla Chiesa nel corso dei secoli. 
Sono, in fin dei conti, queste le garanzie più importanti che i cattolici debbono ricercare, non certo le "benedizioni" degli storici laicisti o degli studiosi agnostici. 
 Già Pio VI infatti, il 27 agosto 1781, concedeva 200 giorni di indulgenza a chi avesse devotamente recitato in questo luogo le Litanie della Beata Vergine. Papa Gregorio XVI, nel 1845, aggiunse altre indulgenze e il suo successore, Pio IX, nel maggio 1847, dichiarò privilegiato l'altare maggiore del tempio per quei sacerdoti che vi avessero celebrato la S.Messa e per i secolari che avessero assistito devotamente ad essa. 
Si giunse quindi, come già ricordato, alla solenne incoronazione del 1901. 
Ma in questa lunga serie di riconoscimenti ufficiali uno mi sembra quanto mai adatto ai cristiani tiepidi e "conciliari" dei nostri giorni. Pio VII, il 7 luglio 1815, accordò infatti il Giubileo Perpetuo, cioè l'indulgenza plenaria a chi si fosse confessato e comunicato una volta nei giorni 7 8 e 9 settembre e avesse pregato "per la concordia sempre più salda dei Principi Cristiani, per la soppressione e distruzione completa delle eresie, e per lo sviluppo maggiormente trionfante della S. Romana Chiesa". 
Mi chiedo: in epoca di ecumenismo, libertà religiosa e "dialogo" con il mondo..., questa indulgenza può essere ancora lucrata? 
La mia risposta è ovviamente positiva ma..., allora..., per citare mons. Brunero Gherardini, forse c'è davvero un "discorso da fare". 
Marco Bongi

Per vedere alcune immagini del Santuario cliccare QUI .

AVE MARIA PURISSIMA!

Le iene non amano gigli e rose, gelsomini e canfore, cinnamomi e garofani.





XXII Domenica Tempo Ordinario: Anno B: 2 settembre 2012

Prima lettura Deuteronomio 4,1-2.6-8 /Salmo responsoriale Salmo 14

Seconda lettura Giacomo 1,17-18.21-22.27

Vangelo Marco 7,1-8.14-15.21-23 [da L’Evangelo come mi è stato rivelato, 300.6-9; 301.5-6]
[A Naim, Gesù è ospite in casa di Daniele, il giovane risuscitato. Nella stessa sono convenuti anche i notabili del paese che tempestano di domande il giovane].


“E allora perché i tuoi discepoli lo fanno?”.
La voce arrogante di un fariseo, che punto sul vivo alza il tono della stessa, richiama l’attenzione degli apostoli che sono nella stanza di fronte, separati da un corridoio largo poco più di un metro, non isolati da porte o tende pesanti. Sentendosi chiamati in causa, si alzano e vengono senza far rumore nel corridoio, in ascolto.
“In che lo fanno? Spiegati, e se la tua accusa è vera Io li avviserò di non fare più cosa contraria alla Legge”.
“In cosa lo so io, e con me molti altri. Ma Tu che risusciti i morti e ti dici più che profeta, scoprila da Te. Noi non te la diremo certo. Hai occhi, del resto, per vedere anche molte altre cose, fatte quando non si devono fare, o non fatte quando si devono fare, commesse dai tuoi discepoli. E Tu non te ne curi”.

“Vogliate indicarmene alcune”.

“Perché i tuoi discepoli trasgrediscono le tradizioni degli antichi? Oggi li abbiamo osservati. Anche oggi! Non più tardi di un’ora fa! Essi sono entrati nella loro sala per mangiare e non si sono purificate, avanti, le mani!”. Se i farisei avessero detto: “e prima hanno sgozzato dei cittadini”, non avrebbero avuto un tono simile di profondo orrore.
“Li avete osservati, sì. Ci sono tante cose da vedere. E belle, e buone. Cose che fanno benedire il Signore di averci dato la vita perché avessimo modo di vederle e perché ha creato o permesso quelle cose. Eppure voi non le osservate. E con voi molti altri. Ma perdete tempo e pace coll’inseguire le cose non buone.

Sembrate sciacalli, meglio, iene correnti sulla scia di un fetore, trascurando le ondate di profumi che vengono nel vento da giardini pieni di aromi. Le iene non amano gigli e rose, gelsomini e canfore, cinnamomi e garofani. Per loro sono sgradevoli odori. Ma il lezzo di un corpo putrefacente in fondo ad un burrone, o su una carraia, sepolto sotto i rovi dove l’ha gettato l’assassino, o gettato dalla tempesta sulla spiaggia deserta, gonfio, violaceo, crepato, orrendo, oh! quello è profumo gradevole alle iene! 
E fiutano il vento della sera, che condensa e trasporta con sé tutti gli odori che il sole ha distillato dalle cose che ha scaldato, per sentire questo vago, invitante odore, e scopertolo, e afferratane la direzione, eccole partire di corsa, col muso all’aria, i denti già scoperti nel fremito delle mascelle simile ad un isterico riso, per andare là dove è putrefazione. 
E, sia cadavere d’uomo o di quadrupede, o di biscia spezzata dal contadino, o di faina uccisa dalla massaia, fosse anche un semplice topo, oh! ecco che piace, piace, piace! E in quel fetore ribollente si affondano le zanne, e si pasteggia, e ci si lecca le labbra…

Degli uomini si santificano giorno per giorno? Non è cosa che interessi! Ma se uno solo fa del male, o in più d’uno lasciano, non un comando divino, ma una pratica umana — chiamatela pure tradizione, precetto, come volete, è sempre cosa umana — ecco che allora si va, si nota. Si va anche dietro a un sospetto… tanto per godere, vedendo che il sospetto è realtà.

Ma allora, rispondete, rispondete voi che siete venuti non per amore, non per fede, non per onestà, ma per malvagio scopo, rispondete: perché voi trasgredite il comando di Dio per una vostra tradizione? Non vorrete già dirmi che una tradizione è da più di un comandamento? 
Eppure Dio ha detto: “Onora il padre e la madre, e chi maledirà il padre e la madre è reo di morte”! E voi invece dite: “Chiunque abbia detto al padre e alla madre: ‘Quello che dovresti avere da me è corban’, non è più obbligato ad usarlo per padre e madre”. Dunque voi con la vostra tradizione avete annullato il comando di Dio.
Ipocriti! Ben disse di voi Isaia profetando: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da Me, perciò mi onorano invano insegnando dottrine e comandamenti d’uomo”.
Voi, mentre trascurate i precetti di Dio, state alle tradizioni degli uomini, alle lavature di anfore e calici, di piatti e di mani e simili altre cose. Mentre giustificate l’ingratitudine e l’avarizia di un figlio coll’offrirgli la scappatoia dell’offerta di sacrificio per non dare un pane a chi lo ha generato ed ha bisogno di aiuto, ed egli ha l’obbligo di onorarlo perché gli è genitore, avete scandalo perché uno non si lava le mani. 
Voi alterate e violate la parola di Dio per ubbidire a parole da voi fatte e da voi elevate a precetto. Voi vi proclamate perciò più giusti di Dio. Voi vi arrogate diritto di legislatori mentre Dio solo è Legislatore nel suo popolo. Voi…”.
E continuerebbe, ma il gruppo nemico esce, sotto la grandine delle accuse, urtando gli apostoli e quanti erano nella casa, ospiti o aiutanti della padrona, e che si erano raccolti nel corridoio, attirati dallo squillo della voce di Gesù.

Gesù, che si era alzato in piedi, si torna a sedere, facendo cenno ai presenti di entrare tutti dove Egli è, e dice loro: “Ascoltatemi tutti e intendete questa verità. Non vi è nulla fuori dell’uomo che entrando in esso possa contaminarlo. Ma quello che esce dall’uomo, questo è quello che contamina. Chi ha orecchie da intendere intenda e usi ragione per comprendere e volontà per attuare. E ora andiamo. Voi di Naim perseverate nel bene e sia sempre con voi la mia pace”.

[Gesù, allontanatosi da Naim, è di nuovo solo con gli apostoli che lo interrogano sul significato di una parabola]
“Questo che dici ora si riattacca con quanto hai detto in casa di Daniele, non è vero? Che non è ciò che entra nell’uomo ciò che contamina, ma ciò che da lui esce”, chiede pensoso Simone lo Zelote.
“Sì”, dice brevemente Gesù.

Pietro, dopo un silenzio, perché la serietà di Gesù congela anche i caratteri più esuberanti, chiede: “Maestro, io, e non io solo, non ho capito bene la parabola. Spiegacela un poco. Come è che ciò che entra non contamina e ciò che esce contamina? Io, se prendo un’anfora monda e vi metto acqua sporca, la contamino. Perciò, ciò che entra nell’anfora contamina la stessa. Ma, se da un’anfora colma di acqua pura io verso al suolo dell’acqua, non contamino l’anfora, perché dall’anfora esce acqua pura. E allora?”.

E Gesù: “Noi non siamo anfore, Simone. Non siamo anfore, amici. E non è tutto puro nell’uomo! Ma ora anche voi siete senza intelletto? Riflettete al caso che i farisei portavano a vostra accusa. Voi, dicevano, vi contaminavate perché portavate cibo alla bocca con mani polverose, sudate, impure insomma.

Ma quel cibo dove andava? Dalla bocca allo stomaco, da questo al ventre, dal ventre alla cloaca. Ma può dunque portare impurità a tutto il corpo e a ciò che nel corpo è contenuto, se passa solo dal canale a ciò destinato, compiendo il suo uffizio di nutrire la carne, questa sola, e finendo, come è giusto che finisca, in una fogna? Non è questo che contamina l’uomo! Quello che contamina l’uomo è ciò che è suo, unicamente suo, generato e partorito dal suo io.

Ossia ciò che egli ha nel cuore e dal cuore sale alle labbra e alla testa e corrompe il pensiero e la parola e contamina tutto l’uomo. È dal cuore che vengono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adulteri, le fornicazioni, i furti, le false testimonianze e le bestemmie. È dal cuore che vengono le avarizie, le libidini, le superbie, le invidie, le ire, gli appetiti smodati, gli ozi peccaminosi.

È dal cuore che vengono i fomiti a tutte le azioni. E se il cuore è malvagio saranno malvagie come il cuore. Tutte le azioni: dalle idolatrie alle mormorazioni insincere… Tutte queste cose malvagie, che procedono dall’interno all’esterno, contaminano l’uomo, non il mangiare senza lavarsi le mani. La scienza di Dio non è cosa terra a terra, fanghiglia che ogni piede calpesta. Ma è sublime cosa che vive nelle plaghe delle stelle e di là scende con raggi di luce ad informare di sé i giusti. Non vogliate, voi almeno, strapparla dai cieli per avvilirla nel fango… Andate al riposo, ora. Io esco a pregare”.



a cura di Claudia Vecchiarelli © Centro Editoriale Valtortiano


AVE MARIA! 
COR NOBILISSIMUM, 
ORA PRO NOBIS.

lunedì 16 luglio 2012

L' "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta



"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta



Domenica 22 Luglio 2012, XVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno B


Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 6,30-34.
Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato.
Ed egli disse loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò». Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare.
Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.
Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero.
Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Traduzione liturgica della Bibbia



Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 271 pagina 319.
1È notte fatta quando Gesù torna a casa. Entra senza rumore nell’orto, si affaccia un attimo alla cucina buia. La vede vuota. Si affaccia alle due stanze dove sono le stuoie e i letti. Vuote esse pure. Solo le vesti mutate, ammucchiate per terra, dicono che gli apostoli hanno fatto ritorno. La casa sembra disabitata tanto è silenziosa.
Gesù, facendo meno rumore di un’ombra, sale la scaletta, candore nel candore della luna piena, e giunge sulla terrazza. La percorre. Pare uno spettro che si muova senza rumore. Un luminoso spettro. Nell’incandescenza bianca della luna pare affinarsi, alzarsi più ancora. Alza con la mano la tenda che è alla porta della stanza alta. Essa era rimasta calata da quando i discepoli di Giovanni vi erano entrati con Gesù. Dentro, seduti qua e là, a gruppi, o soli, sono gli apostoli coi discepoli di Giovanni e Mannaen, e, addormentato col capo sui ginocchi di Pietro, è Marziam. La luna si incarica di illuminare la stanza entrando coi suoi fiotti fosforici dalle finestre aperte. Nessuno parla. E nessuno, tolto il bambino seduto per terra su una stuoia, dorme.

2Gesù entra piano e il primo che lo vede è Tommaso. «Oh! Maestro!» dice facendo un sobbalzo.
Gli altri si scuotono tutti. Pietro, nel suo impeto, fa per alzarsi di scatto, ma si sovviene del bambino e lo fa dolcemente, adagiando il capo bruno di Marziam sul suo sedile, di modo che giunge da Gesù per ultimo, mentre il Maestro, con voce stanca di chi ha molto sofferto, risponde a Giovanni, Giacomo e Andrea che gli dicono il loro dolore: «Lo comprendo. Ma solo chi non crede ha da sentirsi desolato di una morte. Non noi che sappiamo e crediamo. Giovanni non ci è più separato. Lo era prima. Prima ci separava, anzi. O con Me, o con lui. Ora non più. Dove è lui Io sono. Presso a Me lui è».
Pietro insinua la sua testa brizzolata fra le teste giovanili e Gesù lo vede: «Anche tu hai pianto, Simone di Giona?»; e Pietro con voce più rauca del solito: «Sì, Signore. Perché anche io ero stato di Giovanni… E poi… e poi… E pensare che il venerdì scorso io mi rammaricavo che la presenza dei farisei ci avesse ad amareggiare il sabato! Questo sì che è un sabato d’amarezza! Avevo portato il bambino… per avere un sabato anche più bello… Invece…».
«Non ti accasciare, Simone di Giona. Giovanni non è perduto. Lo dico anche a te. E in cambio abbiamo tre discepoli ben formati. Dove è il bambino?».
«Là, Maestro. Dorme…».
«Lascialo dormire» dice Gesù curvandosi sulla testolina bruna che dorme tranquilla. E poi chiede ancora: «Avete cenato?».
«No, Maestro. Ti aspettavamo ed eravamo in pensiero, ormai, per il ritardo, non sapendo dove cercarti… e parendoci di avere perduto anche Te».
«Abbiamo ancora tempo da stare insieme. Su, preparate la cena, perché dopo ce ne andremo altrove. Ho bisogno di isolarmi fra amici, e domani, qui stando, saremmo sempre circondati di persone».
«E io ti giuro che non li sopporterei, specie quelle serpentesse delle anime farisee. E sarebbe un brutto fatto se sfuggisse loro anche un sorriso a nostro riguardo, nella sinagoga».
«Buono, Simone!… Ma Io ho calcolato anche questo. Perciò sono tornato a prendervi con Me».
Alla luce delle lucernette accese ai due lati della tavola, si vedono meglio le alterazioni dei loro visi. Solo Gesù è di una maestà solenne, e Marziam sorride nel sonno.
«Il bambino ha mangiato prima» spiega Simone.
«È meglio lasciarlo dormire, allora» dice Gesù.
E in mezzo ai suoi offre e distribuisce il parco cibo che viene mangiato senza volontà. E presto la cena è finita.

3«Ditemi ora che avete fatto…» incoraggia Gesù.
«Io sono stato con Filippo nelle campagne di Betsaida e abbiamo evangelizzato e curato un bambino malato» dice Pietro.
«Veramente è stato Simone che lo ha guarito» dice Filippo, che non vuole prendersi una gloria non sua.
«Oh! Signore! Non so come ho fatto. Ho pregato molto, con tutto il cuore, perché mi faceva pietà il malatino. Poi l’ho unto con l’olio e l’ho soffregato con le mie mani rozze… ed è guarito. Quando l’ho visto colorirsi in viso e aprire gli occhi, rivevere insomma, ho avuto quasi paura».
Gesù gli posa la mano sul capo, senza parlare.
«Giovanni ha stupito molto per aver cacciato un demonio. Ma a parlare è toccato a me» dice Tommaso.
«Anche tuo fratello Giuda lo ha fatto» dice Matteo.
«Allora anche Andrea» dice Giacomo d’Alfeo.
«Invece Simone Zelote ha guarito un lebbroso. Oh! non ha avuto paura di toccarlo! E mi ha detto poi: “Ma non temere. A noi non si apprende nessun male fisico per volontà di Dio”» dice Bartolomeo.
«Hai detto bene, Simone. E voi due?» chiede Gesù a Giacomo di Zebedeo e all’Iscariota, che stanno un poco lontani, il primo parlando con i tre discepoli di Giovanni, il secondo solo e immusonito.
«Oh! Io non ho fatto nulla» dice Giacomo. «Ma Giuda ha fatto tre miracoli potenti: un cieco, un paralitico, un indemoniato. A me pareva un lunatico. Ma la gente diceva così…».
«E te ne stai con quel viso se Dio ti ha tanto aiutato?» chiede Pietro.
«So essere umile anche io» risponde l’Iscariota.
«E poi siamo stati ospitati da un fariseo. Io mi ci trovavo a disagio. Ma Giuda sa fare meglio e lo ha ammansito. Il primo giorno era sostenuto, ma poi… Vero, Giuda?».
Giuda assente senza parlare.
«Molto bene. E farete sempre meglio. La prossima settimana staremo insieme. Intanto… Simone, vai a preparare le barche. Anche tu, Giacomo».
«Per tutti, Maestro? Non vi staremo».
«Non puoi averne un’altra?».
«Chiedendola a mio cognato, sì. Vado».
«Va’. E appena fatto torna. E non dare molte spiegazioni».
I quattro pescatori partono. Gli altri scendono a prendere sacchi e mantelli.

4Resta Mannaen con Gesù. Il bambino continua a dormire.
«Maestro, vai lontano?».
«Non so ancora… Essi sono stanchi e addolorati. Io pure. Conto di andare a Tarichea, nelle campagne, per isolarci in pace…».
«Io ho il cavallo, Maestro. Ma, se permetti, vengo seguendo il lago. Vi starai molto?».
«Forse tutta la settimana e non oltre».
«Allora verrò. Maestro, benedicimi in questo primo commiato. E levami un peso dal cuore».
«Quale, Mannaen?».
«Ho il rimorso di avere lasciato Giovanni. Forse se c’ero…»
«No. Era la sua ora. Ed egli certo è stato contento di vederti venire a Me. Non avere questo peso. Cerca anzi di liberarti presto e bene dell’unico peso che hai: il gusto di essere uomo. Divieni spirito, Mannaen. Lo puoi. C’è in te la capacità di esserlo. Addio, Mannaen. La mia pace sia con te. Presto ci rivedremo in Giudea».
Mannaen si inginocchia e Gesù lo benedice. Poi lo alza e lo bacia. Rientrano gli altri e si salutano fra di loro, sia gli apostoli che i discepoli di Giovanni. Vengono per ultimi i pescatori.
«È fatto, Maestro. Possiamo andare».
«Va bene. Salutate Mannaen che resta qui fino al tramonto di domani. Raccogliete le cibarie, prendete l’acqua e andiamo. Fate poco rumore».
Pietro si curva a svegliare Marziam.
«No, lascia. Potrebbe piangere. Lo prendo in braccio Io» dice Gesù e dolcemente solleva il bambino, che mugola un poco ma si accomoda istintivamente fra le braccia di Gesù.

5Spengono le lampade. Escono. Chiudono la porta. Scendono. Sulla soglia dell’orto salutano nuovamente Mannaen e poi, in fila, per la via piena di luna vanno al lago: un enorme specchio d’argento sotto la luna allo zenit. Tre gocce rosse sullo specchio quieto sembrano i tre fanaletti delle prore già immersi nell’acqua. Salgono distribuendosi per le barche, ultimi salgono i pescatori. Pietro e un garzone dove è Gesù, Giovanni e Andrea nell’altra, Giacomo e un garzone nella terza.
«Dove, Maestro?» chiede Pietro.
«A Tarichea. Dove sbarcammo dopo il miracolo dei geraseni. Ora non ci sarà pantano. E vi sarà quiete».
Pietro prende il largo e gli altri, con le barche, dietro, una scia nell’altra. Nessuno parla. Soltanto quando sono al largo e Cafarnao svanisce nel chiarore di luna che uniforma tutto col suo pulviscolo d’argento, Pietro, quasi parlasse alla barra del timone, dice: «E ci ho gusto. Domani ci cercheranno, vecchia mia, e grazie a te non ci troveranno».
«A chi parli, Simone?» chiede Bartolomeo.
«Alla barca. Non sai che per i pescatori è come una sposa? Quanto ho parlato con lei! Più che con Porfirea. Maestro!… È ben coperto il bambino? C’è guazza sul lago di notte…».
«Sì. Senti, Simone. Vieni qui. Ti devo parlare…».
Pietro affida la barra del timone al mozzo e viene da Gesù.
«Ho detto Tarichea. Ma basterà esserci dopo il sabato per salutare di nuovo Mannaen. Non potresti trovare un luogo lì vicino dove stare in pace?».
«Oh! Maestro! In pace noi o anche le barche? Per quelle ci vuole Tarichea oppure i porti dell’altra sponda. Ma se è per noi, basta che Tu ti inselvi al di là del Giordano, che solo le bestie ti scoveranno… e forse qualche pescatore che sorveglia le tese dei pesci. Potremmo lasciare le barche a Tarichea. Vi giungeremo all’alba e noi fileremo svelti oltre il guado. Si passa bene di questi tempi».
«Va bene. Faremo così…»
«Fa schifo anche a Te il mondo, eh? Preferisci i pesci e le zanzare, eh? Hai ragione».
«Non ho schifo. Non bisogna averlo. Ma voglio evitare che voi facciate degli scandali e voglio consolarmi in voi in queste ore del sabato».
«Maestro mio!…». Pietro lo bacia sulla fronte e se ne va asciugandosi un lacrimone, che vuole proprio rotolare fuori e scendere verso la barba.
Torna al suo timone e punta a sud, fermamente, mentre la luce lunare decresce nel tramonto del pianeta che si abbassa oltre un colle, levando il suo faccione dalla vista degli uomini, ma lasciando ancora il cielo bianco della sua luce, e d’argento il lago nella spiaggia di oriente. Il resto è indaco cupo che appena si distingue al lume del fanale di prora.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

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