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venerdì 10 gennaio 2014

LE PIAGHE LITURGICHE. I sei principi della riforma liturgica. Le cinque piaghe del Corpo mistico di Cristo liturgico

Mons. Athanasius Schneider - Le Piaghe Liturgiche

Mons. Athanasius Schneider
  L’articolo che segue, di Mons. Athanasius Schneider, il vescovo autore di “Dominus est“, è stato pubblicato sull’edizione dell’estate 2012 di “The Latin Mass“. 

Il vescovo Schneider esamina i punti di rottura tra la liturgia preconciliare e postconciliare considerandoli vere e proprie “piaghe liturgiche”, anche perché, per la maggior parte, non sono nemmeno previste dalla Sacrosanctum Concilium. Propone anche il ristabilimento di un minimo di continuità, che considera condizione imprescindibile per la nuova evangelizzazione, vista la corrispondenza tra lex orandi e lex credendi.




Volgendo lo sguardo verso Cristo

Per parlare correttamente di nuova evangelizzazione, è necessario in primo luogo  volgere lo sguardo verso Colui che è il vero evangelizzatore, cioè Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, il Verbo di Dio fatto Uomo. Il Figlio di Dio venne su questa terra per espiare e riparare il più grande peccato, il peccato per eccellenza. E questo peccato, il peccato per eccellenza dell’umanità, consiste nel rifiuto di adorare Dio e nel rifiuto di mantenere per lui il primo posto, il posto d’onore. 

Questo peccato da parte dell’uomo consiste nel non prestare attenzione a Dio, non avendo più il senso della convenienza delle cose, o anche il senso dei dettagli relativi a Dio e dell’adorazione che gli è dovuta, nel non voler vedere Dio, e nel non volere inginocchiarsi davanti a Dio.

Per chi ha un tale atteggiamento, l’incarnazione di Dio è una fonte di imbarazzo e di conseguenza anche la presenza reale di Dio nel mistero eucaristico è motivo di imbarazzo, come lo è la centralità della presenza eucaristica di Dio nelle nostre chiese. Infatti l’uomo peccatore vuole il centro della scena per se stesso, sia all’interno della Chiesa che durante la celebrazione eucaristica. Vuole essere visto, per farsi notare.

Per questo motivo Gesù Eucaristia, Dio incarnato, presente nel tabernacolo sotto la forma eucaristica, viene messo da parte. Anche la rappresentazione del Crocifisso sulla croce in mezzo all’altare durante la celebrazione verso il popolo è un imbarazzo, perché potrebbe nascondere il volto del sacerdote. Pertanto, l’immagine del Crocifisso al centro dell’altare, così come Gesù Eucaristia nel tabernacolo nel centro dell’altare, è un imbarazzo. 
Di conseguenza, la croce e il tabernacolo sono spostati a lato. Durante la messa, l’assemblea deve essere in grado di vedere il volto del sacerdote in ogni momento, e lui si diverte a mettersi letteralmente al centro della casa di Dio… E se per caso Gesù, realmente presente a noi nella Santissima Eucaristia, è ancora lasciato nel suo tabernacolo al centro dell’altare perché il Ministero di monumenti storici, anche in un regime ateo, ha proibito il suo spostamento per la conservazione del patrimonio artistico, il prete, spesso, durante tutta la celebrazione eucaristica, non si fa scrupolo di voltargli le spalle.


Quante volte gli adoratori di Cristo buoni e fedeli, piangendo, hanno gridato, nella loro semplicità e umiltà: "Dio ti benedica, Ministero dei monumenti storici! Almeno ci hanno lasciato Gesù al centro della nostra chiesa ".




La Messa è destinata  a dare gloria a Dio, non agli uomini

Solo sulla base dell’adorazione e della glorificazione di Dio la Chiesa può adeguatamente proclamare la parola di verità, vale a dire evangelizzare. 

Prima che il mondo abbia mai sentito Gesù, il Verbo eterno fatto carne, predicare e annunciare il Regno, Egli ha adorato in silenzio per trenta anni. 
Questa rimane sempre la legge per la vita della Chiesa e la sua azione, nonché per tutti gli evangelizzatori. “Dal modo in cui viene trattata la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa”, ha detto il cardinale Ratzinger, il nostro attuale Santo Padre Benedetto XVI. Il Concilio Vaticano II ha voluto ricordare alla Chiesa quale realtà e quali azioni sarebbero dovute essere al primo posto nella sua vita.


Per questa ragione la prima parte degli atti del Concilio è stata dedicata alla liturgia. Il Concilio ci dà i seguenti principi: nella Chiesa, e quindi nella liturgia, l’uomo deve essere orientato verso il divino ed essere subordinato ad esso, allo stesso modo il visibile in relazione all’invisibile, l’azione in relazione alla contemplazione, la città presente in relazione a quella futura, a cui aspiriamo (vedi Sacrosanctum Concilium, 2). Secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II la nostra liturgia terrena partecipa in anticipo alla liturgia celeste della città santa di Gerusalemme (ibid., 2).

Tutto ciò che riguarda la liturgia della Santa Messa, vale a dire le preghiere di adorazione, di ringraziamento, di espiazione e di petizione che il sommo ed eterno Sacerdote ha presentato al Padre, deve quindi servire a esprimere chiaramente la realtà del sacrificio di Cristo.



La forma straordinaria e la nuova evangelizzazione

Il rito e ogni dettaglio del Santo Sacrificio della Messa deve incentrarsi sulla glorificazione e adorazione di Dio, insistendo sulla centralità della presenza di Cristo, sia nel segno e la rappresentazione del Crocifisso, sia nella sua presenza eucaristica nel tabernacolo, e in particolare al momento della Consacrazione e della Santa Comunione. 
Più questo è rispettato, meno l’uomo è protagonista nella celebrazione, e tanto meno la celebrazione appare come un cerchio chiuso in se stesso; piuttosto [è un cerchio] aperto a Cristo e avanza verso di lui come in un corteo, con il sacerdote alla sua testa; come una processione liturgica ha il pregio di rispecchiare il sacrificio di adorazione di Cristo crocifisso; i frutti derivanti dalla glorificazione di Dio e ricevuti nelle anime dei presenti saranno più ricchi; Dio li gradirà e onorerà di più.


Quanto più il sacerdote e i fedeli, nelle celebrazioni eucaristiche, cercano sinceramente la gloria di Dio piuttosto che quella degli uomini e non cercano di ricevere la gloria gli uni dagli altri, più Dio li considererà, concedendo che le loro anime possano partecipare più intensamente e con frutto alla gloria e all’onore della sua vita divina.


Oggi, in vari luoghi della terra, ci sono molte celebrazioni della Santa Messa che, si potrebbe dire, rappresentano un inversione del Salmo 113:9: “Non a te, o Signore, ma al nostro nome dà gloria” [chissà che cosa ne direbbe il Card. Siri! n. d. t.]. A tali celebrazioni si riferiscono le parole di Gesù: “Come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?” (Gv 5:44).


I sei principi della riforma liturgica


Il Concilio Vaticano II stabilì i seguenti principi in merito a una riforma liturgica:

1. Durante la celebrazione liturgica, l’umano, il temporale, e l’azione devono essere diretti verso il divino, l’eterno, e la contemplazione, il ruolo dei primi deve essere subordinato a questi ultimi (Sacrosanctum Concilium, 2).

2. Durante la celebrazione liturgica, dovrà essere incoraggiata la consapevolezza che la liturgia terrena partecipa alla liturgia celeste (Sacrosanctum Concilium, 8).

3. Non ci deve essere assolutamente alcuna innovazione; quindi nessuna nuova creazione dei riti liturgici, in particolare nel rito della Messa, se non per un guadagno vero e certo per la Chiesa, e a condizione che tutto sia fatto con prudenza e, se ciò è garantito, che nuove forme sostituiscano organicamente quelle esistenti (Sacrosanctum Concilium, 23).

4. Il rito della Messa deve essere tale che il sacro sia affrontato in modo più esplicito (Sacrosanctum Concilium, 21).

5. Il latino deve essere conservato nella liturgia, soprattutto alla Santa Messa (Sacrosanctum Concilium, 36 e 54).

6. Il canto gregoriano ha un posto d’onore nella liturgia (Sacrosanctum Concilium, 116).


I Padri conciliari hanno visto le loro proposte di riforma come la continuazione della riforma di san Pio X (Sacrosanctum Concilium 112 e 117) e del Venerabile Pio XII, anzi, nella Costituzione liturgica, l’Enciclica Mediator Dei di Pio XII è quella citata più spesso.

Tra le altre cose, il Papa Pio XII ha lasciato alla Chiesa un importante principio della dottrina riguardante la Santa Liturgia, vale a dire la condanna di quello che viene chiamato archeologismo liturgico, le cui proposte sono in gran parte sovrapponibili a quelle del sinodo giansenista e tendente al protestantesimo di Pistoia (vedi Mediator Dei, 63-64).




È un dato di fatto che richiamino alla mente il pensiero teologico di Martin Lutero.

Per questa ragione, il Concilio di Trento aveva già condannato le idee liturgiche protestanti, in particolare l’enfasi esagerata sulla nozione di banchetto nella celebrazione eucaristica a scapito del suo carattere sacrificale e la soppressione di segni univoci di sacralità come espressione del mistero della liturgia (Concilio di Trento, sessione 22).


Le dichiarazioni dottrinali del Magistero sulla liturgia, in questo caso quelle del Concilio di Trento e dell’ enciclica Mediator Dei e che si riflettono in una prassi liturgica secolare, o addirittura millenaria, queste dichiarazioni, dico, formano una parte di quell’elemento della Santa Tradizione che non si può abbandonare senza incorrere in gravi danni spirituali. Il Vaticano II ha confermato queste dichiarazioni dottrinali sulla liturgia, come si può vedere leggendo i principi generali del culto divino nella Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium.


Come esempio di errore nel pensiero e nella prassi liturgica, Papa Pio XII cita la proposta di dare all’altare la forma di un tavolo (Mediator Dei 62).

Se già Papa Pio XII rifiutò l’altare a forma di tavolo , si può immaginare quanto più egli avrebbe rifiutato la proposta per una celebrazione attorno a un tavolo versus populum!

Quando la Sacrosanctum Concilium (n. 2) insegna che, nella liturgia, la contemplazione ha la priorità e che tutta la celebrazione deve essere orientata ai misteri celesti (ibid. 2 e 8), riecheggia fedelmente la seguente dichiarazione del Concilio di Trento: 

E perché la natura umana è tale, che non facilmente viene tratta alla meditazione delle cose divine senza piccoli accorgimenti esteriori, per questa ragione la chiesa, pia madre, ha stabilito alcuni riti, che cioè, qualche tratto nella messa, sia pronunziato a voce bassa, qualche altro a voce più alta. Ha stabilito, similmente, delle cerimonie, come le benedizioni mistiche; usa i lumi, gli incensi, le vesti e molti altri elementi trasmessi dall’insegnamento e dalla tradizione apostolica, con cui venga messa in evidenza la maestà di un sacrificio così grande, e le menti dei fedeli siano attratte da questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle altissime cose, che sono nascoste in questo sacrificio.“(Sessione 25, capitolo 5).


Gli insegnamenti magisteriali della Chiesa citati sopra, in particolare la Mediator Dei, erano certamente riconosciuti come pienamente validi dai Padri del Concilio. Pertanto essi devono continuare ad essere pienamente validi per tutti i figli della Chiesa anche oggi.


Le cinque piaghe del Corpo mistico di Cristo liturgico

Nella lettera a tutti i vescovi della Chiesa cattolica che Benedetto XVI ha inviato il 7 luglio 2007 con il Motu Proprio Summorum Pontificum, il Papa ha fatto la seguente importante dichiarazione:Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni precedenti era sacro, resta sacro e grande anche per noi. Nel dire questo, il Papa ha espresso il principio fondamentale della liturgia che hanno insegnato il Concilio di Trento, Papa Pio XII e il Concilio Vaticano II.

Guardando senza pregiudizi e obiettivamente la prassi liturgica della stragrande maggioranza delle chiese di tutto il mondo cattolico in cui viene utilizzata la forma ordinaria del rito romano, nessuno può onestamente negare che i sei principi liturgici del Vaticano II siano costantemente violati, o quasi, nonostante l’affermazione erronea che questa sia la prassi liturgica voluta dal Vaticano II. Ci sono un certo numero di aspetti concreti della prassi liturgica attualmente prevalente nel rito ordinario che rappresentano una rottura vera e propria rispetto ad una pratica liturgica costante e millenaria. 

Con questo intendo le cinque pratiche liturgiche che citerò a breve, che possono essere definite le cinque piaghe del corpo mistico liturgico di Cristo. Si tratta di ferite, perché costituiscono una rottura violenta con il passato in quanto minimizzano il carattere sacrificale (che in realtà è il carattere centrale ed essenziale della Messa) e propongono l’idea del banchetto. Tutto questo riduce i segni esteriori di adorazione divina, perché mette in evidenza in misura molto minore la dimensione celeste ed eterna del mistero.





Ora le cinque ferite (tranne per le nuove preghiere dell’Offertorio) sono quelli che non sono previsti nella forma ordinaria del rito della Messa, ma sono stati portati in esso attraverso la pratica di una moda deplorevole.

A) La prima e più ovvia ferita è la celebrazione del Sacrificio della Messa in cui il sacerdote celebra con la faccia rivolta verso i fedeli, soprattutto durante la preghiera eucaristica e la consacrazione, il momento più alto e più sacro del culto che è dovuto a Dio. Questa forma esteriore corrisponde, per sua stessa natura, più che altro al modo in cui si insegna in una classe o si condivide un pasto. Siamo in un circolo chiuso. E questa forma assolutamente non è conforme al momento della preghiera, meno ancora a quella di adorazione. Eppure il Vaticano II non ha voluto affatto questa forma, né la stessa è mai stata raccomandata dal Magistero dei Papi dopo il Concilio.

Papa Benedetto XVI ha scritto nella prefazione al primo volume delle sue opere raccolte: 
L’idea che il sacerdote e il popolo in preghiera devono guardarsi l’un l’altro reciprocamente è nata solo in età moderna ed è completamente estranea al cristianesimo antico. Infatti, il sacerdote e il popolo non affrontano la loro preghiera gli uni verso gli altri, ma insieme la rivolgono all’unico Signore. Per questo motivo, nella preghiera, guardano nella stessa direzione: o verso Oriente come simbolo cosmico del ritorno del Signore, o, dove questo non fosse possibile, verso una immagine di Cristo nell’abside, verso una croce, o semplicemente verso l’alto“.

La forma di celebrazione in cui tutti volgono il loro sguardo nella stessa direzione (Conversi ad orientem, ad Crucem, ad Dominum) è anche menzionata nelle rubriche del nuovo rito della Messa (cfr. Ordo Missae, 25, 133, 134). La cosiddetta celebrazione versus populum non corrisponde certo all’idea della Santa Liturgia come indicato nella dichiarazione della Sacrosanctum Concilium, 2 e 8.


B) La seconda ferita è la comunione nella mano, che ora è diffusa in quasi tutto il mondo. Non solo questo modo di ricevere la comunione non è in alcun modo menzionato dai Padri del Concilio Vaticano II, ma è stato in realtà introdotto da un certo numero di vescovi in disobbedienza alla Santa Sede e nonostante il voto a maggioranza negativo dai vescovi nel 1968. Papa Paolo VI la legittimò solo più tardi, a malincuore, e in particolari condizioni.

Papa Benedetto XVI, dal Corpus Christi 2008, distribuisce la Comunione ai fedeli in ginocchio e sulla lingua, sia a Roma che in tutte le chiese locali che visita. E così sta mostrando a tutta la Chiesa un chiaro esempio di Magistero pratico in una questione liturgica. Poiché la maggioranza qualificata dei vescovi rifiutò la Comunione nella mano come qualcosa di nocivo tre anni dopo il Concilio, tanto più lo avrebbero fatto i Padri conciliari!

C) La ferita è rappresentata dalle nuove preghiere di Offertorio. Si tratta di una creazione del tutto nuova e non erano mai state utilizzate nella Chiesa. Esse non esprimono tanto il mistero del sacrificio della Croce quanto l’evento di un banchetto e in tal modo ricordano le preghiere del pasto del sabato ebraico. Nella tradizione più che millenaria della Chiesa, in Oriente e in Occidente, le preghiere Offertorio sono sempre stati espressamente orientate al mistero del sacrificio della Croce (cfr. ad esempio Paul Tirot, Histoire des Prières d’Offertoire dans la liturgie romaine du VIIème XVIème au siècle [Roma, 1985]). 
Non vi è dubbio che una tale creazione, assolutamente nuova contraddice la chiara formulazione del Concilio Vaticano II che afferma: “novità ne fiant. . . novae formae ex Formis iam exstantibus organice crescant “(Sacrosanctum Concilium, 23).

D) La quarta ferita è la totale scomparsa del latino nella stragrande maggioranza delle celebrazioni eucaristiche nella forma ordinaria in tutti i paesi cattolici. Si tratta di una infrazione diretta contro le decisioni del Concilio Vaticano II.

E) La quinta ferita è l’esercizio da parte delle donne dei servizi liturgici di lettore e di accolito, come pure l’esercizio di questi stessi servizi in abiti laici, quando, durante la Santa Messa entrano nel coro direttamente dallo spazio riservato ai fedeli. 
Questa usanza non è mai esistita nella Chiesa, o almeno non è mai stata la benvenuta. Essa conferisce alla celebrazione della Messa cattolica il carattere esterno di informalità, il carattere e lo stile di un gruppo piuttosto profano. Il Concilio di Nicea, già nel 787, proibiva tali pratiche quando ha stabilito il canone seguente: Se qualcuno non è ordinato, non è consentito per lui  fare la lettura dall’ambone durante la santa liturgia (can. 14 ). Questa norma è stata costantemente seguita nella Chiesa. 
Solo i suddiaconi e i lettori sono stati autorizzati a fare la lettura durante la liturgia della Messa. 
Se lettori e accoliti non sono presenti, uomini o ragazzi con i paramenti liturgici possono farlo, non le donne, dal momento che il sesso maschile rappresenta simbolicamente l’ultimo anello di ordini minori dal punto di vista dell’ordinazione non sacramentale di lettori e accoliti.

I testi del Vaticano II non parlano della soppressione degli ordini minori né del suddiaconato o dell’introduzione di nuovi ministeri. Nella Sacrosanctum Concilium, al n. 28, il Concilio distingue il ministro dal fedele durante la celebrazione liturgica, e stabilisce che ciascuno può fare solo ciò che gli compete per la natura della liturgia. Il numero 29 menziona i ministrantes, cioè i chierichetti che non sono stati ordinati. In contrasto con loro, ci sono, in linea con i termini giuridici in uso in quel tempo, i Ministri, vale a dire coloro che hanno ricevuto un ordine, sia esso maggiore o minore.



Il Motu Proprio: Come porre fine alla rottura nella Liturgia


Nel Motu Proprio Summorum Pontificum, Papa Benedetto XVI stabilisce che le due forme del rito romano devono essere considerate e trattate con lo stesso rispetto, perché la Chiesa rimane la stessa prima e dopo il Concilio. Nella lettera di accompagnamento del Motu Proprio, il Papa vuole  che le due forme si arricchiscano reciprocamente.
Inoltre egli auspica che la nuova forma “sia in grado di dimostrare, più chiaramente di quanto non sia avvenuto finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso“.

Quattro delle ferite liturgiche, o pratiche sfortunate (celebrazione versus populum, comunione nella mano, totale abbandono del latino e del canto gregoriano, e intervento delle donne per il servizio di lettore e di accolito), non hanno in sé e per sé nulla a che fare con la forma ordinaria della Messa ed inoltre sono in contraddizione con i principi liturgica del Vaticano II. Se fossero abolite queste pratiche si tornerebbe al vero insegnamento del Concilio Vaticano II. E poi, le due forme del rito romano, verrebbero ad essere considerate assai più vicine, e così la forma straordinaria e la nuova evangelizzazione poiché, almeno esternamente, non si parlerebbe di alcuna rottura né apparirebbe alcuna rottura nella Chiesa tra il pre e il postconcilio.


Per quanto riguarda le nuove preghiere dell’Offertorio, sarebbe auspicabile che la Santa Sede le sostituisse con le preghiere corrispondenti della forma straordinaria, o almeno consentisse l’uso di quest’ultimo ad libitum. In questo modo la rottura tra le due forme sarebbe evitata non solo esternamente ma anche internamente. La rottura nella liturgia è proprio ciò che i Padri conciliari non volevano. I verbali del Concilio attestano questo, perché nel corso dei duemila anni di storia della liturgia, non c’è mai stata una rottura liturgica e, di conseguenza, non ci può essere. D’altra parte deve esserci continuità, così come si conviene per il Magistero.




Le cinque piaghe del corpo liturgico della Chiesa che ho menzionato gridano per la guarigione. Esse rappresentano una rottura che si può confrontare con l’esilio ad Avignone.

La situazione di una rottura così forte in un’espressione della vita della Chiesa è ben lungi dall’essere irrilevante, allora con l’assenza dei papi da Roma, oggi con la rottura visibile tra la liturgia prima e dopo il Concilio. Questa situazione grida in effetti, per la guarigione. Per questo motivo abbiamo bisogno di nuovi santi oggi, di una o più Sante Caterina di Siena.

Abbiamo bisogno di vox populi fidelis che richiedano la soppressione di questa rottura liturgica. La tragedia in tutto questo è che, oggi come nel tempo dell’esilio di Avignone, la grande maggioranza del clero, soprattutto nei suoi ranghi più alti, è contenta di questa rottura.

Prima che ci si possa  aspettare frutti efficaci e duraturi dalla nuova evangelizzazione, deve avere corso all’interno della Chiesa un processo di conversione. Come possiamo chiamare gli altri alla conversione quando, tra coloro che hanno risposto alla vocazione, non si è ancora verificata una convincente conversione nei confronti di Dio, internamente o esternamente? Il sacrificio della Messa, il sacrificio di adorazione di Cristo, il più grande mistero della Fede, l’atto più sublime di adorazione si celebra in un circolo chiuso, in cui le persone si cercano a vicenda.

Quello che manca è la conversio ad Dominum. È necessaria, anche esternamente e fisicamente, dal momento che nella liturgia Cristo è trattato come se non fosse Dio, e non Gli sono rivolti chiari segni esteriori dell’adorazione che è dovuta a Dio solo, perché i fedeli ricevono la Santa Comunione in piedi e, per giunta, la prendono in mano come un qualsiasi altro alimento, l’afferrano con le dita e la portano in bocca. Vi è qui una sorta di arianesimo o semi-arianesimo eucaristico.


Una delle condizioni necessarie per una nuova e fruttuosa evangelizzazione sarebbe la testimonianza di tutta la Chiesa nel culto liturgico pubblico. Dovrebbero essere osservati almeno questi due aspetti del culto divino:

1) Che la Santa Messa sia celebrata in tutto il mondo, anche in forma ordinaria, in una conversio ad Dominum interna e quindi necessariamente anche esterna .

2) Che i fedeli si inginocchino davanti a Cristo al momento della Santa Comunione, come san Paolo chiede quando si fa menzione del nome o della persona di Cristo (Fil 2,10), e che lo ricevano con l’amore più grande e il più grande rispetto possibile, come si addice a Lui come Dio vero.

Grazie a Dio, Benedetto XVI ha preso due misure concrete per avviare il processo di un ritorno dall’esilio di Avignone della liturgia, cioè, il Motu Proprio Summorum Pontificum e la reintroduzione del tradizionale rito della Comunione.

Vi è ancora bisogno di molte preghiere e forse di una nuova santa Caterina da Siena per le altre misure da adottare al fine di guarire le cinque piaghe sul corpo liturgico e mistico della Chiesa e perché Dio sia venerato nella liturgia con quell’amore, quel rispetto, quel senso del sublime che da sempre sono le caratteristiche della Chiesa e del suo insegnamento, in particolare nel Concilio di Trento, nell’enciclica Mediator Dei di Papa Pio XII, nella Costituzione Sacrosanctum Concilium del Vaticano II e nella teologia della liturgia di Papa Benedetto XVI, nel suo magistero liturgico, e nel Motu proprio di cui sopra.

Nessuno può evangelizzare a meno che non abbia adorato, o meglio ancora a meno che non adori costantemente e doni Dio, Cristo nell’Eucaristia, vera priorità nel suo modo di celebrare e in tutta la sua vita. Infatti, per citare il cardinale Joseph Ratzinger: “E’ nel trattamento della liturgia che si decide il destino della fede e della Chiesa.

da “The Latin Mass Magazine” vol. 21 n. 2, estate 2012.

giovedì 28 novembre 2013

Una novità, una invenzione di Martin Lutero.


giovedì 28 novembre 2013

'Versus populum' non è neppure archeologismo liturgico

L'idea che il sacerdote stia di fronte alla comunità risale senza dubbio a Martin Lutero. […] Prima di Lutero l'idea che il sacerdote quando celebra la messa stia di fronte alla comunità non si trova in nessun testo letterario, né è possibile utilizzare per suffragarla i risultati della ricerca archeologica. […] Dal punto di vista cattolico, invero, carattere sacrificale e conviviale della messa non sono mai stati in contrasto. Cena e sacrificio sono due elementi della medesima celebrazione. Certo col mutare dei tempi non sempre essi sono stati espressi con pari forza. […] Se al giorno d'oggi si desidera dare un rilievo maggiore al carattere di convito della celebrazione eucaristica, va detto che nella celebrazioneversus populum questo non è che appaia con la forza che spesso si crede e si vorrebbe. Infatti soltanto il "presidente" della cena sta effettivamente al tavolo, mentre tutti gli altri convitati siedono giù nella navata, nei posti destinati agli "spettatori", senza poter avere alcun rapporto diretto col tavolo della Cena. Il modo migliore per rivendicare il carattere sacrificale della messa è dato dall'atto di volgersi tutti insieme col sacerdote (verso oriente, vale a dire) nella medesima direzione durante la preghiera eucaristica, nel corso della quale viene offerto realmente il santo sacrificio. Il carattere conviviale potrebbe essere invece sottolineato maggiormente nel rito della comunione […]. Secondo la concezione cattolica la messa è ben di più di una comunità riunita per la cena in memoria di Gesù di Nazareth: ciò che è determinante non è realizzare l'esperienza comunitaria, sebbene anche questa non sia da trascurare (cfr. 1Cor 10,17), ma è invece il culto che la comunità rende a Dio. Il punto di riferimento deve essere sempre Dio e non l'uomo, e per questa ragione fin dalle origini nella preghiera cristiana tutti si rivolgono verso di Lui, sacerdote e comunità non possono stare di fronte. Da tutto ciò dobbiamo trarre le dovute conseguenze: la celebrazione versus populum va considerata per quello che in realtà è, una novità, una invenzione di Martin Lutero. (Mons. Klaus Gamber, in "Instaurare omnia in Christo", 2/1990)
[FonteCordialiter]

giovedì 24 ottobre 2013

Sia lodato Gesù Cristo!


Sua Ecc. Mons. Schneider alla Fondazione Lepanto

mons. Schneider(di Fabrizio Cannone) Il 30 settembre u.s. Sua Ecc. Mons. Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare di Astana in Kazakistan, ha tenuto una seguitissima conferenza presso la Fondazione Lepanto in cui ha presentato il contenuto della sua ultima preziosa opera, Corpus Christi. La Santa Comunione e il rinnovamento della Chiesa (Libreria Editrice Vaticana, 2013, pp. 100, euro 9).

Mons. Schneider ha colpito i numerosi presenti per il suo portamento davvero episcopale e degno di un Successore degli Apostoli, portamento in cui è facile scorgere la perfetta coerenza dell’uomo con l’insegnamento che appassionatamente ha profuso sulla retta ricezione dell’Eucaristia.

Dopo un sentito Sia lodato Gesù Cristo, il prelato ha iniziato la sua conferenza spiegando che lo spirito cristiano autentico è spirito di adorazione e di preghiera. Solo Cristo, ha detto, può adorare degnamente e perfettamente Dio e noi lo possiamo solo ad imitazione del Figlio. 

Tutta la Tradizione, secondo Schneider, dà una importanza capitale alle norme liturgiche le quali debbono essere rispettate da tutti senza eccezione: popolo e celebranti. Nell’Antico Testamento per esempio esistevano delle norme codificate per il culto divino e il Nuovo Testamento, benché fondato sul concetto della giusta libertà dei figli di Dio, possiede uno spirito liturgico chiaro e preciso.

Nella storia gli gnostici, gli albigesi, i calvinisti e certi protestanti hanno contrapposto le norme del culto con il suo spirito, ma si tratta di una falsa contrapposizione: le norme esterne di legge restano fondamentali e senza norme non esiste un vero spirito di adorazione legittima.

D’altra parte la Chiesa di Roma, a detta del Prelato, ha sempre rifiutato l’innovazione liturgica come tale, e ciò in nome della Tradizione Apostolica (così si espressero sia i Papi del medioevo che lo stesso Concilio di Trento). La bolla Quo Primum tempore di san Pio V è affatto contraria alle innovazioni arbitrarie e lo stesso afferma la Sacrosanctum Concilium (n. 50 del Concilio Vaticano II). Non si può negare però che dopo la svolta conciliare furono introdotte ovunque delle novità del tutto sconosciute prima come l’orientamento del celebrante verso l’assemblea, la comunione data da laici e da donne, le letture di laici all’ambone, le chierichette, le danze profane, etc.

Secondo il Vescovo è urgente ripristinare alcuni elementi liturgici che si sono persi nell’ultimo mezzo secolo come il silenzio, la genuflessione, l’incenso, il canto sacro: tutte cose che si trovano come tali nel libro dell’Apocalisse. Tutto ciò deve riportare ad un culto teocentrico e non più antropocentrico, come avviene comunemente oggi, con il celebrante che diventa il solo protagonista del rito.

In tale contesto di risacralizzazione non più procrastinabile, la santa Comunione, che è il Corpo di Cristo, deve essere ricevuta in modo degno e pio, e non come un qualunque cibo. Mons. Schneider parla di «opzione preferenziale per il Povero» per eccellenza, ovvero Gesù Sacramentato, spesse volte esposto al disprezzo e all’indifferenza nelle nostre chiese e basiliche. Davvero oggi Cristo Eucaristico è alla periferia esistenziale della Comunità. 
Il Presule auspica da parte della Santa Sede delle nuove norme che rimettano ordine nella liturgia, nel culto e nella preghiera cristiana. (Fabrizio Cannone)


sabato 12 ottobre 2013

NON E' UNO SCHERZO! INDICAZIONE ORDINATA DE' DIFETTI PRINCIPALI CHE SOGLIONSI COMMETTERE NELLA CELEBRAZIONE DELLA MESSA. // Preghiamo per i SACERDOTI perché la liturgia ritorni al suo splendore.


Giuseppe Card. Morozzo
DELLE  SACRE  CERIMONIE

INDICAZIONE  ORDINATA
DE' DIFETTI  PRINCIPALI  CHE  SOGLIONSI  COMMETTERE
NELLA  CELEBRAZIONE  DELLA  MESSA

73. Per compiere esattamente a quanto sta dalle Rubriche ingiunto per la celebrazione della Messa gioverà non poco lo avere presenti, quasi sotto ad un solo punto di vista, i difetti principali, ne' quali non di rado si cade, or l'uno, or l'altro commettendo, affinché co' precetti che sin qui si sono dichiarati si possano quelli evitare. Per procedere adunque ordinatamente è difetto in primo luogo, se non iscusi un giusto motivo, il non aver recitato almeno il Mattutino colle Laudi prima della Messa. 
Non fare una sufficiente preparazione nella Chiesa, anche per edificazione altrui.

Lavarsi le mani avanti di aver trovata la Messa nel libro, o dopo aver accomodato il Calice, o dopo essersi parato.

Non acconciarsi il Calice per se stesso, oppure il non rivederne l'apparecchio prima di andare all'altare.

Mettere il corporale nudo fuori della borsa sopra il velo, e cosi portarlo all'Altare, o riportarnelo.

Parlare con altri mentre si vestono i sacri paramenti.

Appararsi a capo coperto, o porre sul Calice, o sul messale il fazzoletto, la berretta, il berrettino, gli occhiali. Fare inchino prima di mettersi l'amitto, o segnarsi già avendo il medesimo tra le mani.

Non sovrapporre, la parte destra alla sinistra de' sacri paramenti, ed aggiungere Amen alle preci stabilite nel vestirsene, essendo una sol volta prescritto.

Mettersi a cintola un fazzoletto lordo, ed in modo disporlo che oltrepassi la pianeta.

Porsi il manipolo al gomito; o far calare la stola sopra il dorso, o non aggiustarli onde la Croce torni nel mezzo, ovvero rimanga fuori della pianeta.

Non ricevere a mani giunte i paramenti se sono imposti dal Ministro, e baciare il camice, o la pianeta.

Non sapere le Orazioni secrete che lungo la Messa sono da recitarsi a memoria.

Girare per la sagrestia co' paramenti indosso tanto avanti, che dopo la Messa.

Fare la riverenza alla Croce, od Immagine principale della sagrestia colla berretta in mano; o levarsela per genuflettere al Ss.mo Sacramento chiuso nel Ciborio, andando all'altare.

Portare il Calice troppo in alto, o troppo declinato, e non avanti al petto; od andare all'altare, e ritornarvene, frettolosamente camminando, senza tenere gli occhi bassi.

Dopo aver fatta la genuflessione all'altare in cui è il Ss.mo Sacramento, aggiungere anche l'inchino alla Croce.

Mettere la borsa contro il gradino de' candelieri colla mano sinistra; o far aprire, e chiudere il messale dal Ministro.

Trattenersi nel mezzo dell'altare a guardare la Croce prima di scendere al dovuto luogo per cominciare la Messa.

Volgere le spalle alla Croce per non ritirarsi un poco dalla parte del Vangelo sì nello scendere per dar principio alla Messa, che nel partirsi dopo averla finita.

74. Non conservare la dovuta gravità; e frugacchiarsi le orecchie, il naso, strofinarsi gli occhi, acconciarsi i capelli, e simili.

Cominciare la Messa avanti che sieno accese le candele, o permettere, che si spengano al finirsi della Messa anzi che sia tutto letto l'ultimo Vangelo.

Stando colle mani giunte non tenere le dita distese, ed i pollici sovrapposti in forma di Croce.

Farsi il segno di Croce in aria, o in maniera dimezzata, ed imperfetta.

Essendo tre lo inchinazioni profondamediocre, e semplice, far l'una a vece dell'altra ne' tempi dalla Rubrica per ciascuna determinati.

Non lasciar finire al Ministro le risposte, e  potendolo, non avvisarlo de' suoi mancamenti nella pratica del suo ufficio.

Aggiungere la particola et nel ripetere l'Antifona Introibo del Salmo Judica me Deus.

Battersi il petto nel Confiteor a mano aperta, o con veemenza, od inchinarsi al Ministro nella Messa privata alle parole vobis Fratres, e vos Fratres; o rispondere Amen dopo fatta dal medesimo la Confessione.

Aggiungere le parole omnibus, oppure omnium ai versi Misereatur, ed Indulgentiam, dicendo pure in questo peccatorum vestrorum invece di nostrorum.

Alla preghiera Aufer e nobis non essere inchinato al tempo prescritto, e dopo aver baciato l'altare fare l'inchino prima di andare al libro.

Dire con troppa fretta e le cose che sono da recitarsi chiaramente, e quelle che deggionsi proferire in segreto con pericolo anche di sincopare le parole.

Trasportare le Cerimonie, cominciandole prima, o dopo del tempo assegnato.

Far le viste di baciare l'altare senza baciarlo realmente, o ciò compiere per canto, e non nel mezzo, o torcendosi nella vita.

Cominciare i Kyrie eleison prima di essere nel mezzo dell'altare; e tralasciare nell'Inno Angelico i voluti inchini.

Dire il Dominus vobiscum non volgendosi al popolo a mani giunte, o non tenendo gli occhi bassi, o senza deporre gli occhiali; e dire in seguito Oremusprima di arrivare al messale, menando anche per le lunghe, quasi che fosse raddoppiata, la prima lettera O.

Non fare gli inchini ai nomi di Gesù, di Maria, e dei Santi, di cui corre le festa, o la commemorazione; o nel conchiudere le Orazioni farlo anche quando non sonovi le parole Jesum Christum.

Recitare le Orazioni senza tenere a' suoi tempi unite, od aperte avanti al petto le mani.

Non alzare alla Croce gli occhi nei luoghi dalla Rubrica indicati.

Dire nel Munda cor meum nella Messa privata Jube, Domne, e non Jube, Domine, benedicere; o baciar l'altare dopo tale preghiera.

Appoggiare le mani sull'altare al Munda cor meum, e successivamente al Sanctus, ed all'Agnus Dei.

Non porre nel cominciare il Vangelo la mano sinistra sul messale per fare su di esso il segno di Croce, o sotto al petto segnando se stesso; e non fare tali segni colla parte inferiore del pollice; né tenendo le altre dita distese.

Fare l'inchino alla Croce, o verso di essa genuflettere leggendo il Vangelo, e non verso il messale come è comandato.

Cominciare il segno della Croce al finirsi del Simbolo prima dell'articolo Et vitam etc.

75. Dire l'Offertorio a mani aperte; o togliere mentre si recita il velo dal Calice; e dopo recitato questi mettere alla rinfusa, o collocarlo dietro al Calice a vece di piegarlo come si conviene.

Tergere con violenza il Calice; e cominciare la preghiera Deus, qui humanæ substantiæ etc. prima di aver deposto il bocciuolo del vino.

Abbassare il capo ai nomi di Gesù, e di Maria nel recitare la preghiera Suscipe, sancta Trinitas etc., essendo già il Sacerdote alla medesima inchinato.

Fare i segni di Croce sull'Ostia, e sul Calice piegando le dita nel tirare le linee per formarle, o tenendo la mano mezzo chiusa, o facendoli per punti, e per salti.

Non dire segretamente dopo le parole Orate, fratres etc., proferite con voce mediocre, tutto il restante della esortazione, o rispondere Amen prima che sia terminato il Suscipiat detto dal Ministro, proseguendo anche fuori di tempo le secrete.

Inchinare il capo alle parole ubique gratias agere della Prefazione, od alle altre per Christum Dominum nostrum tanto nella medesima, che altrove, fuorché dopo la commemorazione de' defunti.

Battersi il petto al Sanctus, e non proferire queste parole con voce mediocre; ed in seguito dire con voce alta ciò che debbe recitarsi segretamente.

Non avere giunte le mani prima di fare i segni di Croce; o tenere una mano per aria mentre l'altra sta operando.

Bagnarsi le dita colla saliva per volgere i fogli più facilmente.

Mettere i pollici sotto alla palma delle mani nel dire Hanc igitur oblationem etc.; e purificare accanto all'Ostia le dita prima di prenderla.

76. Tenere la mano sinistra appoggiata all'altare per benedire l'Ostia prima di consecrarla.

Prendere il Calice con una mano sola nel dire accipiens et hunc præclarum Calicem etc.; e stare colla bocca troppo vicina al medesimo, o tenerlo appoggiato, oppure inclinato verso di sé.

Non proferire segretamente le parole della consecrazione, o far gesti colla testa, e storcimenti in tale atto, o tenere il piede destro alzato in punta per essere presto a genuflettere.

Non portare verso la fronte dell'altare le giunture delle mani per fare più comodamente la genuflessione.

Non accompagnare l'Ostia, ed il Calice collo sguardo facendone l'elevazione, e tenerli fermi più del dovere a vista de' circostanti.

Dire le parole Hæc quotiescumque feceritis etc. nel tempo dell'elevazione, e non subito dopo la consecrazione.

Non tenere le dita pollici ed indici unite dalla consecrazione sino alla purificazione; o toccare l'Ostia colle altre dita; o non tenere, nel maneggiare l'Ostia le dita inferiori sempre distese.

Non fare le genuflessioni sino a terra, o praticarle senza garbo, o frettolosamente.

Mettere le mani giunte sopra l'altare totalmente dentro il corporale dopo la consecrazione senza seguire il metodo espresso una volta, e per sempre dalla Rubrica senza veruna distinzione.

Fare la pausa alla commemorazione dei defunti prima di aver dette le parole qui nos præcesserunt etc.; o dire con voce chiara le parole Memento etiam Domine: Ipsis, Domine, etc., quando esse pure, come nella commemorazione dei viventi denno essere segrete.

Non battersi il petto colle sole tre dita inferiori per non toccare colle unite la pianeta.

Inchinare il capo nel dire Nobis quoque peccatoribns etc.;
od aggiungere Amen alla conclusione che segue questa preghiera.

Stare inchinato al dire Præceptis salutaribus moniti etc., o recitarlo a mani aperte; ed estrarre la patena per nettarla prima di aver risposto Amen.

Non tenere al petto la mano sinistra nel farsi colla patena il segno della Croce; o non astergerla colla destra.

Baciar la patena nella parte di sotto, o per taglio, e ripulirla contro la pianeta, ovvero in altra parte dopo averla baciata.

Purificare le dita dai frammenti strofinandole l'un dopo l'altro contro il labbro del Calice.

Voltarsi da una parte per dire Domine non sum dignus etc., o appoggiare sull'altare il braccio sinistro, o portare sopra l'altare la destra mano ogni volta che si batte il petto.

77. Fare un segno di Croce coll'Ostia nell'atto di comunicarsi oltre i limiti della patena, e sputacchiare mentre si sta quella per ricevere.

Non raccogliere i frammenti colla dovuta diligenza; e non avere la patena fra le dita della mano sinistra nel fare verso di sé col Calice il segno di Croce.

Succiare al Calice facendo strepito, od avendo gli occhi innalzati al Cielo.

Mettere la palla sulla patena avanti di andare dalla parte dell'Epistola per lavarsi le dita sul Calice; o cercare di nuovamente mondarla nel purificatojo.

Appoggiare il Calice sull'altare nel ricevere il vino per la purificazione a vece di tenervelo alzato, o porgerlo verso il Ministro fuori della mensa senza necessità.

Dopo essersi lavate le dita nel Calice, e consumato il vino e l'acqua infusivi, astergersi colle dita le labbra, e non col purificatojo.

Tenere il Calice per aria mentre si piega il corporale, porre la borsa su di quello coll'apertura che non sia verso il petto.

Permettere che il Chierico Ministro copra, ed accomodi il Calice; e lasciare il medesimo col velo anteriormente alzato.

Non chiudere il messale pel suo verso, in modo cioè che l'apertura rimanga verso la parte del Vangelo.

Finire la conclusione dell'ultima Orazione camminando verso il mezzo dell'altare.

Inchinarsi al popolo nel dire Ite, Missa est; o stare inchinato per proferire Benedicamus Domino.

Prendere la berretta, allora che sta per partire dall'altare, prima di fare la riverenza, o la genuflessione; togliersela prima di aver fatto alla Croce, od Immagine principale della sagrestia inchino profondo.

Gettare i paramenti alla rinfusa nello spogliarsene senza accomodarli sul banco con rispetto; o non baciare quelli che si devono; e torsi il camice prima per lo capo, od al rovescio.

Mettersi a discorrere con altri, o partirsi dalla sagrestia, o dalla Chiesa prima di aver compiuto per un tempo competente il rendimento di grazie.

Altri molti sariensi dovuti difetti connumerare a schifamento di ogni contravvenzione alle Rubriche, ma perché per l'attenta lettura degli esposti insegnamenti di leggieri si ponno conoscere, per amore di brevità si sono tralasciati, a quelli rimettendo il diligente Sacerdote, onde ammendi qualunque maniera, che ai medesimi si opponga.

da: G. MOROZZO, Delle sacre cerimonie. Trattati proposti al ven. Clero della sua Diocesi, Novara, Rasario, 1827, pp. 74-81


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