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giovedì 23 novembre 2023

La profezia di J. Ratzinger sul futuro della Chiesa

 




Una Chiesa ridimensionata, con molti meno seguaci, costretta ad abbandonare anche buona parte dei luoghi di culto costruiti nei secoli. Una Chiesa cattolica di minoranza, poco influente nella scelte politiche, socialmente irrilevante, umiliata e costretta a “ripartire dalle origini”.

Ma anche una Chiesa che, attraverso questo “enorme sconvolgimento”, ritroverà se stessa e rinascerà “semplificata e più spirituale”. E’ la profezia sul futuro del cristianesimo pronunciata oltre 40 anni fa da un giovane teologo bavarese, Joseph Ratzinger. Riscoprirla oggi aiuta forse a offrire un’ulteriore chiave di lettura per decifrare la rinuncia di Benedetto XVI, perché riconduce il gesto sorprendente di Ratzinger nell’alveo della sua lettura della storia.


La profezia concluse un ciclo di lezioni radiofoniche che l’allora professore di teologia svolse nel 1969, in un momento decisivo della sua vita e della vita della Chiesa. Sono gli anni turbolenti della contestazione studentesca, dello sbarco sulla Luna, ma anche delle dispute sul Concilio Vaticano II da poco concluso. Ratzinger, uno dei protagonisti del Concilio, aveva lasciato la turbolenta università di Tubinga e si era rifugiato nella più serena Ratisbona.

Come teologo si era trovato isolato, dopo aver rotto con gli amici “progressisti” Küng, Schillebeeckx e Rahner sull’interpretazione del Concilio. E’ in quel periodo che si consolidano per lui nuove amicizie con i teologi Hans Urs von Balthasar e Henri de Lubac, con i quali darà vita a una rivista, “Communio”, che diventa presto la palestra per alcuni giovani sacerdoti “ratzingeriani” oggi cardinali, tutti indicati come possibili successori di Benedetto XVI: Angelo Scola, Christoph Schönborn e Marc Ouellet.

In cinque discorsi radiofonici poco conosciuti – ripubblicati tempo fa dalla Ignatius Press nel volume “Faith and the Future” – il futuro Papa in quel complesso 1969 tracciava la propria visione sul futuro dell’uomo e della Chiesa. E’ soprattutto l’ultima lezione, letta il giorno di Natale ai microfoni della “Hessian Rundfunk”, ad assumere i toni della profezia.


Ratzinger si diceva convinto che la Chiesa stesse vivendo un’epoca analoga a quella successiva all’Illuminismo e alla Rivoluzione francese. “Siamo a un enorme punto di svolta – spiegava – nell’evoluzione del genere umano. Un momento rispetto al quale il passaggio dal Medioevo ai tempi moderni sembra quasi insignificante”. Il professor Ratzinger paragonava l’era attuale con quella di Papa Pio VI, rapito dalle truppe della Repubblica francese e morto in prigionia nel 1799.
La Chiesa si era trovata allora alle prese con una forza che intendeva estinguerla per sempre, aveva visto i propri beni confiscati e gli ordini religiosi dissolti.


Una condizione non molto diversa, spiegava, potrebbe attendere la Chiesa odierna, minata secondo Ratzinger dalla tentazione di ridurre i preti ad “assistenti sociali” e la propria opera a mera presenza politica. “Dalla crisi odierna – affermava – emergerà una Chiesa che avrà perso molto.

Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali”. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede al centro dell’esperienza. “Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la Sinistra e ora con la Destra. Sarà povera e diventerà la Chiesa degli indigenti”.


Quello che Ratzinger delineava era “un processo lungo, ma quando tutto il travaglio sarà passato, emergerà un grande potere da una Chiesa più spirituale e semplificata”. A quel punto gli uomini scopriranno di abitare un mondo di “indescrivibile solitudine” e avendo perso di vista Dio, “avvertiranno l’orrore della loro povertà”.


Allora, e solo allora, concludeva Ratzinger, vedranno “quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto”.

AMDG et D.V.MARIAE

martedì 21 giugno 2022

Padre Döllinger, amico di J. Ratzinger

Dr Döllinger, come era chiamato comunemente da tutti, era nato nel Baden-Würtenberg il 23 gennaio 1929 e all’età di diciannove anni entrò nel seminario di Rottenburg. Negli anni 50 ebbe il primo di numerosissimi incontri con padre Pio di cui divenne figlio spirituale e che rappresentò per lui, come ebbe a ricordare numerose volte, una delle grazie spirituali più importanti mai ricevute in tutta la sua vita.

Ordinato sacerdote nel 1954, ricevette il Dottorato in Teologia morale nel 1974 e divenne vice-parroco nel 1982 in un piccolo paesino vicino a Monaco di Baviera. Iniziò nel frattempo la sua attività di docenza che lo portò varie volte in Brasile dove insegnava Teologia morale nel seminario di Anápolis. Padre Döllinger studiò inoltre molto approfonditamente la Massoneria e ne divenne uno dei più grandi conoscitori e specialisti. L’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, card. Josef Ratzinger, si consigliò con lui nel 1983 per redigere la Dichiarazione Quaesitum est sulla Massoneria.

Dal 2004 si trasferì definitivamente in Baviera, a Wigratzbad, dove si trova il seminario della Fraternità San Pietro. Visse gli ultimi anni in spirito di profonda preghiera e intervenne pubblicamente in rari casi e uno di questi fu Fatima, a lui particolarmente caro. Lo ricordò nuovamente anche l’anno scorso, nel corso di un’intervista con Maike Hickson: nel 2000, in seguito alla pubblicazione da parte della Santa Sede del terzo Segreto di Fatima, lui stesso si recò a Roma per incontrare il card. Ratzinger, amico di vecchia data. Alla fine della celebrazione della S. Messa, mentre si trovavano in sacrestia, alla sua richiesta se la pubblicazione del segreto fosse completa, il futuro Benedetto XVI rispose laconicamente: “c’è ancora qualcos’altro”.

Padre Döllinger è morto l’11 giugno 2017, il giorno della SS.ma Trinità alla quale era particolarmente devoto. S. E. Mons. Athansius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, che lo conosceva molto bene dai tempi del Brasile, ha ufficiato la solenne Messa in rito tridentino alla quale hanno partecipato tanti sacerdoti, seminaristi e fedeli.

«Era un sacerdote pienamente mosso da Dio e immerso in Lui», ha affermato mons. Schneider nella sua omelia. «Questo ‘essere mosso da Dio’ era la forza nascosta che ha dato a questo sacerdote un’intensa e, per così dire, mistica vita spirituale. Ma, allo stesso tempo, lo spinse anche ad una vita apostolica senza tregua e logorante per la sua salute. Un mistico mosso da zelo ardente per l’onore di Cristo, suo Re». «Ecco perché la preghiera era al centro della sua vita – ha continuato mons. Schneider –.

Ogni giorno trascorreva diverse ore in preghiera, e questo non era solo negli ultimi anni della sua vita, contrassegnati dalla malattia. Questa era un’abitudine in tutta la sua vita sacerdotale. Ripeteva spesso: ‘Senza preghiera, la mia anima si atrofizza’, ‘senza preghiera, non posso fare niente’».

A lui noi rivolgiamo adesso le nostre preghiere affinché interceda per noi e per la Chiesa da lui tanto amata. (V. R.) Da Corrispondenza Romana, 20 giugno 2017dollinger 1997