Visualizzazione post con etichetta Il Sacerdozio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Il Sacerdozio. Mostra tutti i post

venerdì 21 giugno 2013

È un “cataclisma”, un “terremoto”... ma nessuno piange, si fa finta di niente.



NON PIANGE PIU' NESSUNO


Editoriale di Radicati nella fede, foglio di collegamento della chiesa di Vocogno e della cappella dell’Ospedale di Domodossola (dove si celebra la messa tradizionale)
anno VI - GIUGNO 2013 n. 6

- impaginazione e neretti sono nostri -



Se non ci sono più preti non piange quasi più nessuno. È questa la triste constatazione che ci tocca fare.

Assistiamo alla più grande crisi sacerdotale della storia della Chiesa, intere terre in Europa sono ormai senza sacerdote e tutto tace. Non sentirete nemmeno un vescovo gridare all'allarme, piangere con i suoi fedeli, domandare a tutti una grande preghiera per le vocazioni sacerdotali; intimare un digiuno e una grande supplica perché il Signore abbia pietà del suo popolo.

Sentirete, questo sì, vescovi e responsabili di curia descrivere i numeri di questo calo vertiginoso di presenza dei preti nella Chiesa, li sentirete elencare i dati pacatamente, troppo pacatamente, in modo distaccato, come se fosse una situazione da accettare così com'è, anzi la chance per una nuova Chiesa più di popolo.

Nella nostra terra italiana, terra di antica cristianità, assisteremo in questi prossimi anni alla scomparsa delle parrocchie, allo stravolgimento, impensabile fino a qualche anno fa, della struttura più semplice del Cattolicesimo, di quella trama di comunità parrocchiali dove la vita cristiana era naturale per tutti... ma l'assoluta maggioranza dei cattolici impegnati farà finta di niente, perché i pastori hanno già fatto così.


È un “cataclisma”, un “terremoto”... ma nessuno piange, si fa finta di niente.
Si fa finta di niente, perché bisogna che la favola della primavera del Concilio continui. Ci si sottrae a qualsiasi verifica storica, si nega l'evidenza di una crisi senza precedenti.

E si prepara un futuro che ci sembra poco cattolico.

Sì, perché si parla di “ristrutturare” l'assetto delle comunità cristiane, di fare spazio ai laici (come se in questi anni non ne avessero avuto a sufficienza), si inventa un nuovo genere di fedeli cristiani che diventeranno gli addetti delle parrocchie, che di fatto sostituiranno i preti. 
Fedeli laici “clericalizzati”, un nuovo genere di preti che terranno le chiese... e nell'attesa di una qualche messa predicheranno loro, come cristiani adulti, il Verbo di verità...

 ...ma nessuno piange, nessuno prega gridando a Dio.

Forse non gridano perché da anni qualcuno ha preparato questo terremoto nella Chiesa.

Hanno svilito il sacerdozio cattolico, trasformando i preti da uomini di Dio ad operatori sociali delle comunità. 
Hanno ridotto loro il breviario e la preghiera, gli hanno imposto un abito secolare per essere come tutti, gli hanno detto di aggiornarsi perché il mondo andava avanti... e gli hanno detto di non esagerare la propria importanza, ma di condividere il proprio compito con i fedeli, con tutti.

E come colpo di grazia gli hanno dato una messa che è diventata la prova generale del cataclisma nella Chiesa: non più preghiera profonda, non più adorazione di Dio presente, non più unione intima al sacrificio propiziatorio di Cristo in Croce, ma cena santa della comunità. Tutta incentrata sull'uomo e non su Dio, tutta un parlare estenuante per fare catechesi e comunità. Una messa che è tutto un andirivieni di laici sull'altare, prova generale di quell'andirivieni di signori e signore che saranno le nostre ex parrocchie senza prete.

E con la messa “mondana”, hanno inculcato la dottrina del sacerdozio universale dei fedeli... stravolgendone il significato. I battezzati sono un popolo sacerdotale in quanto devono offrire se stessi in sacrificio, in unione con Cristo crocifisso, offrire tutta la loro vita con Gesù. 
I fedeli devono santificarsi: questo è il sacerdozio universale dei battezzati. 
Ma i fedeli non partecipano al sacerdozio ordinato che è di altra natura, che conforma a Cristo sacerdote. 
E’ attraverso il sacramento dell’Ordine che Cristo si rende presente nella grazia dei sacramenti. Se non ci fossero più preti sarebbero finite sia la Chiesa che la grazia dei sacramenti.

Martin Lutero e il Protestantesimo fecero proprio così: distrussero il sacerdozio cattolico dicendo che tutti sono sacerdoti: sottolineando appunto il sacerdozio universale, il laicato. 

Nella pratica della ristrutturazione delle parrocchie forse si finirà così: diverso sarebbe stato affrontare questa crisi con nel cuore e nella mente un'alta stima del sacramento dell'ordine, sapendo che il prete è uno dei doni più grandi per la Chiesa e per il popolo tutto; ma così non è: si affronterà questa crisi dopo anni di protestantizzazione e di relativizzazione del compito dei preti. 

Si affronterà questa crisi dopo anni di confusione totale nella vita del clero; dopo anni di disabitudine alla messa quotidiana e alla dottrina cattolica: così i fedeli faranno senza il prete, anzi già fanno senza. E quando un prete arriverà, non sapranno più che farsene, abituati a credere che il Signore li salva senza di loro e i loro sacramenti.

A noi sembra ingiusto far finta di niente.

Per questo chiediamo ai nostri fedeli di pregare con forza perché il Signore torni a concedere, come un tempo, tanti sacerdoti alla sua Chiesa.

Cari fedeli, in questo mese di giugno, che è il mese delle sacre ordinazioni, abbiamo il coraggio di chiedere, anche con le lacrime, questa grazia al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria.

E teniamo come dono preziosissimo la Messa di sempre, la Messa della tradizione, che sola saprà dare nuovi preti alla Chiesa di Dio.

Andate...Predicate...Battezzate...

sabato 15 giugno 2013

OMELIA DEL SANTO PADRE


OMELIA DEL SANTO PADRE 29.6.2011

Cari fratelli e sorelle, 

Non vi chiamo più servi ma amici” (cfr Gv 15,15). 

A sessant’anni dal giorno della mia Ordinazione sacerdotale sento ancora risuonare nel mio intimo queste parole di Gesù, che il nostro grande Arcivescovo, il Cardinale Faulhaber, con la voce ormai un po’ debole e tuttavia ferma, rivolse a noi sacerdoti novelli al termine della cerimonia di Ordinazione. Secondo l’ordinamento liturgico di quel tempo, quest’acclamazione significava allora l’esplicito conferimento ai sacerdoti novelli del mandato di rimettere i peccati. 

Non più servi ma amici”: io sapevo e avvertivo che, in quel momento, questa non era solo una parola “cerimoniale”, ed era anche più di una citazione della Sacra Scrittura. Ne ero consapevole: in questo momento, Egli stesso, il Signore, la dice a me in modo del tutto personale. Nel Battesimo e nella Cresima, Egli ci aveva già attirati verso di sé, ci aveva accolti nella famiglia di Dio. Tuttavia, ciò che avveniva in quel momento, era ancora qualcosa di più. 

Egli mi chiama amico. Mi accoglie nella cerchia di coloro ai quali si era rivolto nel Cenacolo. Nella cerchia di coloro che Egli conosce in modo del tutto particolare e che così Lo vengono a conoscere in modo particolare. Mi conferisce la facoltà, che quasi mette paura, di fare ciò che solo Egli, il Figlio di Dio, può dire e fare legittimamente: Io ti perdono i tuoi peccati. 

Egli vuole che io – per suo mandato – possa pronunciare con il suo “Io” una parola che non è soltanto parola bensì azione che produce un cambiamento nel più profondo dell’essere. So che dietro tale parola c’è la sua Passione per causa nostra e per noi. So che il perdono ha il suo prezzo: nella sua Passione, Egli è disceso nel fondo buio e sporco del nostro peccato. È disceso nella notte della nostra colpa, e solo così essa può essere trasformata. 

E mediante il mandato di perdonare Egli mi permette di gettare uno sguardo nell’abisso dell’uomo e nella grandezza del suo patire per noi uomini, che mi lascia intuire la grandezza del suo amore. Egli si confida con me: “Non più servi ma amici”. Egli mi affida le parole della Consacrazione nell’Eucaristia. Egli mi ritiene capace di annunciare la sua Parola, di spiegarla in modo retto e di portarla agli uomini di oggi. Egli si affida a me. “Non siete più servi ma amici”: questa è un’affermazione che reca una grande gioia interiore e che, al contempo, nella sua grandezza, può far venire i brividi lungo i decenni, con tutte le esperienze della propria debolezza e della sua inesauribile bontà. 

Non più servi ma amici”: in questa parola è racchiuso l’intero programma di una vita sacerdotale. 

Che cosa è veramente l’amicizia? 

Idem velle, idem nolle – volere le stesse cose e non volere le stesse cose, dicevano gli antichi. L’amicizia è una comunione del pensare e del volere. Il Signore ci dice la stessa cosa con grande insistenza: “Conosco i miei e i miei conoscono me” (cfr Gv 10,14). Il Pastore chiama i suoi per nome (cfr Gv 10,3). Egli mi conosce per nome. Non sono un qualsiasi essere anonimo nell’infinità dell’universo. Mi conosce in modo del tutto personale. Ed io, conosco Lui? 

L’amicizia che Egli mi dona può solo significare che anch’io cerchi di conoscere sempre meglio Lui; che io, nella Scrittura, nei Sacramenti, nell’incontro della preghiera, nella comunione dei Santi, nelle persone che si avvicinano a me e che Egli mi manda, cerchi di conoscere sempre di più Lui stesso. 

L’amicizia non è soltanto conoscenza, è soprattutto comunione del volere. Significa che la mia volontà cresce verso il “sì” dell’adesione alla sua. La sua volontà, infatti, non è per me una volontà esterna ed estranea, alla quale mi piego più o meno volentieri oppure non mi piego

No, nell’amicizia la mia volontà crescendo si unisce alla sua, la sua volontà diventa la mia, e proprio così divento veramente me stesso. Oltre alla comunione di pensiero e di volontà, il Signore menziona un terzo, nuovo elemento: Egli dà la sua vita per noi (cfr Gv 15,13; 10,15). 

Signore, aiutami a conoscerti sempre meglio! Aiutami ad essere sempre più una cosa sola con la tua volontà! Aiutami a vivere la mia vita non per me stesso, ma a viverla insieme con Te per gli altri! Aiutami a diventare sempre di più Tuo amico! La parola di Gesù sull’amicizia sta nel contesto del discorso sulla vite. 

Il Signore collega l’immagine della vite con un compito dato ai discepoli: “Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16). Il primo compito dato ai discepoli – agli amici – è quello di mettersi in cammino, di uscire da se stessi e di andare verso gli altri. Possiamo qui sentire insieme anche la parola del Risorto rivolta ai suoi, con la quale san Matteo conclude il suo Vangelo: “Andate ed insegnate a tutti i popoli…” (cfr Mt 28,19s). Il Signore ci esorta a superare i confini dell’ambiente in cui viviamo, a portare il Vangelo nel mondo degli altri, affinché pervada il tutto e così il mondo si apra per il Regno di Dio. Ciò può ricordarci che Dio stesso è uscito da sé, ha abbandonato la sua gloria, per cercare noi, per portarci la sua luce e il suo amore. Vogliamo seguire il Dio che si mette in cammino, superando la pigrizia di rimanere adagiati su noi stessi, affinché Egli stesso possa entrare nel mondo. Dopo la parola sull’incamminarsi, Gesù continua: portate frutto, un frutto che rimanga! Quale frutto Egli attende da noi? Qual è il frutto che rimane? Ebbene, il frutto della vite è l’uva, dalla quale si prepara poi il vino. Fermiamoci per il momento su questa immagine. Perché possa maturare uva buona, occorre il sole ma anche la pioggia, il giorno e la notte. Perché maturi un vino pregiato, c’è bisogno della pigiatura, ci vuole la pazienza della fermentazione, la cura attenta che serve ai processi di maturazione. Del vino pregiato è caratteristica non soltanto la dolcezza, ma anche la ricchezza delle sfumature, l’aroma variegato che si è sviluppato nei processi della maturazione e della fermentazione. 

Non è forse questa già un’immagine della vita umana, e in modo del tutto particolare della nostra vita da sacerdoti? 

Abbiamo bisogno del sole e della pioggia, della serenità e della difficoltà, delle fasi di purificazione e di prova come anche dei tempi di cammino gioioso con il Vangelo. Volgendo indietro lo sguardo possiamo ringraziare Dio per entrambe le cose: per le difficoltà e per le gioie, per le ore buie e per quelle felici. 

In entrambe riconosciamo la continua presenza del suo amore, che sempre di nuovo ci porta e ci sopporta. Ora, tuttavia, dobbiamo domandarci: di che genere è il frutto che il Signore attende da noi? Il vino è immagine dell’amore: questo è il vero frutto che rimane, quello che Dio vuole da noi. Non dimentichiamo, però, che nell’Antico Testamento il vino che si attende dall’uva pregiata è soprattutto immagine della giustizia, che si sviluppa in una vita vissuta secondo la legge di Dio! E non diciamo che questa è una visione veterotestamentaria e ormai superata: no, ciò rimane vero sempre. 

L’autentico contenuto della Legge, la sua summa, è l’amore per Dio e per il prossimo. Questo duplice amore, tuttavia, non è semplicemente qualcosa di dolce. Esso porta in sé il carico della pazienza, dell’umiltà, della maturazione nella formazione ed assimilazione della nostra volontà alla volontà di Dio, alla volontà di Gesù Cristo, l’Amico. Solo così, nel diventare l’intero nostro essere vero e retto, anche l’amore è vero, solo così esso è un frutto maturo. La sua esigenza intrinseca, la fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa, richiede sempre di essere realizzata anche nella sofferenza. Proprio così cresce la vera gioia. 

Nel fondo, l’essenza dell’amore, del vero frutto, corrisponde con la parola sul mettersi in cammino, sull’andare: amore significa abbandonarsi, donarsi; reca in sé il segno della croce. In tale contesto Gregorio Magno ha detto una volta: Se tendete verso Dio, badate di non raggiungerlo da soli (cfr H Ev 1,6,6: PL 76, 1097s) – una parola che a noi, come sacerdoti, deve essere intimamente presente ogni giorno. 
Cari amici, forse mi sono trattenuto troppo a lungo con la memoria interiore sui sessant’anni del mio ministero sacerdotale. Adesso è tempo di pensare a ciò che è proprio di questo momento. Nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo rivolgo anzitutto il mio più cordiale saluto al Patriarca Ecumenico Bartolomeo I e alla Delegazione che ha inviato, e che ringrazio vivamente per la gradita visita nella lieta circostanza dei Santi Apostoli Patroni di Roma. Saluto anche i Signori Cardinali, i Fratelli nell’Episcopato, i Signori Ambasciatori e le Autorità civili, come pure i sacerdoti, i compagnia della mia prima Messa, i religiosi e i fedeli laici. Tutti ringrazio per la presenza e la preghiera. Agli Arcivescovi Metropoliti nominati dopo l’ultima Festa dei grandi Apostoli viene ora imposto il pallio. Che cosa significa? Questo può ricordarci innanzitutto il giogo dolce di Cristo che ci viene posto sulle spalle (cfr Mt 11,29s). Il giogo di Cristo è identico alla sua amicizia. È un giogo di amicizia e perciò un “giogo dolce”, ma proprio per questo anche un giogo che esige e che plasma. È il giogo della sua volontà, che è una volontà di verità e di amore. Così è per noi soprattutto anche il giogo di introdurre altri nell’amicizia con Cristo e di essere a disposizione degli altri, di prenderci come Pastori cura di loro. Con ciò siamo giunti ad un ulteriore significato del pallio: esso viene intessuto con la lana di agnelli, che vengono benedetti nella festa di sant’Agnese. Ci ricorda così il Pastore diventato Egli stesso Agnello, per amore nostro. Ci ricorda Cristo che si è incamminato per le montagne e i deserti, in cui il suo agnello, l’umanità, si era smarrito. Ci ricorda Lui, che ha preso l’agnello, l’umanità – me – sulle sue spalle, per riportarmi a casa. Ci ricorda in questo modo che, come Pastori al suo servizio, dobbiamo anche noi portare gli altri, prendendoli, per così dire, sulle nostre spalle e portarli a Cristo. Ci ricorda che possiamo essere Pastori del suo gregge che rimane sempre suo e non diventa nostro. Infine, il pallio significa molto concretamente anche la comunione dei Pastori della Chiesa con Pietro e con i suoi successori – significa che noi dobbiamo essere Pastori per l’unità e nell’unità e che solo nell’unità di cui Pietro è simbolo guidiamo veramente verso Cristo. 

Sessant’anni di ministero sacerdotale – cari amici, forse ho indugiato troppo nei particolari. Ma in quest’ora mi sono sentito spinto a guardare a ciò che ha caratterizzato i decenni. Mi sono sentito spinto a dire a voi – a tutti i sacerdoti e Vescovi come anche ai fedeli della Chiesa – una parola di speranza e di incoraggiamento; una parola, maturata nell’esperienza, sul fatto che il Signore è buono. Soprattutto, però, questa è un’ora di gratitudine: gratitudine al Signore per l’amicizia che mi ha donato e che vuole donare a tutti noi. Gratitudine alle persone che mi hanno formato ed accompagnato. 

E in tutto ciò si cela la preghiera che un giorno il Signore nella sua bontà ci accolga e ci faccia contemplare la sua gioia. Amen.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 2 giugno 2013

LETTERA APOSTOLICA MANE NOBISCUM DOMINE DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II



 LETTERA APOSTOLICA
MANE NOBISCUM DOMINE
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
ALL'EPISCOPATO, AL CLERO
E AI FEDELI
PER L'ANNO DELL'EUCARISTIA
OTTOBRE 2004 – OTTOBRE 2005


 INTRODUZIONE

1. «Rimani con noi, Signore, perché si fa sera» (cfr Lc 24,29). Fu questo l'invito accorato che i due discepoli, incamminati verso Emmaus la sera stessa del giorno della risurrezione, rivolsero al Viandante che si era ad essi unito lungo il cammino. Carichi di tristi pensieri, non immaginavano che quello sconosciuto fosse proprio il loro Maestro, ormai risorto. Sperimentavano tuttavia un intimo «ardore» (cfr ivi, 32), mentre Egli parlava con loro «spiegando» le Scritture. La luce della Parola scioglieva la durezza del loro cuore e «apriva loro gli occhi» (cfr ivi, 31). Tra le ombre del giorno in declino e l'oscurità che incombeva nell'animo, quel Viandante era un raggio di luce che risvegliava la speranza ed apriva i loro animi al desiderio della luce piena. «Rimani con noi», supplicarono. Ed egli accettò. Di lì a poco, il volto di Gesù sarebbe scomparso, ma il Maestro sarebbe «rimasto» sotto i veli del «pane spezzato», davanti al quale i loro occhi si erano aperti.
2. L'icona dei discepoli di Emmaus ben si presta ad orientare un Anno che vedrà la Chiesa particolarmente impegnata a vivere il mistero della Santa Eucaristia. Sulla strada dei nostri interrogativi e delle nostre inquietudini, talvolta delle nostre cocenti delusioni, il divino Viandante continua a farsi nostro compagno per introdurci, con l'interpretazione delle Scritture, alla comprensione dei misteri di Dio. Quando l'incontro diventa pieno, alla luce della Parola subentra quella che scaturisce dal «Pane di vita», con cui Cristo adempie in modo sommo la sua promessa di «stare con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (cfr Mt 28,20).
3. La «frazione del pane» — come agli inizi veniva chiamata l'Eucaristia — è da sempre al centro della vita della Chiesa. Per mezzo di essa Cristo rende presente, nello scorrere del tempo, il suo mistero di morte e di risurrezione. In essa Egli in persona è ricevuto quale «pane vivo disceso dal cielo» (Gv 6,51), e con Lui ci è dato il pegno della vita eterna, grazie al quale si pregusta l'eterno convito della Gerusalemme celeste. Più volte, e di recente nell'EnciclicaEcclesia de Eucharistia, ponendomi nel solco dell'insegnamento dei Padri, dei Concili Ecumenici e degli stessi miei Predecessori, ho invitato la Chiesa a riflettere sull'Eucaristia. Non intendo perciò, in questo scritto, riproporre l'insegnamento già offerto, al quale rinvio perché venga approfondito e assimilato. Ho ritenuto tuttavia che, proprio a tale scopo, potesse essere di grande aiuto un Anno interamente dedicato a questo mirabile Sacramento.
4. Com'è noto, l'Anno dell'Eucaristia andrà dall'ottobre 2004 all'ottobre 2005. L'occasione propizia per tale iniziativa mi è stata offerta da due eventi, che ne scandiranno opportunamente l'inizio e la fine: il Congresso Eucaristico Internazionale, in programma dal 10 al 17 ottobre 2004 a Guadalajara (Messico), e l'Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si terrà in Vaticano dal 2 al 29ottobre 2005 sul tema: «L'Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa». Ad orientarmi in questo passo non è mancata, poi, un'altra considerazione: cade in questo anno laGiornata Mondiale della Gioventù, che si svolgerà a Colonia dal 16 al 21 agosto 2005. L'Eucaristia è il centro vitale intorno a cui desidero che i giovani si raccolgano per alimentare la loro fede ed il loro entusiasmo. Il pensiero di una simile iniziativa eucaristica era già da tempo nel mio animo: essa costituisce infatti il naturale sviluppo dell'indirizzo pastorale che ho inteso imprimere alla Chiesa, specialmente a partire dagli anni di preparazione del Giubileo, e che ho poi ripreso in quelli che l'hanno seguito.
5. Nella presente Lettera apostolica mi propongo di sottolineare tale continuità di indirizzo, perché a tutti risulti più facile coglierne la portata spirituale. Quanto alla realizzazione concreta dell'Anno dell'Eucaristia, conto sulla personale sollecitudine dei Pastori delle Chiese particolari, ai quali la devozione verso così grande Mistero non mancherà di suggerire gli opportuni interventi. Ai miei Fratelli Vescovi, peraltro, non sarà difficile percepire come l'iniziativa, che segue a breve distanza la conclusione dell'Anno del Rosario, si ponga ad un livello spirituale così profondo da non venire ad intralciare in alcun modo i programmi pastorali delle singole Chiese. Essa, anzi, li può efficacemente illuminare, ancorandoli, per così dire, al Mistero che costituisce la radice e il segreto della vita spirituale dei fedeli come anche di ogni iniziativa della Chiesa locale. Non chiedo pertanto di interrompere i «cammini» pastorali che le singole Chiese vanno facendo, ma di accentuare in essi la dimensione eucaristica, che è propria dell'intera vita cristiana. Per conto mio, con questa Lettera voglio offrire alcuni orientamenti di fondo, nella fiducia che il Popolo di Dio, nelle sue diverse componenti, voglia accogliere la mia proposta con pronta docilità e fervido amore.

I

NEL SOLCO DEL CONCILIO
E DEL GIUBILEO
Con lo sguardo rivolto a Cristo
6. Dieci anni fa, con la Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), ebbi la gioia di indicare alla Chiesa il cammino di preparazione al Grande Giubileo dell'Anno 2000. Sentivo che questa occasione storica si profilava all'orizzonte come una grande grazia. Non mi illudevo, certo, che un semplice passaggio cronologico, pur suggestivo, potesse per se stesso comportare grandi cambiamenti. I fatti, purtroppo, si sono incaricati di porre in evidenza, dopo l'inizio del Millennio, una sorta di cruda continuità con gli eventi precedenti e spesso con quelli peggiori fra essi. È venuto così delineandosi uno scenario che, accanto a prospettive confortanti, lascia intravedere cupe ombre di violenza e di sangue che non finiscono di rattristarci. Ma invitando la Chiesa a celebrare il Giubileo dei duemila anni dall'Incarnazione, ero ben convinto — e lo sono tuttora più che mai!— di lavorare per i «tempi lunghi» dell'umanità.
Cristo infatti è al centro non solo della storia della Chiesa, ma anche della storia dell'umanità. In Lui tutto si ricapitola (cfr Ef 1,10;Col 1,15- 20). Come non ricordare lo slancio con cui il Concilio Ecumenico Vaticano II, citando il Papa Paolo VI, confessò che Cristo «è il fine della storia umana, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni»(1)? L'insegnamento del Concilio apportò nuovi approfondimenti alla conoscenza della natura della Chiesa, aprendo gli animi dei credenti ad una comprensione più attenta dei misteri della fede e delle stesse realtà terrestri nella luce di Cristo. In Lui, Verbo fatto carne, è infatti rivelato non solo il mistero di Dio, ma il mistero stesso dell'uomo.(2) In Lui l'uomo trova redenzione e pienezza.
7. Nell'Enciclica Redemptor hominis, agli inizi del mio Pontificato, sviluppai ampiamente questa tematica, che ho poi ripreso in varie altre circostanze. Il Giubileo fu il momento propizio per convogliare l'attenzione dei credenti su questa verità fondamentale. La preparazione del grande evento fu tutta trinitaria e cristocentrica. In questa impostazione, non poteva certo essere dimenticata l'Eucaristia. Se oggi ci avviamo a celebrare un Anno dell'Eucaristia, ricordo volentieri che già nella Tertio millennio advenientescrivevo: «Il Duemila sarà un anno intensamente eucaristico: nel sacramento dell'Eucaristia il Salvatore, incarnatosi nel grembo di Maria venti secoli fa, continua ad offrirsi all'umanità come sorgente di vita divina».(3) Il Congresso Eucaristico Internazionale, celebrato a Roma, diede concretezza a questa connotazione del Grande Giubileo. Mette conto anche ricordare che, in piena preparazione del Giubileo, nella Lettera apostolica Dies Domini proposi alla meditazione dei credenti il tema della «Domenica» come giorno del Signore risorto e giorno speciale della Chiesa. Invitai allora tutti a riscoprire la Celebrazione eucaristica come cuore della Domenica.(4)
Contemplare con Maria il volto di Cristo
8. L'eredità del Grande Giubileo fu in qualche modo raccolta nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte. In questo documento di carattere programmatico suggerivo una prospettiva di impegno pastorale fondato sulla contemplazione del volto di Cristo, all'interno di una pedagogia ecclesiale capace di tendere alla «misura alta» della santità, perseguita specialmente attraverso l'arte della preghiera.(5) E come poteva mancare, in questa prospettiva, l'impegno liturgico e, in modo particolare, l'attenzione alla vita eucaristica? Scrissi allora: «Nel secolo XX, specie dal Concilio in poi, molto è cresciuta la comunità cristiana nel modo di celebrare i Sacramenti e soprattutto l'Eucaristia. Occorre insistere in questa direzione, dando particolar rilievo all'Eucaristia domenicale e alla stessa Domenica, sentita come giorno speciale della fede, giorno del Signore risorto e del dono dello Spirito, vera Pasqua della settimana».(6) Nel contesto dell'educazione alla preghiera invitavo poi a coltivare la Liturgia delle Ore, mediante la quale la Chiesa santifica le diverse ore del giorno e la scansione del tempo nell'articolazione propria dell'anno liturgico.
9. Successivamente, con l'indizione dell'Anno del Rosario e con la pubblicazione della Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae, ripresi il discorso della contemplazione del volto di Cristo a partire dalla prospettiva mariana, attraverso la riproposta del Rosario. In effetti, questa preghiera tradizionale, tanto raccomandata dal Magistero e tanto cara al Popolo di Dio, ha una fisionomia spiccatamente biblica ed evangelica, prevalentemente centrata sul nome e sul volto di Gesù, fissato nella contemplazione dei misteri e nel ripetersi dell'Ave Maria. Il suo andamento ripetitivo costituisceuna sorta di pedagogia dell'amore, fatta per accendere l'animo dell'amore stesso che Maria nutre verso il Figlio suo. Per questo, portando a ulteriore maturazione un itinerario plurisecolare, ho voluto che questa forma privilegiata di contemplazione completasse i suoi lineamenti di vero «compendio del Vangelo» integrandovi i misteri della luce.(7) E come non porre, al vertice dei misteri della luce, la Santa Eucaristia?
Dall'Anno del Rosario all'Anno dell'Eucaristia
10. Proprio nel cuore dell'Anno del Rosario promulgai la Lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia, con la quale volli illustrare il mistero dell'Eucaristia nel suo rapporto inscindibile e vitale con la Chiesa. Richiamai tutti a celebrare il Sacrificio eucaristico con l'impegno che esso merita, prestando a Gesù presente nell'Eucaristia, anche al di fuori della Messa, un culto di adorazione degno di così grande Mistero. Soprattutto riproposi l'esigenza di una spiritualità eucaristica, additando a modello Maria come «donna eucaristica».(8)
L'Anno dell'Eucaristia si pone dunque su uno sfondo che si è andato di anno in anno arricchendo, pur restando sempre ben incardinato sul tema di Cristo e della contemplazione del suo Volto. In certo senso, esso si propone come un anno di sintesi, una sorta divertice di tutto il cammino percorso. Tante cose si potrebbero dire per vivere bene questo Anno. Io mi limiterò ad indicare alcune prospettive che possano aiutare tutti a convergere verso atteggiamenti illuminati e fecondi.
II
L'EUCARISTIA MISTERO DI LUCE
«Spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc24,27)
11. Il racconto dell'apparizione di Gesù risorto ai due discepoli di Emmaus ci aiuta a mettere a fuoco un primo aspetto del mistero eucaristico, che deve essere sempre presente nella devozione del Popolo di Dio: l'Eucaristia mistero di luce! In che senso può dirsi questo, e quali sono le implicazioni che ne derivano per la spiritualità e per la vita cristiana?
Gesù ha qualificato se stesso come «luce del mondo» (Gv 8,12), e questa sua proprietà è ben posta in evidenza da quei momenti della sua vita, come la Trasfigurazione e la Risurrezione, nei quali la sua gloria divina chiaramente rifulge. Nell'Eucaristia invece la gloria di Cristo è velata. Il Sacramento eucaristico è «mysterium fidei» per eccellenza. Tuttavia, proprio attraverso il mistero del suo totale nascondimento, Cristo si fa mistero di luce, grazie al quale il credente è introdotto nelle profondità della vita divina. Non è senza una felice intuizione che la celebre icona della Trinità di Rublëv pone in modo significativo l'Eucaristia al centro della vita trinitaria.
12. L'Eucaristia è luce innanzitutto perché in ogni Messa la liturgia della Parola di Dio precede la liturgia eucaristica, nell'unità delle due «mense», quella della Parola e quella del Pane. Questa continuità emerge nel discorso eucaristico del Vangelo di Giovanni, dove l'annuncio di Gesù passa dalla presentazione fondamentale del suo mistero all'illustrazione della dimensione propriamente eucaristica: «La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda» (Gv 6,55). Sappiamo che fu questa a mettere in crisi gran parte degli ascoltatori, inducendo Pietro a farsi portavoce della fede degli altri Apostoli e della Chiesa di tutti i tempi: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68). Nel racconto dei discepoli di Emmaus Cristo stesso interviene per mostrare, «cominciando da Mosé e da tutti i profeti», come «tutte le Scritture» portassero al mistero della sua persona (cfr Lc 24, 27). Le sue parole fanno «ardere» i cuori dei discepoli, li sottraggono all'oscurità della tristezza e della disperazione, suscitano in essi il desiderio di rimanere con Lui: «Resta con noi, Signore» (cfr Lc24,29).
13. I Padri del Concilio Vaticano II, nella CostituzioneSacrosanctum Conciliumhanno voluto che la «mensa della Parola» aprisse abbondantemente ai fedeli i tesori della Scrittura.(9) Per questo hanno consentito che, nella Celebrazione liturgica, specialmente le letture bibliche venissero offerte nella lingua a tutti comprensibile. È Cristo stesso che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura.(10) Al tempo stesso hanno raccomandato al celebrante l'omelia quale parte della stessa Liturgia, destinata ad illustrare la Parola di Dio e ad attualizzarla per la vita cristiana.(11) A quarant'anni dal Concilio, l'Anno dell'Eucaristia può costituire un'importante occasione perché le comunità cristiane facciano una verifica su questo punto. Non basta infatti che i brani biblici siano proclamati in una lingua comprensibile, se la proclamazione non avviene con quella cura, quella preparazione previa, quell'ascolto devoto, quel silenzio meditativo, che sono necessari perché la Parola di Dio tocchi la vita e la illumini.
«Lo riconobbero nello spezzare il pane» (Lc 24,35)
14. È significativo che i due discepoli di Emmaus, convenientemente preparati dalle parole del Signore, lo abbiano riconosciuto mentre stavano a mensa nel gesto semplice della «frazione del pane». Una volta che le menti sono illuminate e i cuori riscaldati, i segni «parlano». L'Eucaristia si svolge tutta nel contesto dinamico di segni che recano in sé un denso e luminoso messaggio. È attraverso i segni che il mistero in qualche modo si apre agli occhi del credente.
Come ho sottolineato nell'Enciclica Ecclesia de Eucharistia, è importante che nessuna dimensione di questo Sacramento venga trascurata. È infatti sempre presente nell'uomo la tentazione di ridurre l'Eucaristia alle proprie dimensioni, mentre in realtà è lui a doversi aprire alle dimensioni del Mistero. «L'Eucaristia è un dono troppo grande, per sopportare ambiguità e diminuzioni».(12)
15. Non c'è dubbio che la dimensione più evidente dell'Eucaristia sia quella del convito. L'Eucaristia è nata, la sera del Giovedì Santo, nel contesto della cena pasquale. Essa pertanto porta inscritto nella sua struttura il senso della convivialità: «Prendete e mangiate... Poi prese il calice e... lo diede loro dicendo: Bevetene tutti...» (Mt 26, 26.27). Questo aspetto ben esprime il rapporto di comunione che Dio vuole stabilire con noi e che noi stessi dobbiamo sviluppare vicendevolmente.
Non si può tuttavia dimenticare che il convito eucaristico ha anche un senso profondamente e primariamente sacrificale.(13) In esso Cristo ripresenta a noi il sacrificio attuato una volta per tutte sul Golgota. Pur essendo presente in esso da risorto, Egli porta i segni della sua passione, di cui ogni Santa Messa è «memoriale», come la Liturgia ci ricorda con l'acclamazione dopo la consacrazione: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione...». Al tempo stesso, mentre attualizza il passato, l'Eucaristia ci proietta verso il futuro dell'ultima venuta di Cristo, al termine della storia. Questo aspetto «escatologico» dà al Sacramento eucaristico un dinamismo coinvolgente, che infonde al cammino cristiano il passo della speranza.
«Io sono con voi tutti i giorni...» (Mt 28,20)
16. Tutte queste dimensioni dell'Eucaristia si rannodano in un aspetto che più di tutti mette alla prova la nostra fede: è il mistero della presenza «reale». Con tutta la tradizione della Chiesa, noi crediamo che, sotto le specie eucaristiche, è realmente presente Gesù. Una presenza — come spiegò efficacemente il Papa Paolo VI — che è detta «reale» non per esclusione, quasi che le altre forme di presenza non siano reali, ma per antonomasia, perché in forza di essa Cristo tutto intero si fa sostanzialmente presente nella realtà del suo corpo e del suo sangue.(14) Per questo la fede ci chiede di stare davanti all'Eucaristia con la consapevolezza che siamo davanti a Cristo stesso. Proprio la sua presenza dà alle altre dimensioni — di convito, di memoriale della Pasqua, di anticipazione escatologica — un significato che va ben al di là di un puro simbolismo. L'Eucaristia è mistero di presenza, per mezzo del quale si realizza in modo sommo la promessa di Gesù di restare con noi fino alla fine del mondo.
Celebrare, adorare, contemplare
17. Mistero grande, l'Eucaristia! Mistero che dev'essere innanzituttoben celebrato. Bisogna che la Santa Messa sia posta al centro della vita cristiana, e che in ogni comunità si faccia di tutto per celebrarla decorosamente, secondo le norme stabilite, con la partecipazione del popolo, avvalendosi dei diversi ministri nell'esercizio dei compiti per essi previsti, e con una seria attenzione anche all'aspetto di sacralità che deve caratterizzare il canto e la musica liturgica. Un impegno concreto di questo Anno dell'Eucaristiapotrebbe essere quello di studiare a fondo, in ogni comunità parrocchiale, l' Ordinamento Generale del Messale Romano. La via privilegiata per essere introdotti nel mistero della salvezza attuata nei santi «segni» resta poi quella di seguire con fedeltà lo svolgersi dell'Anno liturgico. I Pastori si impegnino in quellacatechesi «mistagogica», tanto cara ai Padri della Chiesa, che aiuta a scoprire le valenze dei gesti e delle parole della Liturgia, aiutando i fedeli a passare dai segni al mistero e a coinvolgere in esso l'intera loro esistenza.
18. Occorre, in particolare, coltivare, sia nella celebrazione della Messa che nel culto eucaristico fuori della Messa, la viva consapevolezza della presenza reale di Cristo, avendo cura di testimoniarla con il tono della voce, con i gesti, con i movimenti, con tutto l'insieme del comportamento. A questo proposito, le norme ricordano — e io stesso ho avuto modo recentemente di ribadirlo(15) — il rilievo che deve essere dato ai momenti di silenzio sia nella celebrazione che nell'adorazione eucaristica. È necessario, in una parola, che tutto il modo di trattare l'Eucaristia da parte dei ministri e dei fedeli sia improntato a un estremo rispetto.(16) La presenza di Gesù nel tabernacolo deve costituire come un polo di attrazione per un numero sempre più grande di anime innamorate di Lui, capaci di stare a lungo ad ascoltarne la voce e quasi a sentirne i palpiti del cuore. «Gustate e vedete quanto è buono il Signore!» (Sal 33 [34],9).
L'adorazione eucaristica fuori della Messa diventi, durante questo anno, un impegno speciale per le singole comunità parrocchiali e religiose. Restiamo prostrati a lungo davanti a Gesù presente nell'Eucaristia, riparando con la nostra fede e il nostro amore le trascuratezze, le dimenticanze e persino gli oltraggi che il nostro Salvatore deve subire in tante parti del mondo. Approfondiamo nell'adorazione la nostra contemplazione personale e comunitaria, servendoci anche di sussidi di preghiera sempre improntati alla Parola di Dio e all'esperienza di tanti mistici antichi e recenti. Lo stesso Rosario, compreso nel suo senso profondo, biblico e cristocentrico, che ho raccomandato nella Lettera apostolicaRosarium Virginis Mariae, potrà essere una via particolarmente adatta alla contemplazione eucaristica, attuata in compagnia e alla scuola di Maria.(17)
Si viva, quest'anno, con particolare fervore la solennità del Corpus Domini con la tradizionale processione. La fede nel Dio che, incarnandosi, si è fatto nostro compagno di viaggio sia proclamata dovunque e particolarmente per le nostre strade e fra le nostre case, quale espressione del nostro grato amore e fonte di inesauribile benedizione.

III
L'EUCARISTIA SORGENTE ED EPIFANIA DI COMUNIONE
«Rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4)
19. Alla richiesta dei discepoli di Emmaus che Egli rimanesse «con» loro, Gesù rispose con un dono molto più grande: mediante il sacramento dell'Eucaristia trovò il modo di rimanere «in» loro. Ricevere l'Eucaristia è entrare in comunione profonda con Gesù. «Rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4). Questo rapporto di intima e reciproca «permanenza» ci consente di anticipare, in qualche modo, il cielo sulla terra. Non è forse questo l'anelito più grande dell'uomo? Non è questo ciò che Dio si è proposto, realizzando nella storia il suo disegno di salvezza? Egli ha messo nel cuore dell'uomo la «fame» della sua Parola (cfr Am 8,11), una fame che si appagherà solo nell'unione piena con Lui. La comunione eucaristica ci è data per «saziarci» di Dio su questa terra, in attesa dell'appagamento pieno del cielo.
Un solo pane, un solo corpo
20. Ma questa speciale intimità che si realizza nella «comunione» eucaristica non può essere adeguatamente compresa né pienamente vissuta al di fuori della comunione ecclesiale. È quanto ho ripetutamente sottolineato nell'Enciclica Ecclesia de Eucharistia. La Chiesa è il corpo di Cristo: si cammina «con Cristo» nella misura in cui si è in rapporto «con il suo corpo». A creare e fomentare questa unità Cristo provvede con l'effusione dello Spirito Santo. E Lui stesso non cessa di promuoverla attraverso la sua presenza eucaristica. In effetti, è proprio l'unico Pane eucaristico che ci rende un corpo solo. Lo afferma l'apostolo Paolo: «Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane» (1Cor 10,17). Nel mistero eucaristico Gesù edifica la Chiesa come comunione, secondo il supremo modello evocato nella preghiera sacerdotale: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21).
21. Se l'Eucaristia è sorgente dell'unità ecclesiale, essa ne è anche la massima manifestazione. L'Eucaristia è epifania di comunione. È per questo che la Chiesa pone delle condizioni perché si possa prendere parte in modo pieno alla Celebrazione eucaristica.(18) Le varie limitazioni devono indurci a prendere sempre maggior coscienza di quanto sia esigente la comunione che Gesù ci chiede. È comunione gerarchica, fondata sulla coscienza dei diversi ruoli e ministeri, continuamente ribadita anche nella preghiera eucaristica attraverso la menzione del Papa e del Vescovo diocesano. È comunione fraterna, coltivata con una «spiritualità di comunione» che ci induce a sentimenti di reciproca apertura, di affetto, di comprensione e di perdono.(19)
«Un cuor solo e un'anima sola» (At 4,32)
22. In ogni Santa Messa siamo chiamati a misurarci con l'ideale di comunione che il libro degli Atti degli Apostoli tratteggia come modello per la Chiesa di sempre. È la Chiesa raccolta intorno agli Apostoli, convocata dalla Parola di Dio, capace di una condivisione che non riguarda solo i beni spirituali, ma gli stessi beni materiali (cfr At 2,42-47; 4,32-35). In questo Anno dell'Eucaristia il Signore ci invita ad avvicinarci il più possibile a questo ideale. Si vivano con particolare impegno i momenti già suggeriti dalla Liturgia per la «Messa stazionale», in cui il Vescovo celebra in cattedrale con i suoi presbiteri e i diaconi e con la partecipazione del Popolo di Dio in tutte le sue componenti. È questa la principale «manifestazione» della Chiesa.(20) Ma sarà lodevole individuare altre occasioni significative, anche a livello delle parrocchie, perché il senso della comunione cresca, attingendo dalla Celebrazione eucaristica un rinnovato fervore.
Il Giorno del Signore
23. In particolare auspico che in questo anno si ponga un impegno speciale nel riscoprire e vivere pienamente la Domenica come giorno del Signore e giorno della Chiesa. Sarei felice se si rimeditasse quanto ebbi a scrivere nella Lettera apostolica Dies Domini. «È proprio nella Messa domenicale, infatti, che i cristiani rivivono in modo particolarmente intenso l'esperienza fatta dagli Apostoli la sera di Pasqua, quando il Risorto si manifestò ad essi riuniti insieme (cfr Gv 20,19). In quel piccolo nucleo di discepoli, primizia della Chiesa, era in qualche modo presente il Popolo di Dio di tutti i tempi».(21) I sacerdoti nel loro impegno pastorale prestino, durante questo anno di grazia, un'attenzione ancor più grande alla Messa domenicale, come celebrazione in cui la comunità parrocchiale si ritrova in maniera corale, vedendo ordinariamente partecipi anche i vari gruppi, movimenti, associazioni in essa presenti.

IV

L'EUCARISTIA PRINCIPIO
E PROGETTO DI «MISSIONE»
«Partirono senza indugio» (Lc 24,33)
24. I due discepoli di Emmaus, dopo aver riconosciuto il Signore, «partirono senza indugio» (Lc 24,33), per comunicare ciò che avevano visto e udito. Quando si è fatta vera esperienza del Risorto, nutrendosi del suo corpo e del suo sangue, non si può tenere solo per sé la gioia provata. L'incontro con Cristo, continuamente approfondito nell'intimità eucaristica, suscita nella Chiesa e in ciascun cristiano l'urgenza di testimoniare e di evangelizzare. Ebbi a sottolinearlo proprio nell'omelia in cui annunciai l'Anno dell'Eucaristia, riferendomi alle parole di Paolo: «Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga» (1Cor11,26). L'Apostolo pone in stretta relazione tra loro il convito e l'annuncio: entrare in comunione con Cristo nel memoriale della Pasqua significa, nello stesso tempo, sperimentare il dovere di farsi missionari dell'evento che quel rito attualizza.(22) Il congedo alla fine di ogni Messa costituisce una consegna, che spinge il cristiano all'impegno per la propagazione del Vangelo e la animazione cristiana della società.
25. Per tale missione l'Eucaristia non fornisce solo la forza interiore, ma anche — in certo senso — il progetto. Essa infatti è un modo di essere, che da Gesù passa nel cristiano e, attraverso la sua testimonianza, mira ad irradiarsi nella società e nella cultura. Perché ciò avvenga, è necessario che ogni fedele assimili, nella meditazione personale e comunitaria, i valori che l'Eucaristia esprime, gli atteggiamenti che essa ispira, i propositi di vita che suscita. Perché non vedere in questo la speciale consegna che potrebbe scaturire dall'Anno dell'Eucaristia?
Rendere grazie
26. Un fondamentale elemento di questo progetto emerge dal significato stesso della parola «eucaristia»: rendimento di grazie. In Gesù, nel suo sacrificio, nel suo «sì» incondizionato alla volontà del Padre, c'è il «sì», il «grazie» e l'«amen» dell'umanità intera. La Chiesa è chiamata a ricordare agli uomini questa grande verità. È urgente che ciò venga fatto soprattutto nella nostra cultura secolarizzata, che respira l'oblio di Dio e coltiva la vana autosufficienza dell'uomo. Incarnare il progetto eucaristico nella vita quotidiana, là dove si lavora e si vive — in famiglia, a scuola, nella fabbrica, nelle più diverse condizioni di vita — significa, tra l'altro, testimoniare che la realtà umana non si giustifica senza il riferimento al Creatore: «La creatura, senza il Creatore, svanisce».(23) Questo riferimento trascendente, che ci impegna ad un perenne «grazie» — ad un atteggiamento eucaristico appunto — per quanto abbiamo e siamo, non pregiudica la legittima autonomia delle realtà terrene,(24) ma la fonda nel modo più vero collocandola, al tempo stesso, entro i suoi giusti confini.
In questo Anno dell'Eucaristia ci si impegni, da parte dei cristiani, a testimoniare con più forza la presenza di Dio nel mondo. Non abbiamo paura di parlare di Dio e di portare a fronte alta i segni della fede. La «cultura dell'Eucaristia» promuove una cultura del dialogo, che trova in essa forza e alimento. Ci si sbaglia a ritenere che il riferimento pubblico alla fede possa intaccare la giusta autonomia dello Stato e delle istituzioni civili, o che addirittura possa incoraggiare atteggiamenti di intolleranza. Se storicamente non sono mancati errori in questa materia anche nei credenti, come ebbi a riconoscere in occasione del Giubileo, ciò va addebitato non alle «radici cristiane», ma all'incoerenza dei cristiani nei confronti delle loro radici. Chi impara a dire «grazie» alla maniera del Cristo crocifisso, potrà essere un martire, ma non sarà mai un aguzzino.
La via della solidarietà
27. L'Eucaristia non è solo espressione di comunione nella vita della Chiesa; essa è anche progetto di solidarietà per l'intera umanità. La Chiesa rinnova continuamente nella celebrazione eucaristica la sua coscienza di essere «segno e strumento» non solo dell'intima unione con Dio, ma anche dell'unità di tutto il genere umano.(25) Ogni Messa, anche quando è celebrata nel nascondimento e in una regione sperduta della terra, porta sempre il segno dell'universalità. Il cristiano che partecipa all'Eucaristia apprende da essa a farsi promotore di comunione, di pace, di solidarietà, in tutte le circostanze della vita. L'immagine lacerata del nostro mondo, che ha iniziato il nuovo Millennio con lo spettro del terrorismo e la tragedia della guerra, chiama più che mai i cristiani a vivere l'Eucaristia come una grande scuola di pace, dove si formano uomini e donne che, a vari livelli di responsabilità nella vita sociale, culturale, politica, si fanno tessitori di dialogo e di comunione.
A servizio degli ultimi
28. C'è ancora un punto sul quale vorrei richiamare l'attenzione, perché su di esso si gioca in notevole misura l'autenticità della partecipazione all'Eucaristia, celebrata nella comunità: è la spinta che essa ne trae per un impegno fattivo nell'edificazione di una società più equa e fraterna. Nell'Eucaristia il nostro Dio ha manifestato la forma estrema dell'amore, rovesciando tutti i criteri di dominio che reggono troppo spesso i rapporti umani ed affermando in modo radicale il criterio del servizio: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti» (Mc 9,35). Non a caso, nel Vangelo di Giovanni non troviamo il racconto dell'istituzione eucaristica, ma quello della «lavanda dei piedi» (cfrGv 13,1-20): chinandosi a lavare i piedi dei suoi discepoli, Gesù spiega in modo inequivocabile il senso dell'Eucaristia. San Paolo, a sua volta, ribadisce con vigore che non è lecita una celebrazione eucaristica nella quale non risplenda la carità testimoniata dalla concreta condivisione con i più poveri (cfr 1Cor 11,17- 22.27-34).
Perché dunque non fare di questo Anno dell'Eucaristia un periodo in cui le comunità diocesane e parrocchiali si impegnano in modo speciale ad andare incontro con fraterna operosità a qualcuna delle tante povertà del nostro mondo? Penso al dramma della fame che tormenta centinaia di milioni di esseri umani, penso alle malattie che flagellano i Paesi in via di sviluppo, alla solitudine degli anziani, ai disagi dei disoccupati, alle traversie degli immigrati. Sono mali, questi, che segnano — seppur in misura diversa — anche le regioni più opulente. Non possiamo illuderci: dall'amore vicendevole e, in particolare, dalla sollecitudine per chi è nel bisogno saremo riconosciuti come veri discepoli di Cristo (cfr Gv13,35; Mt 25,31-46). È questo il criterio in base al quale sarà comprovata l'autenticità delle nostre celebrazioni eucaristiche.

CONCLUSIONE
29. O Sacrum Convivium, in quo Christus sumitur! L'Anno dell'Eucaristia nasce dallo stupore con cui la Chiesa si pone di fronte a questo grande Mistero. È uno stupore che non finisce di pervadere il mio animo. Da esso è scaturita l'Enciclica Ecclesia de Eucharistia. Sento come una grande grazia del ventisettesimo anno di ministero petrino, che sto per iniziare, il poter chiamare ora tutta la Chiesa a contemplare, a lodare, ad adorare in modo specialissimo questo ineffabile Sacramento. L'Anno dell'Eucharistia sia per tutti occasione preziosa per una rinnovata consapevolezza del tesoro incomparabile che Cristo ha affidato alla sua Chiesa. Sia stimolo ad una sua celebrazione più viva e sentita, dalla quale scaturisca un'esistenza cristiana trasformata dall'amore.
Tante iniziative potranno essere realizzate in questa prospettiva, a giudizio dei Pastori delle Chiese particolari. La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti non mancherà di offrire, al riguardo, utili suggerimenti e proposte. Non chiedo tuttavia che si facciano cose straordinarie, ma che tutte le iniziative siano improntate a profonda interiorità. Se il frutto di questo Anno fosse anche soltanto quello di ravvivare in tutte le comunità cristiane la celebrazione della Messa domenicale e di incrementarel'adorazione eucaristica fuori della Messa, questo Anno di grazia avrebbe conseguito un risultato significativo. Buona cosa tuttavia è mirare in alto, non accontentandoci di misure mediocri, perché sappiamo di poter contare sempre sull'aiuto di Dio.
30. A voi, cari Confratelli nell'Episcopato, affido questo Anno, sicuro che accoglierete il mio invito con tutto il vostro ardore apostolico.
Voi, sacerdoti, che ogni giorno ripetete le parole della consacrazione e siete testimoni e annunciatori del grande miracolo di amore che avviene tra le vostre mani, lasciatevi interpellare dalla grazia di quest'Anno speciale, celebrando ogni giorno la Santa Messa con la gioia ed il fervore della prima volta e sostando volentieri in preghiera davanti al Tabernacolo.
Sia un Anno di grazia per voi, diaconi, che siete da vicino coinvolti nel ministero della Parola e nel servizio dell'Altare. Anche voi,lettori, accoliti, ministri straordinari della comunione, abbiate coscienza viva del dono che vi viene fatto con i compiti a voi affidati in vista di una degna celebrazione dell'Eucaristia.
In particolare, mi rivolgo a voi, futuri sacerdoti: nella vita di Seminario cercate di fare esperienza di quanto è dolce non solo partecipare ogni giorno alla Santa Messa, ma anche indugiare a lungo nel dialogo con Gesù Eucaristia.
Voi, consacrati e consacrate, chiamati dalla vostra stessa consacrazione a una contemplazione più prolungata, ricordate che Gesù nel Tabernacolo vi aspetta accanto a sé, per riversare nei vostri cuori quell'intima esperienza della sua amicizia che sola può dare senso e pienezza alla vostra vita.
Voi tutti, fedeli, riscoprite il dono dell'Eucaristia come luce e forza per la vostra vita quotidiana nel mondo, nell'esercizio delle rispettive professioni e a contatto con le più diverse situazioni. Riscopritelo soprattutto per vivere pienamente la bellezza e la missione della famiglia.
Molto infine mi aspetto da voi, giovani, mentre vi rinnovo l'appuntamento per la Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia. Il tema prescelto — «Siamo venuti per adorarlo (Mt 2,2)» — si presta in modo particolare a suggerirvi il giusto atteggiamento in cui vivere quest'anno eucaristico. Portate all'incontro con Gesù nascosto sotto i veli eucaristici tutto l'entusiasmo della vostra età, della vostra speranza, della vostra capacità di amare.
31. Stanno davanti ai nostri occhi gli esempi dei Santi, che nell'Eucaristia hanno trovato l'alimento per il loro cammino di perfezione. Quante volte essi hanno versato lacrime di commozione nell'esperienza di così grande mistero ed hanno vissuto indicibili ore di gioia «sponsale» davanti al Sacramento dell'altare. Ci aiuti soprattutto la Vergine Santa, che incarnò con l'intera sua esistenza la logica dell'Eucaristia. «La Chiesa, guardando a Maria come a suo modello, è chiamata ad imitarla anche nel suo rapporto con questo Mistero santissimo».(26) Il Pane eucaristico che riceviamo è la carne immacolata del Figlio: «Ave verum corpus natum de Maria Virgine». In questo Anno di grazia, sostenuta da Maria, la Chiesa trovi nuovo slancio per la sua missione e riconosca sempre di più nell'Eucaristia la fonte e il vertice di tutta la sua vita.
A tutti giunga, apportatrice di grazia e di gioia, la mia Benedizione.
Dal Vaticano, il 7 ottobre, memoria della B. Maria Vergine del Rosario, dell'anno 2004, ventiseiesimo di Pontificato.
IOANNES PAULUS PP.II

(1) Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 45.
(2) Cfr ibid., 22.
(3) N. 55: AAS 87 (1995), 38.
(4) Cfr n. 32-34: AAS 90 (1998), 732-734.
(5) Cfr n. 30-32: AAS 93 (2001), 287-289.
(6) Ibid., 35, l.c., 290-291.
(7) Cfr Lett. ap. Rosarium Virginis Mariae (16 ottobre 2002), 19.21: AAS 95 (2003), 18-20.
(8) Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 53: AAS 95 (2003), 469.
(9) Cfr n.51.
(10) Cfr ibid., 7.
(11) Cfr ibid., 52.
(12) Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 10: AAS 95 (2003), 439.
(13) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 10: AAS 95 (2003), 439; Congr. per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istr. Redemptionis Sacramentum su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia (25 marzo 2004), 38: L'Osservatore Romano, 24 aprile 2004, suppl., p.3.
(14) Cfr Lett. enc. Mysterium fidei (3 settembre 1965), 39: AAS 57 (1965), 764; S. Congr. dei Riti, Istr. Eucharisticum mysterium sul culto del Mistero eucaristico (25 maggio 1967), 9: AAS 59 (1967), 547.
(15) Cfr Messaggio Spiritus et Sponsa, nel XL anniversario della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla Sacra Liturgia (4dicembre 2003), 13: AAS 96 (2004), 425.
(16) Cfr Congr. per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istr. Redemptionis Sacramentum su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia (25 marzo 2004):L'Osservatore Romano, 24 aprile 2004, suppl.
(17) Cfr ibid. 137, l.c., p.7.
(18) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 44: AAS 95 (2003), 462; Codice di Diritto Canonico, can. 908; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 702; Pont. Cons. per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, Directorium Oecumenicum (25 marzo 1993), 122-125, 129-131: AAS 85 (1993), 1086-1089; Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. Ad exsequendam (18 maggio 2001): AAS 93 (2001), 786.
(19) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 43: AAS 93 (2001), 297.
(20) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra LiturgiaSacrosanctum Concilium, 41.
(21) N. 33: AAS 90 (1998), 733.
(22) Cfr Omelia nella solennità del Corpus Domini (10 giugno 2004), 1: L'Osservatore Romano, 11-12 giugno 2004, p.6.
(23) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 36.
(24) Cfr ibid.
(25) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 1.
(26) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 53: AAS 95 (2003), 469.


Copyright © Libreria Editrice Vaticana

AMDG et BVM

sabato 27 aprile 2013

Marìa Valtorta: Domingo V de Pascua, C: San Juan, 13, 31-35 : LA CENA PASCUAL //Es fuerte!//



LA CENA PASCUAL



Comienzan los sufrimientos del Jueves Santo.



Los diez apóstoles presentes se dan prisa en preparar el cenáculo.
Judas, subido sobre una mesa, mira si hay suficiente aceite en todos los mecheros del gigantesco candil que parece una corola de fucsia doble porque un tallo está rodeado de cinco quinqués semejantes a pétalos, y después hacia abajo, da otra vuelta que semeja  una corona de llamas; finalmente tres delgadas lamparitas suspendidas por unas cadenitas que parecen los pistilos de esta flor luminosa.
Judas baja de un salto y ayuda a Andrés a disponer la vajilla sobre la mesa cubierta con un finísimo mantel. Oigo a Andrés que dice: "¡Qué rico lino!"
E Iscariote: "Uno de los mejores de Lázaro. Marta se empeñó en traerlo."
"Y ¿qué decir de estas copas, de estas jarras?" pregunta Tomás que ha versado el vino en las ricas jarras y las mira reflejándose en sus delgadas partes curvas. Acaricia las asas labradas a cincel, como uno que entiende."
"¿Cuánto costarán?" pregunta Judas Iscariote.
"Es un trabajo a cincel. Mi padre se moriría de gusto por verlas. El oro y la plata en lámina se doblan bien cuando están calientes. Pero tratados así... En un momento se puede echar a perder todo. Basta un golpe fallido. Se necesita igualmente fuerza y habilidad. ¿Ves las asas? Las hicieron al mismo tiempo que el resto. No están soldadas. ¡Cosas de ricos!... Piensa en que no se ven ni la limadura, ni el desbaste. No sé si me comprendas."
"¡Si te entiendo! Quieres decir que es así como quien hace una escultura."
"Exactamente."
Todos admiran las jarras. Después, regresan a su quehacer. Unos ponen en orden los asientos, otros las mesitas.
Entran juntos Pedro y Simón.
"¡Oh, finalmente habéis regresado! ¿A dónde habéis ido otra vez? Después que vinimos todos juntos, tornasteis a desaparecer" dice Iscariote.
"Teníamos algo que arreglar" responde secamente Simón.
"¿Estás de malhumor?"
"Y me parece que sí con lo que se ha oído en estos días y lo que han dicho bocas no acostumbradas a la mentira."
"Y con el hedor de ese... Es mejor que te calles la boca, Pedro" rezonga Pedro entre dientes.
"¡También tú!... Hace días que me parece que la cabeza no te funciona bien. Tienes la cara de un conejo que siente al chacal detrás de sí" responde Judas Iscariote..
"Y tú tienes el hocico de la garduña. Hace días que no te ves tan bien. Miras en cierta forma... Miras como de reojo... ¿Qué esperas, o qué quieres ver? Te das importancia, lo quieres demostrar, pero te asemejas a quien tiene miedo" le replica Pedro.
"¡Oh, sí que tengo miedo! Pero tampoco eres tú un héroe."
"Ninguno de nosotros lo es, Judas. Llevas el nombre del Macabeo, pero no lo eres. Yo digo con el mío: "Dios hace favor". Pero te juro que tengo en mí el estremecimiento de quien sabe que trae desgracias y sobre todo que está en desgracia de Dios. Simón de Jonás o con otro nombre "la roca", parece tan blando como cera puesta al fuego. No puede controlarse más. Jamás lo vi que hubiera tenido miedo aun en las tempestades más furiosas. Mateo, Bartolomé y Felipe parecen sonámbulos. Mi hermano y Andrés no hacen más que suspirar. Mira a los dos primos, a quienes no sólo el parentesco sino también el amor los une con el Maestro. Parece que han envejecido. Tomás ha perdido su buen humor. Simón parece el leproso de hace unos tres años. Se le ve consumido por el dolor, lívido, sin fuerzas."

JUDAS ACUSA A JESÚS ANTE LOS APÓSTOLES DE MELANCOLÍA

"Tienes razón. A todos nos ha sugestionado con su melancolía"  observa Iscariote.
"Mi primo Jesús, mi Maestro y Señor como también lo es vuestro, no es un melancólico. Si con eso quieres dar a entender que está triste por el dolor que Israel le causa, de lo que somos testigos, y por otro que sólo El sabe, afirmo que "tienes razón". Pero si con tal palabra quieres decir que está loco, te lo prohíbo" grita Santiago de Alfeo.
"¿Y no es locura, una idea fija de melancolía? También yo he estudiado esas cosas. Las sé. El dio mucho de Sí, ahora es un hombre mentalmente cansado."
"Lo que significa que está loco, ¿no es verdad?" le pregunta Tadeo aparentemente tranquilo.
"Así es. Tu padre comprendió bien las cosas. Tu padre de santa memoria a quien te le pareces tanto por tu rectitud y sabiduría. Jesús, triste destino de una ilustre casa demasiado vieja y castigada con la senilidad síquica, ha tenido siempre tendencia hacia esta enfermedad. En los primeros días era dulce, después agresivo. Tú mismo viste cómo atacó a fariseos y escribas, a saduceos y herodianos. Se ha hecho imposible la vida como un sendero cubierto de piedras puntiagudas. Y fue El mismo el causante... Nosotros... lo amamos tanto que el amor nos impidió ver. Pero los que no lo amaron idolátricamente, como tu padre, tu hermano José y sobre todo Simón, éstos sí que vieron las cosas en su punto justo... Deberíamos abrir los ojos a sus palabras y no lo hacemos porque estamos todos sugestionados con su dulce fascinación de enfermo. Y ahora..."

JUDAS TADEO, TIENE UN ACTO DE ARREBATO 
Y LE DA UN SOBERBIO BOFETÓN QUE LO ARROJA 
CONTRA UNO DE LOS ASIENTOS.

Judas Tadeo, que es alto como Iscariote, está en frente de él que parece escucharlo calmadamente, tiene un acto de arrebato y le da un soberbio bofetón que lo arroja contra uno de los asientos. Y, con una cólera incontenible, se inclina sobre el bellaco que no reacciona, tal vez temeroso que Tadeo esté al tanto de su traición: "Esto por lo de la locura, ¡reptil! Y sólo porque está allí, y es la tarde pascual no te ahorco.¡Pero piénsalo bien! Si le pasa algo malo, y no pueda controlar mi fuerza, nadie te salvará. Es como si tuvieses ya la cuerda al cuello. Tendrás que probar estas manos mías honradas y fuertes de galileo, de tanto trabajar y  descendiente del que con su honda abatió a Goliat. Levántate, enervado libertino. ¡Y toma tus providencias!"
Judas se levanta, pálido, sin reaccionar lo mínimo. Y lo que me sorprende es que nadie ha protestado por lo que acaba de hacer Tadeo. Antes bien... Todos lo aprueban.

ENTRA JESÚS.

Apenas se ha calmado el ambiente cuando entra Jesús. Se le ve en el umbral de la puertecilla, por la que apenas si su alta persona puede pasar. Pone el pie en plataforma tan reducida, y con su dulce pero triste sonrisa, abriendo los brazos dice: "La paz sea con vosotros" Su voz es como la de un hombre cansado, como la de quien física y sicológicamente se va agotando.
Baja. Acaricia la cabeza rubia de Juan que se le ha acercado. Sonríe, como si ignorase, a su primo Judas, y al otro primo le dice: "Tu madre te ruega que seas afable con José. Hace poco que preguntó por Mí y por ti a las mujeres. Me desagrada no haberlo saludado."
"Lo podrás hacer mañana."
"¿Mañana?... Siempre tendré tiempo de verlo... ¡Oh, Pedro, finalmente estaremos un poco juntos! Desde ayer pareces un fuego fatuo. Te veo por un momento y luego desapareces. Me parece que este día no te he visto sino muy poco. También tu, Simón."
"Nuestras canas que abundan ya pueden asegurarte que no estuvimos ausentes porque tuviésemos hambre de carne" dice con seriedad Simón.
"Aunque... toda edad pueda tenerla... ¡Los viejos!¡Peor que los jóvenes!..." le interrumpe con estas palabras ofensivas Iscariote.
Simón lo mira y va a rebatirle, pero se detiene ante la mirada de Jesús que pregunta a Iscariote: "¿Te duele alguna muela? Tienes la mejilla derecha hinchada y colorada."
"Sí me duele. Pero no es para tanto."
Los otros no dicen nada, y toda acaba así.
"¿Habéis terminado todo? ¿Tú, Mateo? ¿Y tú, Andrés? ¿Y tú, Judas, has pensado en la oferta que hay que hacer al Templo?"
Tanto los dos primos como Iscariote responden: "Todo. Puedes estar tranquilo."
"Llevé las primicias de Lázaro a Juana de Cusa para los niños. Me dijeron: "¡Eran mejores esas manzanas!" Que invitaban a comérselas. Eran tus manzanas" dice sonriente y soñador Juan.
También Jesús sonríe recordando algo...
"Me encontré con Nicodemo y José" dice Tomás.
"¿Los has visto?¿Hablaste con ellos?" pregunta con interés marcado Iscariote.
"Sí, y ¿qué tiene de extraño? José es un buen cliente de mi padre."
"Nunca lo habías dicho... Por eso me sorprendí..." Judas trata de borrar la impresión causada antes con su pregunta.
"Raro que no hayan venido a presentarte sus respetos. Tampoco han venido Cusa, ni Mannaén.. Ninguno de los ..."
Pero Iscariote con una falsa risilla interrumpe a Bartolomé diciendo: "El cocodrilo se mete en su guardia cuando llega la hora."
"¿Qué quieres decir? ¿Qué insinúas?" pregunta con tono agresivo Simón, que no solía hacerlo.

"¡PAZ, PAZ! ¿QUÉ OS PASA? NUNCA HABÍAMOS TENIDO 
ESCENARIO TAN DIGNO PARA COMER EL CORDERO. 
COMAMOS, PUES, LA CENA CON ESPÍRITU DE PAZ.

"¡Paz, paz! ¿Qué os pasa? Nunca habíamos tenido escenario tan digno para comer el cordero. Comamos, pues, la cena con espíritu de paz. Comprendo que os he turbado mucho con mis instrucciones de estás últimas noches. Pero ya hemos terminado. Ahora no os perturbaré más. No todo lo que se refiere a Mí está dicho, tan sólo lo esencial. El resto... después lo comprenderéis. Se os dirá... Sí. Vendrá quien os lo comunicará. Juan, ve con Judas y algún otro a traer las jarras para la purificación, y luego nos sentaremos a la mesa." Jesús es de una dulzura que arrebata.
Juan, Andrés, Judas Tadeo y Simón traen una gran palangana, le ponen agua, ofrecen la toalla a Jesús y a los demás. La palangana que es de metal, la ponen, terminado todo, en un rincón.

JESÚS COLOCA A LOS APÓSTOLES EN LA MESA

"Y ahora cada cual a su lugar. Yo me siento aquí. A mi derecha Juan y al otro lado mi fiel Santiago. Los dos primeros discípulos. Al lado de Juan mi fuerte Piedra; al lado de Santiago, el que se parece al aire. No se le ve, pero siempre está presente y ayuda: Andrés. Junto a él mi primo Santiago. No te lamentes, querido hermano, si doy el primer lugar a los primeros. Eres el sobrino del justo, cuyo espíritu palpita y revolotea a mi alrededor esta noche, más que nunca. Tranquilízate, ¡padre de mi debilidad de pequeño! tú que fuiste la encina bajo cuya sombra encontramos protección mi Madre y Yo. Junto a Pedro: Simón... Simón, ven un momento aquí. Quiero ver tu leal cara. Después no la veré tan claramente porque otros me la ocultarán. Gracias, Simón, de todo." Lo besa.
Simón, al regresar a su lugar, se lleva por un instante las manos a la cara con un gesto de dolor.
"En frente de Simón, mi Bartolomé. Dos hombres honrados y sabios que se parecen mucho. Y cerca, tú, Judas, hermano mío. Así te puedo ver... y me parece que estamos en Nazaret... cuando alguna fiesta nos reunía alrededor de la mesa. También en Caná, ¿recuerdas? Estuvimos juntos. Una fiesta... fiesta de bodas... el primer milagro... el agua cambiada en vino... También hoy es una fiesta... también hoy habrá un milagro...el vino cambiará su naturaleza... y será ..."
Jesús se absorbe en sus pensamientos. Con la cabeza inclinada, como aislado en su mundo secreto. Los apóstoles lo miran sin hablar.
Levantan su cabeza, mira detenidamente a Judas Iscariote y le dice: "Te sentarás frente a Mí."
"¿Tanto me quieres?¿Más que a Simón?"
"Tanto te amo. Lo has dicho."
"¿Por qué, Maestro?"
"Porque eres el que has hecho más que todos para esta hora."
Judas pasa sus ojos por Jesús, por sobre sus compañeros. Por Jesús con un cierto dejo de compasión irónica; sobre los demás, con aire de triunfo.
"Cerca de ti, de un lado Mateo, del otro, Tomás."
"Entonces Mateo a mi siniestra, y Tomás a mi derecha."
"Como quieras, como quieras" responde Mateo. "Me basta con tener en frente a mi Salvador."
"El último, Felipe. ¿Veis? Quien no tiene el honor de estar a mi lado, lo tiene de estar frente a Mí."

JESÚS, ERGUIDO EN SU LUGAR, MEZCLA EN LA ANCHA COPA
 QUE TIENE DELANTE DE SÍ ..."¿POR QUÉ ESTA CEREMONIA?"

Jesús, erguido en su lugar, mezcla en la ancha copa que tiene delante de Sí (todos tienen grandes copas, pero la de El es mayor; además tiene otra. Tal vez es la copa del rito). Echa en ella vino, la levanta, la ofrece, la coloca nuevamente sobre la mesa.
Luego todos en tono de salmo preguntan: "¿Por qué esta ceremonia?" Una pregunta ritual, se comprende.
Jesús, como cabeza de familia, responde: "Este día recuerda nuestra liberación de Egipto. Sea bendito Yeová que ha creado el fruto de la viña." Bebe un sorbo de la copa ofrecida y la pasa a los demás. Luego ofrece el pan, lo parte, lo distribuye; después las hierbas impregnadas en la salsa rojiza que hay en cuatro salseras.
Terminado esto, cantan varios salmos en coroDe la mesita traen la fuente en que está el cordero asado y la ponen enfrente a Jesús.
Pedro que en la primera parte... hizo el papel del que pregunta, vuelve a hacerlo: "¿Por qué este cordero, así?"
"En recuerdo de cuando Israel fue salvado por medio del cordero inmolado. Donde había sangre sobre los estípites y arquitrabes, allí no murió el primogénito. Luego, mientras en todo el Egipto se lloraba por la muerte de los primogénitos, en el palacio real, en la choza más humilde, los hebreos, capitaneados por Moisés, se dirigieron a la tierra de liberación y de promesa. Vestidos ya para partir, con las sandalias puestas, en las manos el bastón, los hijos de Abraham se pusieron en marcha cantando los himnos de la gloria."
Todos se ponen de pie y cantan: "Cuando Israel salió de Egipto y la casa de Jacob de un pueblo bárbaro, la Judea se convirtió en su santuario", etc. etc.

AHORA JESÚS TRINCHA EL CORDERO, PREPARA OTRA COPA, 
LA PASA DESPUÉS DE HABER BEBIDO.

Ahora Jesús trincha el cordero, prepara otra copa, la pasa después de haber bebido. Luego cantan: "Alabad, vosotros, al Señor. Sea bendito el Nombre del Eterno ahora y por los siglos. Desde el oriente hasta el occidente debe ser alabado", etc.
Jesús distribuye procurando que cada uno sea bien servido, como si fuera en realidad padre de familia y que a todos sus hijos amase. Es majestuoso, un poco triste. Dice: "Con toda mi alma deseé comer con vosotros esta pascua. Ha sido mi mayor deseo cuando, en la eternidad, he sido "el Salvador". Sabía que esta hora precede a aquella. Y la alegría de entregarme, anticipadamente consolaba mi padecer... Con toda el alma he deseado comer con vosotros esta pascua porque no volveré a gustar del fruto de la vid hasta que haya venido el reino de Dios.. Entonces me sentaré nuevamente con los elegidos al banquete del Cordero, para las nupcias de los que viven con el que vive. A ese banquete se acercarán sólo los que hayan sido humildes y limpios de corazón como Yo lo soy."

¿CÓMO PODEMOS SABER ENTONCES QUIÉN ES EL 
PRIMERO ENTRE NOSOTROS?" "TODOS Y NINGUNO.

"Maestro, hace poco dijiste que quien no tiene el honor del lugar, tiene el de tenerte en frente. ¿Cómo podemos saber entonces quién es el primero entre nosotros?" pregunta Bartolomé.
"Todos y ninguno. Un vez... regresábamos cansados, hastiados del odio fariseo. Pero no estabais cansados para no disputar que quién entre vosotros sería el mayor... Un niño corrió a mi encuentro... era un pequeñín... Su inocencia consoló mi disgusto de tantas cosas, entre la que estaba vuestro modo testarudo de pensar. ¿Dónde estás, Benjamín de la sabia respuesta, que te vino del cielo porque, ángel como eras, el Espíritu te hablaba? Entonces os dije: "Si uno quiere ser el primero, hágase el último y siervo de todos". Y os propuse como ejemplo al sabio niño. Ahora os digo: "Los reyes de las naciones mandan. Los pueblos oprimidos, aunque los odien, los aclaman y les dan el nombre de 'Beneméritos', 'Padres de la Patria'. Mas el odio se oculta bajo el mentiroso título". Que esto no suceda entre vosotros. El mayor sea como el menor, el jefe como el que sirve. De hecho, ¿quién es mayor, el que está a la mesa, o quien sirve? El que está sentado a la mesa, y sin embargo Yo os sirvo, y dentro de poco os serviré más. Vosotros sois los que habéis estado conmigo en las pruebas. Yo dispongo para vosotros un lugar en mi Reino; así como estaré Yo en él según la voluntad del Padre, para que comáis y bebáis a mi mesa eterna, y os sentéis sobre tronos para juzgar las doce tribus de Israel. Habéis estado conmigo en mis pruebas... Solo esto es lo que os da grandeza a los ojos del Padre."
"¿Y los que vendrán?¿No tendrán lugar en el Reino? ¿Nosotros solos?"
"¡Oh, cuántos príncipes en mi casa! Todos los que hubieran permanecido fieles al Mesías en sus pruebas de la vida, serán príncipes en mi Reino. Porque los que hubieran perseverado hasta el fin en el martirio de la existencia, serán iguales que vosotros que habéis quedado conmigo en mis pruebas. Yo me identifico en mis creyentes. El dolor que abrazo por vosotros y por todos los hombres, lo entrego como enseño a mis más selectos. Quien permaneciere fiel en el dolor, será un bienaventurado mío igual que vosotros, mis amados."

"NOSOTROS HEMOS PERSEVERADO HASTA EL FIN."
"¿LO CREES, PEDRO? YO TE ASEGURO QUE LA HORA DE LA 
PRUEBA TODAVÍA ESTÁ POR VENIR. 
"SÉ QUE SOY UN PECADOR, PERO TE SERÉ FIEL HASTA
 LA MUERTE 
"NO SEAS SOBERBIO, PEDRO MÍO. ESTA HORA CAMBIARÁ 
INFINITAS COSAS. 
AHORA EL SEÑOR HA DADO ÓRDENES A SUS ÁNGELES 
QUE SE RETIREN. ES LA HORA DE LOS DEMONIOS...


"Nosotros hemos perseverado hasta el fin."
"¿Lo crees, Pedro? Yo te aseguro que la hora de la prueba todavía está por venir. Simón de Jonás, mira que Satanás ha pedido permiso de cribaros como el trigo. He rogado por ti, para que tu fe no vacile. Y cuando hubieres vuelto en ti, confirma a tus hermanos."
"Sé que soy un pecador, pero te seré fiel hasta la muerte. Este pecado nunca lo he cometido, ni lo cometeré."
"No seas soberbio, Pedro mío. Esta hora cambiará infinitas cosas. ¡Oh cuántas!... Traerán e impondrán nuevas necesidades. Lo sabéis. Siempre os lo he dicho, aun cuando andábamos por lugares lejanos, perseguidos por los bandidos: "No temáis. Ningún mal nos pasará porque los ángeles del Señor están con nosotros. No os preocupéis de cosa alguna". Recordáis, cuando os decía: "No tengáis preocupación por la comida o por el vestido. El Padre conoce que tenemos necesidad". También os decía: "El hombre vale mucho más que un pájaro y que la flor de hierba que hoy está verde y mañana seca. Y con todo mi Padre tiene cuidado también de ella y del pajarillo. ¿Podéis dudar entonces que no tenga cuidado de vosotros?". También os dije: "Dad a quien os pida, a quien os ofenda presentad la otra mejilla". Os dije: "No llevéis bolsa ni bastón". Porque Yo he enseñado amor y confianza. Pero ahora... ahora ya no son aquellos tiempos. Ahora os pregunto: "¿Os ha faltado alguna vez algo? ¿Fuisteis alguna vez ofendidos?'"
"Nada, Maestro. El que fue ofendido, fuiste Tú."   
"Ved, pues, que mi palabra fue verídica. Ahora el Señor ha dado órdenes a sus ángeles que se retiren. Es la hora de los demonios... Los ángeles del Señor, con sus alas de oro, se cubren los ojos, se los envuelven, y sienten que no puedan expresar su dolor porque es de luto, de un luto cruel y sacrílego... Esta noche no hay ángeles sobre la tierra. Están junto al trono de Dios para superar con su canto las blasfemias del mundo deicida y el llanto del Inocente. Estamos solos... Yo y vosotros. Los demonios son los dueños de la hora. Por esto ahora tomaremos la apariencia y modo de pensar de los pobres hombres que desconfían y no aman. Ahora quien tiene una bolsa, tome también una alforja, quien no tiene espada, venda su manto y se compre una. Porque también esto que la Escritura dice de Mí, se debe cumplir: "Fue contado como uno de los malhechores". En verdad que todo lo que se refiere a Mí, tiene su realización."
Simón, que se ha levantado para ir al cofre donde colocó su rico manto -porque esta noche traen todos los mejores vestidos y por lo tanto los puñales, damasquinados pero pequeños, a los ricos cintos- toma dos espadas, dos verdaderas espadas, largas, ligeramente curvas, y las lleva a Jesús: "Yo y Pedro nos hemos armado esta noche. Tenemos éstas. Los otros no traen más que el puñal corto."

JESÚS TOMA LAS ESPADAS, LAS OBSERVA, DESENVAINA
 UNA Y PRUEBA EL FILO SOBRE UNA UÑA.

Jesús toma las espadas, las observa, desenvaina una y prueba el filo sobre una uña. Es una visión rara que causa gran impresión ver la feroz arma en las manos de Jesús.
"¿Quién os las dio?" pregunta Iscariote mientras Jesús las contempla y no habla. Judas parece gato sobre ascuas...
"Que ¿quién? Te recuerdo que mi padre fue noble y rico."
"Pero Pedro..."
"¿Y bien? ¿Desde cuando debo dar cuenta de los regalos que quiera hacer a mis amigos?"
Jesús levanta su cabeza después de haber metido la espada en la vaina. La devuelve a Zelote.

HICISTE BIEN EN HABERLAS TRAÍDO. PERO AHORA, 
ANTES DE QUE BEBAMOS LA TERCERA COPA, 
ESPERAD UN MOMENTO. 

EL LAVATORIO DE LOS PIES

"Bueno. Basta. Hiciste bien en haberlas traído. Pero ahora, antes de que bebamos la tercera copa, esperad un momento. Os dije que el que es más, es igual al más pequeño y que Yo ahora, a la mesa, parezco vuestro criado y os serviré. Hasta ahora os he distribuido la comida, cosa necesaria y servicio para el cuerpo. Ahora os quiero dar un alimento para el espíritu. No es un plato del rito antiguo; es del nuevo. Yo me bauticé primero antes de ser el "Maestro". Para esparcir la palabra basta ese bautismo. Ahora será esparcida la sangre. Es necesario que os lavéis otra vez aun cuando hayáis sido purificados por el Bautista en su tiempo, y también hoy en el Templo. Pero no basta. Venid a que os purifique. Suspended la comida. Hay algo mucho más alto y necesario que el alimento con que se llena el vientre, aun cuando sea un alimento santo como es el del rito pascual. Es un espíritu puro, pronto a recibir el don del cielo que baja ya para hacerse un trono en vosotros y daros la vida. Dar la vida a quien es limpio."
Jesús se pone de pie, hace levantar a Juan, para salir de su lugar. Va a uno de esos arquibancos, se quita el vestido rojo, lo dobla y se pone el manto que ya había doblado antes. Se ciñe la cintura con una larga toalla, después va a donde hay otra aljofaina que está vacía y limpia. Echa agua, la lleva a mitad de la habitación, cerca de la mesa, la pone sobre un banco. Los apóstoles lo miran estupefactos.
"¿No me preguntáis por qué hago esto?"
"No lo sabemos. Te digo sólo que ya estamos purificados" responde Pedro.
"Y Yo te repito que no importa. Mi purificación servirá para que el que está ya puro, lo esté más."
Se arrodilla. Desata las sandalias a Judas Iscariote, y le lava los dos pies. Es fácil hacerlo porque los lechos asientos están de tal modo colocados que los pies dan hacia la parte exterior. Judas está desconcertado pero no replica. Solo cuando Jesús, antes de ponerle la sandalia en el pie izquierdo y levantarse, trata de besarla el derecho que está ya calzado, Judas retrae violentamente su pie y pega con la suela la boca divina. Lo hizo sin querer. No fue fuerte el golpe. Pero me ha causado mucho dolor. Jesús sonríe al apóstol que le pregunta: "¿Te hice daño? No era mi intento... Perdóname", contesta: "No, amigo. Lo hiciste sin malicia y no hace mal." Judas lo mira... Una mirada en que está pintada la turbación, una mirada que huye de todo.
Jesús sigue lavando a Tomás y luego a Felipe... Da vuelta a la mesa y se acerca a su primo Santiago. Le lava los pies, y, al levantarse, lo besa en la frente. Pasa con Andrés que está rojo de vergüenza y se esfuerza en no llorar. Le lava los pies, y lo acaricia como si fuera un niño. Luego es el turno de Santiago de Zebedeo que no hace más que decir en voz baja: "¡Oh, Maestro, Maestro, Maestro!¡Te has rebajado, sublime Maestro mío!" Juan se ha aflojado ya las sandalias y mientras Jesús está inclinado, secándole los pies, se inclina él también y le besa sus cabellos. ¡Pero Pedro!... No es fácil persuadirle que debe sujetarse a este nuevo rito.

PEDRO NO QUIERE QUE LE LAVE LOS PIES."¡OH, SEÑOR MÍO 
BENDITO! ¡ENTONCES LÁVAME TODO!
¡PIES, MANOS Y CABEZA!"

"Tú, ¿lavarme los pies a mí? ¡Ni te lo imagines! Mientras esté vivo, no te lo permitiré. Soy un gusano, y Tú eres Dios. Cada uno a su lugar."
"Lo que hago, no puedes comprenderlo por ahora. Algún día lo comprenderás; déjame lavarte."
"Todo lo que quieras, Maestro. ¿Quieres cortarme el cuello? Hazlo. Pero lavarme los pies, no lo harás."
"Oh, Simón mío, ¿no sabes que si no te lavo, no tendrás parte en mi Reino? ¡Simón, Simón, tienes necesidad de esta agua para tu alma, y para el largo camino que tendrás que recorrer! ¿No quieres venir conmigo? Si no te lavo, no vienes conmigo a mi Reino."
"¡Oh, Señor mío bendito! ¡Entonces lávame todo! ¡Pies, manos y cabeza!"
"Quien se ha limpiado como vosotros, no tiene necesidad de lavarse sino los pies, porque está limpio de los pies... El hombre con los pies camina entre lo sucio. Y poco sería porque, como ya os lo había dicho, no lo que entra y sale con la comida es lo que ensucia, no es lo que se pisa por el camino lo que contamina al hombre, sino cuanto nace y madura en su corazón y de allí le sale para contaminar sus acciones y sus miembros. Los pies del hombre que tiene un corazón impuro van a las crápulas, a la lujuria, a los tratos ilícitos, al crimen... por esto, entre los miembros del cuerpo, son los que tienen más necesidad de purificarse... con los ojos, la boca... ¡Oh, hombre!, que fuiste una criatura perfecta un día: ¡el primero! ¡Y, luego, te has dejado corromper en tal forma del Seductor! ¡En ti, oh hombre, no había malicia, ni pecado!...¿Y ahora? Eres todo malicia y pecado, y no hay parte en ti que no peque."
Jesús lava los pies a Pedro, se los besa. El apóstol llora y toma con sus manotas las dos de Jesús, se las pasa por los ojos y luego se las besa. También Simón se ha quitado las sandalias; y, sin decir nada, se deja lavar. Pero cuando Jesús está para acercarse a Bartolomé, Simón se arrodilla y le besa los pies, diciendo: "Límpiame de la lepra del pecado como me limpiaste de la del cuerpo, para que no me vea confundido en la hora del juicio, Salvador mío."
"No tengas miedo, Simón. Llegarás a la ciudad celestial blanco como la nieve."
"¿Y yo, Señor, qué dices al viejo Bartolomé? Tú me viste bajo la sombra de la higuera y leíste en mi corazón. ¿Y ahora qué ves? ¿Dónde me ves? Da seguridad a un pobre viejo que teme no tener fuerzas ni tiempo para llegar a donde quieres que se llegue." Bartolomé está muy conmovido.
"Tampoco temas tú. En aquella ocasión dije: "He ahí a un verdadero israelita en quien no hay engaño". Ahora afirmo: "He aquí a un verdadero discípulo mío digno de Mí, el Mesías". Que ¿dónde te veo? Sobre un trono eterno, vestido de púrpura. Estaré siempre contigo."
El turno es de Judas Tadeo. Cuando ve a Jesús a sus pies, no sabe contenerse, inclina su cabeza sobre la mesa, apoyándola sobre el brazo y llora.
"No llores, buen hermano. Te pareces al que deben de arrancar un nervio, y cree no poder soportarlo. Pero será breve el dolor. Luego, ...¡oh!, serás feliz, porque me amas. Te llamas Judas. Eres como nuestro gran Judas: como un gigante. Eres el que protege. Tus hechos son como de león y como de cachorro de león que ruge. Tu desanidarás a los impíos que ante ti retrocederán, y los inicuos se llenarán de terror. Lo sé. Sé fuerte. Una unión eterna estrechará y hará perfecto nuestro parentesco en el cielo" Lo besa también en la frente, como al otro primo.
"Yo soy un pecador, Maestro. No a mí.."
"Tú fuiste pecador, Mateo. Ahora eres apóstol. Eres una "voz" mía. Te bendigo. Estos pies han caminado siempre para seguir adelante, para llegar a Dios... El alma los espoleaba y ellos han abandonado todo camino que no fuese el mío. Continúa. ¿Sabes dónde termina el sendero? En el seno de mi Padre y tuyo."
Jesús ha terminado. Se quita la toalla, se lava las manos en agua limpia, se vuelve a poner su vestido, regresa a su lugar y dice, mientras se sienta: "Ahora estáis puros, pero no todos. Solo los que han tenido voluntad de estarlo."
Mira detenidamente a Judas de Keriot que hace muestras de no oír, como que está ocupado explicando a Mateo por qué su padre decidió mandarlo a Jerusalén. Una charla inútil que tiene por objeto dar a Judas cierto aire de importancia; aunque es audaz, no debe sentirse muy bien.

JESÚS ESCANCIA VINO, POR TERCERA VEZ, EN LA COPA 
COMÚN. BEBE Y OFRECE A LOS OTROS PARA QUE BEBAN.

Jesús escancia vino, por tercera vez, en la copa común. Bebe y ofrece a los otros para que beban. Luego entona un cántico, al que los otros acompañan: "Amo porque oye el Señor la voz de mis súplicas; porque inclinó a mí sus oídos. Lo invocaré por toda mi vida. Me habían sorprendido los lazos de la muerte, etc. Una pausa brevísima, luego sigue cantando: "Tuve confianza, por eso hablo. Pero me había encontrado en gran humillación. Habíame dicho en mi abatimiento: "Todos los hombres son engañosos". Mira fijamente a Judas. La voz, cansada esta noche, de mi Jesús toma aliento cuando exclama: "Es preciosa a los ojos de Dios la muerte de los santos" y "Tú has roto mis cadenas. A Ti sacrificaré hostias de alabanza, invocando el nombre del Señor, etc., etc. Otra breve pausa en el canto y luego sigue: "Alabad, naciones todas, al Señor; pueblos todos, alabadlo, porque su misericordia ha quedado con nosotros y la fidelidad del Señor es duradera como la eternidad." Otra breve pausa, y luego un himno largo: "Alabad al Señor que es bueno, porque su misericordia es eterna..."
Judas de Keriot canta tan desentonado que dos veces Tomás le obliga a tomar el tono con su fuerte voz de barítono, y lo mira fijamente. También otros lo miran porque generalmente entona bien y se gloría, como de sus otras dotes, de su voz. ¡Pero esta noche! Ciertas frases lo turban y se detiene, lo mismo que ciertas miradas de Jesús cuando pone énfasis en ciertas frases. Una es: "Es mejor confiar en el Señor que en el hombre." Otra: "No moriré, antes bien viviré y cantaré las obras del Señor." Las dos siguientes parecen estrangular la garganta del traidor: "La piedra que los albañiles desecharon, ha sido convertida en piedra angular" y "Bendito el que viene en el nombre del Señor."
Terminado el salmo, mientras Jesús corta el cordero y lo reparte, Mateo pregunta a Judas de Keriot: "¿Te sientes mal?"
"No. Déjame en paz. No te metas conmigo."
Mateo se encoge de hombros.
Juan, que oyó lo que Judas contestó, dice: "Tampoco el Maestro se encuentra bien. ¿Qué te pasa, Jesús? Estás ronco. Como si estuvieras enfermo o como si hubieras llorado mucho", le extiende sus brazos y reclina su cabeza sobre su pecho.
"No he hecho más que hablar, como no he hecho más que caminar y he cogido frío" dice Judas nervioso.
Jesús se dirige a Juan: "Tú ya me conoces... y sabes qué es lo que me cansa..."

EL CORDERO SE HA TERMINADO. JESÚS VUELVE A TOMAR 
LA PALABRA: "QUIERO QUE ENTENDÁIS LO QUE ACABO 
DE HACER. ...EJEMPLO OS HE DADO PARA QUE COMO 
YO HE OBRADO, OBRÉIS...."EL QUE COME CONMIGO 
EL PAN, LEVANTÓ SU CALCAÑAL CONTRA MÍ".

ECHA NUEVAMENTE VINO EN EL CÁLIZ COMÚN Y, 
ANTES DE BEBER DE ÉL Y DE DARLO A LOS DEMÁS, 
SE PONE DE PIE.

El cordero se ha terminado. Jesús, que ha comido muy poco, que en lugar del poquísimo vino, ha bebido mucha agua como quien tiene fiebre, vuelve a tomar la palabra: "Quiero que entendáis lo que acabo de hacer. Os había dicho que el primero es como el último, y que os daré un alimento que no es corporal. Os di un alimento de humildad, que es para vuestro espíritu. Vosotros me llamáis Maestro y Señor, y decís bien porque lo soy. Si pues Yo os he lavado los pies, también vosotros debéis hacerlo el uno con el otro. Ejemplo os he dado para que como Yo he obrado, obréis. Os digo en verdad: el siervo no es superior al patrón, ni el enviado al que lo envió. Tratad de comprender estas cosas. Si las comprendieseis y pusieseis en práctica, seréis bienaventurados. Cosa que no todos lograréis. Os conozco. Conozco a quién he escogido. No me refiero a todos. Digo lo que es verdad. Por otra parte, debe cumplirse lo que está escrito respecto de Mí: "El que come conmigo el pan, levantó su calcañal contra Mí". Os digo todo antes de que suceda, para que no vayáis a dudar de Mí. Cuando todo se hubiere cumplido, creeréis con mayor razón que Yo soy. Quien me acoge, acoge a quien me ha enviado, al Padre santo que está en los cielos, y quien acogiere a los que yo enviare, me acogerá a Mí mismo. Porque Yo estoy con el Padre y vosotros conmigo... Ahora terminemos el rito."
Echa nuevamente vino en el cáliz común y, antes de beber de él y de darlo a los demás, se pone de pie. Los demás le imitan y repiten un salmo anteriormente cantado: "Tuve confianza y por esto hablé.." y luego uno que parece que nunca va a acabar. Pero, ¡qué bello! Creo que por lo que comienza y por lo largo debe ser el salmo 118. Lo cantan de este modo: un trozo todos juntos, luego por turno cada quien recita un dístico y los demás recitan un trozo, y así hasta el fin. ¡Me imagino que deberán tener sed, al terminar!

"AHORA QUE HEMOS CUMPLIDO CON EL RITO ANTIGUO 
VOY A CELEBRAR EL NUEVO RITO. 
OS PROMETÍ UN MILAGRO DE AMOR, Y HA LLEGADO 
LA HORA DE HACERLO. POR ESTO HABÍA DESEADO ESTA 
PASCUA. 
DE HOY EN ADELANTE ESTA ES LA HOSTIA QUE SERÁ 
INMOLADA COMO UN RITO ETERNO DE AMOR. ..."

Jesús se sienta. No toma la postura habitual de sus tiempos. Se sienta solo, como nosotros. Dice: "Ahora que hemos cumplido con el rito antiguo voy a celebrar el nuevo rito. Os prometí un milagro de amor, y ha llegado la hora de hacerlo. Por esto había deseado esta Pascua. De hoy en adelante esta es la hostia que será inmolada como un rito eterno de amor. Os he amado durante toda mi vida terrenal, amigos míos. Os he amado desde la eternidad, hijos míos. Y quiero amaros hasta el fin. No hay cosa mayor que esta. Recordadlo. Me voy, pero quedaremos siempre unidos mediante el milagro que ahora voy a realizar."

"TOMAD Y COMED. ESTO ES MI CUERPO. HACED ESTO 
EN RECUERDO DE MÍ, QUE ME VOY."

"TOMAD Y BEBED. ESTA ES MI SANGRE. ESTO ES 
EL CÁLIZ DEL NUEVO PACTO (SELLADO) EN MI SANGRE 
Y POR MI SANGRE, QUE SERÁ DERRAMADA POR VOSOTROS 
PARA QUE SE OS PERDONEN VUESTROS PECADOS 
Y PARA DAROS LA VIDA. HACED ESTO EN RECUERDO MÍO."

Jesús toma un pan entero, lo pone sobre la copa llena de vino. Bendice y ofrece ambos, luego parte el pan en trece pedazos y da uno a cada apóstol, diciendo: "Tomad y comed. Esto es mi Cuerpo. Haced esto en recuerdo de Mí, que me voy."
Da el cáliz y dice: "Tomad y bebed. Esta es mi Sangre. Esto es el cáliz del nuevo pacto (sellado) en mi Sangre y por mi Sangre, que será derramada por vosotros para que se os perdonen vuestros pecados y para daros la Vida. Haced esto en recuerdo mío."
Jesús está tristísimo. No se dibuja la sonrisa en su rostro. Ha perdido el color. Parece como si estuviese agonizante. Los apóstoles lo miran afligidos.

"NO OS MOVÁIS. REGRESO PRONTO." TOMA EL DÉCIMO 
TERCER PEDAZO DE PAN, TOMA EL CÁLIZ Y SALE DEL 
CENÁCULO."VA DONDE ESTÁ SU MADRE"

Se pone de pie diciendo: "No os mováis. Regreso pronto." Toma el décimo tercer pedazo de pan, toma el cáliz y sale del Cenáculo.
"Va donde está su Madre" dicen en voz baja Juan.
Judas Tadeo con un suspiro: "¡Pobre mujer!"
Pedro con una voz que apenas se oye: "¿Crees que esté enterada?"
"De todo lo está. Siempre lo ha sabido."
Todos hablan en voz muy baja, como si estuvieran ante un cadáver.
"Pero, ¿estáis seguros que sea así?..." pregunta Tomás, que no quiere aún creer.
"¿Todavía dudas de ello? Es su hora" responde Santiago de Zebedeo.
"Que Dios nos dé fuerzas para serle fieles" dice Zelote.
"¡Oh! yo..." empieza a decir Pedro. Pero Juan, que está alerta, hace: "Pss. Regresa."
Jesús vuelve a entrar. Trae en la mano la copa vacía. En el fondo apenas si se ve algo de vino, que bajo la luz del candil parece en realidad sangre.
Judas Iscariote, que tiene delante la copa, la mira como fascinado, y aparta su vista. Jesús lo mira y tiene un sacudimiento que Juan, que está apoyado sobre su pecho, siente. "¡Dilo! Tiembla..." exclama.
Os he dicho todo y todo os he dado. No podía hacer más. Me he dado Yo mismo."Perdonad que no pueda más. Pero así es."

"NO. NO TIEMBLO PORQUE TENGA FIEBRE... 
OS HE DICHO TODO Y TODO OS HE DADO. 
NO PODÍA HACER MÁS. ME HE DADO YO MISMO. ..."

"NI MI AMOR, NI MI CUERPO, NI MI SANGRE, 
NI MI PALABRA LE HAN HECHO CAMBIAR 
SU DETERMINACIÓN, NI QUE SE ARREPIENTA. 
LO PERDONARÍA, MURIENDO AUN POR ÉL."

Dibuja un delicado gesto con sus manos que antes tenía juntas, y luego separa, las extiende inclinando su cabeza como para decir: "Perdonad que no pueda más. Pero así es."
"Os he dicho todo, y todo os he dado. Y repito. El nuevo rito se ha realizado. Haced esto en memoria mía.Os lavé los pies para enseñaros a ser humildes y puros como lo es vuestro Maestro. Porque en verdad os digo que los discípulos deben ser como el Maestro; también cuando estéis en alto, recordadlo. El discípulo no es más que el Maestro. Como os lavé, hacedlo entre vosotros. Esto es, amaos como hermanos, ayudándoos mutuamente, respetándoos unos a otros, dándoos mutuo ejemplo. Sed puros, para que seáis dignos de comer del Pan vivo que ha descendido del cielo y para que tengáis en vosotros y por El la fuerza de ser mis discípulos en un mundo enemigo que os odiará por causa de mi Nombre. Uno de vosotros no está puro. Uno de vosotros, el que me traicionará. Por ello estoy profundamente conturbado dentro de mi corazón... La mano del que me traicionará está en esta mesa. Ni mi amor, ni mi Cuerpo, ni mi Sangre, ni mi palabra le han hecho cambiar su determinación, ni que se arrepienta. Lo perdonaría, muriendo aun por él."
Los discípulos se miran aterrorizados."¿Soy yo acaso?""Tú lo has dicho, Judas de Simón, no Yo. ..."
Los discípulos se miran aterrorizados. Se miran, sospecha uno del otro. Pedro mira fijamente a Iscariote, como si descorriese el velo de sus sospechas. Judas Tadeo se pone violentamente en pie para mirar a Iscariote por encima de Mateo.
Pero Iscariote no da muestras de intranquilidad. Mira a su vez fijamente a Mateo como si sospechase de él, luego a Jesús. Y, sonriendo, le pregunta: "¿Soy yo acaso?" quiere mostrar que está seguro de su fidelidad. Esa pregunta la hizo para que la conversación no se interrumpiese.
Jesús dice: "Tú lo has dicho, Judas de Simón, no Yo. Tú lo estás diciendo. No dije tu nombre. ¿Por qué te acusas? Interroga a tu consejero interno, a tu conciencia, a la que Dios Padre te ha dado para que te comportaras como un hombre, y mira si te acusa. Lo sabrás antes que todos. Pero si te tranquiliza, ¿por qué dices una palabra y piensas en algo que es anatema aun el decirlo o pensar por chanza?"
Jesús habla calmadamente. Parece un maestro que a sus discípulos explicara una tesis. La confusión es grande, pero la tranquilidad de Jesús la apacigua.

PEDRO JALA DE LA MANGA A JUAN, LE DICE EN VOZ BAJA: 
"PREGÚNTALE QUIÉN ES."
"¿MAESTRO, QUIÉN ES?" 
"AQUEL A QUIEN DARÉ UN PEDAZO DE PAN MOJADO."
"TOMA, JUDAS. ESTO TE GUSTA."
"GRACIAS, MAESTRO. ME GUSTA, SÍ."
"LO QUE TE FALTA HACER EN OTRO LUGAR, 
HAZLO PRONTO, JUDAS DE SIMÓN."

Pedro, que es el que más sospecha de Judas -quizás también Tadeo, pero que se calma al ver la desenvoltura de Iscariote- jala de la manga a Juan, y cuando éste, que está muy junto a Jesús que habla de la traición, se vuelve, le dice en voz baja: "Pregúntale quién es."
Juan vuelve a su anterior posición, levanta un poco la cabeza como para dar un beso a Jesús, y en voz bajísima le dice a la oreja: "¿Maestro, quién es?"
Y Jesús al devolverle el beso sobre la cabellera murmura: "Aquel a quien daré un pedazo de pan mojado."
Toma un pedazo de pan, no del que se sirvió para la Eucaristía, sino de uno entero, lo moja en la salsa del cordero que hay en la bandeja, extiende su brazo y dice: "Toma, Judas. Esto te gusta."
"Gracias, Maestro. Me gusta, sí." Y, sin saber lo que significa aquel bocado, se lo come; mientras Juan, aterrorizado, cierra hasta los ojos para no ver la risa diabólica de Iscariote que muerde el trozo de pan que lo delata.
"Bien. "Aquel a quien daré un pedazo de pan mojado.", aquí (y hace hincapié en esta palabra). Lo que te falta hacer en otro lugar, hazlo pronto, Judas de Simón."
"Obedezco inmediatamente, Maestro. Después me reuniré contigo en Getsemaní. ¿Vas a ir allá o no? ¿Como de costumbre?"
"Voy a ir allá... como de costumbre... de veras."
"¿Qué va a hacer?" pregunta Pedro. "¿Va sólo?"
"No soy un niño" se mofa Judas que se está poniendo el manto.
"Déjalo que se vaya. Yo y él sabemos lo que tiene que hacerse" responde Jesús.
"Sí, Maestro." Pedro no replica. Tal vez se imagina que ha faltado contra la caridad por haber sospechado de un compañero. Se lleva la mano a la frente.
Jesús estrecha hacía Sí a Juan y sobre su cabeza le dice en voz baja: "Por ahora no digas nada a Pedro. Inútilmente se provocaría un escándalo."
"Hasta pronto, Maestro. Hasta pronto, amigos." Dice Judas despidiéndose.
"Hasta pronto" responde Jesús.
Y Pedro: "Te devuelvo el saludo, muchacho."
Juan, con la cabeza casi apoyada sobre las rodillas de Jesús, murmura: "¡Satanás!". Jesús es el único que lo oye, y da un suspiro.
Pasan unos minutos de absoluto silencio. Jesús tiene la cabeza inclinada, y, maquinalmente acaricia los rubios cabellos de Juan.

JESÚS SONRÍE A SUS DISCÍPULOS PARA CONSOLARLOS. 
DICE: "LEVANTÉMONOS Y SENTÉMONOS JUNTOS COMO 
LOS HIJOS SE SIENTAN ALREDEDOR DE SU PADRE."

Luego se sacude. La levanta, mira en derredor suyo, sonríe a sus discípulos para consolarlos. Dice: "Levantémonos y sentémonos juntos como los hijos se sientan alrededor de su padre."
Toman los lechos que están detrás de la mesa (los de Jesús, Juan, Santiago, Pedro, Simón, Andrés y de Santiago, el primo) y los llevan al otro lado.
Jesús se sienta en su lecho, entre Santiago y Juan como antes. Pero cuando ve que Andrés va a sentarse en el lugar que dejó Iscariote, grita: "No, allí no." Un grito impulsivo que su inmensa prudencia no logra controlar. Luego busca de darle una explicación, diciendo: "No es necesario dejar tanto lugar. Estos asientos son suficientes. Quiero que estéis muy cerca de Mí."
Jesús está en el centro. Tiene ante Sí la mesa, que está ya limpia, y el lugar de Judas.
Santiago de Zebedeo llama a Pedro: "Siéntate, aquí. Yo me siento en este banco, a los pies de Jesús."
"¡Que Dios te bendiga, Santiago! ¡Tenía tantas ganas!"
Jesús sonríe: "Veo que empieza a surtir efecto lo que antes os dije. Los buenos hermanos se aman entre sí. Y en cuanto a ti, Santiago, te digo: "Dios te bendiga". Esta acción tuya jamás será olvidada, y la hallarás premiada allá arriba."

CUANTO MÁS GRANDE ES EL MILAGRO, TANTO MÁS SEGURA 
Y PROFUNDA ES LA AMISTAD DIVINA. ESTO ES UN MILAGRO 
QUE POR SU FORMA, DURACIÓN, NATURALEZA, POR SUS 
LÍMITES, NO PUEDE SER MAYOR.

Todo lo que pido lo alcanzo. Lo habéis visto. Bastó un deseo mío para que el Padre concediese a su Hijo darse en comida al hombre. El Hijo del hombre ha sido glorificado ahora con todo lo ocurrido, porque el milagro es prueba de poder y no es posible realizarlo sino a los amigos de Dios. Cuanto más grande es el milagro, tanto más segura y profunda es la amistad divina. Esto es un milagro que por su forma, duración, naturaleza, por sus límites, no puede ser mayor. Yo os lo aseguro: es tan poderoso, sobrenatural, inconcebible a los ojos del hombre soberbio, que muy pocos lo comprenderán como debería serlo, y muchos lo negarán. ¿Qué diré entonces?¿Que se les condene? No. ¡Que se les tenga piedad!
Cuanto mayor es el milagro, tanto mayor es la gloria que recibe el que lo hizo. Ha sido Dios mismo quien dice: "Ese amado mío lo quiso, lo alcanzó. Se lo concedí porque lo amo". Y aquí dice: "Ha alcanzado una gracia ilimitada, así como infinito es el milagro que realizó". La gloria que recibe el autor del milagro de parte de Dios, es la que el Padre recibe de El. Porque cualquier gloria sobrenatural, que viene de Dios, regresa a su origen. Y la gloria de Dios, aun cuando es infinita, siempre aumenta y resplandece más por la gloria de sus santos. Por lo cual afirmo: como Dios ha glorificado al Hijo del hombre, así El lo ha hecho. Yo he glorificado a Dios en Mí mismo. A su vez Dios glorificará a su Hijo en Sí. Muy pronto lo va a hacer.

ALÉGRATE, TÚ QUE REGRESAS A TU TRONO, ¡OH ESENCIA 
ESPIRITUAL DE LA SEGUNDA PERSONA! ALÉGRATE, 
¡OH CARNE QUE VUELVES A SUBIR DESPUÉS DE UN LARGO 
DESTIERRO EN EL FANGO!..."ME BUSCARÉIS DESPUÉS, 
PERO DONDE YO ESTÉ, NO PODRÉIS IR".

Alégrate, Tú que regresas a tu trono, ¡oh Esencia espiritual de la Segunda Persona! Alégrate, ¡oh carne que vuelves a subir después de un largo destierro en el fango! No es el paraíso de Adán, sino el del Padre, que será el lugar donde vivirás. Si por órdenes de Dios, un hombre detuvo el sol con la admiración de todos, ¿qué no sucederá en los astros cuando vean el prodigio de que el Cuerpo del Hombre perfectamente glorificado sube y se sienta a la derecha del Padre? Hijitos míos, todavía estaré un poco con vosotros; luego, me buscaréis como los huérfanos suelen buscar a su padre muerto. Con las lágrimas en los ojos iréis hablando de El, y en vano llamaréis al mudo sepulcro, en vano a las puertas azules del cielo, con el ansia de un alma que llega en busca de amor, preguntando: "¿Dónde está nuestro Jesús? Lo queremos. Sin El no hay más luz, ni alegría, ni amor en el mundo. Devolvédnoslo o dejadnos entrar. Queremos estar donde El está". Pero por ahora no podéis ir. Esto mismo he dicho a los judíos: "Me buscaréis después, pero donde Yo esté, no podréis ir". Lo mismo os digo a vosotros.

PENSAD EN MI MADRE... NI SIQUIERA ELLA PODRÁ IR 
A DONDE VOY. ...

EN ELLA RESIDE TODA CLASE DE GRACIAS Y DE SANTIDAD. 
ES EL SER QUE TODO LO HA TENIDO 
Y QUE TODO LO HA DADO. 
NADA SE LE PUEDE AGREGAR, NADA QUITAR. 
ES EL TESTIMONIO SANTÍSIMO DE LO QUE PUEDE DIOS.

Pensad en mi Madre... Ni siquiera Ella podrá ir a donde voy. Y, sin embargo, Yo dejé al Padre para venir a Ella y hacerme Jesús en su vientre inmaculado. Nací de Ella, de la Inviolable, en un éxtasis luminoso. Me alimenté de su amor convertido en lecho. Tuve pureza y amor porque me alimentó con su virginidad que fecundó el Amor perfecto que vive en el cielo. Yo crecí con sus fatigas y lágrimas... Y, sin embargo, le pido un heroísmo, cual nunca se ha realizado, y que respecto al de Judit, al de Yael no tiene comparación. Y, con todo, nadie le iguala en amarme. Y, pese a todo esto, la dejo y me voy a donde Ella no irá sino después de mucho tiempo. La orden que os di, no la doy a Ella, la orden: "Santificaos anualmente, mes por mes, día tras día, hora tras hora, para que podáis venir a Mí, cuando llegue vuestra hora". En Ella reside toda clase de gracias y de santidad. Es el ser que todo lo ha tenido y que todo lo ha dado. Nada se le puede agregar, nada quitar. Es el testimonio santísimo de lo que puede Dios.

OS DOY UN NUEVO MANDAMIENTO. 
QUE OS AMÉIS LOS UNOS A LOS OTROS. 
ASÍ COMO OS HE AMADO, DE IGUAL MODO AMAOS 
MUTUAMENTE, Y DE ESTE MODO SE CONOCERÁ 
QUE SOIS MIS DISCÍPULOS.

Para que esté seguro que seréis capaces de llegar a donde esté, de olvidar el dolor de la pérdida de vuestro Jesús, os doy un nuevo mandamiento. Que os améis los unos a los otros. Así como os he amado, de igual modo amaos mutuamente, y de este modo se conocerá que sois mis discípulos. Cuando un padre tiene muchos hijos, ¿cómo se sabe que lo son? No ya por el semblante -hay muchos que se parecen y con todo no tienen nada de parentesco, ni de nacionalidad- sino por el amor común a la familia, a su padre, y entre sí mismos. Aun cuando muera el padre, la familia buena no se dispersa, porque la sangre es una, la que el padre comunicó, y liga en tal forma que ni siquiera la muerte destruye tal unión, porque el amor es más fuerte que la muerte. Ahora si vosotros os amáis aun después de que os hubiere dejado, todos reconocerán que os amáis aun después de que os hubiere dejado, todos reconocerán que sois mis hijos, y por lo tanto mis discípulos, y verán que todos sois hermanos porque tenéis un solo padre."

"Señor Jesús, ¿pero a dónde te vas?" pregunta Pedro.

Antes que lance su qui-qui-ri-quí el gallo, 
tres veces habrás negado a tu Señor.

"Me voy a donde por ahora no puedes seguirme. Más tarde lo harás."
"Y ¿por qué no ahora? Te he seguido siempre desde que me dijiste: "Sígueme". Sin pena alguna he dejado todo... Ahora, no es justo, ni correcto de tu parte irte sin tu pobre Simón, dejándome sin Ti, Tú que eres todo para mí, que dejé lo poco que antes tenía. ¿Vas a la muerte? Está bien. También yo voy. Iremos juntos al otro mundo. Pero antes te habré defendido. Estoy dispuesto a morir por Ti."
"¿Que morirás por Mí? ¿Ahora? Ahora no. En verdad, en verdad te asegura: no habrá cantado el gallo, antes que me hubieres negado tres veces. Estamos en la primera vigilia. Luego vendrá la segunda... y después la tercera. Antes que lance su qui-qui-ri-quí el gallo, tres veces habrás negado a tu Señor.
"¡Imposible, Maestro! Creo todo lo que dices, pero no esto. Estoy seguro de mí."
"En estos momentos lo estás, porque estoy contigo. Tienes a Dios contigo. Dentro de poco el Dios encarnado será hecho preso, y no lo tendréis más. Satanás, después de haberos engañado -tu misma confianza es un ardid suyo, una treta para engañaros- os llenará de espanto. Os insinuará: "Dios no existe. Yo sí existo". Y, aun cuando el miedo os haya hecho incapaces de reaccionar, sin embargo lograréis comprender que cuando Satanás sea el dueño de la hora, el Bien habrá muerto y el Mal está a sus anchas, el espíritu habrá sido abatido y lo terreno triunfante. Entonces quedaréis como soldados sin jefe, perseguidos por el enemigo, y atemorizados doblaréis -cual vencidos- vuestras espaldas ante el vencedor, y para que no se os mate, renegaréis del héroe caído. Pero os pido una cosa, y es que vuestro corazón no pierda su control. Creed en Dios, creed también en Mí. Creed en Mí contra todas las apariencias. Tanto el que se queda como el que huye crea  en mi misericordia y en la del Padre. Tanto el que calle como el que abra su boca para decir: "No lo conozco". De igual modo creed en mi perdón.Creed que como fuesen vuestras acciones en lo porvenir, dentro del Bien, de mi doctrina, por lo tanto de mi Iglesia, os dará un lugar igual en el cielo. En la casa de mi Padre hay muchas moradas. Si no fuese así, os lo habría dicho, por que no me adelantaría a vosotros, a prepararos un lugar. ¿No obran así, acaso, los buenos padres cuando deben llevar a otra parte, a sus hijitos? Se adelantan, preparan la casa, los muebles, lo necesario, y luego regresan a tomarlos. Lo hacen porque los aman, para que a sus pequeñuelos nada falte, y no se sientan mal en país ajeno. Igualmente me porto Yo. Y por el mismo motivo. Ahora me voy. Cuando hubiere preparado a cada uno su lugar en la Jerusalén celestial, regresaré, os llevaré conmigo para que estéis donde estoy, donde no habrá muerte, luto, llanto, gritos, hambre, dolor, tinieblas, sequía, sino luz, paz, felicidad y cánticos. ¡Oh, canto de los cielos altísimos cuando los doce elegidos estarán sentados sobre tronos con los doce patriarcas de las tribus de Israel, y -al resplandor del fuego del amor espiritual- cantarán, en medio del océano de la felicidad, el cántico eterno al que acompañará el eterno aleluya del ejército angelical!... Quiero que estéis donde estaré Yo. Sabéis a dónde voy, y conocéis el camino."

SABÉIS A DÓNDE VOY, Y CONOCÉIS EL CAMINO.
"¡PERO, SEÑOR! NO SABEMOS NADA." 
"YO SOY EL CAMINO, LA VERDAD,  LA VIDA. ...

OH, ¿DÓNDE ESTÁS TÚ, OVEJA EXTRAVIADA DE DIOS 
A QUIEN VOLVÍ A TRAER AL REBAÑO? 
¿DÓNDE ESTÁS TÚ QUE RESUCITASTE EN EL ALMA?"
PIENSO EN LA QUE SÓLO SE DEJARÁ VER EN EL CIELO...
 EN FOTINAI (LA SAMARITANA)... 
ELLAS ME ENCONTRARON. VOSOTRAS ME CONSOLÁIS...
¡SED BENDITAS! ..."
"SEÑOR, MUÉSTRANOS AL PADRE Y SEREMOS COMO ELLAS" 
PIDE FELIPE.

"¡Pero, Señor! No sabemos nada. Nos debes decir a dónde vas. ¿Cómo podemos saber el camino que debemos tomar para ir a Ti, y abreviar la espera?" pregunta Tomás.
"Yo soy el Camino, la Verdad, la Vida. Muchas veces os lo he dicho y os lo he explicado. En verdad os digo que algunos que ni siquiera sabían que existe Dios, os han tomado ya la delantera dirigiéndose por mi camino. Oh, ¿dónde estás tú, oveja extraviada de Dios a quien volví a traer al rebaño? ¿Dónde estás tú que resucitaste en el alma?"
"¿Quién? ¿De quién hablas? ¿De María, hermana de Lázaro? Está allá con tu Madre. ¿Quieres que te la llamemos? ¿O quieres a Juana? Debe estar en su palacio. ¿Quieres que vayamos a llamarla?"
"No. No me refiero a ellas... Pienso en la que sólo se dejará ver en el cielo... en Fotinai (la samaritana)...Ellas me encontraron. No se han separado de mi camino. A una señalé al Padre como el Dios verdadero, y al Espíritu cual levita en esta adoración individual. A la otra, que ni siquiera sabía que tenía alma, le dije: "Mi nombre es Salvador. Salvo a quien tiene buena voluntad de salvarse. Soy quien busca a los extraviados; soy quien da la Vida, la Verdad y la Pureza. Quien me busca, me halla". Y ambas encontraron a Dios... Os bendigo, débiles Evas que os habéis convertido en seres más fuertes que Judit... Voy, voy a donde estáis... Vosotras me consoláis... ¡Sed benditas!..."
"Señor, muéstranos al Padre y seremos como ellas" pide Felipe.
"Hace tiempo que estoy con vosotros, y tú, Felipe, ¿todavía no me has conocido? Quien me ve a Mí, ve a mi Padre. ¿Cómo puedes decir: "Muéstranos al Padre"? ¿No logras creer que Yo estoy en el Padre y el Padre en Mí? Las palabras que os estoy diciendo, no las digo por Mí. El Padre que mora en Mí, lleva a cabo cada obra mía. ¿No creéis que estoy en el Padre y El en Mí? ¿Qué debo deciros para que creáis? Si no creéis a mis palabras, creed a lo menos a las obras. Os digo y os lo afirmo: quien cree en Mí, realizará las obras que hago, y mucho mayores, porque me voy a donde el Padre. Y todo cuanto pidiereis al Padre en mi nombre lo haré para que el Padre sea glorificado en su Hijo. Haré todo lo que me pidiereis en mi Nombre. Mi nombre es conocido, por aquello que realmente es, a Mí sólo, al Padre que me ha engendrado, y al Espíritu que procede de nuestro amor. En virtud de este Nombre todo es posible. Quien piensa en mi Nombre, me ama y alcanza. Pero no basta amar, hay que observar mis órdenes para alcanzar el verdadero amor. Las obras son las que dan testimonio de los sentimientos. Debido a este amor rogaré al Padre, y os dará otro Consolador que se quedará para siempre con vosotros, a quien Satanás y el mundo no podrán hacer daño alguno, el Espíritu de Verdad que el mundo no puede recibir, al que no puede hacerle mal, porque no lo ve y no lo conoce. Se burlará de El. Pero El está muy por arriba de modo que la befa no le llegará, mientras, que misericordiosísimo sobre toda medida, estará siempre con quien lo amare, aun cuando sea pobre y débil. Vosotros lo conoceréis porque está ya viviendo con vosotros y pronto estará en vosotros. No os dejaré huérfanos. Ya os lo he dicho: "Regresaré a vosotros". Pero antes de que llegue la hora en que venga a llevaros a mi Reino, volveré. Volveré a vosotros. Dentro de poco el mundo no me verá más. Pero vosotros me veis y me veréis, porque vivo y vosotros vivís; porque viviré y vosotros también. En ese día conoceréis que estoy en mi Padre, y vosotros en Mí, y Yo en vosotros. El que me ama, es el que acepta mis preceptos y los observa. El que ama será amado por mi Padre y poseerá a Dios porque Dios es caridad y quien ama tiene a Dios en sí. Yo lo amaré porque veré en él a Dios, y me manifestaré haciéndome conocer en los secretos de mi amor, de mi sabiduría, de mi Divinidad encarnada. Éstos serán los modos como regresaré entre los hombres a quienes amo aunque sean débiles, aunque sean mis enemigos. Estos serán sólo débiles. Los robusteceré. Diré: "¡Levántate!", gritaré: "¡Sal fuera!", ordenaré: "Sígueme", mandaré: "Oyes", avisaré: "Escribe"... y entre éstos estáis vosotros."

"¿Por qué, Señor, te manifiestas a nosotros y no al mundo?" pregunta Judas Tadeo.
"Porque me amáis y observáis mis palabras. Quien hiciere así, mi Padre lo amará. Vendremos a donde él, haremos en él nuestra mansión. El que no me ama, no guarda mis palabras, y obra según la carne y el mundo. Ahora bien, tened en cuenta que lo que os he dicho no son palabras de Jesús de Nazaret, sino palabras del Padre, porque Yo soy su Verbo, que me ha enviado. Os he dicho estas cosas, conversando de este modo con vosotros, porque quiero prepararos para la posesión completa de la Verdad y de la Sabiduría. Pero todavía no podéis ni comprender, ni recordar. Cuando venga a vosotros el Consolador, el Espíritu Santo que el Padre mandará en mi nombre, entonces comprenderéis y El os enseñará todo y os traerá a la memoria, cuanto os he dicho.
Os dejo mi paz. Os doy mi paz. Os la doy no como la da el mundo, ni siquiera como hasta ahora la he dado: que es un bendito saludo del Bendito a los benditos. La paz que os doy es más profunda. Os comunico Mí mismo en este adiós a vosotros, os comunico mi Espíritu de paz, como os he entregado mi Cuerpo y mi Sangre, para que en vosotros exista una gran fuerza en la batalla que se acerca.Satanás y el mundo declaran la guerra contra vuestro Jesús. Es su hora. Conservad en vosotros la Paz, mi Espíritu que es espíritu de paz, porque Yo soy el Rey de la Paz. Tenedla para que no os encontréis muy abandonados. Quien sufre teniendo la paz de Dios en sí, sufre, pero no blasfema, ni se desespera.
No lloréis. También habéis oído que os he dicho: "Me voy donde el Padre y luego regresaré". Si me amaseis más allá de lo que veis en Mí, os alegraríais inmensamente, porque voy donde el Padre después de un largo destierro... Voy a donde está el que es mayor que Yo, y que me ama. Os lo digo ahora, antes de que se realice, así como os he contado los sufrimientos del Redentor antes de que salga a su encuentro, para que cuando todo se cumpla creáis más en Mí. ¡No os conturbéis de este modo! No perdáis los ánimos.Vuestro corazón tiene necesidad de control... Poco me queda para que pueda hablaros...¡y tantas cosas quisiera deciros! Llegado al término de mi evangelización me parece que no he dicho nada, y que queda mucho, mucho por hacerse. Vuestra actitud aumenta en Mí esta sensación. ¿Qué podré decir, pues? ¿Que no he cumplido con mi oficio? O ¿que sois tan duros de corazón que no logré nada con vosotros? ¿Dudaré? No. Pongo mi confianza en Dios, y a El os confío, amados amigos. El completará la obra de su Verbo. No soy como un padre que está por morir y a quien no le queda otra luz más que la humana. Yo tengo mi esperanza en Dios. Y, aunque veo que tendría que daros tantos consejos de los que tenéis necesidad, y aunque observo que pasa el tiempo, sin embargo, tranquilo me dirijo a mi destino. Sé que está por bajar una lluvia sobre las semillas arrojadas en vosotros, que hará que germinen todas; luego vendrá el sol del Paráclito y se convertirán en un poderoso árbol. El príncipe de este mundo está por venir, aquel con quien no tengo nada que ver. No podría nada sobre Mí, si no fuese por la razón de querer redimiros. Esto sucede porque quiero que el mundo conozca que amo al Padre, y lo amo hasta obedecerlo en la muerte, y de este modo cumplo con lo que me ha mandado.

OÍD LAS ÚLTIMAS PALABRAS. 
PARÁBOLA: YO SOY LA VID VERDADERA. 
EL PADRE ES EL AGRICULTOR. 

Es la hora de irnos. Levantaos. Oíd las últimas palabras. Yo soy la Vid verdadera. El Padre es el agricultor. A todo sarmiento, que no produce fruto, le corta El, y poda al que lo produce para que produzca más. Os habéis ya purificado con mi palabra. Permaneced en Mí, y Yo estaré en vosotros para que lo sigáis estando. El sarmiento que ha sido separado de la vid no puede producir fruto. De igual modo vosotros, si no permaneciereis en Mí. Y soy la Vid y vosotros los sarmientos. El que permanece unido a Mí, produce muchos frutos; pero, si uno se separa, se convierte en rama seca que se arroja al fuego para que se queme. Porque de no estar unidos a Mí, no podéis producir fruto alguno. Permaneced, pues, en Mí y que mis palabras queden en vosotros; y, luego, pedid cuanto queráis que se os dará. Mi Padre será cada vez más glorificado cuanto más produzcáis frutos y seáis mis discípulos.
Como el Padre me ha amado, así también Yo a vosotros. Permaneced en mi amor que salva. Si me amáis seréis obedientes, y la obediencia aumenta el amor recíproco. No digáis que estoy repitiendo lo mismo. Conozco vuestra debilidad. Quiero que os salvéis. Os digo esto para que la alegría que os quise comunicar exista en vosotros, y sea perfecta. ¡Amaos, amaos! Este es mi nuevo mandamiento. Amaos mutuamente más de lo que cada uno se ama a sí mismo. El amor del que da su vida por sus amigos es mayor que cualquier otro. Vosotros sois mis amigos y doy mi vida por vosotros. Haced lo que os he enseñado y mandado. No digo que sois mis siervos, porque el siervo no sabe lo que hace su dueño, entre tanto que vosotros sabéis lo que hago. Todo lo sabéis respecto a Mí. No sólo me he manifestado a vosotros, sino también al Padre, al Paráclito; y manifesté todo lo que oí de Dios. No sois vosotros los que os elegisteis; Yo fui quien os eligió y lo hizo para que vayáis entre los pueblos y produzcáis frutos en vosotros y en los corazones de los evangelizados, vuestro fruto permanezca, y el Padre os conceda lo que pidiereis en mi Nombre.
No digáis: "Si Tú nos has escogido, ¿por qué escogiste a un traidor? Si todo lo sabes, ¿por qué lo hiciste?" No preguntéis ni siquiera quién sea este tal. No es un hombre. Es Satanás. Lo dije a mi fiel amigo y permití que lo dijese. Es Satanás. Si Satanás, el eterno comediante, no se hubiere encarnado en un cuerpo mortal, este hombre poseído no habría podido escapar a mi poder. He dicho "poseído". No. Es algo mucho más: es un entregado a Satanás."
"¿Por qué Tú, que has arrojado los demonios, no lo libraste de él?" pregunta Santiago de Alfeo.
"¿Me lo preguntas, porque amándome, tienes miedo de ser tú? No temas."
"Entonces ¿yo?"
"¿Yo?"
"¿Yo?"
"Callaos. No diré su nombre. Tengo misericordia; tenedla también vosotros."
"Pero, ¿por qué no lo venciste? ¿No pudiste?"
"Podía, pero si hubiera impedido a Satanás que se encarnara para matarme, habría debido exterminar la raza humana antes de su redención. ¿Qué habría entonces redimido?"

PEDRO DICE: ¿SOY YO? 
"NO SIMÓN DE JONÁS. NO ERES TÚ."

"Dímelo, Señor, dímelo." Pedro se ha echado de rodillas y sacude frenéticamente a Jesús como si estuviese bajo el influjo de un delirio. "¿Soy yo? ¿Soy yo? ¿Me examino? No me parece. Pero Tú... Tú me dijiste que te negaré... Yo tiemblo de miedo...¡Oh, que horror que sea yo!..."
"No Simón de Jonás. No eres tú."
"¿Por qué me llamas por mi nombre y no me dices "Piedra"? ¿He vuelto acaso a ser Simón? ¿Lo ves? Lo estáis diciendo... ¡Soy yo! Pero ¿cómo ha sido posible? Decidlo... decidlo vosotros... ¿Cuándo fue el momento en que pude haberme convertido en traidor?... ¡Simón!...¡Juan!...¡Hablad!..."
"¡Pedro, Pedro, Pedro! Te he llamado Simón porque me he acordado de la primera vez que te vi,cuando eras Simón. Y pienso que has sido siempre leal desde aquel primer momento. No eres tú. Te lo aseguro Yo que soy la Verdad."
"Entonces, ¿quién?"
"¡Quién otro sino Judas de Keriot! ¿No lo has comprendido?" grita Tadeo que no logra contenerse más.
"¿Por qué no me lo dijiste antes? ¿Por qué? " grita a su vez Pedro.
"Silencio. Es Satanás. No tiene otro nombre. ¿A dónde vas, Pedro?"
"A buscarlo."
"Deja inmediatamente tu manto y esa espada. ¿O quieres que te arroje de Mí y te maldiga?"
"¡No, no! ¡Oh, Señor mío! Pero yo... pero yo... ¿Deliro acaso? ¡Oh, oh!" Pedro echado por tierra llora a los pies de Jesús.
"Os ordeno que os améis, que perdonéis. ¿Habéis comprendido? Si en el mundo existe el odio, en vosotros debe existir solo el amor. Un amor para todos. ¡Cuántos traidores encontraréis por vuestro camino! Pero no deberéis odiarlos, y devolverles mal por mal. De otro modo el Padre os odiará. Antes que vosotros he sido objeto de odio y se me ha traicionado. Y sin embargo, lo estáis viendo, no odio. El mundo no puede amar lo que no es como él. Por esto no os amará. Si fueseis suyos os amaría, pero no lo sois, porque os tomé de en medio de él, y éste es el motivo por el cual os odia.
Os he dicho: el siervo no es más que el patrón. Si me han perseguido, también a vosotros os perseguirán. Si me hubieran escuchado, os escucharían también a vosotros. Pero todo lo harán por causa de mi Nombre, porque no conocen, porque no quieren conocer a quien me ha enviado. Si no hubiera Yo venido y no les hubiese hablado, no serían culpables; pero ahora su pecado no tiene excusa. Han visto mis obras, oído mis palabras; con todo, me han odiado, y además a mi Padre, porque Yo y el Padre somos una sola Unidad con el Amor. Está escrito: "Me odiaron sin motivo alguno". Pero cuando vendrá el Consolador, el Espíritu de verdad que procede del Padre, dará testimonio de Mí, y también vosotros, porque desde le principio habéis estado conmigo.
Esto os lo he dicho para que, cuando llegue la hora, no quedéis acobardados ni escandalizados.Pronto va a llegar el tiempo en que os arrojarán de las sinagogas; y cuando, el que os matare, pensará dar culto a Dios con lo que hace. No han conocido ni al Padre, ni a Mí. Esa es la única razón que puede excusarlos. Antes no os lo había dicho tan claro, porque erais como niños recién nacidos. Ahora vuestra madre os deja. Me voy. Debéis acostumbraros a otra clase de alimento. Quiero que lo conozcáis.
Ninguno me pregunta de nuevo: "¿A dónde vas?" La tristeza os ha vuelto mudos. Y con todo es bueno que me vaya, de otro modo el Consolador no vendrá. Os lo mandaré. Y cuando vendrá, por medio de la sabiduría y de la palabra, de las obras y del heroísmo que os infundirá, convencerá al mundo de su pecado deicida, y de mi verdadera santidad. El mundo se dividirá claramente en dos partes: la de los réprobos, enemigos de Dios, y en la de los creyentes. Estos serán más o menos santos, según su voluntad, pero se juzgará al príncipe del mundo y a sus secuaces. No puedo deciros más, porque por ahora no lo podéis comprender. Pero El, el Paráclito divino, os entregará enteramente la Verdad porque no hablará por Sí mismo, sino que dirá lo que habrá oído de la mente de Dios y os anunciará lo porvenir. Tomará lo que de Mí sale, esto es, lo que todavía es del Padre, y os lo dirá.
Todavía nos podremos ver un poco, después no me veréis más. Y tras un poco, de nuevo me veréis.

PARÁBOLA DE LA MUJER QUE ESTÁ EN CINTA

Dentro de vosotros mismos estáis dialogando. Oíd una parábola. La última que os dice vuestro Maestro.
Cuando una mujer está en cinta y llega la hora del parto, se encuentra en medio de grande aflicción, sufre y llora. Pero, cuando ha nacido el pequeño y lo estrecha contra su corazón, todo dolor desaparece, su tristeza se cambia en alegría porque ha venido al mundo un nuevo ser.
Así también vosotros. Lloraréis, y el mundo se reirá de vosotros. Pero después vuestra tristeza se cambiará en alegría, una alegría que el mundo jamás conocerá. Ahora estáis tristes; pero, cuando me volváis a ver, vuestro corazón se llenará de una alegría tal que nadie podrá arrebatárosla. Una alegría tan completa que no tendréis necesidad de pedir para la mente, el corazón y el cuerpo. Os alimentaréis sólo con verme, olvidándoos de cualquier otra cosa. Pero, por esto mismo, podréis pedir todo en mi Nombre, y el Padre os lo dará para que vuestra alegría sea siempre mayor. Pedid, pedid y recibiréis.
Ya llega la hora en que os podré hablar abiertamente del Padre. Porque permaneceréis fieles en la prueba y todo será superado. Vuestro amor será perfecto porque os habrá ayudado en la prueba. Y lo que os faltare, lo daré al tomarlo de mi inmenso tesoro diciendo: "Padre, mira. Estos me han amado creyendo que he venido de Ti". Bajé al mundo; ahora lo dejo, voy al Padre, y rogaré por vosotros."
"¡Oh, ahora te explicas! Ahora comprendemos lo que quieres decir y entendemos que sabes todo y que respondes sin que nadie te hubiera preguntado. ¡Verdaderamente que has venido de Dios!"
"¿Creéis ahora? ¿En los últimos momentos? ¡Hace tres años que os he venido hablando! Pero ya ha empezado a obrar en vosotros el Pan que es Dios y el Vino que es Sangre, que no ha brotado de algún hombre, y os causa el primer estremecimiento de ser divinos. Llegaréis a ser dioses si perseveráis en mi amor y en ser míos. No como lo dijo Satanás a Adán y a Eva, sino como Yo os lo digo. Es el verdadero fruto del árbol del Bien y de la Vida. Quien se alimenta de él, vence al Mal, y la muerte no tiene poder. Quien coma de él vivirá para siempre y se convertirá en "dios" en el Reino divino. Vosotros seréis dioses si permanecéis en Mí. Y sin embargo... aun cuando tenéis en vosotros este Pan y esta Sangre, pues está llegando la hora en que seréis dispersos. Os iréis por vuestra cuenta y me dejaréis solo... No. No lo estoy. Tengo al Padre conmigo. ¡Padre, Padre, no me abandones! Os he dicho todo... para que tengáis paz... mi paz. Una vez más os veréis atribulados, pero tened confianza, que Yo he vencido al mundo."
Jesús se pone de pie, abre los brazos en forma de cruz y recita al Padre, con un rostro radiante, la sublime plegaria que Juan nos trasmitió íntegra.

Se oyen más o menos los sollozos de todos los apóstoles. Cantan un himno. Jesús los bendice. Luego dice: "Tomemos los mantos, y vámonos. Andrés, di al dueño de la casa que deje todo así, porque es mi voluntad. Mañana... os dará júbilo volver a ver este lugar." Jesús lo mira. Parece como si bendijese las paredes, los muebles, todo. Luego se echa encima el manto y sale, seguido de sus discípulos. A su lado va Juan sobre el que se apoya.
"¿No te despides de tu Madre?" le pregunta el hijo del Zebedeo.
"No. Ya lo hice. Ahora no hagáis ruido."
Simón, con la antorcha que ha encendido, ilumina el ancho corredor que lleva a la puerta. Pedro abre con cuidado el portón, salen todos a la calle. Y, con una especie de llave, cierra por afuera. Se ponen en camino.
XI. 463-491


A.M.D.G. et B. V. M.