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venerdì 15 gennaio 2016

GESU' TRA I DOTTORI NEL TEMPIO


Dal folto del gruppo dei fedeli esce una fresca voce di fanciullo: «Gamaliele ha ragione».

Movimento della folla e del gruppo dottorale. Si cerca l'interruttore. Ma non occorre cercarlo. Non si nasconde. Si fa largo da sé e si accosta al gruppo dei "rabbi". Riconosco il mio Gesù adolescente. È sicuro e franco, con due sfavillanti occhi pieni di intelligenza.


«Chi sei?» gli chiedono.
«Un figlio di Israele venuto a compiere ciò che la Legge ordina».
La risposta ardita e sicura piace e ottiene sorrisi di approvazione e benevolenza. Ci si interessa del piccolo israelita.

«Come ti chiami?».
«Gesù di Nazareth».
La benevolenza si smorza nel gruppo di Sciammai. Ma Gamaliele, più benigno, prosegue il dialogo insieme ad Hillel. Anzi è proprio Gamaliele che con deferenza dice al vecchio: «Chiedi al fanciullo qualcosa».
<<Su cosa fondi la tua sicurezza>> chiede Hillel.

(Metto i nomi in testa alle risposte per abbreviare e rendere chiaro).

Gesù: «Sulla profezia che non può errare nell'epoca e sui segni che l'hanno accompagnata quando fu il tempo del suo avverarsi. È vero che Cesare ci domina. Ma il mondo era tanto in pace e la Palestina tanto in calma quando si compirono le settanta settimane, che fu possibile a Cesare ordinare il censimento nei suoi domini.
Non lo avrebbe potuto se la guerra fosse stata nell'Impero e le sommosse in Palestina. 
Come era compito quel tempo, così si sta compiendo l'altro delle sessantadue più una dal compimento del Tempio, perché il Messia sia unto e si avveri il seguito della profezia per il popolo che non lo volle. Potete avere dubbi? 
Non ricordate che la stella fu vista dai Savi d'Oriente e che andò a posarsi proprio sul cielo di Betlemme di Giuda e che le profezie e le visioni, da Giacobbe in poi, indicano quel luogo come il destinato ad accogliere la nascita del Messia, figlio del figlio del figlio di Giacobbe, attraverso Davide che era di Betlemme? Non ricordate Balaam? "Una stella nascerà da Giacobbe ". 
I Savi d'Oriente, che la purezza e la fede rendevano occhi e orecchi aperti, hanno visto la stella e compreso il suo nome: " Messia ", e sono venuti ad adorare la Luce scesa nel mondo».
Sciammai, con sguardo livido: «Tu dici che il Messia nacque nel tempo della stella a Betlemme-Efrata?».
Gesù: «Io lo dico».
Sciammai: «Allora non vi è più. Non sai, fanciullo, che Erode fece uccidere tutti i nati di donna, da un giorno a due anni d'età, di Betlemme e dintorni? Tu, tanto sapiente nella Scrittura, devi sapere anche questo: "Un grido s'è sentito nell'alto... È Rachele che piange i suoi figli ". Le valli e le cime di Betlemme, che hanno raccolto il pianto di Rachele morente, sono rimaste piene di pianto, e le madri l'hanno ripetuto sui figli uccisi. Fra esse era certo anche la Madre del Messia».

Gesù: «Ti sbagli, o vecchio. Il pianto di Rachele s'è volto in osanna, perché là dove essa ha dato alla luce il "figlio del suo dolore", la nuova Rachele ha dato al mondo il Beniamino del Padre celeste, il Figlio della sua destra, Colui che è destinato a riunire il popolo di Dio sotto il suo scettro e a liberarlo dalla più tremenda schiavitù».

Sciammai: «E come, se Egli fu ucciso?».
Gesù: «Non hai letto di Elia? Egli fu rapito dal cocchio di fuoco. E non potrà il Signore Iddio aver salvato il suo Emmanuele perché fosse Messia del suo popolo? Egli, che ha aperto il mare davanti a Mosè perché Israele passasse a piede asciutto verso la sua terra, non avrà potuto mandare i suoi angeli a salvare il Figlio suo, il suo Cristo, dalla ferocia dell'uomo? In verità vi dico: il Cristo vive ed è fra voi, e quando sarà la sua ora si manifesterà nella sua potenza». Gesù, nel dire queste parole, che sottolineo, ha nella voce uno squillo che empie lo spazio. I suoi occhi sfavillano più ancora e, con mossa d'impeto e promessa, Egli tende il braccio e la mano destra e li abbassa come per giurare. È un fanciullo, ma è solenne come un uomo.

Hillel: «Fanciullo, chi ti ha insegnato queste parole?»
Gesù: «Lo Spirito di Dio. Non ho maestro umano. Questa è la Parola del Signore che vi parla attraverso le mie labbra».
Hillel: «Vieni fra noi, che io ti veda da presso, o fanciullo, e la mia speranza si ravvivi a contatto della tua fede e la mia anima si illumini al sole della tua».
E Gesù viene fatto sedere su un alto sgabello fra Gamaliele e Hillel, e gli vengono porti dei rotoli perché li legga e spieghi. È un esame in piena regola. La folla si accalca e ascolta.

La voce fanciulla di Gesù legge: «Consolati, o mio popolo. Parlate al cuore di Gerusalemme, consolatela perché la sua schiavitù è finita... Voce di uno che grida nel deserto: preparate le vie del Signore... Allora apparirà la gloria del Signore».

Sciammai: «Lo vedi, o nazareno! Qui si parla di schiavitù finita. Mai come ora siamo schiavi. Qui si parla di un precursore. Dove è egli? Tu farnetichi».
Gesù: «Io ti dico che a te più che agli altri va fatto l'invito del Precursore. A te e ai tuoi simili. Altrimenti non vedrai la gloria del Signore né comprenderai la parola di Dio, perché le bassezze, le superbie, le doppiezze ti faranno ostacolo a vedere ed udire».


Sciammai: «Così parli ad un maestro?».
Gesù: «Così parlo. E così parlerò sino alla morte. Poiché sopra il mio utile sta l'interesse del Signore e l'amore alla Verità di cui sono Figlio. 
E ti aggiungo, o rabbi, che la schiavitù di cui parla il Profeta, e di cui Io parlo, non è quella che credi, come la regalità non sarà quella che pensi. Ma sibbene per merito del Messia verrà reso libero l'uomo dalla schiavitù del Male che lo separa da Dio, e il segno del Cristo sarà sugli spiriti, liberati da ogni giogo e fatti sudditi dell'eterno Regno. 
Tutte le nazioni curveranno il capo, o stirpe di Davide, davanti al Germoglio nato da te e divenuto albero che copre tutta la terra e si alza al Cielo. E in Cielo e in terra ogni bocca loderà il suo Nome e piegherà il ginocchio davanti all'Unto di Dio, al Principe della Pace, al Condottiero, a Colui che con Se stesso avrà inebriato ogni anima stanca e saziato ogni anima affamata, al Santo che stipulerà una alleanza fra terra e Cielo. Non come quella stipulata coi Padri d'Israele quando Dio li trasse d'Egitto trattandoli ancora da servi, ma imprimendo la paternità celeste nello spirito degli uomini con la Grazia nuovamente infusa per i meriti del Redentore, per il quale tutti i buoni conosceranno il Signore e il Santuario di Dio non sarà più abbattuto e distrutto».

Sciammai: «Ma non bestemmiare, fanciullo! Ricorda Daniele. Egli dice che, dopo l'uccisione del Cristo, il Tempio e la Città saranno distrutti da un popolo e da un condottiero che verrà. E Tu sostieni che il Santuario di Dio non sarà più abbattuto! Rispetta i Profeti!».
Gesù: «In verità ti dico che vi è Qualcuno che è da più dei Profeti, e tu non lo conosci e non lo conoscerai, perché te ne manca la voglia. E ti dico che quanto ho detto è vero. Non conoscerà più morte il Santuario vero. Ma, come il suo Santificatore, risorgerà a vita eterna e alla fine dei giorni del mondo vivrà in Cielo».

Hillel: «Ascolta me, fanciullo. Aggeo dice: " ... Verrà il Desiderato delle genti... Grande sarà allora la gloria di questa casa, e di quest'ultima più della prima " (Ag 2, 10). Vuol forse parlare del Santuario di cui Tu parli?».
Gesù: «Si, maestro. Questo vuol dire. La tua rettezza ti porta verso la Luce ed Io te lo dico: quando il Sacrificio del Cristo sarà compiuto, a te verrà pace, poiché sei un israelita senza malizia».


Gamaliele: «Dimmi, Gesù. La pace di cui parlano i Profeti come può sperarsi se a questo popolo verrà distruzione di guerra? Parla e da' luce anche a me».
Gesù: «Non ricordi, maestro, cosa dissero coloro che furono presenti la notte della nascita del Cristo? Che le schiere angeliche cantarono: "Pace agli uomini di buona volontà". Ma questo popolo non ha buona volontà e non avrà pace. Esso misconoscerà il suo Re, il Giusto, il Salvatore, perché lo spera re di umana potenza,
mentre Egli è Re dello spirito. Esso non lo amerà, dato che il Cristo predicherà ciò che a questo popolo non piace. Il Cristo non debellerà i nemici coi loro cocchi e i loro cavalli, ma i nemici dell'anima, che piegano a possesso infernale il cuore dell'uomo creato per il Signore. E questa non è la vittoria che Israele si attende da Lui. Egli verrà, Gerusalemme, il tuo Re, cavalcando 
"l'asina e l'asinello", ossia i giusti di Israele e i gentili.
Ma l'asinello, Io ve lo dico, sarà a Lui più fedele e lo seguirà precedendo l'asina e crescerà nella via della Verità e della Vita. Israele per la sua mala volontà perderà la pace e soffrirà in sé, per dei secoli, ciò che farà soffrire al suo Re, che sarà da esso ridotto il Re di dolore di cui parla Isaia».

Sciammai «La tua bocca sa insieme di latte e di bestemmia, nazareno. Rispondi: e dove è il Precursore? Quando lo avemmo?».
Gesù: «Egli è. Non dice Malachia: "Ecco, io mando il mio angelo a preparare davanti a Me la strada; e subito verrà al suo Tempio il Dominatore da voi cercato e l'Angelo del Testamento, da voi bramato "? Dunque il Precursore precede immediatamente il Cristo. Egli già è come è il Cristo. Se anni passassero fra colui che
prepara le vie al Signore e il Cristo, tutte le vie tornerebbero ingombre e contorte. Dio lo sa e predispone che il Precursore anticipi di un'ora sola il Maestro. Quando vedrete questo Precursore, potrete dire: "La missione del Cristo ha inizio ". 

A te dico: il Cristo aprirà molti occhi e molti orecchi quando verrà a queste vie. Ma non le tue e quelle dei tuoi pari, che gli darete morte per la Vita che vi porta. Ma quando più alto di questo Tempio, più alto del Tabernacolo chiuso nel Santo dei santi, più alto della Gloria sostenuta dai Cherubini, il Redentore sarà sul suo trono e sul suo altare, maledizione ai deicidi e vita ai gentili fluiranno dalle sue mille e mille ferite, perché Egli, o maestro che non sai, non è, lo ripeto, Re di un regno umano, ma di un Regno spirituale, e suoi sudditi saranno unicamente coloro che per suo amore sapranno rigenerarsi nello spirito e, come Giona, dopo esser già nati, rinascere, su altri lidi: " quelli di Dio", attraverso la spirituale generazione che avverrà per Cristo, il quale darà all'umanità la Vita vera».

Sciammai e i suoi accoliti: «Questo nazareno è Satana!».
Hillel e i suoi: «No. Questo fanciullo è Profeta di Dio. Resta con me, Bambino. La mia vecchiezza trasfonderà quanto sa al tuo sapere, e Tu sarai Maestro del popolo di Dio».
Gesù: «In verità ti dico che, se molti fossero come tu sei, salute verrebbe ad Israele. Ma la mia ora non è venuta. A Me parlano le voci del Cielo e nella solitudine le devo raccogliere finché non sarà la mia ora.
Allora con le labbra e col sangue parlerò a Gerusalemme, e sarà mia la sorte dei Profeti lapidati e uccisi da essa. Ma sopra il mio essere è quello del Signore Iddio, al quale Io sottometto Me stesso come servo fedele per fare di Me sgabello alla sua gloria, in attesa che Egli faccia del mondo sgabello ai piedi del Cristo.
Attendetemi nella mia ora. Queste pietre riudranno la mia voce e fremeranno alla mia ultima parola. Beati quelli che in quella voce avranno udito Iddio e crederanno in Lui attraverso ad essa. A questi il Cristo darà quel Regno che il vostro egoismo sogna umano, mentre è celeste, e per il quale Io dico: "Ecco il tuo servo,
Signore, venuto a fare la tua volontà. Consumala, perché di compierla Io ardo".

E qui, con la visione di Gesù col volto infiammato di ardore spirituale alzato al cielo, le braccia aperte, ritto in piedi fra i dottori attoniti, mi finisce la visione.


Avrei qui da dirle due cose che la interessano certo e che avevo deciso di scrivere non appena tornata dal sopore. Ma siccome c'è dell'altro più pressante, scriverò poi.
Quello che le volevo dire all’inizio é questa cosa.
Lei oggi mi diceva come avevo potuto sapere i nomi di Hillel e Gamaliele e quello di Sciammai.
È la voce che io chiamo «seconda voce» quella che mi dice queste cose. Una voce ancor meno sensibile di quella del mio Gesù e degli altri che dettano. Queste sono voci, gliel'ho detto e glielo ripeto, che il mio udito spirituale percepisce uguali a voci umane. Le sento dolci o irate, forti o leggere, ridenti o meste. Come uno parlasse proprio vicino a me. Mentre questa «seconda voce» è come una luce, una intuizione che parla nel mio spirito. «Nel», non «al» mio spirito. È una indicazione.

Così, mentre io mi avvicinavo al gruppo dei disputanti e non sapevo chi era quell'illustre personaggio che a fianco di un vecchio disputava con tanto calore, questo «che» interno mi disse: «Gamaliele - Hillel». Sì.
Prima Gamaliel e poi Hillel. Non ho dubbi. Mentre pensavo chi erano costoro, questo indicatore interno mi indicò il terzo antipatico individuo proprio mentre Gamaliel lo chiamava a nome. E così ho potuto sapere chi era costui dal farisaico aspetto.


Dice Gesù:

«Torniamo indietro molto, molto. Torniamo al Tempio, dove Io dodicenne sto disputando. Anzi torniamo nelle vie che conducono a Gerusalemme e da Gerusalemme al Tempio.
Vedi l'angoscia di Maria quando, riunitesi le schiere degli uomini e delle donne, Ella vede che Io non sono con Giuseppe.

Non alza la voce in rimproveri aspri verso lo sposo. Tutte le donne l'avrebbero fatto. Lo fate per molto meno, dimenticando che l'uomo è sempre il capo di casa. 
Ma il dolore che traspare dal volto di Maria trafigge Giuseppe più d'ogni rimprovero. Non si abbandona Maria a scene drammatiche. Per molto meno lo fate, amando d'esser notate e compatite. 
Ma il suo dolore contenuto è così palese, dal tremito che la prende, dal volto che impallidisce, dagli occhi che si dilatano, che commuove più d'ogni scena di pianto e clamore.
Non sente più fatica, non fame. E il cammino era stato lungo e da tante ore non s'era preso ristoro! 
Ma Ella lascia tutto. E il giaciglio che si sta preparando e il cibo che sta per essere distribuito. E torna indietro. È sera,
scende la notte. Non importa. Ogni passo la riporta verso Gerusalemme. Ferma le carovane, i pellegrini. Interroga. Giuseppe la segue, la aiuta. Un giorno di cammino a ritroso e poi l'affannosa ricerca per la città.
Dove, dove può essere il suo Gesù? E Dio permette che Ella non sappia per tante ore dove cercarmi. 
Cercare un bambino nel Tempio era cosa senza giudizio. Che ci doveva fare un bambino nel Tempio? Al massimo, se s'era sperduto per la città ed era tornato là dentro, portato dai suoi piccoli passi, la sua voce piangente avrebbe chiamato la mamma ed attirato l'attenzione degli adulti, dei sacerdoti, i quali avrebbero provveduto a ricercare i genitori con dei bandi messi alle porte. Ma non c'era nessun bando. Nessuno in città sapeva di questo Bambino. Bello? Biondo? Robusto? Eh! ce ne sono tanti! Troppo poco per poter dire: "L'ho visto. Era là e là"!

Poi, dopo tre giorni, simbolo di altri tre giorni di angoscia futura, ecco che Maria esausta penetra nel Tempio, scorre i cortili e i vestiboli. Nulla. Corre, corre, la povera Mamma, là dove sente una voce di bimbo. E fin gli agnelli col loro belare le paiono il pianto della sua Creatura che la cerca. Ma Gesù non piange. Ammaestra.
Ecco che Maria sente, oltre una barriera di persone, la cara voce che dice: "Queste pietre fremeranno... ". Ella cerca di fendere la calca e vi riesce dopo molto stento. Eccolo, il Figlio, a braccia aperte, ritto fra i dottori.

Maria è la Vergine prudente. Ma questa volta l'affanno soverchia la sua riservatezza. È una diga che abbatte ogni altra cosa. Corre al Figlio, lo abbraccia, levandolo dallo sgabello e posandolo al suolo, ed esclama: "Oh! perché ci hai fatto questo? Da tre giorni ti andiamo cercando. La tua Mamma sta per morire di dolore, Figlio.
Il padre tuo è sfinito di fatica. Perché, Gesù?

Non si chiedono i "perché " a Chi sa. I "perché "del suo modo di agire. Ai vocati non si chiede "perché" lasciano tutto per seguire la voce di Dio. Io ero Sapienza e sapevo. Io ero "vocato" ad una missione e la compivo. 
Sopra il padre e la madre della terra vi è Dio, Padre divino. I suoi interessi superano i nostri, i suoi affetti sono superiori ad ogni altro. Io lo dico a mia Madre.

Termino l'insegnamento ai dottori con l'insegnamento a Maria, Regina dei dottori. Ed Ella non se lo è più dimenticato. Il sole le è tornato nel cuore avendomi per mano, umile e ubbidiente, ma le mie parole le sono pure nel cuore. 

Molto sole e molte nubi scorreranno nel cielo durante quei ventuno anni in cui sarò ancora sulla terra. E molta gioia e molto pianto si alternerà nel suo cuore per altri ventuno anni. Ma Ella non
chiederà più: "Perché, Figlio mio, ci hai fatto questo?".
Imparate, o uomini protervi.

Ho istruito e illuminato Io la visione, perché tu non sei in grado di fare di più.


<<SPIRITO SANTO, ISPIRAMI.
AMORE DI DIO, CONSUMAMI.
NEL VERO CAMMINO, CONDUCIMI.
MARIA MADRE MIA, GUARDAMI.
CON GESU’ BENEDICIMI.
DA OGNI MALE, DA OGNI ILLUSIONE,
DA OGNI PERICOLO, PRESERVAMI.>>

mercoledì 5 dicembre 2012

‘I Vangeli della Fede’: Un rabbino, un teppista, un diacono


‘I Vangeli della Fede’

7 agosto.
Ieri sera ho avuto una singolarissima visione 
(La visione, che qui viene narrata con qualche incertezza e discontinuità, si ritroverà trascritta con maggior sicurezza e più ordine narrativo sul quaderno n. 100, e formerà l’episodio del “Martirio di Stefano” del ciclo della “Glorificazione” della grande opera sul Vangelo) 
che sul principio mi ha lasciata proprio sbalordita.
Poi ho capito che si riferiva alle prime persecuzioni verso
i cristiani, avvenute proprio in Gerusalemme. Ma questo l’ho capito poi, quando la visione si è animata, perché sul principio non vedevo che l’interno del Tempio, e precisamente quel portico in quel cortile presso al quale è la bocca del Tesoro, quel punto, insomma, presso il quale, appoggiato a una colonna, Gesù osservava la folla nella visione della vedova che dà i due piccioli.
Alla stessa colonna, proprio alla stessa - la riconosco per la sua posizione
presso le bocche del Tesoro e la scala che immette all’altro cortile - è un
autorevole personaggio. Un fariseo certo, tale me lo denunciano la veste e il mio interno ammonitore.


È un uomo sui sessant’anni, a giudicare dall’aspetto. Dai 55 ai 60. Alto, di nobile portamento e anche bello nei tratti fortemente semitici. La fronte deve essere alta, ma non è scoperta per un bizzarro copricapo che la copre sino a quasi le sopracciglia molto folte e dritte, che ombreggiano due occhi intelligentissimi, penetranti, neri, molto lunghi di taglio e incassati ai lati di un naso che scende diritto dalla fronte, lungo, sottile, dalle narici palpitanti, lievemente curvo in basso, alla punta. Guance di un avorio carico piuttosto incavate, non per emaciazione ma per conformazione del viso. Bocca piuttosto larga, dalle labbra sottili, ma bella, ombreggiata da baffi che non ne superano gli angoli e che si mescono ad una barba tagliata quadrata, che scende
non più di tre dita dal mento; i baffi e la barba, molto ben curati, sono di una brizzolatura tanto accentuata da esser più bianca che nera, come doveva essere inizialmente e come denunciano dei rari fili di un nero fin quasi azzurrognolo tanto è morato.
Ma quello che mi colpisce è l’abito. Sulla testa ha un copricapo fatto di un telo di lino piuttosto rigido, che cinge la fronte e si chiude sulla nuca come la cuffia delle infermiere di Croce Rossa. Il lembo libero ricade, al disopra della fermatura, sul collo e giunge alle spalle. È una specie di cappuccio, insomma, ma da adattarsi di volta in volta. L’abito invece è fatto così. Sotto, una lunga (fino a terra, a coprire i piedi, che infatti non vedo) veste di lino candidissimo, molto ampia, con maniche lunghe e larghe, tenuta a posto alla vita da una ricca cintura che è tutto un gallone di ricamo e di cordoni. La veste ha degli orli ricamati come a bordura, molto ampi.
Sopra questa vi è una specie di sopraveste curiosissima. Dietro pare una pianeta da Messa: un pezzo di stoffa tutta ricamata che pende dalle spalle sin verso il ginocchio, aperta ai lati, e che sul davanti scende a V fino all’altezza di dove finisce lo sterno facendo pieghe: 3 per parte, e sullo sterno è tenuta raccolta da una targa lavorata di metallo prezioso, che pare la borchia o chiusura di una cintura preziosa, che va ad allacciarsi ai lati posteriori della pianeta (la chiamerò così) ma non strettamente: appena quel tanto da tenere tutto a posto.
Oltre questa fibbia, la pianeta scende senza più pieghe fino al ginocchio.
Questo scarabocchio [grafico] vorrebbe essere la parte davanti di questa parte dell’abito del fariseo. Non rida di me. Tutto intorno ai suoi bordi, questa singolare casacca ha dei nastrini messi così [grafico] azzurri, fitti fitti.
Questi nastri messi a frangia si ritrovano anche sui bordi di un amplissimo
mantello di stoffa morbidissima, pare quasi una seta tanto è pieghevole e lieve, deve essere lino o lana del filato più fino, ma per la candidezza direi lino. Il mantello è tanto ampio che potrebbe bastare a coprire tre persone. Ora è aperto e pende dalle spalle sino a terra, dove si ammucchia con pieghe fastose.
Il fariseo ha le mani conserte sul petto, le braccia conserte, e guarda con
severità e direi con disgusto qualche cosa. Non è sprezzante però. Direi
addolorato.

Fin qui la prima parte della visione che ho descritto al presente per maggior vivezza, anche perché è tuttora presente alla mia vista come ieri sera. Se sapesse quanto ho studiato la veste del fariseo! Potrei dire e disegnare, se fossi capace, i ghirigori della fibbia preziosa e le greche dei bordi ricamati.

In un secondo tempo ho visto venire davanti al fariseo un giovinotto, un ebreo certo, dalle caratteristiche nette, e anzi un brutto ebreo. Bassotto, tarchiato, direi quasi un poco rachitico, con gambe molto corte e grosse, un poco divaricate ai ginocchi: le vedo bene perché ha veste corta come chi si appresta a viaggiare, me lo dice il mio ammonitore... Una veste grigiognola. Braccia pure corte e nerborute, collo corto e grosso che sostiene una testa piuttosto grossa, bruna, con capelli corti e ruvidi, dalle orecchie piuttosto sporgenti, labbra tumide, naso fortemente camuso, zigomi alti e grossi, fronte convessa e alta, occhi... tutt’altro che dolci. Piuttosto bovini ma dallo sguardo duro, iracondo.
Eppure questi occhi, nerissimi sotto i cespugli di sopracciglia arruffate, sono occhi bellissimi. Fanno pensare. Non ha barba lunga, ma le guance paiono affumicate dall’ombra di una barba foltissima e che deve esser ispida come i capelli. È un uomo decisamente brutto nel corpo e nel volto. Pare persino un poco gobbo nella spalla destra. Ma pure colpisce e attira nonostante abbia aspetto brutto e cattivo.

Va di fronte al fariseo e gli dice qualcosa, con le sue grosse labbra, che io
non capisco.
Il fariseo risponde: “Non approvo la violenza. Per nessun motivo. Da me non avrai mai adesione a un disegno violento. L’ho detto anche pubblicamente”.

“Sei forse protettore di questi bestemmiatori, seguaci del Nazareno?”

“Sono protettore della giustizia. E questa insegna ad esser cauti nel giudicare. L’ho detto: ‘Se è cosa che viene da Dio resisterà, se no cadrà da sé’. Ma io non voglio macchiarmi le mani di un sangue che non so se meriti morte”.

“Tu, fariseo e dottore, parli così? Non temi l’Altissimo?”

“Più di te. Ma penso e ricordo... Tu non eri che un piccolo, non ancora figlio della Legge, ed io insegnavo in questo Tempio con il rabbino più saggio di questo tempo... E la nostra saggezza ebbe una lezione che ci fece pensare per tutto il resto della vita. Gli occhi del saggio si chiusero sul ricordo di quell’ora e la sua mente sullo studio di quella verità che si rivelava agli onesti. I miei hanno continuato a vigilare, e la mente a pensare, coordinando le cose... Io ho udito l’Altissìmo parlare dalla bocca di un fanciullo

(Gesù dodicenne fra i dottori nel Tempio: Luca 2, 41-50. Nell’analogo episodio
scritto da Maria Valtorta per l’opera sul Vangelo, si incontrano i personaggi di
Gamaliele  - il fariseo che qui parla - e di Hillel  -  il saggio rabbino
qui ricordato-).

che poi fu uomo e giusto e che fu messo a morte per esser giusto. E quelle parole hanno avuto conferma nei fatti... Misero me che non compresi avanti! Misero popolo d’Israele!”.

“Maledizione! Tu bestemmi! Non vi è più salvezza se i maestri d’Israele
bestemmiano il Dio vero”.

“Non io l’ho bestemmiato. Tutti! E lo continuavamo a bestemmiare. Giusto hai detto: non vi è più salvezza!”.

“Mi fai orrore”.

“Denunciami al Sinedrio come colui che fu lapidato. Sarà l’inizio felice della tua missione e io sarò perdonato, per il mio sacrificio, di non aver compreso il Dio che passava”.
Il brutto giovane va via sgarbatamente e la visione cessa lì. Stamane si
ripresenta nettissima alla memoria, ma con un anticipo (o antefatto)
che me la fa capire.


Vedo l’aula del Sinedrio, la stessa e messa nello stesso modo di quando accolse il mio Gesù nella notte fra il Giovedì e Venerdì. Il Sommo Sacerdote e gli altri sono sui loro scanni; al centro dell’aula, nello spazio vuoto dove era Gesù, è ora un giovane, direi sui 25 anni, alto e bello. Intorno a lui, sgherri e allievi del Sinedrio, non so se si chiamino così, ma mi paiono studenti alle dipendenze dei rabbini, perciò allievi.
Stefano deve avere già parlato (Atti d. Apostoli 7), perché il tumulto è al colmo e ha riscontro solo nella gazzarra assassina che accompagnò 1’uscita di Gesù dall’aula. Pugni, maledizioni e bestemmie sono tesi e lanciati contro il diacono Stefano e anche percosse brutali, per cui egli traballa, stiracchiato qua e là con ferocia.

Ma egli conserva calma e dignità. Più che calma, gioia. Con viso ispirato e luminoso, senza curarsi degli sputi che vengono a rigargli il viso né di un filo di sangue che scende dal naso violentemente colpito, egli alza gli occhi e sorride ad una vista nota a lui solo. Apre le braccia in croce e le tende come per un abbraccio e cade in ginocchio così, adorando ed esclamando: “Ecco, io vedo i Cieli aperti ed il Figlio dell’Uomo, Gesù Nazareno, il Cristo di Dio che voi avete ucciso, è alla destra di Dio!”

Allora la canea cessa di avere l’ultima parvenza di umanità e di legalità e, con la furia di una muta di mastini idrofobi, si scaglia sul diacono, lo morde, lo afferra, lo mette in piedi a suon di calci, lo spinge fuori a suon di pugni, tirandolo per i capelli, facendolo cadere e trascinandolo ancora, facendo ostacolo alla sua furia con la sua stessa furia, perché nella rissa chi cerca tirare il martire è ostacolato da chi lo calpesta.

Fra i più veementi e crudeli è il giovane brutto che ho visto parlare al rabbino e fariseo e che chiamano Saulo. Mi spiace per l’apostolo... ma pareva un teppista prima di esser di Cristo...

Vedo anche il fariseo e dottore il quale, uno dei pochi che non è partecipante alla zuffa, come è stato sempre silenzioso durante l’accusa e mentre è data condanna (e con lui mi pare vedere anche Nicodemo, in un angolo semi-scuro), il quale fariseo e dottore, disgustato della scena illegale e feroce, si ammanta nel suo amplissimo mantello e si dirige verso un’uscita opposta a quella verso la quale è diretta la turba dei carnefici.

La mossa non sfugge a Saulo che grida: “Rabbi, te ne vai?” e dato che l’altro mostra di non prendere per sé la domanda, Saulo specifica: “Rabbi Gamaliel, ti astrai da questo giudizio?”.
Gamaliele si volge tutto d’un pezzo e con sguardo altero e freddo risponde semplicemente: “Sì”. Ma è un “sì” che vale un intero discorso.
Saulo comprende e, lasciando la muta, corre a lui. “Non vorrai dirmi, maestro, che disapprovi la nostra condanna”.

Silenzio.

“Quell’uomo è doppiamente colpevole per aver rinnegato la Legge seguendo un samaritano posseduto da Belzebù e per averlo fatto dopo essere stato tuo allievo”.

Silenzio.

“Sei tu forse seguace del malfattore detto Gesù?”.

“Non lo sono. Ma se egli era colui che si diceva, io prego l’Altissimo che io lo divenga”.

“Orrore!”.

“Nessun orrore. Ognuno ha una intelligenza per adoperarla e una libertà per applicarla. Ognuno l’usi secondo quella libertà che Dio ha dato e quella luce che ci ha messo in cuore. I giusti l’useranno nel bene, i malvagi nel male. Addio”. E se ne va senza curarsi d’altro.

Saulo raggiunge gli aguzzini nel cortile ed esce con loro dal Tempio e dalle porte della città, sempre fra percosse e dileggi.
Fuori le mura, in uno spazio incolto e sassoso, i carnefici si allargano a
cerchio. Al centro è il condannato con le vesti lacere e già pieno di ferite
sanguinose. Tutti si levano le sopravvesti rimanendo in corte tuniche come quella di Saulo nella visione di ieri sera. Le vesti vengono date a Saulo che non prende parte alla lapidazione. Non so se perché troppo piccolo o conscio della sua incapacità di tiratore o se perché scosso dalle parole di Gamaliele.
Fatto è che Saulo resta con la veste lunga e il mantello a custodire le vesti
degli altri, i quali, a colpi di pietra (le pietre abbondano nel luogo, ciottoli
tondi e selci aguzze), finiscono il martire.

Stefano prende i primi colpi in piedi con un sorriso di perdono sulla bocca ferita. Prima, con quella bocca, ha salutato Saulo. Gli ha detto, mentre la muta si apriva a cerchio e Saulo era intento a ritirare le vesti: “Amico, io ti attendo sulla via di Cristo”. Al che Saulo aveva risposto, accompagnando gli epiteti con un calcio vigoroso: “Porco! Ossesso!”.




Poi Stefano vacilla, e sotto la grandine dei colpi cade in ginocchio dicendo: “Signore Gesù, ricevi lo spirito mio!”. Altri colpi sul capo ferito lo fanno stramazzare, e mentre cade e si adagia col capo nel suo sangue, fra i sassi, mormora spirando: “Signore, Padre,... perdonali... non tener loro rancore per il loro peccato. Non sanno quello che...”. La morte ferma la frase qui.
I carnefici lanciano un’ultima valanga di sassi sul morto, lo seppelliscono
quasi sotto questa grandinata di pietre. Si rivestono e vanno. Tornano al Tempio e i più accesi si presentano, ebbri di zelo satanico, al Sommo Sacerdote per aver carta libera a perseguitare.
Fra questi, il più acceso è Saulo. Avuta la lettera di autorizzazione - una
pergamena col sigillo del Tempio in rosso - esce. Non perde tempo. Si appresta subito al viaggio e alla persecuzione. Il sangue di Stefano gli ha fatto l’effetto del rosso a un toro e di un vino ad un demente per alcoolismo. Lo ha portato alla furia. È più brutto che mai. Mi scusi l’apostolo. Ma devo dire ciò che vedo.

Mentre attende non so chi, vede Gamaliele appoggiato alla colonna e va a lui. Ho l’impressione che Saulo fosse di quelli che non lasciavano cadere una disputa, ma con una insistenza da mosca tornasse sempre all’assalto. Nel male prima, nel bene poi.

Rivedo esattamente la scena di ieri sera, che perciò non ripeto. E null’altro.
Io non avevo riconosciuto Gamaliele, molto più vecchio del momento della disputa di Gesù fanciullo, e ora con quel copricapo che allora non aveva. Ma dico il vero. Fin da allora mi era piaciuto. Ora mi piace più ancora. Mi impone rispetto. Non so se sia morto cristiano (Nel 1951 Maria Valtorta scriverà l’episodio della conversione di Gamaliele al cristianesimo, che sarà uno degli ultimi capitoli della grande opera sul Vangelo). Ma vorrei lo fosse perché mi pare lo
meritasse. Era giusto.

Come lei vede, una visione proprio impensabile ad aversi, specie per quello che riguarda Gamaliele. Ma è così netta! Una delle più nette e insistenti. Potrei numerare persone, pietre e colpi, tanto sono esatti i particolari.
Per ora nessun commento da parte di Gesù.


Da ‘I QUADERNI’ ( 1944, 1945-50) di Maria Valtorta.


DOMINE JESU,
ACCIPE SPIRITUM MEUM,
ET NE STATUAS ILLIS HOC PECCATUM