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venerdì 30 ottobre 2015

Benedetto XVI ai vescovi tedeschi sul "pro multis": "SIAMO MOLTI E RAPPRESENTIAMO TUTTI..."


Don Manfred Hauke. Versato per molti. Studio per una fedele traduzione del pro multis nelle parole della consacrazione

Potete leggere di seguito la recensione di Cristina Siccardi ad un recente libro del Professor Don Manfred Hauke : Versato per molti. Studio per una fedele traduzione del pro multis nelle parole della consacrazione, edito da Cantagalli. Vedi qui la Presentazione del testo.
Sul pro multis avevamo ricordato la Lettera di Benedetto XVI ai vescovi tedeschi [qui].

Il 17 ottobre 2006 la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti inviò ai presidenti delle Conferenze Episcopali la lettera [qui] sulla traduzione corretta delle parole latine pro multis nelle orazioni eucaristiche. Questa direttiva, a nome di Benedetto XVI, provocò un vivace dibattito fra pastori e teologi. «Si riconobbe, in generale, la correttezza linguistica dell’ammonimento, ma varie voci mettevano in dubbio il messaggio teologico e la portata pastorale del richiamo. Fra queste voci qualcuno pensò addirittura che tale cambiamento avrebbe messo in serio dubbio il ruolo salvifico di Cristo, Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza» (p.5), così ha scritto nel 2008 il Cardinale Malcom Ranjith nella prefazione al libro, quando era ancora Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (oggi Arcivescovo di Colombo in Sri Lanka).

Don Hauke, professore di Patrologia e Dogmatica alla Facoltà Teologica di Lugano (Svizzera), ha raccolto in questo testo gli elementi fuoriusciti dalla discussione contemporanea. «L’opera presenta il fondamento biblico del tema, segue l’interpretazione delle parole sacre durante la storia, riporta gli appositi documenti del Magistero e dona una lettura sistematica della corretta traduzione, consapevole della teologia eucaristica» (p. 5), si legge ancora nella prefazione del Cardinale Ranjith.


Il breve saggio risulta di rilevante importanza poiché anche il non teologo può comprendere il perché sia necessario continuare, sulla linea della Tradizione della Chiesa, ad affermare che il divino Sangue di Cristo continua ad essere versato sugli altari del mondo non per tutti, ma per molti. Il “tutti” comporta quel modo di procedere del pensiero teologico ed ecclesiastico moderno, dove nessuno è escluso dal Paradiso, nonostante sia reo di colpa mortale e dove ogni membro di qualsiasi religione abbia un “lasciapassare” di misericordia divina e incondizionata a prescindere dalla Giustizia divina (contraddizione in termini). Con il pro multis il Cristianesimo non divenne una religione per tutti «bensì rimase staticamente una religione per molti e in realtà per sempre meno. Adesso la Chiesa cattolica trae le sue conclusioni e vuole cambiare i suoi Messali. […] La salvezza delle anime non ce la si può immaginare come un affare meccanicistico […]. Quello che Cristo ha guadagnato a tutti dev’essere tuttavia voluto singolarmente. In tal modo si ovvia all’immagine di essere, in confronto ad altre religioni, una religione inoffensiva e ancora capace di ammiccare all’ateismo. Il Cattolicesimo non è così innocuo come sembra, come esso spesso fa» (p. 98), fa da quando il Modernismo ha imbrigliato le attenzioni della corrente maggioritaria della Chiesa.

L’esatta traduzione delle Parole della Consacrazione evidenzia la serietà della vita cristiana, che non è una scelta di vita per amanti del folklore, del sincretismo o di coloro che costruiscono la religione sulle proprie fantasie o i propri desideri e/o istinti, ma una strada con precise regole, precisi percorsi spirituali e di ragione, precisi doveri privati e pubblici che, se non incarnati, non è possibile dichiararsi cattolici. «Per appartenere a coloro che Cristo ha eletto è necessaria una cura attiva per la salvezza personale. In un tempo, dove il concetto biblico dell’elezione è stato gettato in un limbo della dimenticanza, una tale sveglia è oltremodo adeguata» (pp. 98-99).

Tradurre pro multis con per tutti è un compromesso dannosissimo. L’addomesticamento al compromesso che la Chiesa, nella sulla linea di «aggiornamento» alla modernità, è andata sempre più auspicando e cercando da 50 anni a questa parte, l’ha allontanata sempre più dal suo spirito e dalla sua natura, dai suoi obiettivi e dalla sua missionarietà evangelica, togliendo quella sana fierezza di essere Chiesa autenticamente cattolica per diventare una sempre più inconsistente Chiesa del buonismo liquido, che ogni giorno di più viene inghiottita dal miasma del mondo.
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"Versato per molti". Studio per una fedele traduzione del pro multis nelle parole della consacrazione – di Don Manfred Hauke – ed. Cantagalli (pag. 112, € 13,80)
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Benedetto XVI ai vescovi tedeschi sul "pro multis":

"SIAMO MOLTI E RAPPRESENTIAMO TUTTI..."

Eccellenza!


Reverendo, caro arcivescovo!

In occasione della sua visita, il 15 marzo 2012, ella mi ha messo a conoscenza del fatto che, per quanto riguarda la traduzione delle parole "pro multis" nella preghiera del canone della santa messa, tra i vescovi dell'area di lingua tedesca tuttora non esiste consenso.


A quanto pare incombe il pericolo che, nella nuova edizione del "Gotteslob", la cui pubblicazione è attesa presto, alcune parti dell'area linguistica tedesca desiderino mantenere la traduzione "per tutti", sebbene la conferenza episcopale tedesca sia d'accordo nello scrivere "per molti", così come auspicato dalla Santa Sede.

Le ho promesso di pronunciarmi per iscritto in merito a tale importante questione, per prevenire una simile divisione nel luogo più intimo della nostra preghiera. Provvederò a fare inviare questa lettera, che attraverso di lei indirizzo a tutti i membri della conferenza episcopale tedesca, anche agli altri vescovi dell'area di lingua tedesca.

Permettetemi qualche breve parola su come è sorto il problema.

Negli anni Sessanta, quando il messale romano, sotto la responsabilità dei vescovi, dovette essere tradotto in lingua tedesca, esisteva un consenso esegetico sul fatto che il termine "i molti", "molti", in Isaia 53, 11 s., fosse una forma espressiva ebraica per indicare l'insieme, "tutti". La parola "molti" nei racconti dell'istituzione di Matteo e di Marco era pertanto considerata un semitismo e doveva essere tradotta con "tutti". Ciò venne esteso anche alla traduzione del testo latino, dove "pro multis", attraverso i racconti evangelici, rimandava a Isaia 53 e quindi doveva essere tradotto con "per tutti".

Tale consenso esegetico nel frattempo si è sgretolato; non esiste più. Nel racconto dell'ultima cena della traduzione unificata tedesca della Sacra Scrittura si legge: "Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza, versato per molti" (Mc 14, 24; cfr. Mt 26, 28). Ciò rende evidente una cosa molto importante: la traduzione di "pro multis" con "per tutti" non è stata una traduzione pura, bensì un'interpretazione, che era, e tuttora è, ben motivata, ma è una spiegazione e dunque qualcosa di più di una traduzione.

Questa fusione fra traduzione e interpretazione per certi versi fa parte dei principi che, subito dopo il Concilio, guidarono la traduzione dei testi liturgici nelle lingue moderne. Si era ben consapevoli di quanto la Bibbia e i testi liturgici fossero distanti dal mondo del linguaggio e del pensiero attuale della gente, per cui anche tradotti avrebbero continuato ad essere incomprensibili per quanti partecipavano alle funzioni. Un rischio nuovo era il fatto che, attraverso la traduzione, i testi sacri sarebbero stati aperti, lì, davanti a quanti partecipavano alla messa, e tuttavia sarebbero rimasti molto distanti dal loro mondo, ed anzi questa distanza sarebbe diventata più che mai visibile. Quindi non ci si sentì solo autorizzati, ma addirittura obbligati a immettere l'interpretazione nella traduzione, così da abbreviare il cammino verso le persone, i cui cuori e le cui menti dovevano essere raggiunti da quelle parole.

In una certa misura il principio di una traduzione contenutistica e non necessariamente letterale dei testi fondamentali continua ad essere giustificato. Poiché pronuncio spesso le preghiere liturgiche nelle varie lingue, noto che talvolta tra le diverse traduzioni quasi non si riscontrano somiglianze e che il testo comune sulle quali si basano spesso è solo lontanamente riconoscibile. Allo stesso tempo si sono verificate delle banalizzazioni che costituiscono vere perdite. Così, nel corso degli anni, io stesso ho compreso sempre più chiaramente che, come orientamento per la traduzione, il principio della corrispondenza non letterale, bensì strutturale, ha i suoi limiti.

Seguendo queste intuizioni, l'istruzione per i traduttori "Liturgiam authenticam", promulgata il 28 marzo 2001 dalla congregazione per il culto divino, ha messo nuovamente in primo piano il principio della corrispondenza letterale, senza naturalmente prescrivere un verbalismo unilaterale.

L'importante intuizione che sta alla base di questa istruzione è la distinzione, già citata all'inizio, fra traduzione e interpretazione. Essa è necessaria sia per le parole della Scrittura, sia per i testi liturgici. Da un lato, la sacra Parola deve emergere il più possibile per se stessa, anche con la sua estraneità e con le domande che reca in sé. Dall'altro, alla Chiesa è affidato il compito dell'interpretazione affinché – nei limiti della nostra rispettiva comprensione – ci giunga il messaggio che il Signore ci ha destinato.

Anche la traduzione più accurata non può sostituire l'interpretazione: fa parte della struttura della Rivelazione il fatto che la Parola di Dio venga letta nella comunità interpretante della Chiesa, che la fedeltà e l'attualizzazione si leghino tra loro. La Parola deve essere presente per se stessa, nella sua forma propria, a noi forse estranea; l'interpretazione deve essere misurata in base alla sua fedeltà alla Parola, ma al tempo stesso deve renderla accessibile a chi l'ascolta oggi.

In tale contesto, la Santa Sede ha deciso che nella nuova traduzione del messale l'espressione "pro multis" debba essere tradotta come tale, senza essere già interpretata. La traduzione interpretativa "per tutti" deve essere sostituita dalla semplice traduzione "per molti". Vorrei ricordare che sia in Matteo sia in Marco non c'è l'articolo, quindi non "per i molti", bensì "per molti".

Se dal punto di vista della correlazione fondamentale fra la traduzione e l'interpretazione questa scelta è, come spero, del tutto comprensibile, sono però consapevole che essa rappresenta una sfida immensa per tutti coloro ai quali è affidato il compito di spiegare la Parola di Dio nella Chiesa.

Per chi normalmente frequenta la messa, ciò appare quasi inevitabilmente come una frattura al centro stesso del rito sacro. Domanderà: ma Cristo non è morto per tutti? La Chiesa ha modificato la sua dottrina? Può farlo, le è permesso? È all'opera una reazione che vuole distruggere l'eredità del Concilio?

Grazie all'esperienza degli ultimi cinquant'anni, tutti noi sappiamo quanto profondamente la modifica delle forme e dei testi liturgici colpisca l'anima delle persone; e quindi quanto un cambiamento in un punto così centrale del testo debba inquietare le persone. Proprio per questo, quando davanti alla differenza fra traduzione e interpretazione si scelse la traduzione "molti", si stabilì anche che nelle diverse aree linguistiche la traduzione dovesse essere preceduta da una catechesi accurata, con la quale i vescovi dovevano spiegare concretamente ai loro sacerdoti, e tramite loro ai fedeli, di che cosa si trattava.

Questa catechesi previa è il presupposto essenziale per l'entrata in vigore della nuova traduzione. Per quanto mi risulta, nell'area di lingua tedesca una tale catechesi finora non c'è stata. La mia lettera intende essere una richiesta pressante a tutti voi, cari confratelli, a preparare ora una tale catechesi, per poi parlarne con i vostri sacerdoti e al contempo renderla accessibile ai fedeli.

In questa catechesi bisogna anzitutto chiarire brevemente perché nella traduzione del messale, dopo il concilio, la parola "molti" è stata resa con "tutti": per esprimere in modo inequivocabile, nel senso voluto da Gesù, l'universalità della salvezza che giunge da lui.

Allora, però, sorge subito la domanda: se Gesù è morto per tutti, perché nelle parole dell'ultima cena egli ha detto "per molti"? E perché allora insistiamo su queste parole di Gesù dell'istituzione?

Prima di tutto, a questo punto bisogna ancora precisare che secondo Matteo e Marco Gesù ha detto "per molti", mentre secondo Luca e Paolo ha detto "per voi". Ciò sembra stringere ancora di più il cerchio. Ma proprio a partire da qui ci si può avvicinare alla soluzione. I discepoli sanno che la missione di Gesù trascende loro e il loro gruppo; che egli è venuto per riunire insieme i figli di Dio di tutto il mondo che erano dispersi (Gv 11, 52). Le parole "per voi" rendono però la missione di Gesù molto concreta per i presenti. Essi non sono un qualche elemento anonimo di un insieme immenso, bensì ognuno di loro sa che il Signore è morto proprio per lui, per noi. "Per voi" si protende nel passato e nel futuro, si rivolge a me personalmente; noi, che siamo qui riuniti, siamo conosciuti e amati come tali da Gesù. Quindi questo "per voi" non è un restringimento, bensì una concretizzazione che vale per ogni comunità che celebra l'eucaristia, che la unisce in modo concreto all'amore di Gesù. Il canone romano ha unito tra loro le due espressioni bibliche nelle parole di consacrazione e quindi dice: "per voi e per molti". Questa formula, poi, con la riforma liturgica è stata adottata per tutte le preghiere eucaristiche.

Però di nuovo: perché "per molti"? Il Signore non è forse morto per tutti? Il fatto che Gesù Cristo, come Figlio di Dio fatto uomo, sia l'uomo per tutti gli uomini, il nuovo Adamo, è una delle certezze fondamentali della nostra fede. Vorrei a questo riguardo ricordare solo tre versi delle Scritture. Dio "ha dato per tutti noi" il proprio Figlio, dice Paolo nella lettera ai Romani (8, 32). "Uno è morto per tutti", afferma nella seconda lettera ai Corinzi a proposito della morte di Gesù (5, 14). Gesù "ha dato se stesso in riscatto per tutti", si legge nella prima lettera a Timoteo (2, 6).

Ma allora bisogna davvero domandare ancora una volta: se questo è tanto ovvio, perché la preghiera eucaristica dice "per molti"? Ora, la Chiesa ha tratto questa formulazione dai racconti dell'istituzione nel Nuovo Testamento. La usa per rispetto della parola di Dio, per essergli fedele fin nella parola. È il timore reverenziale dinanzi alla stessa parola di Gesù la ragione della formulazione della preghiera eucaristica. Allora, però, domandiamo: perché Gesù ha detto così? La ragione vera consiste nel fatto che Gesù in tal modo si è fatto riconoscere come il servo di Dio di Isaia 53, che egli si è rivelato come la figura annunciata dalla profezia. Il timore reverenziale della Chiesa davanti alla parola di Dio, la fedeltà di Gesù alle parole della "Scrittura": è questa doppia fedeltà il motivo concreto della formulazione "per molti". In questa catena di riverente fedeltà, noi ci inseriamo con la traduzione letterale delle parole della Scrittura.

Come prima abbiamo visto che il "per voi" della tradizione paolino-lucana non restringe ma rende concreto, così ora possiamo riconoscere che la dialettica tra "molti" e "tanti" ha una sua importanza. "Tutti" si muove sul piano ontologico: l'essere e l'agire di Gesù comprende l'intera umanità, il passato, il presente e il futuro. Ma di fatto, storicamente, nella comunità concreta di coloro che celebrano l'eucaristia egli giunge solo a "molti". Si può quindi riconoscere un triplice significato dell'attribuzione di "molti" e "tutti".

Anzitutto, per noi, che possiamo sedere alla sua mensa, deve significare sorpresa, gioia e gratitudine per essere stati chiamati, per poter stare con lui e per poterlo conoscere. "Siano rese grazie al Signore che, per la sua grazia, mi ha chiamato nella sua Chiesa...".

Poi, però, in secondo luogo ciò è anche una responsabilità. La forma in cui il Signore raggiunge gli altri – "tutti" – a modo suo, in fondo rimane un suo mistero. Tuttavia, è indubbiamente una responsabilità essere chiamati direttamente da lui alla sua mensa per poter sentire: per voi, per me egli ha sofferto. I molti hanno la responsabilità per tutti. La comunità dei molti deve essere luce sul candelabro, città sopra il monte, lievito per tutti. È questa una vocazione che riguarda ognuno in modo del tutto personale. I molti, che noi siamo, devono avere la responsabilità per l'insieme, nella consapevolezza della loro missione.

Infine può aggiungersi un terzo aspetto. Nella società attuale abbiamo la sensazione di non essere affatto "molti", bensì molto pochi, una piccola massa che continua a diminuire. E invece no, siamo "molti": "Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua" (Ap 7, 9). Siamo molti e rappresentiamo tutti. Quindi le parole "molti" e "tutti" vanno insieme e fanno riferimento l'una all'altra nella responsabilità e nella promessa.

Eccellenza, caro confratello nell'episcopato! Con tutto questo ho voluto accennare le linee fondamentali della catechesi, con la quale sacerdoti e laici dovranno essere preparati al più presto alla nuova traduzione. Auspico che tutto ciò possa servire anche a una partecipazione più intensa alla celebrazione della sacra eucaristia, inserendosi in tal modo nel grande impegno che dovremo affrontare con l'"Anno della Fede". Posso sperare che la catechesi venga presto preparata e in tal modo diventi parte del rinnovamento liturgico, per il quale il Concilio ha lavorato sin dalla sua prima sessione.

Con i saluti pasquali di benedizione, suo nel Signore.

Benedictus PP XVI
14 aprile 2012
(Traduzione dall'originale tedesco di Simona Storioni)



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Il card. Arinze ai presidenti delle Conferenze episcopali: La traduzione "per tutti" va cambiata in "per molti"

Lettera della Congregazione per il Culto Divino sulla traduzione di "pro multis" nella Consacrazione del Calice

Congregatio de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum

Prot. N. 467/05/L
Roma, 17 Ottobre 2006

Eminenza / Eccellenza,
Nel mese di luglio del 2005 questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, d'accordo con la Congregazione per la Dottrina della Fede, ha scritto a tutti i presidenti delle conferenze episcopali per chiedere il loro parere autorizzato sulla traduzione nelle diverse lingue nazionali dell'espressione pro multis nella formula della consacrazione del prezioso Sangue durante la celebrazione della santa Messa (rif. Prot. N. 467/05/L del 9 luglio 2005).

Le risposte ricevute dalle conferenze episcopali sono state studiate dalle due Congregazioni e un rapporto è stato inviato al Santo Padre. Secondo le sue direttive, questa Congregazione scrive ora a Vostra Eminenza / Vostra Eccellenza nei termini seguenti:

  1. Un testo corrispondente alle parole pro multis, tramandato dalla Chiesa, costituisce la formula che è stata in uso nel rito romano in latino fin dai primi secoli. Negli ultimi trent'anni, più o meno, alcuni testi approvati in lingua moderna hanno riportato la traduzione interpretativa "for all", "per tutti", o equivalente.
  2. Non vi è alcun dubbio sulla validità delle messe celebrate con l'uso di una formula debitamente approvata contenente una formula equivalente a "per tutti", come già ha dichiarato la Congregazione per la Dottrina della Fede (cfr. Sacra Congregatio pro Doctrina Fidei, Declaratio de sensu tribuendo adprobationi versionum formularum sacramentalium, 25 Ianuarii 1974, AAS 66 [1974], 661). Effettivamente, la formula "per tutti" corrisponderebbe indubbiamente a un'interpretazione corretta dell'intenzione del Signore espressa nel testo. È un dogma di fede che Cristo è morto sulla Croce per tutti gli uomini e le donne (cfr. Gv 11,52; 2Cor 5,14-15; Tit 2,11; 1Gv 2,2).
  3. Ci sono, tuttavia, molti argomenti a favore di una traduzione più precisa della formula tradizionale pro multis:
  1. I Vangeli Sinottici (Mt 26,28; Mc 14,24) fanno specifico riferimento ai "molti" (polloi) per i quali il Signore offre il sacrificio, e questa espressione è stata messa in risalto da alcuni esegeti in relazione alle parole del profeta Isaia (53,11-12). Sarebbe stato del tutto possibile nei testi evangelici dire "per tutti" (per esempio, cfr. Lc 12,41); invece, la formula data nel racconto dell'istituzione è "per molti", e queste parole sono state tradotte fedelmente così nella maggior parte delle versioni bibliche moderne.
  2. Il rito romano in latino ha sempre detto pro multis e mai pro omnibus nella consacrazione del calice.
  3. Le anafore dei vari riti orientali, in greco, in siriaco, in armeno, nelle lingue slave, ecc., contengono l'equivalente verbale del latino pro multis nelle loro rispettive lingue.
  4. "Per molti" è una traduzione fedele di pro multis, mentre "per tutti" è piuttosto una spiegazione del tipo che appartiene propriamente alla catechesi.
  5. L'espressione "per molti", pur restando aperta all'inclusione di ogni persona umana, riflette inoltre il fatto che questa salvezza non è determinata in modo meccanico, senza la volontà o la partecipazione dell’uomo. Il credente, invece, è invitato ad accettare nella fede il dono che gli è offerto e a ricevere la vita soprannaturale data a coloro che partecipano a questo mistero, vivendolo nella propria vita in modo da essere annoverato fra "i molti" cui il testo fa riferimento.
  6. In conformità con l’istruzione Liturgiam authenticam, dovrebbe essere fatto uno sforzo per essere più fedeli ai testi latini delle edizioni tipiche.
Le Conferenze episcopali di quei paesi in cui la formula "per tutti" o il relativo equivalente è attualmente in uso sono quindi invitate a intraprendere la catechesi necessaria ai fedeli su questa materia nei prossimi uno o due anni per prepararli all'introduzione di una traduzione precisa in lingua nazionale della formula pro multis (per esempio, "for many", "per molti", ecc.) nella prossima traduzione del Messale Romano che i vescovi e la Santa Sede approveranno per l’uso in quei paesi.

Con l'espressione della mia alta stima e rispetto, rimango della Vostra Eminenza / Vostra Eccellenza
devotissimo in Cristo

+ Card. Francis Arinze, Prefetto

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Nota di monsignor Juan Andrés Caniato

“IL TRADUTTORE ITALIANO HA SCIAGURATAMENTE PENSATO…” I problemi di traduzione non sono poca cosa e stanno emergendo ogni giorno di più nella loro drammatica problematicità.

Per rimanere nel rito della messa, basterebbe pensare al “Padre nostro”: è un testo biblico o liturgico? Se è testo liturgico, va tradotto dal latino liturgico e non dal greco, con criteri liturgici e non biblici. “Et ne nos inducas in tentationem, sed libera nos a malo”.

(Nel novembre del 2011 i vescovi italiani votarono per cambiare il “non ci indurre in tentazione” in “non abbandonarci alla tentazione”, con 111 voti contro 68 dati a “non abbandonarci nella tentazione” – ndr). Oppure al “Gloria”: cosa significa “bonae voluntatis”? Così come è tradotto adesso parrebbe la “buona volontà” degli uomini, quando invece si tratta della buona disposizione di Dio verso gli uomini, con tutto quello che consegue.

(Ancora nel novembre del 2011 i vescovi italiani votarono per cambiare il “pace in terra agli uomini di buona volontà” con “pace in terra agli uomini che egli ama”, con 151 voti contro 36 andati alla versione in uso – ndr).

Ma tornando alle parole della consacrazione nella grande preghiera eucaristica non si percepisce la gravità teologica della traduzione italiana, che ha reso con due participi passati ciò che nel testo latino è addirittura al futuro:
– corpo “offerto in sacrificio” al posto di “tradetur”, “che sarà consegnato”;
– e sangue “versato” al posto di ” effundetur”, “che sarà versato”.

Ne va della comprensione stessa della messa e del suo rapporto con l’ultima cena e con la passione, morte e risurrezione di Cristo. 
Il traduttore italiano ha sciaguratamente pensato che il fedele italiano, se avesse ascoltato quei due verbi al futuro avrebbe potuto immaginare che il Signore non avesse ancora donato la sua vita per noi…
In realtà è proprio quel futuro che ci aiuta a comprendere il rapporto tra eucaristia e Pasqua: gli apostoli, nell’ultima cena parteciparono realmente alla Pasqua di Gesù, prima che avvenisse storicamente, esattamente come noi oggi vi partecipiamo dopo che è avvenuta.
L’eucaristia non è memoriale dell’ultima cena, con enfatizzazione del “banchetto”, ma della passione, morte e risurrezione del Signore, attraverso il rito compiuto da Gesù nell’ultima cena. L’eucaristia spezza la barriera del tempo cronologico, e ci rende partecipi “qui e ora” del mistero pasquale.
Se un fedele italiano avesse avuto dei dubbi su quel futuro, sarebbe stata una occasione preziosissima di catechesi semplice e persuasiva sul significato del sacramento.

AMDG et BVM