B.Elisabetta della Trinità
Beata Elisabetta della Trinità Catez - Carmelitana (9 novembre)
Bourges, Francia, 18 luglio 1880 - Digione, 9 novembre 1906
Elisabeth Catez nacque il 18 luglio 1880 nel Campo d'Avor presso Bourges (Francia), e fu battezzata quattro giorni dopo. Nel 1887 la famiglia si trasferì a Digione. Quello stesso anno muore il papà.
Il 19 aprile 1890 riceve la Prima Comunione, l'anno dopo il sacramento della Confermazione. Nel 1894 emise il voto di verginità. Sentendosi chiamata alla vita religiosa chiese alla madre il permesso di poter entrare al Carmelo, ma questa le oppose un netto rifiuto, finché, non fu costretta a cedere ma a condizione che vi entrasse al compimento della maggiore età.
Il 2 agosto 1901 entrava nel Carmelo di Digione dove l'8 dicembre 1901 vestì l'abito religioso. L'11 gennaio 1903 emise la Professione religiosa.
Il 21 gennaio dello stesso anno compì la cerimonia della velazione monastica. I cinque anni della sua vita religiosa furono una continua ascesa verso Dio ed il Signore purificò la sua anima con sofferenze spirituali, e con sofferenze corporali attraverso il terribile morbo di Addison che la portò alla morte il 19 novembre 1906.
Martirologio Romano: A Digione in Francia, Beata Elisabetta della Santissima Trinità Catez, vergine dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, che sin dalla fanciullezza cercò e contemplò nel profondo del cuore il mistero della Trinità e, ancora giovane, tra molte tribolazioni, giunse, come aveva desiderato, all’amore, alla luce, alla vita.
La bibliografia che parla di questa beata è immensa, segno di una incredibile spiritualità tutta da scoprire, meditare, analizzare; maturata nel chiuso di un Carmelo, contemporanea di quell’altra grande colonna dell’ascesi carmelitana, che fu santa Teresa del Bambino Gesù di Lisieux (1873-1897).
Elisabetta Catez nacque nel campo militare di Avor presso Bourges (Francia) il 18 luglio 1880, poi trasferita con la famiglia prima ad Auxonne e poi a Digione, dove nell’ottobre 1887 rimase orfana di padre.
Dotata di un carattere piuttosto duro, volitiva, impetuosa, ardente, estroversa, dovette lavorare a lungo e un poco alla volta per dominarsi o come diceva lei, di “vincersi per amore”, attirata da Cristo, particolarmente a cominciare dalla Prima Comunione, ricevuta il 19 aprile 1891 e con la cresima il 18 giugno successivo.
Senza frequentare mai scuole vere e proprie, ebbe i primi rudimenti del sapere, dello scrivere e delle scienze da due istitutrici, con una infarinatura di letteratura. Però fin da piccola frequentò il conservatorio di Digione, dove trovò nella musica una forma di donazione e di preghiera, ottenne i primi premi di esecuzione al pianoforte.
In piena adolescenza, cominciò a sentirsi attratta da Cristo e – racconta lei stessa – “senza attendere mi legai a Lui con il voto di verginità; non ci dicemmo nulla, ma ci donammo l’uno all’altra in un amore tanto forte, che la risoluzione d’essere tutta sua divenne per me ancor più definitiva”.
Sentì risuonare nel suo spirito la parola “Carmelo” per cui non ebbe altro pensiero che ritirarsi in tale sacra struttura. Ma trovò una forte opposizione nella madre, la quale rimasta vedova così giovane, aveva riposto nella figlia e nelle sue possibilità musicali, di avere un aiuto nella vita, pertanto si dimostrò contraria alla vocazione di Elisabetta, proibendole di frequentare il Carmelo di Digione, anzi proponendogli il matrimonio con un buon giovane.
Ma la giovane era ormai innamorata di Cristo e non c’era spazio per altri amori, ad ogni modo ubbidì alla madre per quanto riguardava i contatti con il monastero carmelitano, pur ribadendo la sua immutata volontà.
Solo quando raggiunse i 19 anni la signora Catez cedette, ma ponendo la condizione che avrebbe potuto entrare nel Carmelo solo nel 1901, quando avrebbe compiuto i 21 anni; nel frattempo la conduceva a varie feste danzantidella buona società, con la speranza che Elisabetta avrebbe cambiato idea.
Ma lei anche in mezzo al mondo, ascoltava il suo Gesù nel silenzio di un cuore che non voleva che essere che suo. Prima di uscire per queste feste, s’inginocchiava in casa, pregava, si offriva alla Madonna, poi con naturalezza e con un sorriso, viveva queste occasioni di festa gioiosa, tutta presa dal pensiero della Comunione che avrebbe ricevuta il mattino successivo e si rendeva estranea e insensibile a tutto quello che accadeva intorno a lei.
Si preparò così alla vita monastica, insegnando il catechismo ai piccoli della parrocchia, soccorrendo i poveri più abbandonati, in comunione stretta con la Trinità e con la Madonna. Il 2 agosto 1901 entrò nel Carmelo di Digione e l’8 dicembre ne vestì l’abito, dopo un fervoroso anno di noviziato, l’11 gennaio 1903 pronunciò i voti, prendendo il nome di Elisabetta della Trinità.
Ma la gioia di aver raggiunto la meta desiderata, dopo un inizio pieno di speranze e promesse, fu bloccata ben presto, perché il 1° luglio 1903, si manifestò nella giovane professa uno strano male, non diagnosticato correttamente e curato con terapie sbagliate, solo più tardi si diagnosticò per il terribile morbo di Addison (malattia caratterizzata da una profonda astenia, con ipotensione, dolori lombari, turbe gastriche, una colorazione bronzina della pelle, dovuta per lo più alla tubercolosi delle capsule surrenali).
Nessuno del monastero, ne i medici avvertirono subito la gravità del male, non conoscendone allora sintomi e terapia; il morbo ebbe una sua classificazione nel 1855 dal medico inglese Thomas Addison (1793-1860) da cui prese il nome.
Suor Elisabetta della Trinità accettava tutto con il sorriso e l’abbandono alla volontà di Dio, manifestando la sua “gioia di configurarsi al Crocifisso per amore” e diventando veramente “lode di gloria della Trinità”. Da un suo scritto datato, venerdì 24 febbraio 1899, rileviamo la conoscenza che lei aveva del suo male oscuro e la trasformazione della sofferenza in sublimazione: “Poiché mi è quasi impossibile impormi altre sofferenze, devo pure persuadermi che la sofferenza fisica e corporale non è che un mezzo, prezioso del resto, per arrivare alla mortificazione interiore e al pieno distacco da sé stessi. Aiutami Gesù, mia vita, mio amore, mio Sposo”.
Il 21 novembre del 1904 si era offerta “come preda” alla Trinità con la celebre invocazione: “O mio Dio, Trinità che adoro”, uscita di getto dalla sua anima. Gli anni dal 1900 al 1905 trascorsero tra alti e bassi della malattia, ma nel 1906 la situazione precipitò; le crisi si susseguivano opprimendola e soffocandola, mentre le viscere davano la sensazione di essere dilaniate da bestie feroci; non riusciva ad assumere né cibo né bevande, ciò nonostante non smise mai di sorridere.
In quell’estate del 1906 obbedendo alla priora, scrisse le sue meditazioni, frutto di quei mesi terribili, nell’”Ultimo ritiro di Laudem gloriae” e nel “Come trovare il cielo sulla terra”. La progressione del male ormai la consumava e scrivendo alla madre, diceva: “il mio Sposo vuole che io gli sia una umanità aggiunta nella quale Egli possa soffrire ancora per la gloria del Padre e per aiutare la Chiesa… Egli ha scelto la tua figlia per associarla alla grande opera della Redenzione”.
Parlava comunque e stranamente di gioia; eppure al martirio del corpo si era aggiunto quello dello spirito, con un senso di vuoto e di abbandono da parte di Dio, che tutti i mistici hanno conosciuto, ebbe persino tentazioni di suicidio, superate nella fede dell’amore per Cristo.
Il morbo ebbe un decorso piuttosto lungo e doloroso, verso l’autunno sembrò avviarsi verso la fine; giunto il 1° novembre parve giunta l’ultima ora estrema e in quel giorno disse le sue ultime considerazioni: “Tutto passa! Alla sera della vita resta solo l’amore. Bisogna fare tutto per amore…”, poi per nove giorni si prostrò in uno stato precomatoso; in un ritornare momentaneo della coscienza, fu udita mormorare: “Vado alla luce, all’amore, alla vita”.
Morì il mattino del 9 novembre 1906, a soli 26 anni. Come s. Teresa del Bambino Gesù anche Elisabetta della Trinità fu una grande mistica, che seppe penetrare l’essenza dell’Amore “troppo grande” di Dio, in intima comunione con i suoi “TRE” come Elisabetta si esprimeva familiarmente parlando della SS. Trinità, perno della sua vita di oblata claustrale carmelitana.
Pur essendo vissuta nel monastero poco più di cinque anni e di cui tre in una condizione di ammalata grave e irreversibile, quindi con pochi contatti con l’esterno, essa dopo morta godé subito di una fama di santità, che fece pensare ben presto alla sua glorificazione.
Per diversi motivi il primo processo informativo si ebbe negli anni 1931-41 a Digione e il 25 ottobre 1961 venne introdotta la causa. Il 12 luglio 1982 furono riconosciute le sue virtù vissute in modo eroico, dandole il titolo di venerabile; infine papa Giovanni Paolo II l’ha beatificata il 25 novembre 1984. Il "Martirologio Romano" riporta la sua celebrazione al 9 novembre. Viene invece onorata come memoria dall'ordine carmelitano scalzo nel giorno 8 novembre. (Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)