La conversione di Alphonse Ratisbonne
L’istantanea conversione dell’ateo
Alphonse Marie Ratisbonne
http://www.veritatemincaritate.com/wp/wp-content/uploads/2015/11/Conversione-Ratisbonne.pdf
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https://sites.google.com/site/roventlistprofex2/9788889757215-27provamGEprobuan71
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http://www.santipietroepaolo.net/Alfonso_M._Ratisbonne_l__ebreo_convertito_da_Maria_.pdf
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https://www.notedipastoralegiovanile.it/images/Newsletter2019/ratisbonne.pdf
La storia della Chiesa è piena di conversioni, ma alcune sono più imprevedibili di altre.
Così si può dire della conversione dell’avvocato Alphonse Marie Ratisbonne, di famiglia
ebrea, ateo, scettico, cinico e fortemente anticlericale, trascorse la vita nell’ozio e nei
piaceri ma in pochissimi istanti e attraverso esperienze apparentemente casuali
abbandonò tutta la sua vita passata per dedicarsi a ciò che per tutta la vita aveva odiato:
Dio e la Chiesa.
Partiamo dall’inizio di questa imprevedibile storia: siamo nel 1839, Alphonse ha 27 anni, è
laureato in giurisprudenza e già avviato alla carriera di banchiere. E’ fidanzato con Flore,
sua cugina, e i due vorrebbero sposarsi rapidamente. La fidanzata però, è ancora in età
minore, e gli anziani di famiglia, per guadagnar tempo, decidono di far allontanare
Alphonse da Strasburgo con un lungo viaggio turistico, ovunque gli sia gradito. Egli
decide per l'Oriente, attraverso la Costa Azzurra, l'Italia, Malta e l'Egeo. Costantinopoli
sarà la meta conclusiva.
In questi momenti gli torna alla mente suo fratello, Theodore. Non lo sente da molti anni,
infatti Theodore si è fatto sacerdote cattolico! Che ironia! Alphonse non poteva
sopportare la scelta del fratello, perciò aveva troncato i rapporti con lui. Ma a sua
insaputa, il fratello sacerdote lo affidava tutti i giorni all’Immacolata Concezione, affinché
potesse cambiar vita (e pensare che il dogma dell’Immacolata verrà proclamato solo anni
dopo!).
Come tappa del suo lungo viaggio Alphonse giunse il 5 gennaio a Roma, dove constatò
con dolore le condizioni degli ebrei nel ghetto. Nella Città Eterna incontrò fortuitamente
un suo vecchio compagno di scuola di Strasburgo, Gustavo de Bussières, protestante
pietista. Con gioia rinnovarono la loro amicizia e proseguirono insieme la visita alla città.
Gustavo propose a Ratisbonne anche una visita al fratello, barone Teodoro.
Alphonse non voleva accettare quest'ultimo invito, anzitutto perché il barone si era
convertito al cattolicesimo ed era un neofito oltremodo fervente e poi perché si era fatto
amico di suo fratello sacerdote. Tuttavia non poté esimersi, pur adducendo impegni da
assolvere e protestando che doveva ritornare a Napoli, come aveva promesso agli amici,
per ripartire il giorno 20 gennaio per Malta.
Alla fine decise di recarsi alla casa del barone il 15 gennaio, semplicemente per
presentare un biglietto di scuse e andarsene via ma aprì la porta un domestico, che, non
comprendendo una parola di francese, lo annunciò e lo introdusse subito nel salotto.
Alphonse fu accolto con gentilezza e con gioia dalla famiglia de Bussières. Era presente
anche un altro ospite, il Conte De Caroli.
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Dopo i primi convenevoli, la conversazione fu portata sul piano religioso. Alphonse fu
letteralmente assalito, ma si difese, contrattaccando e formulando giudizi sarcastici contro
il Cattolicesimo ed il governo papale, che lasciava gli ebrei di Roma nella miseria e nel
degrado. Poi vomitò veleno e bestemmie contro la Religione Cattolica, come fosse la
superstizione più grande e deleteria, non badando che erano presenti anche le bambine
del barone. Protestò di essere nato ebreo e di voler morire ebreo, e terminò esclamando
seccamente che era tempo perso volerlo convertire, perché sarebbero stati necessari due
miracoli: uno per persuaderlo del suo errore e un altro per muoverlo.
A questo punto, con un'invadenza oggi difficilmente comprensibile, Teodoro de Bussières
intervenne, cercando di smorzare il tono della conversazione e facendo una proposta:
- Giacché lei detesta la superstizione - disse il barone -, e professa dottrine tanto liberali,
e poiché è uno spirito forte e cosi illuminato, avrebbe il coraggio di sottoporsi ad una
prova molto innocente?
- Quale prova?
- Sarebbe di portare su di sè un oggetto che ora le darò. Eccolo; è una medaglia della
Santa Vergine. Le par cosa proprio ridicola, non è vero? Ma in quanto a me, io dò molto
valore a questa medaglia.
“La proposta” - afferma il Ratisbonne nel suo racconto -, “mi stupì per la sua puerile
singolarità. Non mi aspettavo di cadere in una simile facezia. Il mio primo impulso fu di
ridere stringendomi nelle spalle, ma poi mi venne in mente che quella scena poteva
divenire un delizioso capitolo delle mie impressioni di viaggio e consentii a prendere la
medaglia, come una prova autentica che avrei offerto alla mia fidanzata.
Detto fatto: mi si mette la medaglia al collo non senza sforzo, perché il cordone era
troppo corto e la testa non vi passava. Infine, tira tira, avevo la medaglia sul petto ed
esclamai con uno scoppio di risa: - Ah! eccomi cattolico, apostolico, romano!".
Non era ancor tutto finito. Il de Bussières, si direbbe "santamente importuno", volle
anche che l'amico accettasse, prima di andarsene, copia della preghiera di S. Bernardo
alla Vergine, il Memorare, in versione francese.
Secondo la "Relazione autentica" del barone, il Ratisbonne uscendo mormorò tra se:
“Ecco un individuo originale e molto indiscreto! Vorrei vedere che cosa direbbe, se io lo
tormentassi per fargli recitare una preghiera ebraica!”.
Tuttavia, giunto in albergo, Alphonse lesse più volte la preghiera, non trovandovi nulla di
straordinario, e la imparò quasi a memoria.
Lo stesso Ratisbonne nella deposizione del 18 febbraio 1842, affermò: “Fino a 23 anni
sono vissuto senza alcuna religione, perfino senza credere in Dio... Ho sempre riso delle
apparizioni e ho sempre rifiutato di credere ai miracoli”. Era quindi ben lontano dal
pensare che proprio lui avrebbe dovuto farne esperienza, nei pochi giorni che aveva
deciso di passare ancora a Roma.
Il 20 gennaio andò ad accomiatarsi dal barone Teodoro de Bussieres. Lo trovò per strada
in carrozza. Il barone lo fece salire e lo pregò di accompagnarlo un momento alla vicina
chiesa di Sant'Andrea delle Fratte, per predisporre i funerali di un amico, il Conte
Augusto La Ferronay, deceduto improvvisamente il giorno 17.
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Erano ormai le 12,45, quando il superiore, P Giuseppe Mantineo, fu avvertito dal
sacrestano che il de Bussières voleva parlargli. L'assenza di Teodoro non durò più di 10-12
minuti ed il Ratisbonne ingannò l'attesa gironzolando per la chiesa ed osservando
distrattamente marmi e dipinti.
L'attuale cappella dell'Apparizione era allora dedicata a S. Michele Arcangelo e all'Angelo
Custode, ma vi era anche un piccolo quadro che rappresentava l'Arcangelo Raffaele,
guida del giovane Tobia. Tobia era uno dei nomi di Alfonso.
Terminata la sua commissione, Teodoro ritornò in chiesa, ma non vide l'amico. Solo in un
secondo momento lo trovò inginocchiato nella cappella di S. Michele come in estasi.
“Dovetti toccarlo tre o quattro volte - affermerà nella lettera a Teodoro Ratisbonne, il
fratello sacerdote di Alfonso, scritta due giorni dopo, il 22 gennaio 1842 -, e poi
finalmente volse verso di me la faccia bagnata di lacrime, con le mani giunte e con un
espressione impossibile a rendersi... Poi estrasse dal petto la medaglia miracolosa, la
coprì di baci e di lacrime, e proferì queste parole: - Ah, come sono felice, quanto è buono
Dio, che pienezza di grazia e di felicità, come sono infelici coloro che non sanno niente!”
Da parte sua Alfonso scrive nella sua lettera autobiografica quanto segue: “Ogni
descrizione, sia pur sublime, non sarebbe che una profanazione dell'ineffabile verità. Ero
là, prosteso, irrorato dalle mie lacrime, ed il cuore mi batteva forte quando il Signor de
Bussières mi richiamò alla vita. Non potevo rispondere alle sue domande incalzanti. Alla
fine afferrai la medaglia che mi pendeva dal collo e baciai con effusione l'immagine della
Vergine raggiante di grazie... Oh! era Lei, sì era Lei!”
Calmata alquanto la prima emozione, Alfonso chiede all'amico di condurlo subito da un
confessore, che lo prepari a ricevere il Battesimo, protestando che avrebbe parlato
soltanto dopo che il sacerdote gliene avesse dato il permesso.
Viene accompagnato prima in albergo e poi al “Gesù”, dal P Filippo Villefort, il quale gli
ordina di raccontare quanto aveva visto e sperimentato.
"Maria non ha parlato, ma io ho compreso tutto!"
Alfonso Ratisbonne stringe in mano la medaglia miracolosa e, quando la commozione gli
spezza la parola, la bacia ed esclama: “L’ho vista, l’ho vista, l’ho vista!”
Dominandosi a stento, riesce a fare il seguente racconto, secondo la "Relazione
autentica" di Teodoro de Bussières:
"Stavo da poco in chiesa, quando all'improvviso l'intero edificio è scomparso dai miei
occhi e non ho visto che una sola cappella sfolgorante di luce. In quello splendore è
apparsa in piedi, sull’ailtare, grande, fulgida, piena di maestà e di dolcezza, la Vergine
Maria, così come è nella Medaglia Miracolosa. Una forza irresistibile mi ha spinto verso di
Lei. La Vergine mi ha fatto segno con la mano di inginocchiarmi e sembrava volesse dirmi:
- Così va bene!-. Lei non ha parlato, ma io ho compreso tutto!".
Il barone prosegue il suo scritto dicendo: “Per condurre a termine questo breve racconto,
Ratisbonne aveva dovuto interrompersi di frequente per riprendere fiato, per
padroneggiare la commozione che l'opprimeva. Noi lo ascoltavamo con un santo
spavento misto di gioia... ".
“Nello spazio di tre minuti - commenta sempre Teodoro de Bussières - Alfonso aveva
fatto un'esperienza in cui gli era stato dato tutto. Egli accettò di essere afferrato da Dio,
con un cambiamento radicale, totale e definitivo di tutto il suo essere”. Per tutta la vita
Alfonso Ratisbonne vivrà di questa illuminazione di un istante, pur “conservando - dice un
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suo biografo - le debolezze, la vivacità e le asprezze di un carattere appassionato,
impetuoso, indipendente e perfino originale”.
Alfonso stesso, nella deposizione del Processo canonico del 1819 febbraio 1842, proverà
a spiegare ciò che, in quel momento di illuminazione della grazia, aveva istantaneamente
capito: “Alla presenza della SS. Vergine, quantunque non mi dicesse una parola, compresi
l’orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della Religione
Cattolica: in una parola capii tutto!”
La notizia della conversione miracolosa dell'ebreo Alfonso Ratisbonne si diffuse subito,
non solo a Roma, ma in tutta Europa. Già la sera del 23 gennaio 1842, domenica, dal
pulpito di Nostra Signora delle Vittorie a Parigi, il fratello, Don Teodoro, narrò
l'apparizione dell'Immacolata a Roma e la conversione dell'ebreo.
Il P Villefort che si prese l'incarico di prepararlo al Battesimo constatò una nuova
meraviglia, che tutti attribuirono alla SS. Vergine. Alfonso apparve inaspettatamente già
ben preparato nella dottrina cattolica. "Si trovò in lui - attestò il P Roothaan -, dopo la sua
conversione, il senso della fede in maniera concreta ed efficace, facendogli comprendere,
penetrare e ritenere con facilità quanto gli veniva proposto, al punto che in pochissimi
giorni fu istruito in modo più che sufficiente”. In particolare si manifestò in Alfonso, una
fede vivissima nella presenza reale di Gesù nell'Eucaristia.
Il 29 gennaio pertanto, egli subì l'esame dal Card. Mezzofanti, a cui era commessa la cura
del Catecumenato, e fu ammesso a ricevere in forma solenne il Battesimo, nella chiesa
del Gesù, il mattino del 31 gennaio.
La chiesa era gremita di gente, tra cui spiccava il fior fiore della nobiltà romana. Il nome di
Battesimo prescelto dall'interessato fu quello di "Maria" e il suo padrino fu il barone
Teodoro de Bussiéres.
Alfonso fu battezzato dal Card. Costantino Patrizi, Vicario Generale di Sua Santità, che gli
amministrò anche il sacramento della Cresima.
Subito dopo, Mons. Felice Dupanloup, oratore di fama e futuro vescovo di Orléans,
intrattenne l'uditorio con una commovente omelia in lingua francese.
Si passò quindi alla celebrazione della S. Messa, durante la quale il Ratisbonne poté
ricevere per la prima volta Gesù Eucaristia.
Il nuovo cristiano si fermò ancora presso i Padri Gesuiti per sei settimane e fu ricevuto in
udienza particolare dal Santo Padre, Gregorio XVI. Secondo una testimonianza della
biografia di Santa Caterina Labouré, il Papa fece vedere al Ratisbonne in quella occasione, la Medaglia Miracolosa, che egli aveva ricevuto in dono e che teneva in capo al
suo letto.
Nel frattempo il Vicariato di Roma istruì un regolare processo canonico sull'apparizione
dell'Immacolata e sulla conversione subitanea dell'ebreo. Le 17 sessioni si svolsero dal 17
febbraio 1842 al 1° aprile. Furono chiamati a deporre nove testimoni, primo dei quali il
veggente.
Dalla severa inchiesta risultò che non vi era stata traccia di allucinazione o di
autosuggestione fanatica. La cappella di S. Michele non aveva alcuna statua o quadro
della SS. Vergine, che avesse potuto colpire la fantasia del veggente.
Il Ratisbonne, secondo la testimonianza del P Villefort, ripeteva, più meravigliato degli
altri: “Quale grazia! Proprio a me che, un ora prima, bestemmiavo ancora!”
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Il 3 giugno 1842, con un decreto apposito il Card. Costantino Patrizi, Vicario dell'Urbe,
“udita la relazione, visto il processo, visti gli esami dei testi e i documenti, dopo matura
considerazione, richiesto il parere anche dei teologi e di altri uomini di pietà, secondo la
formula del Concilio Tridentino... pronunciò e dichiarò definitivamente che constava
pienamente la verità dell'insigne miracolo operato da Dio Ottimo Massimo, per
intercessione della Beata Maria Vergine, cioé la istantanea e perfetta conversione di
Alfonso Maria Ratisbonne dall’ebraismo.”
Alfonso era stato prevenuto delle sofferenze che avrebbe incontrato, anche con un segno
profetico, che manifestò in un secondo tempo al P Villefort. Nella notte dal 19 al 20
gennaio infatti, aveva sognato una croce scura, priva della figura del Cristo, che lo seguiva ovunque, e questa visione l'aveva accompagnato per gran parte della notte e del
giorno seguente, benché si sforzasse di cacciarne il ricordo.
Quando esaminò più attentamente la parte posteriore della Medaglia Miracolosa, scoprì
con gioia la croce che campeggia nel centro, ma capì anche che significava sofferenza e
sacrificio. "Questa croce che avete visto - gli aveva detto il P Roothaan, Superiore
Generale dei Padri Gesuiti, mostrandogli il Crocifisso del suo scrittoio -, quando sarete
battezzato, bisognerà non solo adorarla, ma anche portarla!”
La prima dura prova fu il martirio del cuore, degli affetti più cari. Egli cercò di spiegare a
Flora, la fidanzata, che cosa gli era accaduto, ma inutilmente. La ragazza gli rinfacciò di
aver trovato a Roma "un'altra donna"!. Lo zio gli negò la mano di sua figlia, temendo a
buon diritto un matrimonio cattolico, e gli altri parenti non ebbero che parole di
maledizione. “Dalla mia famiglia - confessò nella sessione del 1 ° marzo del Processo
canonico -, ho ricevuto soltanto lettere sprezzanti, nelle quali ero denominato assassino
della mia fidanzata, di suo padre, di mio zio e di tutte le persone a me più care. Queste
parole sarebbero state sufficienti per uccidermi di dolore, senza il conforto della Fede... ".
Ratisbonne diventò sacerdote e dopo sei anni di studi entrò prima nell’Ordine dei Gesuiti
ed in seguito andò nella Congregazione delle Religiose di Nostra Signora di Sion ad
aiutare suo fratello Theodore.