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venerdì 11 settembre 2020

SANT'AGOSTINO

 


OMELIA 8

Nessuno ha veduto Dio...

Sii umile, cerca la gloria di Dio, permani nella carità. Desidera che il nemico diventi fratello, il povero autosufficiente, l'indotto dotto. Sottomettiti a Colui che ti è superiore e che è venuto come medico a cercarti e guarirti, spinto solo dall'amore.

[Una lode che può sempre durare.]

1. Amore, parola dolce, ma realtà ancora più dolce. Non possiamo parlare sempre di essa. Noi infatti siamo occupati in molte cose e svariate attività c'impegnano ovunque, cosicché la nostra lingua non sempre ha tempo di parlare dell'amore: anche se non c'è cosa migliore che parlare di tale argomento. Ma quella carità della quale non sempre è possibile parlare, sempre è possibile custodire. Così l'Alleluia che ora cantiamo, viene forse da noi sempre cantato? Appena la durata di un'ora, anzi a mala pena per una breve frazione noi cantiamo Alleluia; poi ci occupiamo di altro. Alleluia, come già sapete, significa: Lodate Dio. Chi loda Dio con la lingua, non sempre può farlo; chi invece lo loda con la vita, può sempre farlo. Sempre bisogna attuare opere di misericordia, sentimenti di carità, pietà religiosa, castità incorrotta, sobrietà modesta; sia che siamo in pubblico, o in casa, in mezzo agli uomini, nella nostra stanza, quando parliamo e quando taciamo, quando siamo impegnati in qualche lavoro o siamo liberi da impegni; sempre bisogna osservare quei doveri; perché queste virtù che ho nominato sono dentro di noi. E potrei mai nominarle tutte? Esse sono come un esercito di un generale che ha il suo comando dentro la tua mente. Come il generale, per mezzo del suo esercito, attua ciò che più gli piace, così il Signore nostro Gesù Cristo, incominciando ad abitare nell'intimo dell'uomo, cioè nella nostra mente per mezzo della fede (cf. Ef 3, 17), usa di queste virtù come dei suoi ministri. E per mezzo di queste virtù, che non possono essere viste con gli occhi, e che tuttavia, se nominate, vengono lodate (non verrebbero lodate se non fossero amate, non sarebbero amate se non si vedessero; se non si possono amare senza che si vedano, sono però viste da un altro occhio, cioè, dallo sguardo interiore del cuore), per mezzo di queste virtù invisibili vengono mosse le membra in modo visibile: i piedi per camminare; ma dove? dove li possa muovere la buona volontà, che milita sotto un buon generale. Le mani per operare; ma che cosa? ciò che la carità avrà comandato, interiormente suscitata dallo Spirito Santo. Le membra dunque si vedono quando si muovono, ma colui che comanda al di dentro non si vede. E chi sia dentro a comandare, lo sa propriamente solo colui che comanda e colui che dentro riceve il comando.

[Sia lodato in te Colui che per tuo mezzo opera.]

2. Infatti, o fratelli, avete da poco udito leggere il Vangelo; l'avete però veramente udito solo se avete prestato non solo l'orecchio del corpo ma anche quello del cuore. Che cosa disse? Guardatevi dal fare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere veduti da loro (Mt 6, 1). Forse Cristo volle questo: che qualunque bene noi facciamo, ci nascondiamo agli occhi degli uomini e temiamo di essere visti? Se temi quelli che ti guardano, non avrai nessun imitatore: devi dunque essere visto. Ma non devi agire per questo scopo, cioè per essere visto. Non qui deve essere il fine della tua gioia, non qui il termine della tua letizia, così che tu ritenga di aver conseguito tutto il frutto della tua buona opera, una volta che sei stato visto e lodato. Tutto ciò è niente. Disprezza te stesso, quando vieni lodato: sia in te lodato colui che opera per mezzo tuo. Non voler dunque operare per la tua lode il bene che fai, ma per la lode di colui da cui hai di che fare il bene. Da te hai solo la forza di agire male, da Dio quella di agire bene. Al contrario gli uomini perversi vedete come pensano diversamente. Vogliono attribuire a sé quel bene che fanno; se fanno male vogliono accusare Dio. Capovolgi questa specie di stortura e perversione che mette, in certo qualmodo, tutto sottosopra: sotto ciò che è sopra e viceversa. Vuoi abbassare Dio e innalzare te? Allora precipiti, non ti elevi: egli infatti sta sempre in alto. Che dunque? A te forse il bene, a Dio il male? Di' questo, piuttosto, con maggiore verità: A me il male, a lui il bene; e quel bene che ho io, deriva da lui; infatti qualunque cosa io faccia da me, è male. Questa confessione rafforza il cuore e pone il fondamento dell'amore. Se infatti noi dobbiamo nascondere le nostre opere buone, affinché non vengano viste dagli uomini, che ne è della sentenza contenuta nel sermone che il Signore pronunciò sul monte? Un po' prima aveva detto: Risplendano le vostre opere davanti agli uomini. Né si fermò qui, ma aggiunse: E glorifichino il Padre vostro che è nei cieli (Mt 5, 16). E l'Apostolo che cosa dice? Io ero un volto sconosciuto alle Chiese della Giudea, che sono in Cristo; tuttavia esse erano intente ad ascoltarmi, perché chi una volta ci perseguitava, ora evangelizza quella fede che un tempo perseguitava; ed essi davano gloria a Dio a causa mia (Gal 1, 22-24). Vedete in che modo anche lui, facendosi conoscere, non si propone la sua lode ma quella di Dio. E per quanto lo riguarda, lui stesso si confessa devastatore della Chiesa, persecutore insaziabile e malvagio; non siamo noi ad incriminarlo. Paolo preferisce che i suoi peccati siano da noi detti, affinché colui che sanò tale malattia venga glorificato. La mano del medico infatti incise la vasta ferita e la risanò. Quella voce proveniente dal cielo abbatté il persecutore e fece sorgere il predicatore; uccise Saulo, diede vita a Paolo (cf. At 9). Saulo era persecutore di un uomo santo (1 Sam 19); questo il suo nome quando perseguitava i Cristiani; poi da Saulo divenne Paolo (cf. At 13, 9). Che significa Paolo? "Piccolo". Dunque quando era Saulo, era superbo ed altero; quando fu Paolo, divenne umile e piccolo. Perciò noi diciamo: ti vedrò un po' dopo (paulo post), cioè tra poco (modicum). Senti allora come si dichiara piccolo: Io infatti sono il più piccolo degli Apostoli (1 Cor 15, 9); ed ancora: A me, il più piccolo di tutti i santi (Ef 3, 8), come afferma in altro luogo. Egli era, tra gli Apostoli, come la frangia di un vestito; ma la Chiesa delle genti, come l'emorroissa, la toccò e guarì (cf. Mt 9, 20-22).

[La carità mai venga meno nel cuore.]

3. Dunque, o fratelli, questo io ho voluto dirvi, questo vi dico, questo, se potessi, non vorrei mai cessare di dire: fate l'una o l'altra opera secondo le circostanze, le ore, i tempi. Forse che si può sempre parlare? sempre tacere? sempre mangiare? sempre digiunare? sempre dare pane al povero? Sempre vestire gli ignudi? sempre visitare gli ammalati? Sempre pacificare i litiganti? Sempre seppellire i morti? Ora si fa una cosa, ed ora un'altra. Questi atti vengono iniziati e poi sospesi: ma il principe che li comanda non ha inizio né deve cessare di esistere. La carità non venga interrotta nell'animo: le opere della carità vengano invece attuate secondo l'opportunità. Rimanga, come è stato scritto, la carità fraterna (cf. Eb 13, 1).

[Amore dei nemici e dei fratelli.]

4. C'è un interrogativo che forse ha turbato qualcuno di voi, in questo tempo che abbiamo dedicato alla trattazione dell'Epistola di San Giovanni; e l'interrogativo è perché mai egli non fa altro che raccomandare la carità fraterna. Dice infatti: Chi ama il fratello (1 Gv 2, 10); e poi: A noi è stato dato un comandamento, che ci amiamo a vicenda (1 Gv 3, 23). Molto spesso egli ha nominato la carità fraterna: mentre non così spesso ha nominato l'amore di Dio, e cioè la carità con cui dobbiamo amare Dio; in realtà non l'ha del tutto tenuta sotto silenzio. Non parlò affatto invece dell'amore verso il nemico in quasi tutta l'Epistola. Mentre con tanta forza ci predica e ci raccomanda la carità, non ci dice di amare i nemici. Ci dice invece di amare i fratelli. Poco fa, nella lettura del Vangelo, abbiamo sentito: Se amate quelli che vi amano, quale ricompensa avete? Non fanno questo anche i pubblicani? (Mt 5, 46). Perché dunque Giovanni ci raccomanda tanto, per acquistare la perfezione, l'amore fraterno, mentre il Signore dice che non ci basta amare i fratelli, ma dobbiamo spingere il nostro amore fino ad amare i nemici? Chi si spinge fino ad amare i nemici, non dimentica per questo di amare i fratelli. Deve anzi fare come fa il fuoco che prima si attacca alle cose vicine e poi si propaga a quelle più lontane. Il fratello ti è più vicino di qualsiasi altro uomo. A sua volta ti è più vicino colui che non conosci e tuttavia non ti è nemico, che non il nemico il quale si oppone a te. Spingi il tuo amore verso i più vicini, ma non chiamare ciò un allargamento del tuo amore. Se ami quelli che ti sono vicini, ami in pratica te stesso. Spingiti ad amare quelli che non conosci, che non ti fecero nulla di male. Ma va' anche oltre; spingiti ad amare i nemici. Questo con certezza ti comanda il Signore. Perché allora Giovanni ha taciuto sull'amore al nemico?

[E' più puro l'amore per chi non è bisognoso.]

5. Ogni dilezione, anche quella carnale, che abitualmente si chiama amore e non dilezione (dilezione si dice di solito dei sentimenti spirituali e ad essi piuttosto si estende il suo significato), tuttavia ogni dilezione, o fratelli carissimi, suppone una certa benevolenza verso quelli che amiamo. Infatti non dobbiamo provare verso gli uomini una dilezione, che del resto è impossibile, o amore [lo stesso Signore ha usato questo termine quando chiese: Pietro, mi ami tu? (Gv 21, 17)] come lo provano i golosi allorché dicono: amo i tordi; li amano infatti per ucciderli e divorarli. Egli dice di amarli e li ama perché non siano più, li ama per perderli. Tutto ciò che amiamo per cibarcene lo amiamo al fine di consumarlo e di venir ristorati. Gli uomini devono forse essere amati in questo modo, come per essere divorati? Esiste invece una amicizia di benevolenza per la quale a volte noi offriamo dei doni a quelli che amiamo. E se non ci fosse nulla da donare? A chi ama basta la sola benevolenza. Non dobbiamo certo desiderare che ci siano dei miseri, per poter così esercitare le opere di misericordia. Tu dai pani a chi ha fame; ma sarebbe meglio che nessuno avesse fame, anche se in tal modo non si ha nessuno a cui dare. Tu offri vestiti all'ignudo: ma quanto sarebbe meglio se tutti avessero i vestiti e non ci fosse questa indigenza. Tu dai sepoltura a chi è morto: ma quanto sarebbe meglio che giungesse quella vita in cui nessuno morirà. Tu metti d'accordo i litiganti: voglia il cielo che si stabilisca quella eterna pace di Gerusalemme, dove nessuno potrà litigare! Sono doveri legati a particolari necessità. Elimina i miseri; cesseranno le opere di misericordia. Ma se cesseranno le opere di misericordia, si estinguerà forse l'ardore della carità? Più genuino è l'amore che porti verso un uomo di nulla bisognoso, al quale non devi dare nulla: questo amore sarà più puro e molto più sincero. Se infatti dai in prestito ad un miserabile, può capitare che tu desideri esaltarti di fronte a lui e avere lui soggetto, perché egli è stato causa di quell'atto benefico. Egli si trovò nel bisogno e tu lo hai aiutato; sembri essergli superiore, perché tu hai dato a lui. Desidera che ti sia eguale, affinché ambedue siate soggetti ad un solo Signore al quale nulla si può dare.

[Obbedisci a chi è sopra di te.]

6. L'anima orgogliosa proprio in ciò ha sorpassato la misura ed è diventata in certo qual modo avara; perché radice di tutti i mali è l'avarizia (1 Tm 6, 10). Fu anche detto che la superbia è inizio di ogni peccato (Sir 10, 15). Ci domandiamo a volte come possono accordarsi queste due proposizioni: la radice di tutti i mali è l'avarizia, e quest'altra: Il principio di ogni peccato è la superbia. Se la superbia è inizio di ogni peccato, è per ciò stesso la radice di tutti i mali. Ma è anche certo che pure l'avarizia è radice di tutti i mali: concludiamo perciò che nella stessa superbia c'è l'avarizia, in quanto l'uomo oltrepassa la misura. Che significa essere avari? Cercare al di là del sufficiente. Adamo cadde per la superbia: è detto infatti che all'inizio di ogni peccato è la superbia. Cadde forse per avarizia? Chi più avaro di colui al quale Dio non basta? Abbiamo letto, o fratelli, che l'uomo è stato fatto ad immagine e similitudine di Dio: che cosa Dio disse dell'uomo? Abbia potere sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su tutti gli animali che strisciano per terra (Gn 1, 26). Ha forse detto il Signore: l'uomo abbia potere sugli uomini? Disse soltanto: abbia potere, un potere conforme alla natura; ma potere su chi? Sui pesci del mare, sui volatili del cielo, su tutti gli animali che strisciano per terra. Perché su questi esseri è naturale che l'uomo abbia potere? Perché l'uomo deriva questo suo potere dal fatto che fu creato ad immagine di Dio. Dove fu fatto ad immagine di Dio? Nell'intelligenza, nella mente, nell'uomo interiore; nel fatto che l'uomo capisce la verità, discerne la giustizia e l'ingiustizia, sa da chi è stato fatto, può conoscere il suo creatore e lodarlo. Ha questa intelligenza chi possiede la saggezza. Poiché molti per colpa delle cattive passioni corrompono in se stessi l'immagine di Dio e spengono in certo qual modo la fiamma dell'intelligenza con la perversità della loro condotta, la Scrittura dice loro: Non diventate come un cavallo ed un mulo che non hanno intelligenza (Sal 31, 9). Questo significa: io ti ho messo al di sopra del cavallo e del mulo; ti ho fatto a mia immagine, ti ho dato potere sopra questi esseri. Perché? Perché le bestie non hanno un'anima razionale; tu invece coll'anima razionale comprendi la verità, capisci ciò che sta sopra di te; assoggettati a colui che sta sopra di te e ti staranno soggetti quegli esseri sopra i quali sei stato preposto. Avendo l'uomo con il peccato abbandonato colui sotto il quale doveva stare, viene assoggettato a quegli esseri sopra i quali egli doveva comandare.

[Liberazione spirituale.]

7. Vedete di capire ciò che voglio dire: ecco Dio, ecco l'uomo, ecco un animale: Dio, ad esempio, sta sopra di te e l'animale sta sotto di te. Riconosci colui che sta sopra di te, affinché ti riconoscano le cose che ti stanno sotto. Per questa ragione Daniele, avendo riconosciuto Dio sopra di sé, vide i leoni a lui soggetti (cf. Dn 6, 22). Se invece tu non riconosci colui che sta sopra di te, disprezzi un superiore ma ti assoggetti ad un inferiore. Che cosa contribuì a domare la superbia degli Egiziani? Le rane e le mosche (cf. Es 8). Dio poteva mandare loro anche i leoni, ma il leone è per spaventare personaggi importanti. Quanto più gli Egiziani erano superbi, tanto più la loro vanagloria fu infranta da esseri disprezzabili ed abbietti. I leoni riconobbero invece Daniele perché egli era suddito di Dio. Che cosa dunque? I martiri che combatterono contro le bestie e sono stati lacerati dai morsi delle belve, non erano sottomessi a Dio? Oppure bisognerà dire che i tre fanciulli della fornace erano servi di Dio, mentre non lo erano i fratelli Maccabei? Il fuoco mostrò che quei tre fanciulli erano servi di Dio, perché non li bruciò né consumò i loro vestiti (cf. Dn 3, 50); e non manifestò quali servi di Dio i Maccabei? Certo che li manifestò. Sì, manifestò anch'essi, o fratelli (cf. 2 Mach 7). Ma c'era bisogno di uno strumento di pena per rivelarli, secondo il permesso del Signore, come dice la Scrittura: Dio colpisce ogni uomo che accoglie nel numero dei suoi figli (Eb 12, 6). Voi, o fratelli, ritenete che la lancia avrebbe mai trapassato il petto del Signore, se lui stesso non avesse permesso ciò? Credete che egli sarebbe rimasto sospeso alla croce, senza la sua volontà? La creatura, di cui egli era il creatore, non lo riconobbe? Oppure ha voluto presentare ai suoi fedeli un esempio di pazienza? Dio ha liberato alcuni in modo visibile, altri li ha liberati ma non in modo visibile: tutti invece ha liberato nell'anima, nessuno ha abbandonato a se stesso nel campo dello spirito. Parve che egli avesse abbandonato a se stessi alcuni, dal punto di vista dell'aiuto esterno, mentre altri sono stati visibilmente sottratti alla rovina. Egli ha appunto salvato costoro perché non si credesse che non lo poteva fare. Ti ha dato una prova che può aiutare, cosicché, quando non interviene, tu capisca che questo è per un suo disegno a te nascosto e non già per qualche sua difficoltà. Ma che significa questo, o fratelli? Quando avremo sciolto tutti i nodi della nostra condizione di mortali, quando saranno ormai sorpassati i tempi della tentazione, quando il fiume di questa storia terrena avrà compiuto il suo corso e riprenderemo quella veste primitiva che è l'immortalità da noi perduta col peccato, quando questo nostro essere corruttibile, e cioè la nostra carne, avrà assunto qualità incorruttibili e questa nostra carne mortale avrà ottenuto l'immortalità (1 Cor 15, 53-54), allora ogni creatura riconoscerà in noi i perfetti figli di Dio, là dove non sarà più necessario essere tentati e flagellati; tutto sarà a noi sottomesso, se qui noi siamo sudditi di Dio.

[Non esser un maestro invidioso.]

8. Il cristiano deve essere tale da non gloriarsi sopra gli altri uomini. Dio ti ha dato di essere al di sopra delle bestie, di essere cioè migliore delle bestie. Questo lo hai dalla tua natura; sarai sempre meglio di una bestia; ma se vuoi essere migliore di un altro uomo, gli porterai invidia, se lo vedi tuo uguale. Devi invece volere che tutti gli uomini ti siano uguali. Se superi un altro in prudenza, devi desiderare che anche lui sia prudente. Fin quando egli resta meno avveduto, deve imparare da te; fin quando resta privo di cultura, egli ha bisogno di te; e tu sembri il maestro, lui lo scolaro; tu dunque superiore perché maestro, lui inferiore perché discepolo. Se non desideri che lui ti sia uguale, vorrai che egli resti sempre tuo discepolo. Ma se vuoi averlo sempre tuo discepolo, sei un maestro invidioso. E se sei tale, come puoi dirti maestro? Ti supplico, non insegnargli la tua invidia. Senti l'Apostolo che dice nella sua grande carità: Vorrei che tutti gli uomini fossero come me (1 Cor 7, 7). Come mai voleva che tutti gli fossero uguali? Egli era superiore a tutti proprio perché nella sua carità desiderava che tutti fossero uguali. L'uomo dunque ha oltrepassato la misura; volle essere troppo avaro, ponendosi sopra gli altri uomini, mentre aveva ricevuto soltanto una superiorità sopra gli animali: e ciò è superbia.

[Motivo ispiratore delle azioni buone.]

9. Vedete le opere grandi che la superbia compie: fate bene attenzione come esse siano tanto simili e quasi pari a quelle della carità. La carità offre cibo all'affamato, ma lo fa anche la superbia: la carità fa questo, perché venga lodato il Signore; la superbia lo fa per dare lode a se stessa. La carità veste un ignudo e lo fa anche la superbia; la carità digiuna, ma digiuna anche la superbia; la carità seppellisce i morti, ma li seppellisce anche la superbia. Tutte le opere buone che la carità vuole fare e fa, ne mette in moto, all'opposto, altrettante la superbia e le mena attorno come suoi cavalli. Ma la carità è nel cuore e toglie il posto alla malmossa superbia: non mal movente bensì malmossa. Guai all'uomo che tiene la superbia a proprio auriga, perché necessariamente finirà nel precipizio. Ma come sapere se sia la superbia a muovere le azioni buone? Chi la vede? Quale il segno di riconoscimento? Vediamo le opere: la misericordia offre cibo, lo fa anche la superbia; la misericordia accoglie un ospite, lo fa anche la superbia; la misericordia intercede per un povero, lo fa anche la superbia. Che significa ciò? Che non riusciremo a capire, se esaminiamo le opere. Io oso dare una qualche risposta, non proprio io, ma lo stesso Paolo: la carità muore; cioè l'uomo, che ha la carità, confessa il nome di Cristo e va al martirio; anche la superbia confessa Cristo e va al martirio. Il primo uomo ha la carità, il secondo non ha la carità. Colui che non ha la carità senta che cosa dice l'Apostolo: Se distribuirò tutti i miei beni ai poveri, e se darò il mio corpo per farlo bruciare, ma non ho la carità, nulla mi vale (1 Cor 13, 3). La divina Scrittura, dunque, da questa ostentazione esteriore c'invita a tornare in noi stessi; a tornare nel nostro intimo da questa superficialità che fa sfoggio di sé innanzi agli uomini. Torna all'intimo della tua coscienza, interrogala. Non guardare ciò che fiorisce di fuori, ma quale sia la radice che sta nascosta in terra. Ha preso radici in te la cupidità del denaro? Può darsi che ci sia un'apparenza di opere buone, ma opere veramente buone non potranno esserci. Ha preso radici dentro di te la carità? Sta' sicuro, nessun male ne può derivare. Il superbo accarezza, l'amore castiga. L'uno riveste, l'altro colpisce. Il superbo dona dei vestiti per piacere agli uomini: chi possiede l'amore invece colpisce per correggere con la disciplina. Si riceve di più dal castigo che proviene dall'amore, che dall'elemosina che proviene dalla superbia. Ritornate in voi stessi, o fratelli. In tutte le cose che voi fate, guardate a Dio come vostro testimone. Vedete con quale animo agite, dal momento che egli vi vede. Se il vostro cuore non vi accusa che agite a motivo di superbia, orbene, state sicuri. Non temete, quando agite bene, che altri vi vedano. Temi invece di agire allo scopo di essere lodato. Gli altri ti vedano ma ne lodino il Signore. Se ti nascondi agli occhi dell'uomo, ti nascondi in realtà all'imitazione dell'uomo e sottrai la lode dovuta a Dio. Due sono le persone a cui fai elemosina, poiché due sono le persone che hanno fame: l'uno di pane, l'altro di giustizia. Poiché è stato detto: Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati (Mt 5, 6)tu sei stato posto come buon operaio tra questi due affamati; se la carità è il motivo del tuo atto, essa deve aver pietà di ambedue e portare aiuto ad ambedue. Il primo chiede qualcosa da mangiare, il secondo chiede qualcosa da imitare. Dai da mangiare al primo, dai te stesso come esempio all'altro. Hai dato l'elemosina ad ambedue; hai reso il primo più sollevato, per aver eliminato la sua fame; hai reso il secondo tuo imitatore, proponendogli l'esempio da imitare.

[L'amore rende fratello il nemico.]

10. Siate dunque misericordiosi, abbiate sentimenti di pietà perché amando i nemici, amate i fratelli. Non pensate che Giovanni nulla abbia detto sull'amore dei nemici, dal momento che non ha taciuto sulla carità fraterna. Voi amate i fratelli: in che modo - domanderai - io amo i fratelli? Ti chiedo perché ami un nemico: perché lo ami? Perché abbia la salute in questa vita? Che vale, se non gli serve? Perché sia ricco? Che vale, se da queste stesse ricchezze sarà accecato? Perché si sposi? Che vale, se poi soffrirà una vita di pena? Perché abbia figli? Che vale, se saranno cattivi? Tutti questi beni che, per il fatto che lo ami, ti pare di dover desiderare per il nemico sono beni incerti. Desidera invece che egli ottenga insieme con te la vita eterna; desidera che egli sia tuo fratello. Se dunque questo desideri amando il nemico, che cioè sia tuo fratello, quando lo ami, ami tuo fratello. Non ami in lui ciò che è, ma quel che desideri che divenga. Se non sbaglio, ho già ripetuto alla vostra Carità questo esempio: c'è qui davanti agli occhi legna di quercia; un buon falegname vede questo legno non ancora livellato, appena tagliato dal bosco, e se ne interessa; non so che cosa voglia farne. Certo non s'è preso interesse a quel legno perché esso rimanga sempre lo stesso. E' la sua arte che gli mostra ciò che il legno sarà, non l'interesse per il quale vede ciò che è ora; e lo ha amato per quel che ne avrebbe fatto, non per quello che è. Così Dio ci ha amato, pur essendo noi peccatori. Diciamo che Dio ha amato i peccatori. Disse infatti: Non i sani hanno bisogno del medico ma gli ammalati (Mt 9, 12). Dio ha forse amato noi peccatori perché restassimo tali? Egli ha guardato a noi come quel falegname al legno tagliato nel bosco, e pensò a ciò che avrebbe fatto e non già al legno informe che era. Così tu vedi il nemico che ti avversa, ti aggredisce e ti morde colle sue parole, ti esaspera coi suoi insulti, non ti dà pace col suo odio. Ma in lui tu vedi un uomo. Tu vedi tutte queste cose, che ti contrastano, fatte da un uomo; ma vedi in lui ciò che è stato fatto da Dio. Il fatto che egli è creatura umana, proviene da Dio. Il fatto che ti odia e ti invidia proviene da lui. Che cosa dici nel tuo animo? "Signore, sii a lui propizio, perdona i suoi peccati, incutigli terrore, cambialo". Non ami in lui ciò che è, ma ciò che vuoi che divenga. Perciò quando ami il nemico, ami il fratello. Di conseguenza il perfetto amore è l'amore del nemico: e questo perfetto amore è incluso nell'amore fraterno. Nessuno dica che l'apostolo Giovanni ci ha ammonito un po' meno su questo punto, mentre Cristo nostro Signore ci ha ammonito di più: Giovanni ci ha ammonito di amare i fratelli, Cristo ci ha ammonito di amare anche i nemici (cf. Mt 5, 44). Fa' attenzione al perché Cristo ci ha ammonito di amare i nemici. Forse perché restino sempre nemici? Se egli ti ha dato questo comando perché i tuoi nemici rimanessero nemici, tu li odi, non li ami. Guarda come egli ha amato i suoi nemici e come non volle che restassero suoi persecutori; disse: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Quelli a cui volle perdonare, volle che mutassero animo: quelli che volle mutare, si è degnato di cambiarli da nemici in fratelli, e così veramente fece. Egli fu ucciso, fu sepolto, risorse, ascese al cielo, mandò sui discepoli lo Spirito Santo; essi incominciarono a predicare fiduciosi il suo nome, fecero dei miracoli in nome di lui crocifisso e ucciso; quegli uccisori del Signore videro tutto ed essi che infierendo contro di lui avevano versato il suo sangue, convertendosi alla fede lo bevvero.

[Desidera che scompaia il male dal tuo nemico.]

11. Vi ho detto queste cose, o fratelli, tirando le cose un poco per il lungo: tuttavia poiché era necessario con insistenza raccomandare alla vostra Carità la stessa carità, così abbiamo fatto. Se in realtà la carità non è in voi, nulla noi abbiamo detto. Se essa è in voi, abbiamo per così dire aggiunto olio alla fiamma e forse, con queste parole, l'abbiamo accesa anche in chi non l'aveva. In uno s'accrebbe ciò che vi era; in un altro iniziò ad esserci ciò che non c'era. Abbiamo detto queste cose affinché non siate pigri nell'amare i nemici. C'è qualcuno che ti perseguita? Egli ti perseguita e tu prega, egli odia e tu abbi pietà. E' la febbre della sua anima che ti odia: ma diventerà sano e ti ringrazierà. I medici come amano i malati? Amano forse le persone perché ammalate? Se le amano così, vogliono che sempre restino ammalate. Essi amano i malati affinché da malati diventino sani, non perché restino ammalati. Quanti fastidi devono sopportare dalle persone frenetiche! Quanti insulti! Spesse volte vengono anche percossi. Il medico colpisce la febbre, ma perdona alle persone. E che dirò, o fratelli? Il medico ama il suo nemico? Odia anzi il suo nemico ch'è la malattia: odia la malattia ed ama la persona che lo percuote; egli odia la febbre. Da che infatti è colpito? Dalla malattia, dall'infermità, dalla febbre. Toglie di mezzo ciò che porta danno alla persona, perché rimanga ciò per cui la persona possa congratularsi con lui. Fa' così anche tu: se il nemico ti odia e ti odia ingiustamente, sappi che regna in lui la bramosia del mondo e per questo ti odia. Se anche tu lo odii, rendi male per male. Che cosa produce rendere male per male? Io compiangevo un solo malato, colpito dalla malattia dell'odio; ora ne devo compiangere due, se anche tu rispondi con l'odio. Ma quell'uomo invade il tuo patrimonio; ti sottrae non so quale tuo bene, che hai quaggiù. Per questo lo odii, appunto perché ti angustia in terra. Non soffrirne angustia, portati su in alto, nel cielo: il tuo cuore sarà dove c'è ampiezza di spazi, tanto che non soffrirai più angustie nella speranza della vita eterna. Esamina ciò che il nemico ti ha tolto; egli non potrebbe toglierti neppure questi beni, se non lo permettesse colui che colpisce chiunque accoglie nel numero dei suoi figli (Eb 12, 6). Proprio quel nemico è in certo modo il ferro che Dio adopera per sanarti. Se Dio vede utile che il nemico ti spogli, lo lascia fare; se conosce essere utile che il nemico ti colpisca, gli permette di colpirti; per mezzo di lui Dio ti cura; tu desidera che anche lui sia risanato.

[L'amore fa abitare Dio in noi.]

12. Nessuno vide Dio. Ecco, dilettissimi: Se ci amiamo vicendevolmente, Dio resterà in noi, e il suo amore in noi sarà perfetto. Incomincia ad amare e giungerai alla perfezione. Hai cominciato ad amare? Dio ha iniziato ad abitare in te; ama colui che iniziò ad abitare in te affinché, abitando in te sempre più perfettamente, ti renda perfetto. In questo conosciamo che rimaniamo in lui e lui in noi: egli ci ha dato il suo Spirito (1 Gv 4, 12-13). Bene, sia ringraziato il Signore. Ora sappiamo che egli abita in noi. E questo fatto, cioè che egli abita in noi, da dove lo conosciamo? Da ciò che Giovanni afferma, cioè che egli ci ha dato il suo Spirito. Ed ancora, da dove conosciamo che egli ci ha dato il suo Spirito? Sì, che egli ci ha dato il suo Spirito, come lo sappiamo? Interroga il tuo cuore: se esso è pieno di carità, hai lo Spirito di Dio. Da dove sappiamo che proprio a questo segno noi conosciamo che abita in noi lo Spirito di Dio? Interroga Paolo apostolo: La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che è dato a noi (Rm 5, 5).

[Cristo nostro medico.]

13. E noi abbiamo visto e siamo testimoni che il Padre ha mandato il Figlio suo, quale Salvatore del mondo. Voi che siete ammalati, state certi: è venuto un tal medico e voi ancora disperate? I malanni erano grandi, le ferite insanabili, la malattia disperata. Esamini la gravità del tuo male e non esamini l'onnipotenza del medico? Tu sei disperato, ma egli è onnipotente; ne fanno testimonianza coloro che per primi sono stati guariti e ci hanno fatto conoscere in lui il medico; essi tuttavia furono salvati più nella speranza che nella realtà. Così infatti dice l'Apostolo: Nella speranza siamo salvati (Rm 8, 24). Abbiamo incominciato ad essere risanati nella fede; la nostra salvezza perciò sarà condotta al suo termine quando questo nostro corpo corruttibile rivestirà qualità incorruttibili, e questo nostro corpo mortale rivestirà l'immortalità (cf. 1 Cor 15, 53 51). Questa è speranza, non ancora realtà. Ma chi gode nella speranza, avrà un giorno anche la realtà; chi invece non ha speranza, non può arrivare alla realtà.

[Dio ci ha cercati per puro amore.]

14. Chiunque confesserà che Gesù è Figlio di Dio, Dio rimarrà in lui e lui stesso in Dio. Possiamo ormai commentare con poche parole. Chiunque confesserà, non con le parole ma coi fatti, non con la lingua ma con la vita. Molti infatti professano il dogma con le parole e lo negano coi fatti. Noi abbiamo conosciuto e creduto quale amore Dio ha verso di noi. Ancora ti chiedo: da dove hai questa conoscenza? Dio è amore. Già ha fatto questa affermazione e qui la ripete. Non poteva Giovanni raccomandarti la carità in modo più incisivo che chiamandola Dio. Forse avresti disprezzato il dono di Dio; ma disprezzerai anche Dio? Dio è amore. E chi resta nell'amore, resta in Dio e Dio rimane in lui (1 Gv 4, 15-16). Abitano l'uno nell'altro, chi contiene e chi è contenuto. Tu abiti in Dio ma per essere contenuto da lui; Dio abita in te, ma per contenerti e non farti cadere. Non devi ritenere che tu possa diventare casa di Dio, così come la tua casa contiene il tuo corpo. Se la casa in cui abiti crolla, tu cadi; se invece tu crolli, Dio non cade. Egli resta intatto, se tu lo abbandoni. Intatto egli resta, quando ritorni a lui. Se tu diventi sano, non gli offri nulla; sei tu che ti purifichi, ti ricrei e ti correggi. Egli è una medicina per il malato, una regola per il cattivo, una luce per il cieco, per l'abbandonato una casa. Tutto dunque ti viene offerto. Cerca di capire che non sei tu a dare a Dio, allorché vieni a lui; neppure la proprietà di te stesso. Dio dunque non avrà dei servi, se tu non vorrai e se nessuno vorrà? Dio non ha bisogno di servi, ma i servi hanno bisogno di Dio; perciò un salmo dice: Dissi al Signore: tu sei il mio Dio. E' lui il vero Signore. Che cosa disse allora il salmista? Tu non hai bisogno dei miei beni (Sal 15, 2). Tu, uomo, hai bisogno dei buoni uffici del tuo servo. Il servo ha bisogno dei tuoi beni, perché tu gli offra da mangiare; anche tu hai bisogno dei suoi buoni uffici perché ti aiuti. Tu non puoi attingere acqua, non puoi cucinare, non puoi guidare il cavallo, né curare la tua cavalcatura. Ecco dunque che tu hai bisogno dei buoni uffici del tuo servo, hai bisogno dei suoi ossequi. Non sei dunque un vero signore, perché abbisogni di chi ti è inferiore. Lui è il vero Signore che non cerca nulla da noi; e guai a noi se non cerchiamo lui. Niente egli chiede a noi; ma egli ci ha cercato, mentre noi non cercavamo lui. Si era dispersa una sola pecora; egli la trovò e pieno di gaudio la riportò sulle sue spalle (cf. Lc 15, 4-5). Era forse necessaria al pastore quella pecora o non era invece più necessario il pastore alla pecora? Quanto più godo di parlare della carità, tanto meno vorrei terminare la spiegazione di questa Epistola. Nessuna è più calda nella raccomandazione della carità. Niente di più dolce vi può essere predicato, niente di più salubre può essere assorbito dalla vostra mente; purché però confermiate in voi il dono di Dio, vivendo bene. Non siate ingrati a questa sua grazia per cui non volle che il suo Unigenito restasse solo; perché egli avesse dei fratelli, adottò dei figli che potessero con lui possedere la vita eterna. 

https://www.augustinus.it/italiano/commento_lsg/index2.htm

AMDG et DVM