L'Esorcista Insegna Che Dire Quando i Figli non Vanno Più a Messa
"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
Tratto da Fede, Ragione, Verità e Amore di Joseph Ratzinger pp. 374-377
“Che cosa è veramente accaduto nella notte in cui Cristo fu tradito? Ascoltiamo al riguardo il Canone Romano. Il cuore dell’“Eucaristia” della Chiesa a Roma:
‘La vigilia della sua passione Gesù prese il pane nelle sue mani sante e venerabili, elevò gli occhi al cielo, a te, Dio Padre onnipotente, rese grazie con la preghiera di benedizione, spezzò il pane, lo diede ai suoi discepoli e disse loro: prendete e mangiatene tutti. Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi. E dopo la cena allo stesso modo prese questo prezioso calice nelle sue mani sante e venerabili, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli e disse: prendete e bevetene tutti. Questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”.
Che cosa accade qui in queste parole? Per prima cosa si affaccia a noi la parola transustanziazione. Il pane diventa il corpo, il suo corpo. Il pane della terra diventa il pane di Dio, la “manna” del cielo, con la quale Dio nutre gli uomini non solo nella vita terrena ma anche nella prospettiva della resurrezione; che prepara la resurrezione, anzi, già la fa iniziare. Il Signore, che avrebbe potuto trasformare le pietre in pane, che poteva suscitare dalle pietre figli di Abramo, volle trasformare il pane nel corpo, nel suo corpo.
Ma è possibile questo? E come può avvenire? Gli interrogativi, che la gente ha posto nella sinagoga di Cafarnao, non possono essere evitati neppure da noi. Egli è lì, davanti ai suoi discepoli, con il suo corpo; come può Egli dire sul pane: questo è il mio corpo? E’ importante ora fare bene attenzione a ciò che il Signore ha veramente detto. Non dice semplicemente: questo è il mio corpo; ma: questo è il mio corpo che è donato per voi. Esso può divenire dono perché è donato. Per mezzo dell’atto della donazione esso diviene capace di comunicazione come trasformato esso stesso in un dono.
La medesima cosa la possiamo osservare nelle parole sul calice. Cristo non dice semplicemente: questo è il mio sangue; ma: questo è il mio sangue che è versato per voi. Poiché esso è versato, in quanto è versato, può essere donato.
Ma ora emerge la nuova domanda: che cosa significa “è donato”, “è versato”? Che cosa accade qui? In verità, Gesù viene ucciso, viene appeso alla croce e muore fra i tormenti. Il suo sangue viene versato, dapprima già nell’orto degli ulivi per il travaglio interiore a riguardo della sua missione, poi nella flagellazione, nell’incoronazione di spine, nella crocefissione e dopo la sua morte nella trafissione del cuore. Ciò che qui accade è innanzitutto un atto di violenza, di odio che tortura e distrugge.
A questo punto ci imbattiamo in un secondo, più profondo livello di trasformazione: Egli trasforma dall’interno l’atto di violenza degli uomini contro di Lui in un atto di donazione in favore di questi uomini, in un atto di amore. L’atto dell’uccisione, della morte viene trasformato in amore, la violenza è vinta dall’amore. Questa è la trasformazione fondamentale sulla quale si basa tutto il resto. È la trasformazione, di cui il mondo ha bisogno e che sola può redimere il mondo. Poiché Cristo in un atto di amore ha trasformato e vinto dall’interno la violenza, la morte stessa è trasformata: l’amore è più forte della morte. Esso rimane in eterno. E così in questa trasformazione è contenuta la trasformazione più ampia della morte in risurrezione, del corpo morto nel corpo risorto. Se il primo uomo era un’anima vivente, così dice san Paolo, il nuovo Adamo, Cristo, diverrà in questo evento spirito datore di vita (1 Cor 15, 45).
Il risorto è donazione, è spirito che dà la vita e come tale comunicabile, anzi, comunicazione. Ciò significa che non si assiste a nessun congedo dalla materia, anzi, in questo modo essa raggiunge il suo fine: senza l’evento materiale della morte e il suo interiore superamento tutto questo insieme di cose non sarebbe possibile. E così nella trasformazione della risurrezione tutto il Cristo continua a sussistere, ma ora trasformato in tal modo che l’essere corpo e il donarsi non si escludono più, ma sono implicati l’uno nell’altro.
Cerchiamo, prima del prossimo passo, di vedere sinteticamente ancora un volta e di comprendere tutto questo complesso di realtà. Nel momento dell’Ultima Cena Gesù anticipa già l’evento del Calvario. Egli accoglie la morte di croce e con la sua accettazione trasforma l’atto di violenza in un atto di donazione, di auto-effusione (“Il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede”, dice Paolo a partire da qui e a proposito del suo imminente martirio: Fil 2, 17). Nell’Ultima Cena la croce è già presente, accettata e trasformata da Gesù. Questa prima e fondamentale trasformazione attira a sé il resto; il corpo mortale viene trasformato nel corpo della risurrezione: nello “spirito che dà la vita”.
A partire da qui diviene possibile la terza trasformazione: i doni del pane e del vino, che sono doni della creazione e insieme frutto del lavoro umano e “trasformazione” della creazione, vengono trasformati, così che in essi diviene presente il Signore stesso che si dona, la sua donazione, Egli stesso, poiché Egli è dono.
L’atto di donazione non è qualcosa di Lui, ma è Lui stesso.
A partire da qui lo sguardo si apre su due ulteriori trasformazioni che sono essenziali nell’Eucaristia fin dall’istante della sua istituzione: il pane trasformato, il vino trasformato, nel quale il Signore stesso si dona come spirito che dà la vita, è presente per trasformare noi uomini, così che noi diveniamo un solo pane con Lui e poi un solo corpo con Lui.
La trasformazione dei doni, che è il proseguimento delle trasformazioni fondamentali della croce e della risurrezione, non è il punto finale, ma a sua volta solo un inizio.
Il fine dell’Eucaristia è la trasformazione di coloro che la ricevono nell’autentica comunione con la sua trasformazione. E così il fine è l’unità, la pace, che noi stessi da individui separati che vivono gli uni accanto agli altri o gli uni contro gli altri, diveniamo con Cristo e in Lui un organismo di donazione, per vivere in vista della risurrezione e del nuovo mondo.
Diviene così visibile la quinta e ultima trasformazione, che caratterizza questo sacramento: attraverso di noi, i trasformati, divenuti un solo corpo, un solo spirito che dà la vita, tutta quanta la creazione deve essere trasformata. Tutta quanta la creazione deve divenire “una nuova città”, un nuovo paradiso, dimora vivente di Dio: Dio tutto in tutti (1 Cor 15, 28); così Paolo descrive il fine della creazione, che deve configurarsi a partire dall’eucaristia.
Così l’eucaristia è un processo di trasformazione nel quale noi veniamo coinvolti, forza di Dio per la trasformazione dell’odio e della violenza, forza di Dio per la trasformazione del mondo. Vogliamo dunque pregare perché il Signore ci aiuti a viverla e a celebrarla in questo modo. Vogliamo pregare perché Egli trasformi noi e il mondo insieme con noi nella nuova Gerusalemme”.
Questa descrizione di transustanziazione dell’Eucaristia di Joseph Ratzinger, come sacramento delle trasformazioni, si rifà innanzitutto al cuore dell’Eucaristia che nel Canone Romano ripete gli stessi gesti e le stesse parole che Gesù fece nell’Ultima Cena istituendo il rito e che san Paolo nella lettera ai Corinti descrive come gli veniva trasmesso senza modificare alcuna parola e alcun gesto. Questo dato biblico della parola del Signore è il fondamento di tutta la continuità nella Tradizione liturgica.
Ma cogliere cosa accade nel cuore della liturgia, cioè nella consacrazione, è una maturazione che sotto l’azione dello Spirito è avvenuta in continuità nella Tradizione, cioè nel dogma che è la scienza della fede maturata nella Chiesa e accolta definitivamente e che deve essere a fondamento di tutte le riflessioni teologiche.
Il come accade nella scienza dogmatica è legato alla parola transustanziazione che il Concilio di Trento ha definito “aptissima”, avviando nella consacrazione il suono del campanello. Fu san Carlo Borromeo a proporlo rifacendosi alle Constitutiones del Giberti vescovo di Verona, perché la consacrazione da parte del presbitero che agisce in persona di Cristo, fosse il centro di tutta la celebrazione eucaristica.
Anche nella riforma liturgica Paolo VI ha voluto che la formula della consacrazione, già presente in san Paolo come trasmessa fedelmente e in tutta la Tradizione, fosse scritta nel messale in corsivo in tutti i canoni. Questo ci dice la sua intangibilità.
AMDG et DVM
…Uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento. La liturgia non vive di sorprese " simpatiche ", di trovate " accattivanti ", ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l'attualità e il suo effimero ma il mistero del Sacro. Molti hanno pensato e detto che la liturgia debba essere "fatta" da tutta la comunità, per essere davvero sua. È una visione che ha condotto a misurarne il " successo " in termini di efficacia spettacolare, di intrattenimento. In questo modo è andato però disperso il proprium liturgico che non deriva da ciò che noi facciamo, ma dal fatto che qui accade Qualcosa che noi tutti insieme non possiamo proprio fare. Nella liturgia opera una forza, un potere che nemmeno la Chiesa tutta intera può conferirsi: ciò che vi si manifesta è lo assolutamente Altro che, attraverso la comunità (che non ne è dunque padrona ma serva, mero strumento) giunge sino a noi….Per il cattolico, la liturgia è la Patria comune, è la fonte stessa della sua identità: anche per questo deve essere " predeterminata ", " imperturbabile ", perché attraverso il rito si manifesta la Santità di Dio. Invece, la rivolta contro quella che è stata chiamata " la vecchia rigidità rubricistica ", accusata di togliere " creatività ", ha coinvolto anche la liturgia nel vortice del " fai-da-te ", banalizzandola perché l'ha resa conforme alla nostra mediocre misura…. da "Rapporto sulla fede", Joseph Ratzinger, 1985 AMDG et DVM |
Alcuni estratti dal Sermo de sancta Maria Magdalena del Serafico Dottore San Bonaventura, commento al Vangelo della festa di questa grande santa (Luc. 7, 36-50)
Maria Maddalena, gloriosa peccatrice penitente, è lodata come sovraeccellente per tre ragioni: prima l’umiltà della disciplina; seconda l’asprezza della penitenza; terza l’ubertà della devozione interiore.
La prima si nota quando il Vangelo dice: “stava dietro, ai piedi del Signore“; la seconda quando dice “cominciò a bagnarli di lacrime e li asciugava con i suoi capelli“; la terza quando dice: “e baciava i piedi di lui“. Questa peccatrice fu esempio di ogni disciplina, di ogni penitenza e di ogni devozione interiore. Guardiamo a questo esempio e non disprezziamolo. Dio lo ha proposto ai giusti e ai peccatori, agli innocenti e ai penitenti.
In primo luogo vediamo in che modo fu esempio di disciplina, il che si nota quando dice il Vangelo: “stava dietro, ai piedi del Signore“. In questo dire “dietro” il Vangelo mostra quanto fosse vereconda; nel dire “ai piedi“, quanto si fosse umiliata. Gran cosa è osservare di cosa costei abbia avuto vergogna: ha avuto vergogna di stare in faccia a Cristo, ma tuttavia non ne ebbe nel fare penitenza e nel confessare i suoi peccati. E in virtù di ciò essa stava dietro, ai piedi del Signore, per mostrarsi vereconda e umiliata. Non andò al capo, o alle ginocchia, o alle braccia, ma ai piedi; nel che ci si fa intendere che venne a mostrare riverenza, a impetrare misericordia e ad apprendere la sapienza. Così anche noi dobbiamo stara dietro, ai piedi del Signore.
In secondo luogo è onorata questa gloriosa penitente a ragione dell’asprezza della penitenza, nel dire il Vangelo: “cominciò a bagnare di lacrime i piedi di lui e li asciugava con i suoi capelli“. La penitenza infatti deve essere amara e satisfattoria. L’amarezza appare nelle lacrime, la soddisfazione nella tersione dei capelli, onde san Gregorio dice: “Fece olocausto di tutto ciò che le era diletto“.
In terzo luogo s’aggiunge l’ubertà della devozione interiore, quando dice il Vangelo: “e baciava i piedi di lui“. La devozione infatti deve essere un riconoscimento di sudditanza, un rendimento di grazie e una donazione d’amore. A mezzo del bacio dei piedi è significata la devozione come riconoscimento di sudditanza; a mezzo del bacio della mano la devozione come rendimento di grazie; a mezzo della bacio della bocca la devozione come donazione d’amore. Quando unicamente si ama e adora Cristo, allora l’anima può dire: “La sua sinistra è sotto il mio capo” ossia nella vita presente, “e la destra di lui mi abbraccerà” nell’eterna gloria.
Cari fratelli e sorelle,
in una recente catechesi, ho già illustrato il ruolo provvidenziale che l’Ordine dei Frati Minori e l’Ordine dei Frati Predicatori, fondati rispettivamente da san Francesco d’Assisi e da san Domenico da Guzman, ebbero nel rinnovamento della Chiesa del loro tempo. Oggi vorrei presentarvi la figura di Francesco, un autentico "gigante" della santità, che continua ad affascinare moltissime persone di ogni età e di ogni religione.
"Nacque al mondo un sole". Con queste parole, nella Divina Commedia (Paradiso, Canto XI), il sommo poeta italiano Dante Alighieri allude alla nascita di Francesco, avvenuta alla fine del 1181 o agli inizi del 1182, ad Assisi. Appartenente a una ricca famiglia – il padre era commerciante di stoffe –, Francesco trascorse un’adolescenza e una giovinezza spensierate, coltivando gli ideali cavallereschi del tempo.
A vent’anni prese parte ad una campagna militare, e fu fatto prigioniero. Si ammalò e fu liberato. Dopo il ritorno ad Assisi, cominciò in lui un lento processo di conversione spirituale, che lo portò ad abbandonare gradualmente lo stile di vita mondano, che aveva praticato fino ad allora. Risalgono a questo periodo i celebri episodi dell’incontro con il lebbroso, a cui Francesco, sceso da cavallo, donò il bacio della pace, e del messaggio del Crocifisso nella chiesetta di San Damiano.
Per tre volte il Cristo in croce si animò, e gli disse: "Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina". Questo semplice avvenimento della parola del Signore udita nella chiesa di S. Damiano nasconde un simbolismo profondo. Immediatamente san Francesco è chiamato a riparare questa chiesetta, ma lo stato rovinoso di questo edificio è simbolo della situazione drammatica e inquietante della Chiesa stessa in quel tempo, con una fede superficiale che non forma e non trasforma la vita, con un clero poco zelante, con il raffreddarsi dell’amore; una distruzione interiore della Chiesa che comporta anche una decomposizione dell’unità, con la nascita di movimenti ereticali.
Tuttavia, in questa Chiesa in rovina sta nel centro il Crocifisso e parla: chiama al rinnovamento, chiama Francesco ad un lavoro manuale per riparare concretamente la chiesetta di san Damiano, simbolo della chiamata più profonda a rinnovare la Chiesa stessa di Cristo, con la sua radicalità di fede e con il suo entusiasmo di amore per Cristo.
Questo avvenimento, accaduto probabilmente nel 1205, fa pensare ad un altro avvenimento simile verificatosi nel 1207: il sogno del Papa Innocenzo III. Questi vede in sogno che la Basilica di San Giovanni in Laterano, la chiesa madre di tutte le chiese, sta crollando e un religioso piccolo e insignificante puntella con le sue spalle la chiesa affinché non cada. E’ interessante notare, da una parte, che non è il Papa che dà l’aiuto affinché la chiesa non crolli, ma un piccolo e insignificante religioso, che il Papa riconosce in Francesco che Gli fa visita.
Innocenzo III era un Papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico, tuttavia non è lui a rinnovare la Chiesa, ma il piccolo e insignificante religioso: è san Francesco, chiamato da Dio. Dall’altra parte, però, è importante notare che san Francesco non rinnova la Chiesa senza o contro il Papa, ma solo in comunione con lui. Le due realtà vanno insieme: il Successore di Pietro, i Vescovi, la Chiesa fondata sulla successione degli Apostoli e il carisma nuovo che lo Spirito Santo crea in questo momento per rinnovare la Chiesa. Insieme cresce il vero rinnovamento.
Ritorniamo alla vita di san Francesco. Poiché il padre Bernardone gli rimproverava troppa generosità verso i poveri, Francesco, dinanzi al Vescovo di Assisi, con un gesto simbolico si spogliò dei suoi abiti, intendendo così rinunciare all’eredità paterna: come nel momento della creazione, Francesco non ha niente, ma solo la vita che gli ha donato Dio, alle cui mani egli si consegna.
Poi visse come un eremita, fino a quando, nel 1208, ebbe luogo un altro avvenimento fondamentale nell’itinerario della sua conversione.
Ascoltando un brano del Vangelo di Matteo – il discorso di Gesù agli apostoli inviati in missione –, Francesco si sentì chiamato a vivere nella povertà e a dedicarsi alla predicazione. Altri compagni si associarono a lui, e nel 1209 si recò a Roma, per sottoporre al Papa Innocenzo III il progetto di una nuova forma di vita cristiana. Ricevette un’accoglienza paterna da quel grande Pontefice, che, illuminato dal Signore, intuì l’origine divina del movimento suscitato da Francesco.
Il Poverello di Assisi aveva compreso che ogni carisma donato dallo Spirito Santo va posto a servizio del Corpo di Cristo, che è la Chiesa; pertanto agì sempre in piena comunione con l’autorità ecclesiastica. Nella vita dei santi non c’è contrasto tra carisma profetico e carisma di governo e, se qualche tensione viene a crearsi, essi sanno attendere con pazienza i tempi dello Spirito Santo.
In realtà, alcuni storici nell’Ottocento e anche nel secolo scorso hanno cercato di creare dietro il Francesco della tradizione, un cosiddetto Francesco storico, così come si cerca di creare dietro il Gesù dei Vangeli, un cosiddetto Gesù storico. Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia. La verità è che san Francesco ha avuto realmente una relazione immediatissima con Gesù e con la parola di Dio, che voleva seguire sine glossa, così com’è, in tutta la sua radicalità e verità. E’ anche vero che inizialmente non aveva l’intenzione di creare un Ordine con le forme canoniche necessarie, ma, semplicemente, con la parola di Dio e la presenza del Signore, egli voleva rinnovare il popolo di Dio, convocarlo di nuovo all’ascolto della parola e all’obbedienza verbale con Cristo. Inoltre, sapeva che Cristo non è mai "mio", ma è sempre "nostro", che il Cristo non posso averlo "io" e ricostruire "io" contro la Chiesa, la sua volontà e il suo insegnamento, ma solo nella comunione della Chiesa costruita sulla successione degli Apostoli si rinnova anche l’obbedienza alla parola di Dio.
E’ anche vero che non aveva intenzione di creare un nuovo ordine, ma solamente rinnovare il popolo di Dio per il Signore che viene. Ma capì con sofferenza e con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il diritto della Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si inserì in modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con i Vescovi. Sapeva sempre che il centro della Chiesa è l'Eucaristia, dove il Corpo di Cristo e il suo Sangue diventano presenti. Tramite il Sacerdozio, l'Eucaristia è la Chiesa. Dove Sacerdozio e Cristo e comunione della Chiesa vanno insieme, solo qui abita anche la parola di Dio. Il vero Francesco storico è il Francesco della Chiesa e proprio in questo modo parla anche ai non credenti, ai credenti di altre confessioni e religioni.
Francesco e i suoi frati, sempre più numerosi, si stabilirono alla Porziuncola, o chiesa di Santa Maria degli Angeli, luogo sacro per eccellenza della spiritualità francescana.
Anche Chiara, una giovane donna di Assisi, di nobile famiglia, si mise alla scuola di Francesco.
Ebbe così origine il Secondo Ordine francescano, quello delle Clarisse, un’altra esperienza destinata a produrre frutti insigni di santità nella Chiesa.
Anche il successore di Innocenzo III, il Papa Onorio III, con la sua bolla Cum dilecti del 1218 sostenne il singolare sviluppo dei primi Frati Minori, che andavano aprendo le loro missioni in diversi paesi dell’Europa, e persino in Marocco.
Nel 1219 Francesco ottenne il permesso di recarsi a parlare, in Egitto, con il sultano musulmano Melek-
Rientrato in Italia, Francesco consegnò il governo dell’Ordine al suo vicario, fra Pietro Cattani, mentre il Papa affidò alla protezione del Cardinal Ugolino, il futuro Sommo Pontefice Gregorio IX, l’Ordine, che raccoglieva sempre più aderenti. Da parte sua il Fondatore, tutto dedito alla predicazione che svolgeva con grande successo, redasse una Regola, poi approvata dal Papa.
Nel 1224, nell’eremo della Verna, Francesco vede il Crocifisso nella forma di un serafino e dall’incontro con il serafino crocifisso, ricevette le stimmate; egli diventa così uno col Cristo crocifisso: un dono, quindi, che esprime la sua intima identificazione col Signore.
La morte di Francesco – il suo transitus -
Due anni più tardi il Papa Gregorio IX lo iscrisse nell’albo dei santi. Poco tempo dopo, una grande basilica in suo onore veniva innalzata ad Assisi, meta ancor oggi di moltissimi pellegrini, che possono venerare la tomba del santo e godere la visione degli affreschi di Giotto, pittore che ha illustrato in modo magnifico la vita di Francesco.
È stato detto che Francesco rappresenta un alter Christus, era veramente un’icona viva di Cristo. Egli fu chiamato anche "il fratello di Gesù". In effetti, questo era il suo ideale: essere come Gesù; contemplare il Cristo del Vangelo, amarlo intensamente, imitarne le virtù. In particolare, egli ha voluto dare un valore fondamentale alla povertà interiore ed esteriore, insegnandola anche ai suoi figli spirituali. La prima beatitudine del Discorso della Montagna -
In Francesco l’amore per Cristo si espresse in modo speciale nell’adorazione del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Nelle Fonti francescane si leggono espressioni commoventi, come questa: "Tutta l’umanità tema, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, vi è Cristo, il Figlio del Dio vivente. O favore stupendo! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi per la nostra salvezza, sotto una modica forma di pane" (Francesco di Assisi, Scritti, Editrici Francescane, Padova 2002, 401).
In quest’anno sacerdotale, mi piace pure ricordare una raccomandazione rivolta da Francesco ai sacerdoti: "Quando vorranno celebrare la Messa, puri in modo puro, facciano con riverenza il vero sacrificio del santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo" (Francesco di Assisi, Scritti, 399).
Francesco mostrava sempre una grande deferenza verso i sacerdoti, e raccomandava di rispettarli sempre, anche nel caso in cui fossero personalmente poco degni. Portava come motivazione di questo profondo rispetto il fatto che essi hanno ricevuto il dono di consacrare l’Eucaristia. Cari fratelli nel sacerdozio, non dimentichiamo mai questo insegnamento: la santità dell’Eucaristia ci chiede di essere puri, di vivere in modo coerente con il Mistero che celebriamo.
Dall’amore per Cristo nasce l’amore verso le persone e anche verso tutte le creature di Dio. Ecco un altro tratto caratteristico della spiritualità di Francesco: il senso della fraternità universale e l’amore per il creato, che gli ispirò il celebre Cantico delle creature. È un messaggio molto attuale. Come ho ricordato nella mia recente Enciclica Caritas in veritate, è sostenibile solo uno sviluppo che rispetti la creazione e che non danneggi l’ambiente (cfr nn. 48-
Cari amici, Francesco è stato un grande santo e un uomo gioioso. La sua semplicità, la sua umiltà, la sua fede, il suo amore per Cristo, la sua bontà verso ogni uomo e ogni donna l’hanno reso lieto in ogni situazione. Infatti, tra la santità e la gioia sussiste un intimo e indissolubile rapporto. Uno scrittore francese ha detto che al mondo vi è una sola tristezza: quella di non essere santi, cioè di non essere vicini a Dio. Guardando alla testimonianza di san Francesco, comprendiamo che è questo il segreto della vera felicità: diventare santi, vicini a Dio!
Ci ottenga la Vergine, teneramente amata da Francesco, questo dono. Ci affidiamo a Lei con le parole stesse del Poverello di Assisi: "Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te nata nel mondo tra le donne, figlia e ancella dell’altissimo Re e Padre celeste, Madre del santissimo Signor nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo: prega per noi... presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e Maestro" (Francesco di Assisi, Scritti, 163).
Papa Benedetto XVI, Udienza Generale -
Mercoledì, 27 gennaio 2010
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http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2010/documents/hf_ben-
Altissimo, onnipotente, bon Signore,
tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfanno,
et nullo homo ene digno te mentovare.
Laudato sì, mi' Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messer lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l'hai formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale alle tue creature dai sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sora acqua,
la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si', mi' Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte;
et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.
Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore,
et sostengon infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke le sosterrano in pace
ka da te, Altissimo, saranno incoronati.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra morte corporale,
da la quale nullo homo vivente pò skappare.
Guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda nol farà male.
Laudate et benedicete mi' Signore et rengratiate
e servitelo cum grande humilitate.
Gabriella Bitterlich
L’austriaca Gabriele Bitterlich è la fondatrice dell’ associazione cattolica Opus Angelorum. Gabriele nasce il 1 novembre 1896 a Vienna. Sin dall’infanzia è guidata visibilmente dall’angelo custode nel cammino dell’obbedienza alla volontà di Dio. Il 23 Maggio 1919 si sposa con Hans Bitterlich a Insbruch. Pur compiendo fedelmente i doveri di sposa e di madre con tre figli più tre orfani di guerra adottati, ella aiuta i poveri e gli ammalati si impegna nella preghiera di espiazione specialmente per i sacerdoti e i religiosi. Ogni venerdì partecipa spiritualmente alla Passione del Signore. Nel 1949 dà inizio all’Opus Angelorum. Nel 1961 il vescovo di Innsbruck erige la confraternita degli angeli custodi. Nel 1971, vedova da dieci anni si trasferisce nel castello di San Petesberg, vicino ad Insbruck, dove muore il 4 aprile 1978. La Bitterlich nel suo calendario degli angeli parla due volte degli angeli del purgatorio. Il 3 novembre dice che l’angelo delle povere anime si chiama san Barabbiel ... ... e scrive testualmente: “Egli indossa una veste succinta, come se tornasse dai campi e dalle sue spalle pende una sacca di lino da seminatore. Egli si comporta come un servo in attesa del suo padrone, con la lanterna accesa accanto a se. Egli deve uscire appunto nella notte, così vuole il padrone che gli ordina: “ Esci fuori dal campo e raccogli le spighe che stanno ancora là fuori”. L’angelo cui sono rivolte queste parole e che oggi sta dinnanzi ai nostri occhi è San Barabbiel, l’angelo delle povere anime del purgatorio. E’ uno del nono coro dei santi angeli, ma è al servizio dell’angelo della potestà del volere di Dio al momento del giudizio – appartiene quindi al coro delle alte Potestà- Perciò il compito di san Barabbiel si svolge dentro questo tempo del giudizio e del rendiconto. Quando l’anima dell’uomo si separa dalla vita deve comparire davanti al tribunale di Dio, lo voglia o meno. Essa viene messa di fronte a quella che fu la sua vita, che ora passa davanti ai suoi occhi con la perfezione del più fine strumento filmico terreno. Tutto ciò che è stato pensato, detto, fatto sia di nuovo davanti a lei. Qui, davanti agli occhi dell’onnisciente Iddio, al quale niente era nascosto, essa stessa pronuncia la sentenza, Dio mette solo la sua Giustizia contro l’ostinazione, e sul pentimento depone il suo amore. E con La parola di amore che esce dalla bocca di Dio: “Va, e lavati, perché diventi pura!” di Re, cittadino o mendicante diventa solo una povera anima che espia, ciò che ancora non è espiato, e dall’oscurità dell’espiazione può salire all’eterna luce della beatitudine in cielo. Spesso accade che il debito di una persona esiga anche una espiazione sulla terra,specie per le persone che sulla terra furono troppo superbe a pregare. Non dobbiamo spaventarci davanti a questo, quando sentiamo il lamento, la preghiera, il singhiozzare oppure anche un rumore come graffiare, arrampicarsi, battere ecc. queste povere anime non possono effettivamente farsi notare in altro modo che con rumori primitivi, propri della natura. Pensiamo sempre che accanto a loro sta il buon angelo san Barabbiel con la sua lanterna, che lo aiuta a trovare uno che preghi per loro. Egli esce fuori con la sua luce nell’oscurità del mondo, dappertutto ancora una colpa chiama all’espiazione. E quando egli ha trovato una povera anima davvero meritevole di compassione , allora va, anzi no, vola per portarle aiuto. Egli tocca il cuore di persone sensibili, il cuore di persone buone che pregano, affinché esse facciano scorrere sopra queste anime la loro preghiera di intercessione come acqua leggera, delicata, salutare con la forza della Santa Madre Chiesa, fino a che il braccio della Giustizia di Dio è tolto via dal braccio dell’amore e della misericordia di dio e san Barabbiel mette l’anima fra le braccia del suo angelo custode. Ora il granellino – per modo di immagine – viene portato nella casa del padre. Non dobbiamo mai pensare che la Giustizia di Dio mandi le povere anime per spaventare, ma nemmeno dobbiamo mai disperarci o spaventarci, come se la nostra colpa non si possa essere rimessa o non sia espiabile. Ci incoraggia la parola: “E fossero i tuoi peccati rossi come la porpora, essi diventeranno bianchi come la neve”, solo che noi ci pentiamo. E quanto longanime sia Iddio e quanto egli perdoni, lo vediamo nel compito di san Barabbiel, lui che aiuta e intercede per gli ultimi”. Il 17 giugno la Bitterlich definisce gli angeli del purgatorio come angeli dell’arcobaleno e scrive: “ Davanti al trono di Dio la bella creazione si eleva a modo di volta apparentemente rotondo attorno a tutta la creazione un meraviglioso arcobaleno a sette colori, portato dagli angeli, fatto di onde dalle chiare tonalità, formato dal soffio dell’umanità, dal cantico di lode degli angeli, dalle aspirazioni sospirose delle povere anime. La testimonianza delle creature davanti al loro creatore. Ai margini esso è luminosissimo . lì gli angeli cantano il loro inno di lode verso l’alto: da una parte, immerso nella più chiara luce, il Serafino dello spirito, San Araba, che porta la parola: “Apparuit gratia et benignitas Dei”. Egli assieme a legioni di angeli dell’amore, che hanno già condotto alla beatitudine del cielo il loro protetto o che ancora operano nella opera della salvezza, porta la lode di tutti quegli angeli; all’altra luminosa estremità sta il Serafino del Padre con legioni di angeli della vita, san Elchai, che porta la parola: “Mitezza di Dio”. Tutti portano il cantico di Maria come figlia del Padre, madre del Figlio e sposa dello Spirito Santo , e Regina di tutti gli angeli, tutti i canti mariani e quanto a lei si riferisce, si raccoglie qui un meraviglioso torrente di cantico di lode. Verso la meta l’arcobaleno si fa più scuro. Ci sono ancora luminosi colori rinchiusi fra le chiare rive. Da una parte accanto a San Araba sta con i suoi sostenitori dell’arcobaleno un potente angelo come un ardente aurora del mattino, quando sorge il sole, con le ali come u n tetto disteso sopra la creazione, come l’orlo del manto regale di Maria, che passa sopra tutta la terra e sale su fino al cielo. E’ il Cherubino san Zaphriel; egli porta la parola: “inabissamento di Dio”. Egli si piega sulle povere anime e raccoglie i loro spiriti come la voce di un bambino, che è ancora intontito dal sonno, come il sospiro di desiderio un attimo prima del compimento. Un giorno è per queste anime come mille anni – eppure mille anni sono solo un giorno in confronto dell’eternità, perché il purgatorio è ancora un passaggio e un diventare trasformati, mentre Cielo e Inferno, rappresenta un modo di essere – e basta! Dall’altra parte, accanto a san Elchai, il serafino, c’è un angelo con il sigillo del Coro delle dominazioni, san Urim, che porta l’amore imprigionato del padre come Vita. Egli è pensoso, potente, e si specchia in lui tutto ciò che nella creazione è verde, vivo, e si muove. Egli è perfetto equilibrio e misura, e il respiro della creazione che egli; ha da portare, è come il respiro aereo oppure come il leggero mormorare dell’onde di un lago, innalzato nell’arcobaleno come cantico di lode della creazione. Accanto a san Urim, verso il mezzo sta san Abbael, la potenza della croce, egli raccoglie le pulsazioni del cuore di tutta l’umanità che tenta di salire con il suo grande manto azzurro e lo riversa ai piedi della croce, che egli sorregge, e che dalla terra sale fino al cielo. Poi in mezzo all’arcobaleno ci sono due angeli là dove esso diventa scuro fino al violetto più profondo quasi nero. Uno di questi angeli è san Eliguel del IX Coro degli angeli, che deve contare le ricchezze e i tesori dei ricchi. Dove può, egli trasforma questi tesori, in preghiera e in riparazione, elemosine e paziente sopportazione delle malattie. Ma molte persone non voglio cedere i loro tesori: allora questi diventano per loro amare accuse e le persone stesse pecore smarrite, i cui lamenti e singulti questo angelo deve raccogliere. L’altro angelo è san Thrusiel, il muto. Egli sta qui per quelli che sono eternamente perduti, la cui voce è muta davanti a Dio per sempre e che tuttavia erano una volta figli di Dio ed eredi del cielo. Per loro il sangue del Redentore è stato sparso inutilmente. E per ciò l’angelo tace nel lutto sopra quella proprietà di Dio, che pur rimangono i perduti nella sorte che essi stessi si sono procurati. Nell’arcobaleno si apre il posto vuoto, e l’angelo è l’unico fra i suoi simili, che non può più pregare per coloro al posto dei quali egli sta qui”. https://musicasacra.forumfree.it/?t=47718594 Don Marcello Stanzione |
Dalle «Orazioni» e rivelazioni a santa Brigida
Con Dio, attraversate la tempesta
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17
maggio 2005
GESÙ: ”Vi parlo dei vostri figli ai quali voi preparate dei giorni
oscuri, perché siete incapaci di parlare loro di Me, vostro Dio, Unico e Vero.
FateMi amare dai vostri figli !
Li
volete forse come voi stessi, smarriti, disperati, senza sapere dove dirigersi
per trovare la Vera Via e la Vera Libertà? Voi siete prigionieri
della Ragione. Dov’è il vostro spirito ? Nelle tenebre profonde.
Dov’è il vostro cuore ? Vicino ai Ragionatori del vostro tempo, tutti quelli
che vi dicono: “Conquistate con noi” Che cosa ? Non è una
Nuova Terra e dei Cieli Nuovi che vi propongono, perché tutto questo è in Dio.
Essi vi dicono: “Noi siamo il Potere, la Forza e la Ragione. Noi siamo la
Speranza di un tempo di rinnovamento.”
È un
tempo talmente complesso che i più impegnati ne tremano già, e non possono
spiegarlo, né svincolarsi dalla loro promessa.
Chi semina vento raccoglie tempesta.
Fatevi
piuttosto delle basi solide che vi sosterranno durante quella Tempesta che sta
arrivando e che attraverserete con Me. Perché Io sono la Pietra d’Angolo di
tutte le costruzioni solide, durevoli e necessarie alla Vita, la Vita
che continua
nell’Eternità di Colui che vi dice: Io sono la Vita. Sì, la Vita
Eterna. Viene infatti Colui che vi dice: Io sono L’Eterno
Presente. Non giudicate il figlio che Dio ha messo al posto di Pietro.
La sua autorità viene dalla scelta del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo. Se la
Mia Chiesa deve subire una crisi, il vostro Papa Benedetto XVI, la
subirà con essa. È troppo presto per informarvi della causa.
Quello
che posso dirvi, è di essere sempre uniti alla Mia Chiesa. La Testa della Mia
Chiesa sono Io, Suo Capo spirituale ed eterno, GESÙ Cristo. Il Mio Vicario,
eletto sulla vostra Terra, il vostro Papa Benedetto XVI, al quale Io vi chiedo
di concedere la vostra totale fiducia, è proprio il Papa del vostro
tempo, che si avvia, con voi tutti, verso la Fine dei Tempi. Sostenetelo
con le vostre Preghiere. Una Stella luminosa vi indicherà sempre la Via che conduce a Dio, é il vostro
Papa Giovanni Paolo Il.
Figli
della Terra, con il Mio Amore unito all’Amore della Mia Santa Madre, Dio Padre
Onnipotente vi benedice. Lo Spirito di Dio aleggia sulla vostra Terra. Egli
viene a fare l’Unità delle Chiese con la Croce del Benamato. Amen.
GESÙ
Cristo.