giovedì 5 gennaio 2023

COSI' è scritto nell'Opera scritta dalla Divina Sapienza...

 


Opera scritta dalla Divina Sapienza per gli eletti degli ultimi tempi

 

20.04.05

 

 

Eletti, amici cari, esulti in Me il vostro piccolo, cuore perché una pioggia di Grazie salvifiche scende sulla terra come mai è accaduto nel passato. Ecco, il Mio Cuore Che immensamente ama, vuole salvare ogni uomo della terra; il flusso di Grazie continua: tutti Le colgano per rinnovarsi nello spirito, per divenire uomini nuovi volti a Me con la mente, col cuore, con l’anelito dell’anima. 

Amici cari, vi chiedo di rinnovarvi sempre di più in Me, per aiutare il mondo a cambiare. Se Io posso operare con Potenza in voi, potete fare, con Me, cose grandi sulla terra, per poi godere la ricca ricompensa alla fine della vostra fatica. Amici cari, rinnovate la terra col vostro esempio, chi vi vede, chi vi sente, rimanga edificato e dica tra sé: “Questo è un vero discepolo di Gesù Cristo.” Amati, Io sono in voi e voi siete Miei, nulla temete; anche se tremasse la terra nulla accadrebbe a voi, perché Mi appartenete.

 

 

Sposa amata, non pensare che la tua missione, quella che Io, Io, Gesù, ti ho assegnato sia verso la fine, la fase più importante è appena incominciata, opero in te con Potenza e voglio che il mondo si rinnovi alle Mie Parole e risponda al Mio Amore. Piccola Mia, sei disposta a fare bene quello che Io voglio da te in questo momento grandioso della storia?


 Ogni Mio strumento è una parte di un grande mosaico, l’insieme soltanto Io lo conosco; quando il tempo sarà completato, mostrerò al mondo le Mie più grandi Meraviglie. Esulteranno i Miei eletti in Me e benediranno la loro fatica fatta, i sacrifici offerti, le preghiere volte a Me giorno e notte, notte e giorno. Ecco, i loro occhi Mi vedranno in terra prima ancora di vederMi in Cielo, esultanza si unirà ad esultanza, gioia vera a gioia vera. Amati, se ora vi chiedo di più, senza titubanze, donateMi di più, avrete un premio unico, tanto sospirato da tutti i Miei amici, ma goduto da pochi perché il tempo non era maturo.


Mi dice la Mia sposa: “Gesù adorato, voglio fare tutto per Te, non c’è sacrificio troppo grande o fatica troppo pesante, è sempre cosa deliziosa servirTi; Tu, Adorato, mi chiedi sempre così poco per darmi le cose più belle. In questi giorni benedetti, hai inondato il mondo di Grazie, tutta la terra è stata bagnata dalla Tua Soave Rugiada; ora, Amore Infinito, ci hai donato un nuovo Papa, il suo nome è già tutto un programma, si chiama Benedetto come il santo soavissimo che ha riempito la terra della sua fragranza e l’ha unita nel Tuo Amore. Signore adorato, volgi il Tuo Benevolo Spirito verso questo nuovo Papa; opera in lui, guidalo, sostienilo come hai fatto col precedente, la Madre Tua Santissima, lo tenga ben stretto per mano; vedo intorno a lui pericoli nuovi, infondi nel suo cuore il Tuo Vigore, nella mente un Raggio della Tua Sapienza, trasmetti alla sua anima il Tuo Anelito. Ecco, Gesù, il mio cuore esulta in Te; come sei grande nell’Amore, sai solo dare Amore, sei Tutto Amore, possa ogni cuore capirlo e vivere per benedirTi, lodarTi, ringraziarTi e adorarTi”.

Amata Mia sposa è bello l’auspicio che fai, poni il tuo capo sul Mio Cuore, Roveto Ardentissimo d’Amore, ed ascolta serena le Mie Parole: hai parlato di una pioggia di Grazie che scendono in questi giorni, così è, infatti, sto donando molto perché ognuno faccia buona scorta, nel mondo ci saranno giorni forti come mai ci sono stati nel passato anche nel tempo del diluvio né in quelli della Pentapoli, occorre che ognuno sia pronto ad affrontarli. Chi è ricco delle Mie Grazie è come un castello ben custodito; chi può assalirlo ed espugnarlo? Chi, invece, è povero delle Mie Grazie è come una fortezza aperta al nemico, chiunque può entrare e fare preda a piacere. Ecco il significato di questa pioggia fitta di Grazie: la preparazione ad affrontare un tempo duro, il più difficile della storia umana. 


Occorre essere pronti, forti della Mia Forza, ben illuminati dalla Mia Luce; ecco chi sarà il vittorioso: colui che ha fatto buona scorta delle Mie Grazie, chi Le ha colte e Ne ha fatto tesoro. Vi ho fatto Dono di un nuovo Papa, su di lui effonderò le Mie Grazie speciali e le Mie Benedizioni, lo guiderò nel suo cammino e la terra si arricchirà per la sua opera indefessa. 


Ancora una voce forte ci sarà per il mondo, tutti la sentiranno, ma, ti dico, che pochi la seguiranno, un gran numero resterà affondato nel suo errore e non avrà scampo. Sposa amata, non ti rattristino le Mie Parole; sai, perché l’ho spiegato più volte, che l’uomo è libero, può accogliere i Miei grandi Doni, può anche rifiutarLi. Chi Li coglie e cambia la sua vita, vedrà compiersi in lui, intorno a lui, nel mondo intero, le Meraviglie del Mio Amore; chi, invece, continua a rifiutare sarà come un soldato disarmato che va al fronte ebro, quale sarà la sua fine? 


Amata sposa, molto offro in questo grande momento storico, molto offro perché poi chiederò di più, molto di più di quanto abbia mai chiesto. Amata sposa, nessuno lasci passare invano questo momento di Grazia, ma lo colga istante dopo istante. Nel momento della prima benedizione di Benedetto, il nuovo Papa, sul mondo è caduta una pioggia di Grazie fitta fitta, la terra ne è stata inondata, beato l’uomo saggio che ne ha fatta buona scorta.

Mi dici: “Adorato Signore, so che con quella benedizione è stata lucrata l’indulgenza plenaria urbi et orbi, Ti ringrazio per il grande Dono del Tuo Amore”.


Amata sposa, la benedizione della quale parli è stata speciale, chi degnamente l’ha colta si è arricchito di Grazie uniche che utilizzerà nel momento grande della sua vita. Il mondo, ricco nello spirito, si è arricchito ancora di più, ora il suo scrigno è colmo di ricchezza unica. Non a caso ho suggerito, a questo nuovo Papa, il nome di Benedetto, egli* è stato una Luce fulgida in tanto buio, così farò brillare la Mia Luce speciale attraverso questo Benedetto, così come feci col suo predecessore. Una grande Luce brillerà, squarcerà il buio fitto dei cuori, ma i ciechi volontari non La vedranno né i sordi udranno le Parole di Vita Che Io, Io, Gesù, pronuncerò attraverso di Lui. Non rattristarti per questo, amata sposa, vieni nel Mio Cuore, godi, anche in questo giorno, le Delizie del Mio Amore. Ti amo.

Vi amo.

 

                                                                                                Gesù

 

*egli = S.Benedetto

 

Opera scritta dalla Divina Sapienza per gli eletti degli ultimi tempi

 

20.04.05

 


 

La Mamma parla agli eletti

 

 

Figli cari e tanto amati, benedite Dio con tutto il cuore per questi grandi giorni che vi dona nel Suo Amore Immenso. Le Grazie scendono copiose nel mondo, ognuno Ne faccia tesoro. Nel momento della prima benedizione del nuovo santo Padre, il Cuore Meraviglioso e Santissimo di Dio si è aperto ed ha lasciato cadere immensi tesori nel cuore di coloro che erano aperti al Suo Amore ed in Grazia Sua. Sono Doni di fortezza, di perseveranza, di solidità nella fede; ecco, una pioggia meravigliosa ha inondato i cuori e li ha preparati ad affrontare il futuro incisivo e forte.


Mi dice la Mia piccola: “Madre Santissima, sia benedetto Gesù che non perde occasione per inondare il mondo di Grazie meravigliose, possa ogni uomo coglierLe per la propria salvezza e per quella altrui. Porta all’Amore Infinito, al Figlio Tuo Benedetto, il nostro canto di lode e di ringraziamento; porta, anche, Dolce Madre, l’implorazione di Grazie speciali per il nuovo santo Padre, una grande responsabilità grava su di lui. Nella sua prima omelia, ha chiesto con umiltà le nostre preghiere. Madre Santissima, ogni giorno le avrà, ogni giorno saliranno da ogni parte della terra preghiere intense e profonde per lui, già a noi tanto caro. Ti chiedo, Madre Soavissima, di portare a Tuo Figlio ogni nostra preghiera, abbia il Papa nuovo sostegno ed aiuto da noi, in ogni istante di vita. La Tua Mano Soave tocchi la sua fronte per ispirargli i pensieri più santi; il Tuo Cuore lo avvolga col Tuo Amore Meraviglioso; la Tua Anima sublimissima trasmetta a lui i Suoi aneliti”.


Figli amati, come Mi è gradita questa vostra preghiera che scaturisce da cuori ardenti d’amore per Gesù, per Me, per l’intera Umanità. Ebbene, come prima cosa porterò le vostre orazioni a Mio Figlio Santissimo, poi, come chiedete, piccoli tanto cari, poserò la Mia Mano sul capo di Benedetto XVI, gli ispirerò pensieri santi che lo aiuteranno nel suo difficile compito. 


Metterò nel suo cuore una Scintilla del Mio Amore, perché con Questa egli possa incendiare il mondo; unirò il suo anelito al Mio di Madre Universale, non sarà mai solo nel reggere la Chiesa santa, sempre sarò con lui nel suo pontificato. Ora, il suo cuore è un po’ turbato per il compito grande e meraviglioso affidatoGli da Gesù, ma, fra poco, ogni turbamento diverrà grande gioia per la chiamata forte alla santità. Gesù, in questo momento, parla dolcemente al suo cuore e gli infonde nuovo Vigore e grande Pace, gli dice: 


“Non avere paura, servo fedele ed amato: ti ho scelto, ti ho chiamato; ora, tu sei in Me, Io sono in te, vedrai quante Meraviglie compirò in te e tramite te nel mondo”. Questo gli dice mentre riempie di grande Dolcezza il suo cuore un po’ turbato. Figli amati, oggi Gesù chiede, ai Suoi servi fedeli, più del passato, perché, come potete capire, guardandovi intorno, i bisogni del mondo sono aumentati: molte sono le anime assopite da svegliare, molti i cuori freddi da scaldare. Ecco, anche per voi c’è stata una grande Chiamata, date il meglio di voi stessi ogni giorno per la Sua causa. 


I tempi sono speciali, sapete, perché molte volte ne ho parlato; sapete che grandi fatti devono accadere, unici, forti come mai nel passato. Siate pronti figli amati, pronti a qualunque situazione, siete i nuovi discepoli di Gesù. La battaglia non sarà facile, ma con Gesù, l’Eterno Vittorioso, certo sarete anche voi vincitori. 

Impegnatevi senza paura, senza alcuna titubanza; impegnatevi ed avrete una ricompensa grande e meravigliosa quale neppure potete immaginare. Gesù, figli, è grande nell’Amore, il Suo Cuore è Generoso, vuole donare le cose più belle, perché ama, è un Oceano d’Amore.

Insieme leviamo il Nostro canto di lode, di ringraziamento, di adorazione. Vi amo tutti. 

                                                                                    Ti amo, angelo Mio.

                                                                                               

                                                                                                Maria Santissima




Il teologo Simone Billeci ricorda...

 Quando il Nobel Parisi impedì a Ratzinger di parlare alla Sapienza

Quando il Nobel Parisi impedì a Ratzinger di parlare alla Sapienza


https://formiche.net/2021/10/nobel-giorgio-parisi-ratzinger/ 


Può essere utile, anche per capire la fede


Il fondamento della nostra libertà


Il carnevale non è certo una festa religiosa. Tuttavia non è concepibile senza il calendario delle festività liturgiche. Perciò una riflessione sulla sua origine e sul suo significato può essere utile anche per capire la fede.

Le radici del carnevale sono molteplici: ebree, pagane, cristiane, e ci rimandano ad aspetti comuni dell’uomo di tutti i luoghi e di tutti i tempi. Nel calendario delle festività ebraiche al carnevale corrisponde grosso modo la festa dei Purim, che ricorda la salvezza di Israele dall’incombente persecuzione degli ebrei nel regno di Persia, salvezza conseguita, secondo il racconto biblico, dalla regina Ester.
La gioia scatenata con cui la festa viene celebrata vuol essere espressione del senso di liberazione che, in questo giorno, non è solo memoria , ma promessa: chi è nelle mani del Dio di Israele, è libero in partenza dalle insidie dei suoi nemici.
Al tempo stesso, dietro questa festa scatenata e profana, che aveva e ha tuttavia il suo posto nel calendario religioso, c’è quella conoscenza del ritmo del tempo, validamente espressa nel libro di Qoèlet.
Tutto ha la sua ora e c’è un tempo per ogni cosa sotto il sole: un tempo per la nascita e un tempo per la morte, un tempo per piantare e un tempo per cogliere ciò che si è piantato…un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per lamentarsi e un tempo per ballare” (Qo 3,1ss.).
Ogni momento non è il momento giusto per ogni cosa: l’uomo ha bisogno di un ritmo, e l’anno gli dà questo ritmo, nel creato e nella storia che la fede presenta nel corso dell’anno.

Siamo così giunti all’anno liturgico, che fa percorrere all’uomo l’intera storia della salvezza nel ritmo del creato, ordinando e purificando così il caos e la molteplicità del nostro essere. In questo ciclo di creazione e storia non è tralasciato nessun aspetto umano, e solo così viene salvato tutto ciò che è umano, i lati oscuri come quelli luminosi, la sensorialità come la spiritualità. Tutto riceve il proprio posto nell’insieme che gli dà un senso e lo libera dall’isolamento.

Perciò è sciocco voler prolungare il carnevale come vorrebbero affari e scadenzari: questo tempo arbitrario diventa noia, perché in esso l’uomo diviene soltanto creatore di se stesso, è lasciato solo e si trova davvero abbandonato. Il tempo non è più il molteplice dono del creato e della storia, ma il mostro che divora se stesso, l’ingranaggio vuoto dell’eternamente uguale, che ci fa girare in un cerchio insensato e che distrugge infine anche noi.

Ma torniamo alle radici del carnevale. Accanto ai precedenti ebraici ci sono quelli pagani, il cui volto truce e minaccioso ci fissa ancora dalle maschere dei paesi alpini e svevo-germanici. Qui si celebravano i riti della cacciata dell’inverno, dell’esorcismo delle potenze demoniache: nel mutare del tempo si avvertiva la minaccia del mondo, la nuova creazione della terra e della sua fertilità doveva essere protetta contro il nulla a cui si avvicinava il mondo nel sonno dell’inverno.
A questo punto possiamo notare qualcosa di molto significativo : la maschera demoniaca si trasforma, nel mondo cristiano, in una divertente mascherata; la lotta pericolosissima con i demoni si cambia in gaudio prima della gravità della Quaresima. In questa mascherata avviene ciò che riscontriamo spesso nei salmi e nei profeti: essa diviene scherno di quegli dei che chi conosce il vero Dio non deve più temere.
Le maschere degli dei sono divenute uno spettacolo divertente, esprimono la gioia sfrenata di coloro che possono trovare motivi di comicità in ciò che prima faceva paura. In questo senso è presente nel carnevale la liberazione cristiana, la libertà dell’unico Dio, che rende perfetta quella libertà ricordata dalla festa ebraica dei Purim.
Si pone però un interrogativo: possediamo ancora questa libertà? Non è che ci siamo voluti liberare anche di Dio stesso, del creato e della fede, per essere completamente liberi? E la conseguenza non è forse che siamo di nuovo in balìa degli dei, delle potenze del denaro, dell’avidità, dell’opinione pubblica? Dio non è il nemico della nostra libertà, ma il suo fondamento; è questo che dovremmo imparare di nuovo oggi. Solo l’amore che è onnipotente può essere il fondamento di una gioia senza paura.

© Copyright 1986-2008 - Libreria Editrice Vaticana

AMDG et DVM

Orazioni dopo la Santa Comunione

 Anima Christi sanctifica me.

Corpus Christi salva me.
Aqua làteris Christi lava me.
Sanguis Christi inebria me.
Cor Christi sana me.
Sudor Vultus Christi vivifica me.
Passio Christi conforta me.
O bone Jesu! Exaudi me.
Intra tua vulnera absconde me.
Ne permittas me separari a Te.
Ab hoste maligno defende me.
In hora mortis meae voca me.
Et jube me venire ad Te.
Et pone me juxta Te.
Ut cum Sanctis et Angelis tuis laudem Te.
In saecula saeculorum. Amen.
In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum.
Redemisti me, Domine, Deus veritatis.

Altera deprecatio ad 
SS. Virginem Matrem.
Anima Virginis illumina me. Corpus Virginis custodi me.
Cor Virginis inflamma me. Mater Vultus Christi adjuva me.
Lac Virginis pasce me.
Fletus Virginis purifica me.
Manus Virginis succurre me.
Transitus Virginis laetifica me.
O Maria Sanctissima! intercede pro me.
Tibi in famulum suscipe me.
Ne permittas me separari a Te
Fac me semper confidere in Te.
A malis omnibus protege me.
Et ab insidiis diaboli libera me.
In hora mortis adjuva me.
Et iter mihi para tutum ad Te.
In saecula saeculorum. Amen.
In manus tuas Domina commendo spiritum meum.
Totam vitam meam et diem ultimum meum.
*
AMDG et DVM

martedì 3 gennaio 2023

Lezioni del ...Santo Natale: Il bue e l'asino del presepio

 


"Nel Bambino Gesù si manifesta al massimo l’inermità dell’amore di Dio: Dio viene senza armi, perché non intende conquistare dall’esterno..."


Il bue e l'asino del presepe

A Natale ci auguriamo di cuore che in mezzo a tutta la frenesia del presente questo tempo di festa ci porti in dono un po’ di riflessione e di gioia, di contatto con la bontà del nostro Dio e quindi nuovo coraggio per andare avanti.

All’inizio di una piccola riflessione su quello che la festa ci può dire oggi, un breve sguardo all’origine della celebrazione natalizia può esserci di grande aiuto.

L’anno liturgico della Chiesa innanzitutto non si è sviluppato guardando alla nascita di Cristo, ma dalla fede nella sua risurrezione. Per questo la festa più antica della cristianità non è il Natale, ma la Pasqua. In effetti solo la risurrezione del Signore ha fondato la fede cristiana e ha così dato origine alla Chiesa.

Per questo già Ignazio di Antiochia (morto al più tardi verso il 117 d.C.) definisce i cristiani come “coloro che non osservano più il sabato, ma vivono secondo il giorno del Signore”: essere cristiani significa vivere in maniera pasquale, in virtù della risurrezione, che viene celebrata settimanalmente nella festa pasquale della domenica.

Il primo ad affermare con certezza che Gesù nacque il 25 dicembre è stato Ippolito di Roma nel suo commento a Daniele, scritto verso il 204; Bo Reicke, già professore di esegesi a Basilea, ha inoltre richiamato l’attenzione sul calendario festivo, secondo il quale nel vangelo di Luca i racconti della nascita del Battista e della nascita di Gesù sono legati fra loro. Se ne potrebbe dedurre che Luca presuppone già nel suo vangelo la data del 25 dicembre come giorno della nascita di Gesù. Allora in quel giorno si celebrava la festa della dedicazione del tempio istituita da Giuda Maccabeo nel 164 a.C. La data della nascita di Gesù verrebbe allora a simbolizzare che con lui, apparso come luce di Dio nella notte invernale, si realizzava veramente la consacrazione del tempio - l’avvento di Dio su questa terra.


Comunque stiano le cose, la festa del Natale ha assunto una fisionomia chiara nella cristianità solo nel secolo IV, allorché essa prese il posto della festa romana del “Sol invictus” e insegnò a concepire la nascita di Cristo come la vittoria della vera luce; il materiale raccolto da Bo Reicke ha dimostrato che questa trasformazione di una festa pagana in solennità cristiana ha fatto tesoro di un’antica tradizione giudeo-cristiana.


Tuttavia il calore umano particolare, che tanto ci commuove nella festa di Natale fino al punto d’aver sopravanzato nel cuore della cristianità la Pasqua, si è sviluppato soltanto nel Medioevo, allorché Francesco d’Assisi, profondamente innamorato dell’uomo Gesù, del Dio-con-noi, introdusse questo nuovo elemento. Il suo primo biografo, Tommaso da Celano, racconta così nella Vita Seconda: “Più di qualsiasi altra festa Francesco celebrava con una gioia indescrivibile il Natale. Diceva che questa era la festa delle feste, perché in questo giorno Dio è diventato un bambinello e ha succhiato il latte come tutti gli altri bambini.

Abbracciava con tenerezza e trasporto le immagini che rappresentavano Gesù Bambino e pronunciava pieno di compassione parole dolci come i pargoli. Sulle sue labbra il nome di Gesù era dolce come il miele”.

Da questa sensibilità scaturì poi la famosa celebrazione del Natale a Greccio, forse ispirata a Francesco dal suo pellegrinaggio in Terra Santa e al presepio di Santa Maria Maggiore in Roma.

Egli fu spinto dalla sua sete di vicinanza, di realtà, dal suo desiderio di rivivere in maniera quanto mai attuale Betlemme,di sperimentare direttamente la gioia della nascita del Bambino Gesù e di trasmetterla a tutti i suoi amici.

Nella sua prima biografia Celano parla della notte del presepio in un modo che rimane sempre toccante per la gente e che ha dato un contributo decisivo alla diffusione della più bella delle usanze natalizie, quella del presepio.

A buon diritto possiamo dunque dire che la notte di Greccio ha ridonato alla cristianità la festa del Natale, così che il suo messaggio più autentico, il suo particolare calore e la sua umanità, l’umanità del nostro Dio, ha potuto comunicarsi alle anime e donare alla fede una nuova dimensione.

La festa della risurrezione aveva concentrato lo sguardo sulla potenza di Dio che vince la morte e ci insegna a sperare nel mondo che verrà.

Ma ora veniva messo in evidenza l’amore inerme di Dio, la sua umiltà e la sua bontà che si manifesta in questo mondo in mezzo a noi e si propone di insegnarci un nuovo modo di vivere e di amare.

Forse può essere utile fermarci ancora un attimo su questo punto e chiedere: dove si trova questa Greccio, che si è caricata di un significato tanto grande per la storia della fede? Si tratta di una piccola località nella valle retina, in Umbria, situata a non troppa distanza da Roma, a nord est della città. Laghi e montagne hanno conferito a questo paese il suo particolare fascino e la sua silenziosa bellezza, che riesce a commuoverci ancor oggi, tanto più che non è quasi stato toccato dalla confusione del turismo di massa.

Il convento di Greccio, situato a 638 metri di altezza, ha conservato qualcosa della semplicità delle origini; è rimasto modesto, come il paesello ai suoi piedi. La foresta lo circonda come ai tempi del Poverello e ci invita a sostare e a riflettere. Celano ricorda che Francesco aveva una particolare predilezione per gli abitanti di questa località, proprio per la loro povertà e semplicità; egli sarebbe quindi venuto spesso da quelle parti per riposarsi , attratto anche da una cella estremamente povera e isolata , in cui poteva dedicarsi indisturbato alla contemplazione delle cose celesti.


Povertà, semplicità, silenzio dell’uomo e parlare della creazione: erano certo queste le impressioni che per il Santo di Assisi si legavano a questo luogo.


Esso divenne così la sua Betlemme e potè inscrivere nuovamente il mistero di Betlemme nella geografia delle anime.

Ma torniamo al Natale del 1223. Il terreno di Greccio era stato messo a disposizione del Poverello di Assisi da un nobile signore di nome Giovanni che, stando alle parole di Celano, per quanto di alto lignaggio e malgrado la sua posizione elevata, “non annetteva alcuna importanza alla nobiltà del sangue e cercava piuttosto di raggiungere la nobiltà dell’anima”, tanto da meritarsi l’affetto di Francesco.

Orbene, a proposito di questo Giovanni, Celano racconta che in quella notte egli ebbe la grazia di una visione meravigliosa. Vide immobile nella mangiatoia un bambinello, che fu risvegliato dal suo sonno dalla vicinanza di san Francesco. E aggiunge:

“Questa visione corrispondeva realmente a quanto stava avvenendo, perchè fino a quel momento Gesù Bambino era effettivamente caduto nel sonno della dimenticanza in molti cuori. Mediante il suo servo Francesco il suo ricordo venne ravvivato e impresso indelebilmente nella memoria”.

Questo quadro descrive con molta precisione la nuova dimensione, che mediante la sua fede viva e commossa, Francesco conferì alla festa cristiana del Natale: la scoperta della rivelazione di Dio racchiusa precisamente nel Bambino Gesù.

Proprio così Dio è davvero diventato “Emmanuele”, Dio-con-noi, da cui non ci separa alcuna barriera di eccellenza e di lontananza:come bambino si è fatto così vicino che possiamo dargli tranquillamente del tu e accedere direttamente al suo cuore infantile.

Nel Bambino Gesù si manifesta al massimo l’inermità dell’amore di Dio: Dio viene senza armi, perché non intende conquistare dall’esterno, bensì guadagnare e trasformare dall’interno.

Se qualcosa è capace di vincere l’uomo, il suo despotismo, la sua violenza, la sua avidità, questa è l’inermità del bambino. Dio l’ha assunta per vincerci in questo modo e condurci a noi stessi.


Al riguardo non dimentichiamo che il massimo titolo di Gesù Cristo è quello di “Figlio”, di Figlio di Dio; la dignità divina viene indicata con un termine, che presenta Gesù come il bambino perenne. La sua condizione di bambino corrisponde in una maniera unica alla sua divinità, che è la divinità del “Figlio”.


Perciò essa è un’indicazione del modo in cui possiamo pervenire a Dio, alla divinizzazione. In questa luce vanno comprese le sue parole: “Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18,3).

Chi non ha compreso il mistero di Natale, non ha compreso la cosa decisiva del cristianesimo. Chi non l’ha accettato, non può entrare nel regno dei cieli.

E’ questo che Francesco volle ricordare alla cristianità del suo tempo e di tutte le epoche successive.

Seguendo le direttive di san Francesco, durante la Santa Notte furono sistemati nella grotta di Greccio un bue e un asino. Egli aveva infatti detto al nobile

Giovanni: “ Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”.

Da allora il bue e l’asino fanno parte di tutti i presepi. Ma donde deriva questa usanza? Com’è noto, i racconti natalizi del Nuovo Testamento non ne fanno parola. Se approfondiamo questa domanda, scopriamo un particolare importante sia per le usanze natalizie, sia per la spiritualità liturgica e popolare natalizia e pasquale della Chiesa.

Il bue e l’asino non sono semplici prodotti della pietà e della fantasia, ma sono diventati ingredienti dell’evento natalizio a motivo della fede della Chiesa nell’unità dell’Antico e del Nuovo Testamento. In Isaia 1,3 leggiamo infatti: “il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone; ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”.


I padri della Chiesa videro in queste parole una profezia che fa riferimento al nuovo popolo di Dio, alla Chiesa composta di giudei e pagani. Davanti a Dio tutti gli uomini, giudei e pagani, erano come buoi ed asini, privi di intelligenza e conoscenza. Ma il Bambino nella mangiatoia ha aperto loro gli occhi, cosicché ora essi riconoscono la voce del proprietario, la voce del loro Signore.

Nelle rappresentazioni medioevali del Natale vediamo come i due animali abbiano quasi volti umani, come si inchinino consapevoli e rispettosi davanti al mistero del Bambino. Ciò era perfettamente logico, perché essi avevano il valore di segno profetico dietro cui si nasconde il mistero della Chiesa, il nostro mistero, secondo il quale noi che di fronte all’eterno siamo buoi e asini, buoi e asini cui nella Notte Santa sono stati aperti gli occhi, si chè ora riconoscono nella mangiatoia il loro Signore.

Ma lo riconosciamo realmente? Quando collochiamo nel presepio il bue e l’asino, dobbiamo rammentarci tutte le parole di Isaia, che non sono solo vangelo – cioè promessa della futura conoscenza -, bensì anche giudizio sull’accecamento attuale. Il bue e l’asino riconoscono, ma “Israele non conosce e il mio popolo non comprende”.

Chi sono oggi il bue e l’asino, chi “il mio popolo” che non comprende? Da che cosa si riconoscono il bue e l’asino, da che cosa si riconosce “il mio popolo”?

Perché mai gli esseri privi di ragione riconoscono e la ragione è ceca?

Per trovare una risposta dobbiamo tornare ancora una volta con i Padri della Chiesa al primo Natale. Chi non riconobbe? Chi riconobbe? E perché ciò si verificò?


Orbene, a non riconoscere fu Erode. Egli non comprese nulla quando gli parlarono del Bambino, anzi, fu ancora più accecato dalla sua sete di potere e dalla conseguente mania di persecuzione(Mt 2,3). A non riconoscere fu “tutta Gerusalemme con lui” (ivi). A non riconoscere furono i dotti, i conoscitori delle Scritture, gli specialisti dell’interpretazione che conoscevano con esattezza il passo biblico giusto e tuttavia non compresero nulla (Mt 2,6).


A riconoscere furono invece “il bue e l’asino” – se paragonati con queste persone rinomate -: i pastori, i magi, Maria e Giuseppe. Poteva mai essere diversamente? Nella stalla, dove è lui, non abitano le persone raffinate, lì sono di casa appunto il bue e l’asino.

E la nostra posizione qual è? Siamo tanto lontani dalla stalla appunto perché siamo troppo raffinati e intelligenti per questo? Non ci perdiamo anche noi in una dotta esegesi biblica, nei tentativi di dimostrare l’inautenticità o l’autenticità storica di un certo passo, al punto da divenire ciechi nei confronti del Bambino e non percepire più nulla di lui? Non viviamo anche noi troppo in “Gerusalemme”, nel palazzo, racchiusi in noi, nella nostra autonomia, nella nostra paura di persecuzione, sì da non riuscire più a percepire di notte la voce degli angeli, unirci ad essa e adorare?

In questa notte i volti del bue e dell’asino ci rivolgono perciò questa domanda: il mio popolo non comprende, comprendi tu la voce del tuo Signore?

Quando collochiamo le statuine nel presepio, dovremmo pregare Dio di concedere al nostro cuore quella semplicità che riconosce nel Bambino il Signore, come fece una volta Francesco a Greccio. Allora potrebbe succedere anche a noi quanto Tommaso da Celano, quasi con le stesse parole di san Luca relative ai pastori del primo Natale (Lc 2,20), dice dei partecipanti alla messa di mezzanotte di Greccio: tutti se ne tornarono a casa pieni di gioia.


Da Joseph Ratzinger, "Immagini di speranza: Le feste cristiane in compagnia del Papa", Edizioni San Paolo 2005 /  publicato da Raffaella /

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