lunedì 2 gennaio 2023

AKATHISTOS



https://www.youtube.com/watch?v=VaByq4FG52o

Lettere di ALBINO LUCIANI. IN CHE RAZZA DI MONDO... Togliete Dio, cosa resta, cosa diventano gli uomini?

 IN CHE RAZZA DI MONDO...

A Gilbert K. Chesterton

Caro Chesterton,

sul video della televisione italiana è apparso nei passati mesi

padre Brown, imprevedibile prete-poliziotto, creatura tipicamente

tua. Peccato che non siano anche apparsi il professor Lucifero

e il monaco Michele. Li avrei visti volentieri, come tu li

hai descritti ne La sfera e la croce, viaggianti in aeroplano, seduti

l’uno di fronte all’altro, quaresima davanti a carnevale.

Quando l’aereo è sopra la cattedrale di Londra, il professore

scaglia una bestemmia all’indirizzo della croce.

«Sto pensando se questa bestemmia ti giovi – gli dice il monaco

–. Senti questa storia: io ho conosciuto un uomo come te;

anche lui odiava il crocifisso; lo bandì da casa sua, dal collo della

sua donna, perfino dai quadri; diceva che era brutto, simbolo

di barbarie, contrario alla gioia e alla vita. Diventò più furioso

ancora: un giorno s’arrampicò sul campanile di una chiesa, ne

strappò la croce e la scagliò dall’alto.


Andò a finire che questo odio si trasformò in delirio prima e

poi in furiosa pazzia. Una sera d’estate s’era fermato, fumando la

pipa, davanti ad una lunghissima palizzata; non brillava una luce,

non si muoveva una foglia, ma egli credette di vedere la lunga

palizzata tramutata in un esercito di croci, legate l’una all’altra

su per la collina, giù per la valle. Allora, roteando il bastone,

mosse contro la palizzata, come contro una schiera di nemici;

per quanto era lunga la strada, strappò, spezzò, sradicò tutti i

pali che incontrava. Odiava la croce e ogni palo era per lui una

croce. Arrivato a casa, continuò a veder croci dappertutto, pestò

i mobili, appiccò il fuoco e l’indomani lo trovarono cadavere nel

fiume».

A questo punto, il professore Lucifero guarda il vecchio monaco

mordendosi le labbra e dice: «Questa storia te la sei inventata!

». «Sì, risponde Michele, l’ho inventata adesso; ma essa

esprime bene quello che state facendo tu e i tuoi amici increduli.

Voi cominciate con lo spezzare la croce e finite col distruggere il

mondo abitabile».


La conclusione del monaco, che è poi la tua, caro Chesterton,

è giusta. Togliete Dio, cosa resta, cosa diventano gli uomini?

in che razza di mondo ci riduciamo a vivere? «Ma è il mondo

del progresso, senti dire, il mondo del benessere!». Sì, ma questo

famoso progresso non è tutto quel che si sperava: esso porta con

sé anche i missili, le armi batteriologiche e atomiche, l’attuale

processo di inquinamento, tutte cose che, se non si provvede in

tempo, minacciano di portare l’umanità intera a una catastrofe.

In altre parole il progresso con uomini che si amino, ritenendosi

fratelli e figli dell’unico Padre Dio, può essere una cosa

magnifica. Il progresso con uomini che non riconoscono in Dio

un unico Padre, diventa un pericolo continuo: senza un parallelo

processo morale, interiore e personale, esso – quel progresso –

sviluppa, infatti, i più selvaggi fondacci dell’uomo, fa di lui una

macchina posseduta da macchine, un numero maneggiatore di

numeri, «un barbaro in delirio – direbbe Papini – che invece

della clava può servirsi delle immense forze della natura e della

meccanica per soddisfare i suoi istinti predaci, distruttori ed orgiastici».


Lo so: molti pensano a rovescio di te e di me. Pensano che

la religione sia un sogno consolatore: l’avrebbero inventata gli

oppressi, immaginando un altro mondo inesistente, dove trovare

più tardi ciò che oggi rubano loro gli oppressori; l’avrebbero

organizzata, tutta a loro favore, gli oppressori, per tenere ancora

sotto i piedi gli oppressi e addormentare in essi quell’istinto di

classe, che, senza la religione, li spingerebbe alla lotta.

Inutile ricordare che proprio la religione cristiana ha favorito

il risveglio della coscienza proletaria, esaltando i poveri e annunciando

una giustizia futura. «Sì – rispondono – il cristianesimo

risveglia la coscienza dei poveri ma poi li paralizza, predicando

la pazienza e sostituendo alla lotta classista la fiducia in Dio e le

riforme graduali della società!».

Molti pensano anche che Dio e la religione, incanalando

speranze e sforzi verso un paradiso futuro e lontano, alienino

l’uomo, lo distolgano dall’impegnarsi per un paradiso vicino, da

realizzare qui in terra.

Inutile ricordar loro che, secondo il recente Concilio, un

cristiano, proprio perché cristiano, deve sentirsi più che mai impegnato

nel favorire un progresso, che è bene per tutti e una promozione

sociale, che sia di tutti. Resta, dicono, che voi pensate al

progresso per un mondo transitorio, in attesa di un paradiso definitivo,

che non verrà. Noi, il paradiso lo vogliamo qui, sbocco

di tutte le nostre lotte. Di esso già intravediamo il sorgere, mentre

il vostro Dio dai teologi della secolarizzazione viene chiamato

«morto». Noi siamo con Heine, che scrisse: «Senti la campanella?

In ginocchio! Portano gli ultimi sacramenti a Dio che muore!».

Caro Chesterton, tu e io ci mettiamo bensì in ginocchio,

ma davanti a un Dio più attuale che mai. Lui solo, infatti, può

dare una risposta soddisfacente a questi tre problemi, che sono

per tutti i più importanti: «Chi sono io? Donde vengo? Dove

vado?».

Quanto al paradiso, che si godrà sulla terra e sulla terra soltanto,

e in un futuro prossimo a conclusione delle famose «lotte»,

vorrei fosse sentito uno che è più bravo di me e – senza offuscare

i tuoi meriti – anche di te: Dostoevskij.

Tu ricordi il dostoevskijano Ivan Karamazov. È un ateo, pur

amico del diavolo. Ebbene, egli protesta, con tutta la sua veemenza

di ateo, contro un paradiso ottenuto mercé gli sforzi, le

fatiche, i patimenti, il martirio di innumerevoli generazioni. I

nostri posteri felici grazie all’infelicità dei loro antecessori! Questi

antecessori che «lottano» senza ricevere il loro acconto di gioia,

senza, spesso, neppure il conforto d’intravedere il paradiso

uscito dall’inferno che attraversano! Sterminate moltitudini di

piagati, di sacrificati che sono, semplicemente, il terriccio che

serve a far crescere i futuri alberi della vita! È impossibile!, dice

Ivan, sarebbe un’ingiustizia spietata e mostruosa.

E ha ragione.


Il senso di giustizia che è in ogni uomo, di qualunque fede,

esige che il bene fatto, il male sofferto siano premiati, che la

fame di vita in tutti insita sia soddisfatta. Dove e come, se non

in un’altra vita? E da chi se non da Dio? E da quale Dio, se non

da quello, di cui Francesco di Sales scriveva: «Non temete punto

Dio, che non vuole farvi male, ma amatelo molto, perché vi vuol

fare molto bene»?

Quello che molti combattono non è il vero Dio, ma la falsa

idea che di Dio si sono fatta: un Dio che protegga i ricchi, che

solo chieda e pretenda, che sia invidioso del nostro avanzamento

nel benessere, che dall’alto spii continuamente i nostri peccati

per procurarsi il piacere di castigarli!


Caro Chesterton, tu lo sai, Dio non è così: ma giusto e buono 

insieme; padre anche dei figli prodighi, che vuole non meschini

e miseri, ma grandi, liberi, creatori del proprio destino. Il

nostro Dio è talmente poco rivale dell’uomo che l’ha voluto suo

amico, chiamandolo a partecipare alla propria natura divina e

alla propria eterna felicità. E non è vero che Egli pretenda da noi

esageratamente: si contenta invece di poco, perché sa bene che

non abbiamo molto.

Caro Chesterton, io sono convinto con te: questo Dio si farà

conoscere e amare sempre più, da tutti, compresi coloro che oggi

lo respingono non perché siano cattivi (sono forse più buoni di

noi due!), ma perché lo guardano da un punto di vista sbagliato!

Essi continuano a non credere in Lui? E lui risponde: «Sono ben

io che credo in voi!».

Albino Luciani

Giugno 1971


AMDG et DVM

PAPA BENEDETTO XVI - Testamento: Rimanete saldi nella Fede

 

ECCO IL TESTAMENTO DI SUA SANTITA’ IL PAPA BENEDETTO XVI

29 agosto 2006

Il mio testamento spirituale

Se in quest’ora tarda della mia vita guardo indietro ai decenni che ho percorso, per prima cosa vedo quante ragioni abbia per ringraziare. Ringrazio prima di ogni altro Dio stesso, il dispensatore di ogni buon dono, che mi ha donato la vita e mi ha guidato attraverso vari momenti di confusione; rialzandomi sempre ogni volta che incominciavo a scivolare e donandomi sempre di nuovo la luce del suo volto. Retrospettivamente vedo e capisco che anche i tratti bui e faticosi di questo cammino sono stati per la mia salvezza e che proprio in essi Egli mi ha guidato bene.

Ringrazio i miei genitori, che mi hanno donato la vita in un tempo difficile e che, a costo di grandi sacrifici, con il loro amore mi hanno preparato una magnifica dimora che, come chiara luce, illumina tutti i miei giorni fino a oggi. La lucida fede di mio padre ha insegnato a noi figli a credere, e come segnavia è stata sempre salda in mezzo a tutte le mie acquisizioni scientifiche; la profonda devozione e la grande bontà di mia madre rappresentano un’eredità per la quale non potrò mai ringraziare abbastanza. Mia sorella mi ha assistito per decenni disinteressatamente e con affettuosa premura; mio fratello, con la lucidità dei suoi giudizi, la sua vigorosa risolutezza e la serenità del cuore, mi ha sempre spianato il cammino; senza questo suo continuo precedermi e accompagnarmi non avrei potuto trovare la via giusta.

Di cuore ringrazio Dio per i tanti amici, uomini e donne, che Egli mi ha sempre posto a fianco; per i collaboratori in tutte le tappe del mio cammino; per i maestri e gli allievi che Egli mi ha dato. Tutti li affido grato alla Sua bontà. E voglio ringraziare il Signore per la mia bella patria nelle Prealpi bavaresi, nella quale sempre ho visto trasparire lo splendore del Creatore stesso. Ringrazio la gente della mia patria perché in loro ho potuto sempre di nuovo sperimentare la bellezza della fede. Prego affinché la nostra terra resti una terra di fede e vi prego, cari compatrioti: non lasciatevi distogliere dalla fede. E finalmente ringrazio Dio per tutto il bello che ho potuto sperimentare in tutte le tappe del mio cammino, specialmente però a Roma e in Italia che è diventata la mia seconda patria.

A tutti quelli a cui abbia in qualche modo fatto torto, chiedo di cuore perdono.

Quello che prima ho detto ai miei compatrioti, lo dico ora a tutti quelli che nella Chiesa sono stati affidati al mio servizio: rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere! Spesso sembra che la scienza — le scienze naturali da un lato e la ricerca storica (in particolare l’esegesi della Sacra Scrittura) dall’altro — siano in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica. Ho vissuto le trasformazioni delle scienze naturali sin da tempi lontani e ho potuto constatare come, al contrario, siano svanite apparenti certezze contro la fede, dimostrandosi essere non scienza, ma interpretazioni filosofiche solo apparentemente spettanti alla scienza; così come, d’altronde, è nel dialogo con le scienze naturali che anche la fede ha imparato a comprendere meglio il limite della portata delle sue affermazioni, e dunque la sua specificità. Sono ormai sessant’anni che accompagno il cammino della Teologia, in particolare delle Scienze bibliche, e con il susseguirsi delle diverse generazioni ho visto crollare tesi che sembravano incrollabili, dimostrandosi essere semplici ipotesi: la generazione liberale (Harnack, Jülicher ecc.), la generazione esistenzialista (Bultmann ecc.), la generazione marxista. Ho visto e vedo come dal groviglio delle ipotesi sia emersa ed emerga nuovamente la ragionevolezza della fede. Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita — e la Chiesa, con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo.

Infine, chiedo umilmente: pregate per me, così che il Signore, nonostante tutti i miei peccati e insufficienze, mi accolga nelle dimore eterne. A tutti quelli che mi sono affidati, giorno per giorno va di cuore la mia preghiera.

[02044-IT.01] [Testo originale: Tedesco]

Benedictus PP XVI


AMDG et DVM








Lunedì 2 gennaio 2023 - Santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno, Vescovi e dottori della Chiesa

 


Maria Valtorta: 'L'Evangelo come mi è stato rivelato'

   Cap. XXXI. Visita di Zaccaria. La santità di Giuseppe e l'ubbidienza ai sacerdoti

   8 giugno 1944.

   31.1Vedo il lungo stanzone dove ho visto l’incontro dei Magi con Gesù e la loro adorazione. Comprendo di essere nella casa ospitale dove è stata accolta la sacra Famiglia. E assisto all’arrivo di Zaccaria. Elisabetta non c’è.
   La padrona di casa corre fuori, sul ballatoio, incontro all’ospite che arriva, e lo conduce presso una porta e bussa. Poi si ritira discreta.
   Giuseppe apre ed ha una esclamazione di giubilo vedendo Zaccaria. Lo fa entrare in una stanzetta piccola come un corridoio. «Maria sta dando il latte al Bambino. Attendi un poco. Siedi, ché sarai stanco». E fa posto all’ospite sul suo giaciglio sedendosi al suo fianco.
   Odo che Giuseppe chiede del piccolo Giovanni, e Zaccaria risponde: «Cresce florido come un puledrino. Ma ora soffre un poco per i denti. Non abbiamo voluto portarlo per questo. Fa molto freddo. Perciò non è venuta neanche Elisabetta. Non lo poteva lasciare senza latte. Se ne è accorata. Ma è così rigida la stagione!».
   «È molto rigida infatti», risponde Giuseppe.
   «Mi ha detto l’uomo che mi avete mandato che eravate senza una casa quando Egli nacque. Chissà quanto avrete dovuto soffrire».
   «Sì, molto davvero. Ma la paura nostra era più grande del disagio. Avevamo paura che nuocesse al Bambino. E per i primi giorni dovemmo stare lì. Non mancavamo di nulla, per noi, perché i pastori portarono la buona novella ai betlemiti e molti vennero con doni. Ma mancava una casa, mancava una camera riparata, un letto… e Gesù piangeva tanto, specie di notte, per il vento che entrava da ogni dove. Facevo un poco di fuoco. Ma poco, perché il fumo faceva tossire il Bambino… e il freddo restava. Due animali scaldano poco, specie là dove l’aria entra da tutte le parti! Mancava acqua calda per lavarlo, mancava biancheria asciutta per cambiarlo. Oh! ha sofferto molto! E Maria soffriva nel vederlo soffrire. Soffrivo io… puoi pensare Lei che gli è Madre. Gli dava latte e lacrime, latte e amore… Ora qui si sta meglio. Avevo preparato una così comoda cuna e Maria l’aveva empita di un morbido materassino. Ma è a Nazareth! Ah! se fosse nato là, sarebbe stato diverso!».
   «Ma il Cristo doveva nascere a Betlem. Era profetizzato».

   31.2Entra Maria, che ha udito le voci. È tutta vestita di lana bianca. Si è levato l’abito scuro che aveva nel viaggio e nella grotta, ed è tutta bianca nella sua veste, come già l’ho vista altre volte. Non ha nulla sul capo, e nelle braccia ha Gesù che dorme, sazio di latte, nelle sue candide fasce.
   Zaccaria si alza riverente e si inchina con venerazione. Poi si accosta e guarda Gesù con i segni del più grande rispetto. Sta curvo non tanto per vederlo meglio, quanto per dargli omaggio. Maria glielo offre e Zaccaria lo prende con una tale adorazione, che pare sollevi un ostensorio. È infatti l’Ostia quella che egli prende sulle braccia, l’Ostia già offerta e che sarà consumata dopo che si sarà data agli uomini in cibo d’amore e di redenzione. Zaccaria rende Gesù a Maria.

   31.3Si siedono tutti e Zaccaria ripete a Maria il motivo per cui Elisabetta non è venuta e il suo dolore. «Aveva preparato in questi mesi delle tele per il tuo benedetto Figlio. Te le ho portate. Sono sul carro, da basso».
   Si alza e va fuori, e torna con un involto grosso e uno più piccino. Sia da quello grosso, di cui viene liberato subito da Giuseppe, come dall’altro, trae subito i suoi doni: una morbida coltre di lana tessuta a mano e dei lini e delle piccole vesti. Dall’altro, del miele, della candidissima farina e burro e mele per Maria, e focacce impastate e cotte da Elisabetta e tante altre cosette, che dicono l’affetto materno della riconoscente cugina per la giovane Madre.
   «Dirai a Elisabetta che le sono grata, e a te pure sono grata. L’avrei vista tanto volentieri, ma comprendo le ragioni. E anche avrei voluto rivedere il piccolo Giovanni…».
   «Ma lo vedrete in primavera. Verremo a trovarvi».
   «Nazareth è troppo lontana», dice Giuseppe.

   31.4«Nazareth? Ma dovete rimanere qui. Il Messia deve crescere a Betlemme. È la città di Davide. L’Altissimo l’ha condotto, attraverso la volontà di Cesare, a nascere nella terra di Davide, la terra santa della Giudea. Perché portarlo a Nazareth? Voi sapete come presso i giudei sono giudicati i nazareni. Domani questo Bambino dovrà essere il Salvatore del suo popolo. Non bisogna che la città capitale sprezzi il suo Re perché viene da una terra che essa disprezza. Voi sapete quanto me come è cavilloso il Sinedrio e come sprezzanti le tre caste principali… E poi, qui, vicino ancora a me, potrò aiutarvi alquanto e mettere tutto quanto ho, non tanto di cose materiali ma di doni morali, a servizio di questo Neonato. E quando sarà in età di capire, sarò beato di essergli maestro come al mio bambino, per ottenere poi che, fatto grande, mi benedica. Dobbiamo pensare che Egli è destinato a tanta sorte e che perciò deve potersi presentare al mondo con tutte le carte per vincere facilmente la sua partita. Egli, certo, possederà la Sapienza. Ma anche solo il fatto che un sacerdote gli sia stato maestro lo renderà più accetto ai difficili farisei e agli scribi e gli spianerà la missione».

   31.5Maria guarda Giuseppe e Giuseppe guarda Maria. Sopra il capo innocente del Bambino, che dorme roseo e ignaro, si intreccia un muto scambio di domande. E sono domande velate di tristezza. Maria pensa alla sua casetta. Giuseppe pensa al suo lavoro. Qui tutto è da rifare, in un luogo dove solo pochi giorni prima erano degli sconosciuti. Qui non c’è niente di quelle cose care lasciate là e preparate con tanto amore per il Bambino.
   E Maria lo dice: «Ma come facciamo? Là abbiamo lasciato tutto. Giuseppe aveva tanto lavorato per il mio Gesù, senza risparmio di fatica e di denaro. Aveva lavorato di notte, per poter lavorare per gli altri di giorno e guadagnare così tanto da poter comperare i legni più belli, la lana più soffice, il lino più candido per preparare tutto per Gesù. Aveva costruito alveari e aveva perfino lavorato da muratore per dare un’altra sistemazione alla casa, perché la cuna potesse essere nella mia stanza e starvi sinché Gesù fosse più grande, e poi potesse dar posto al letto, perché Gesù starà con me sinché non sarà giovinetto».
   «Giuseppe può andare a prendere ciò che avete lasciato».
   «E dove metterlo? Tu lo sai, Zaccaria, che noi siamo poveri. Non abbiamo che il lavoro e la casa. Questa e quello ci dànno di che andare avanti senza fame. Ma qui… lavoro ne troveremo, forse. Ma avremo sempre da pensare ad una casa. Questa buona donna non può ospitarci continuamente. Ed io non posso sacrificare Giuseppe più di quanto già non lo sia per me!».
   «Oh! io! Per me non è nulla! Penso al dolore di Maria, io. Al dolore di non vivere nella sua casa…».
   Maria ha due lacrimoni.
   «Penso che quella casa le deve esser cara come il Paradiso, per il prodigio che ivi le si è compito… Parlo poco, ma capisco tanto. Non fosse per questo, non mi cruccerei. Lavorerò il doppio, ecco tutto. Sono forte e giovane per lavorare il doppio di quanto usavo e provvedere a tutto. E se Maria non soffre troppo… e se tu dici che è bene fare così… per me… eccomi. Faccio quello che vi pare più giusto. Basta che a Gesù ciò sia utile».
   «E utile sarà certo. Pensateci e ne vedrete le ragioni».
   «Si dice anche che il Messia sarà chiamato Nazareno[70]…», obbietta Maria.
   «Vero. Ma almeno, sinché non è adulto, fate che cresca in Giudea. Dice il Profeta: “E tu, Betlem Efrata, sarai la più grande perché da te uscirà il Salvatore”. Non parla di Nazareth. Forse quell’appellativo gli sarà dato per non sappiamo che motivo. Ma la sua terra è questa».
   «Lo dici tu, sacerdote, e noi… e noi… con dolore ti ascoltiamo… e ti diamo retta. Ma che dolore!… Quando vedrò quella casa dove divenni Madre?». Maria piange piano. E io capisco questo suo pianto. Oh! se lo capisco!
   La visione mi cessa su questo pianto di Maria.

   31.6Dice, poi, Maria:
   «Lo capisci. Lo so. Ma mi vedrai piangere più forte ancora.
   Per ora ti sollevo lo spirito mostrandoti la santità di Giuseppe, che era uomo, ossia che non aveva altro aiuto al suo spirito che la sua santità. Io avevo tutti i doni di Dio nella mia condizione di Immacolata. Non sapevo d’esserlo. Ma nell’anima mia essi erano attivi e mi davano spirituali forze. Ma egli non era immacolato. L’umanità era in lui con tutto il suo peso greve, ed egli doveva innalzarsi verso la perfezione con tutto quel peso, a costo della continua fatica di tutte le sue facoltà per volere raggiungere la perfezione ed esser gradito a Dio.
   Oh! santo mio sposo! Santo in tutte le cose, anche nelle più umili cose della vita. Santo per la sua castità d’angelo. Santo per la sua onestà d’uomo. Santo per la sua pazienza, per la sua operosità, per la sua serenità sempre uguale, per la sua modestia, per tutto.
   Essa santità brilla anche in questo avvenimento. Un sacerdote gli dice: “È bene che tu ti stabilisca qui”, ed egli, pur sapendo a quanta maggior fatica va incontro, dice: “Per me non è nulla. Penso al dolore di Maria. Non fosse per questo, non mi cruccerei per me. Basta che ciò sia utile a Gesù”. Gesù, Maria: i suoi angelici amori. Non ha amato altro sulla Terra, questo mio santo sposo. E a questo amore ha fatto servo se stesso.
   Lo hanno fatto protettore delle famiglie cristiane e dei lavoratori e di tante categorie. Ma non solo degli agonizzanti, degli sposi, degli operai, sibbene anche dei consacrati si dovrebbe farlo. Quale fra i consacrati della Terra, al servizio di Dio, quale che sia, che si sia consacrato come lui al servizio del suo Dio, accettando tutto, rinunciando a tutto, sopportando tutto, compiendo tutto con prontezza, con spirito ilare, con umore costante, come egli fece? No, non ve n’è.

   31.7E un’altra cosa ti faccio osservare, anzi due.
   Zaccaria è un sacerdote. Giuseppe non lo è. Ma pure osserva come colui che non lo è ha lo spirito in Cielo più del sacerdote. Zaccaria pensa umanamente e umanamente interpreta le Scritture perché, non è la prima volta che lo fa, si fa troppo guidare dal buon senso umano. Ne è stato punito. Ma ci ricasca ancora, benché meno gravemente. Aveva detto per la nascita di Giovanni: “Come può avvenire se io sono vecchio e mia moglie è sterile?”. Dice ora: “Per spianarsi la via, il Cristo deve crescere qui” e, con quella radichetta di orgoglio che persiste anche nei migliori, pensa di poter essere lui utile a Gesù. Non utile come vuol esserlo Giuseppe servendolo, ma utile facendogli da maestro… Dio lo ha perdonato per la buona intenzione. Ma aveva mai bisogno il “Maestro” di avere maestri?
   Io cercai di fargli vedere la luce nelle profezie. Ma egli si sentiva più dotto di me e usava questo suo sentire a suo modo. Avrei potuto insistere e vincere. Ma — ecco la seconda osservazione che ti faccio fare — ma ho rispettato il sacerdote per la sua dignità, non per il suo sapere.

 31.8Il sacerdote è, generalmente, sempre illuminato da Dio. Ho detto “generalmente”. Lo è quando è un vero sacerdote. Non è la veste quella che consacra, è l’anima. Per giudicare se uno è un vero sacerdote bisogna giudicare ciò che esce dalla sua anima. Come ha detto il mio Gesù, è dall’anima che escono le cose che santificano o che contaminano, quelle che informano tutto il modo di agire di un individuo. Orbene, quando uno è un vero sacerdote, è generalmente sempre ispirato da Dio. Degli altri, che tali non sono, occorre avere soprannaturale carità e pregare per loro.
   Ma mio Figlio ti ha già messa al servizio di questa redenzione e non dico di più. Sii lieta di soffrire perché aumentino i veri sacerdoti. E tu riposa sulla parola di chi ti guida. E credi e ubbidisci al suo consiglio. 

   31.9Ubbidire salva sempre. Anche se non è in tutto perfetto il consiglio che si riceve.
   Tu vedi. Noi ubbidimmo. E fu bene. Vero che Erode si limitò a fare sterminare i bambini di Betlemme e dintorni. Ma Satana non avrebbe potuto spingere e propagare queste onde di livore ben oltre, e persuadere a uguale delitto tutti i potenti di Palestina per far sopprimere il futuro Re dei giudei? Avrebbe potuto. E sarebbe avvenuto nei primi tempi del Cristo, quando il ripetersi dei prodigi aveva destato l’attenzione delle folle e l’occhio dei potenti. Come avremmo potuto, se ciò fosse avvenuto, attraversare tutta la Palestina per venire dalla lontana Nazareth in Egitto, terra ospitale agli ebrei perseguitati, e farlo con un piccolo bambino e mentre infuriava una persecuzione? Più facile la fuga da Betlem, anche se ugualmente dolorosa.
   L’ubbidienza salva sempre. Ricordalo.

   31.10E il rispetto al sacerdote è sempre segno di formazione cristiana. Guai — e Gesù l’ha detto — guai ai sacerdoti che perdono la loro fiamma apostolica! Ma guai anche a chi si crede lecito sprezzarli! Perché essi consacrano e distribuiscono il Pane vero che dal Cielo discende. E quel contatto li rende santi come un calice sacro, anche se santi non sono. A Dio ne risponderanno. Voi considerateli tali e non vi curate d’altro. Non siate più intransigenti del vostro Signore Gesù, il quale al loro comando lascia il Cielo e scende per essere elevato dalle loro mani. Imparate da Lui. E se sono ciechi, se sono sordi, dall’anima paralitica e il pensiero malato, se sono lebbrosi di colpe troppo in contrasto con la loro missione, se sono dei Lazzari in un sepolcro, chiamate Gesù che li risani, che li risusciti.
   Chiamatelo col vostro orare e col vostro soffrire, o anime vittime. Salvare un’anima è predestinare al Cielo la propria. Ma salvare un’anima sacerdotale è salvare un numero grande di anime, perché ogni sacerdote santo è una rete che trascina anime a Dio. E salvare un sacerdote, ossia santificare, risantificare, è creare questa mistica rete. Ogni sua preda è una luce che si aggiunge alla vostra eterna corona.
   Va’ in pace».


[70] sarà chiamato Nazareno, come riferisce anche Matteo 2, 23 pur non trovando un vero riscontro nei profeti. Per questo sembra
significativa l’espressione Si dice al posto del consueto È detto o Sta scritto. Proprio perché Nazareno (così chiamato specialmente in 604.35 e 608.2), cioè di Nazareth in Galilea, Gesù è detto anche Galileo, come in 404.4 (dove però viene motivata la sua nascita in Giudea) e in altri punti. Lo stesso Gesù si definisce “il Galileo” in 590.21.


 Liturgia Novus Ordo: Gv 1, 19-28.

Vangelo Gv 1, 19-28
Dal Vangelo secondo Giovanni

Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elìa?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elìa, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell'acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

 

Maria Valtorta: 'L'Evangelo come mi è stato rivelato'

   Cap. XLV. Predicazione di Giovanni Battista e Battesimo di Gesù. La manifestazione divina.

   (...) Lo stesso 3 febbraio 1944, a sera

 1 Vedo una pianura spopolata di paesi e di vegetazione. Non ci sono campi coltivati, e ben poche e rare sono le piante riunite qua e là a ciuffi, come vegetali famiglie, dove il suolo è nelle profondità meno arso che non sia in genere. Faccia conto che questo terreno arsiccio e incolto sia alla mia destra, avendo io il nord alle spalle, e si prolunghi verso quello che è a sud rispetto a me.
   A sinistra invece vedo un fiume di sponde molto basse, che scorre lentamente esso pure da nord a sud. Dal moto lentissimo dell'acqua comprendo che non vi devono essere dislivelli nel suo letto e che questo fiume scorre in una pianura talmente piatta da costituire una depressione. Vi è un moto appena sufficiente a ciò l'acqua non stagni in palude. (L'acqua è poco fonda, tanto che si vede il fondale. Giudico non più di un metro, al massimo un metro e mezzo. Largo come è l'Arno verso S. Miniato-Empoli: direi un venti metri. Ma io non ho occhio esatto nel calcolare). Pure è d'un azzurro lievemente verde verso le sponde, dove per l'umidore del suolo è una fascia di verde folta e rallegrante l'occhio, che rimane stanco dallo squallore pietroso e arenoso di quanto gli si stende avanti.
   Quella voce intima, che le ho spiegato di udire e che mi indica ciò che devo notare e sapere, mi avverte che io vedo la valle del Giordano. La chiamo valle, perché si dice così per indicare, il posto dove scorre un fiume, ma qui è improprio il chiamarla così, perché una valle presuppone dei monti, ed io qui di monti non ne vedo vicini. Ma insomma sono presso il Giordano, e lo spazio desolato che osservo alla mia destra è il deserto di Giuda. Se dire deserto per dire luogo dove non sono case e lavori dell'uomo è giusto, non lo è secondo il concetto che noi abbiamo del deserto. Qui non le arene ondulate del deserto come lo concepiamo noi, ma solo terra nuda, sparsa di pietre e detriti, come sono i terreni alluvionali dopo una piena. In lontananza, delle colline. 
   Pure, presso il Giordano, vi è una grande pace, un che di speciale, di superiore al comune, come è quello che si nota sulle sponde del Trasimeno. È un luogo che pare ricordarsi di voli d'angeli e di voci celesti. Non so dire bene ciò che provo. Ma mi sento in un posto che parla allo spirito.

 2 Mentre osservo queste cose, vedo che la scena si popola di gente lungo la riva destra (rispetto a me) del Giordano. Vi sono molti uomini vestiti in maniere diverse. Alcuni paiono popolani, altri dei ricchi, non mancano alcuni che paiono farisei per la veste ornata di frange e galloni.
   In mezzo ad essi, in piedi su un masso, un uomo che, per quanto è la prima volta che lo vedo, riconosco subito per il Battista. Parla alla folla, e le assicuro che non è una predica dolce. Gesù ha chiamato Giacomo e Giovanni «i figli del tuono» (Marco 3, 17; Vol 5 Cap 330; Vol 9 Cap 575). Ma allora come chiamare questo veemente oratore? Giovanni Battista merita il nome di fulmine, valanga, terremoto, tanto è impetuoso e severo nel suo parlare e nel suo gestire.
   Parla annunciando il Messia ed esortando a preparare i cuori alla sua venuta estirpando da essi gli ingombri e raddrizzando i pensieri. Ma è un parlare vorticoso e rude. Il Precursore non ha la mano leggera di Gesù sulle piaghe dei cuori. È un medico che denuda e fruga e taglia senza pietà.

 3 Mentre lo ascolto - e non ripeto le parole perché sono quelle riportate dagli evangelisti (Matteo 3, 1-12; Marco 1, 1-8; Luca 3, 3-18; Giovanni 1, 19-34), ma amplificate in irruenza - vedo avanzarsi lungo una stradicciuola, che è ai bordi della linea erbosa e ombrosa che costeggia il Giordano, il mio Gesù. Questa rustica via, più sentiero che via, sembra disegnato dalle carovane e dalle persone che per anni e secoli l'hanno percorso per giungere ad un punto dove, essendo il fondale del fiume più alto, è facile il guado. Il sentiero continua dall'altro lato del fiume e si perde fra il verde dell'altra sponda.
   Gesù è solo. Cammina lentamente, venendo avanti, alle spalle di Giovanni. Si avvicina senza rumore e ascolta intanto la voce tuonante del Penitente del deserto, come se anche Gesù fosse uno dei tanti che venivano a Giovanni per farsi battezzare e per prepararsi ad esser mondi per la venuta del Messia. Nulla distingue Gesù dagli altri. Sembra un popolano nella veste, un signore nel tratto e nella bellezza, ma nessun segno divino lo distingue dalla folla.
   Però si direbbe che Giovanni senta una emanazione di spiritualità speciale. Si volge e individua subito la fonte di quell'emanazione. Scende con impeto dal masso che gli faceva da pulpito e va sveltamente verso Gesù, che si è fermato qualche metro lontano dal gruppo appoggiandosi al fusto di un albero.

 4 Gesù e Giovanni si fissano un momento. Gesù col suo sguardo azzurro tanto dolce. Giovanni col suo occhio severo, nerissimo, pieno di lampi. I due, visti vicino, sono l'antitesi l'uno dell'altro. Alti tutti e due - è l'unica somiglianza - sono diversissimi per tutto il resto. Gesù biondo e dai lunghi capelli ravviati, dal volto d'un bianco avoriato, dagli occhi azzurri, dall'abito semplice ma maestoso. Giovanni irsuto, nero di capelli che ricadono lisci sulle spalle, lisci e disuguali in lunghezza, nero nella barba rada che gli copre quasi tutto il volto non impedendo col suo velo di permettere di notare le guance scavate dal digiuno, nero negli occhi febbrili, scuro nella pelle abbronzata dal sole e dalle intemperie e per la folta peluria che lo copre, seminudo nella sua veste di pelo di cammello, tenuta alla vita da una cinghia di pelle e che gli copre il torso scendendo appena sotto i fianchi magri e lasciando scoperte le coste a destra, le coste sulle quali è, unico strato di tessuti, la pelle conciata dall'aria. Sembrano un selvaggio e un angelo visti vicini.
   Giovanni, dopo averlo scrutato col suo occhio penetrante, esclama: «Ecco l'Agnello di Dio. Come è che a me viene il mio Signore?».
   Gesù risponde placido: «Per compiere il rito di penitenza».
   «Mai, mio Signore. Io sono che devo venire a Te per essere santificato, e Tu vieni a me?».
   E Gesù, mettendogli una mano sul capo, perché Giovanni s'era curvato davanti a Gesù, risponde: «Lascia che si faccia come voglio, perché si compia ogni giustizia e il tuo rito divenga inizio ad un più alto mistero e sia annunciato agli uomini che la Vittima è nel mondo».

 5 Giovanni lo guarda con occhio che una lacrima fa dolce e lo precede verso la riva, dove Gesù si leva il manto e la tunica, rimanendo con una specie di corti calzoncini, per poi scendere nell'acqua dove è già Giovanni, che lo battezza versandogli sul capo l'acqua del fiume, presa con una specie di tazza, che il Battista tiene sospesa alla cintola e che mi pare una conchiglia o una mezza zucca essiccata e svuotata.
  Gesù è proprio l'Agnello. Agnello nel candore della carne, nella modestia del tratto, nella mitezza dello sguardo.
   Mentre Gesù risale la riva e, dopo essersi vestito, si raccoglie in preghiera, Giovanni lo addita alle turbe, testimoniando d'averlo conosciuto per il segno che lo Spirito di Dio gli aveva indicato quale indicazione infallibile del Redentore. 
   Ma io sono polarizzata nel guardare Gesù che prega, e non mi resta presente che questa figura di luce contro il verde della sponda.



   4 febbraio 1944 

    6 Dice Gesù:
   «Giovanni non aveva bisogno del segno per se stesso. Il suo spirito, presantificato sin dal ventre di sua madre, era possessore di quella vista di intelligenza soprannaturale che sarebbe stata di tutti gli uomini senza la colpa di Adamo.
   Se l'uomo fosse rimasto in grazia, in innocenza, in fedeltà col suo Creatore, avrebbe visto Dio attraverso le apparenze esterne. Nella Genesi è detto che il Signore Iddio parlava familiarmente con l'uomo innocente e che l'uomo non tramortiva a quella voce, non si ingannava nel discernerla. Così era la sorte dell'uomo: vedere e capire Iddio proprio come un figlio fa col genitore. Poi è venuta la colpa, e l'uomo non ha più osato guardare Dio, non ha più saputo vedere e comprendere Iddio. E sempre meno lo sa.
   Ma Giovanni, il mio cugino Giovanni, era stato mondato dalla colpa quando la Piena di Grazia s'era curvata amorosa ad abbracciare la già sterile ed allora feconda Elisabetta. Il fanciullino nel suo seno era balzato di giubilo, sentendo cadere la scaglia della colpa dalla sua anima come crosta che cade da una piaga che guarisce. Lo Spirito Santo, che aveva fatto di Maria la Madre del Salvatore, iniziò la sua opera di salvazione, attraverso Maria, vivo Ciborio della Salvezza incarnata, su questo nascituro, destinato ad esser a Me unito non tanto per il sangue quanto per la missione, che fece di noi come le labbra che formano la parola. Giovanni le labbra, Io la Parola. Egli il Precursore nell'Evangelo e nella sorte di martirio. Io, Colui che perfeziona della mia divina perfezione l'Evangelo iniziato da Giovanni ed il martirio per la difesa della Legge di Dio.
   Giovanni non aveva bisogno di nessun segno. Ma alla ottusità degli altri il segno era necessario. Su cosa avrebbe fondato Giovanni la sua asserzione, se non su una prova innegabile che gli occhi dei tardi e le orecchie dei pesanti avessero percepita?

 7 Io pure non avevo bisogno di battesimo. Ma la sapienza del Signore aveva giudicato esser quello l'attimo e il modo dell'incontro. E, traendo Giovanni dal suo speco nel deserto e Me dalla mia casa, ci unì in quell'ora per aprire su Me i Cieli e farne scendere Se stesso, Colomba divina, su Colui che avrebbe battezzato gli uomini con tal Colomba, e farne scendere l'annuncio, ancor più potente di quello angelico perché del Padre mio: "Ecco il mio Figlio diletto col quale mi sono compiaciuto". Perché gli uomini non avessero scuse o dubbi nel seguirmi e nel non seguirmi.

 8 Le manifestazioni del Cristo sono state molte. La prima, dopo la Nascita, fu quella dei Magi, la seconda nel Tempio, la terza sulle rive del Giordano. Poi vennero le infinite altre che ti farò conoscere, poiché i miei miracoli sono manifestazioni della mia natura divina, sino alle ultime della Risurrezione e Ascensione al Cielo. 
   La mia patria fu piena delle mie manifestazioni. Come seme gettato ai quattro punti cardinali, esse avvennero in ogni strato e luogo della vita: ai pastori, ai potenti, ai dotti, agli increduli, ai peccatori, ai sacerdoti, ai dominatori, ai bambini, ai soldati, agli ebrei, ai gentili.

   Anche ora esse si ripetono. Ma, come allora, il mondo non le accoglie. Anzi non accoglie le attuali e dimentica le passate. Ebbene, Io non desisto. Io mi ripeto per salvarvi, per portarvi alla fede in Me.

 9 Sai, Maria, quello che fai? Quello che faccio, anzi, nel mostrarti il Vangelo? Un tentativo più forte di portare gli uomini a Me. Tu lo hai desiderato con preghiere ardenti. Non mi limito più alla parola. Li stanca e li stacca. È una colpa, ma è così. Ricorro alla visione, e del mio Vangelo, e la spiego per renderla più chiara e attraente.
   A te do il conforto del vedere. A tutti do il modo di desiderare di conoscermi. E, se ancora non servirà e come crudeli bambini getteranno il dono senza capirne il valore, a te resterà il mio dono e ad essi il mio sdegno. Potrò una volta ancora fare l'antico rimprovero: (Vol 4 Cap 266) "Abbiamo sonato e non avete ballato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto ".
   Ma non importa. Lasciamo che essi, gli inconvertibili, accumulino sul loro capo i carboni ardenti, e volgiamoci alle pecorelle che cercano di conoscere il Pastore. Io son Quello, e tu sei la verga che le conduci a Me».

 10 Come vede, mi sono affrettata a mettere quei particolari che, per la loro piccolezza, mi erano sfuggiti e che lei ha desiderato di avere.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

AMDG et DVM

domenica 1 gennaio 2023

Foto di famiglia Ratzinger

 

Al completo, qui sulla Terra

Joseph, Georg, Maria, con i genitori Maria  e Joseph


... e in Cielo

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BUON ANNO  NUOVO 2023 del

Terzo Millennio dopo Conchiglia della Ss.ma Trinità,

a tutti i gentili lettori del Blog "Maria Giglio della Trinita'...

AMDG et DVM