mercoledì 31 marzo 2021

EDUCAZIONE DELLA COSCIENZA - FONDAMENTALE - ATTUARE CRISTO NELLA VOSTRA VITA

OGNI DECISIONE MORALE VA FONDATA SULLA PAROLA DI GESU' CRISTO 

Pio XII Discorsi 1952

ES  - IT ]

RADIOMESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PIO XII IN OCCASIONE DELLA
«GIORNATA DELLA FAMIGLIA»

Domenica, 23 marzo 1952

 

La famiglia è la culla della nascita e dello sviluppo di una nuova vita, la quale, affinché non perisca, ha bisogno di essere curata ed educata: diritto, questo, e dovere fondamentale dato e imposto immediatamente da Dio ai genitori. Contenuto e scopo dell’educazione nell’ordine naturale è lo sviluppo del bambino per divenire un uomo completo: contenuto e scopo dell’educazione cristiana è la formazione del nuovo essere umano, rinato nel battesimo, a perfetto cristiano. Tale obbligo, che fu sempre costume e vanto delle famiglie cristiane, è solennemente sancito dal canone 1113 del Codice di diritto canonico, che suona così: «Parentes gravissima obligatione tenentur prolis educationem tum religiosam et moralem, tum physicam et civilem pro viribus curandi, et etiam temporali eorum bono providenti ». « I genitori hanno il gravissimo obbligo di curare con tutte le loro forze l’educazione, così religiosa e morale, come fisica e civile, dei loro figli, e di provvedere anche al loro benessere temporale ».

Le questioni più urgenti di così vasto argomento sono state chiarite in diverse occasioni dai Nostri Predecessori e da Noi stessi. Pertanto Ci proponiamo ora non di ripetere quel che è già stato ampiamente esposto, ma piuttosto di richiamare l’attenzione sopra un elemento, che, pur essendo la base e il fulcro dell’educazione, specialmente cristiana, sembra invece ad alcuni, a prima vista, quasi estraneo ad essa. Vorremmo cioè parlare di ciò che vi è di più profondo ed intrinseco nell’uomo: la sua coscienza. Vi siamo indotti dal fatto che alcune correnti del pensiero moderno cominciano ad alterarne il concetto e ad impugnarne il valore. Tratteremo dunque della coscienza in quanto oggetto della educazione.

La coscienza è come il nucleo più intimo e segreto dell’uomo. Là egli si rifugia con le sue facoltà spirituali in assoluta solitudine: solo con se stesso, o meglio, solo con Dio — della cui voce la coscienza risuona — e con se stesso. Là egli si determina per il bene o per il male; là egli sceglie fra la strada della vittoria e quella della disfatta. Quando anche volesse, l’uomo non riuscirebbe mai a togliersela di dosso; con essa, o che approvi o che condanni, percorrerà tutto il cammino della vita, ed egualmente con essa, testimone veritiero ed incorruttibile, si presenterà al giudizio di Dio. La coscienza è quindi, per dirla con una immagine tanto antica quanto degna, un άδυτον un santuario, sulla cui soglia tutti debbono arrestarsi; anche, se si tratta di un fanciullo, il padre e la madre. Solo il sacerdote vi entra come curatore di anime e come ministro del Sacramento della penitenza; né per questo la coscienza cessa di essere un geloso santuario, di cui Dio stesso vuole custodita la segretezza col sigillo del più sacro silenzio.

In che senso dunque si può parlare della educazione della coscienza?

ESSENZA DELLA COSCIENZA CRISTIANA

Occorre rifarsi ad alcuni concetti fondamentali della dottrina cattolica per ben comprendere che la coscienza può e deve essere educata.

Il divin Salvatore ha arrecato all’uomo ignaro e debole la sua verità e la sua grazia: la verità per indicargli la via che conduce alla sua meta; la grazia per conferirgli la forza di poterla raggiungere.

Percorrere quel cammino significa, nella pratica, accettare il volere e i comandamenti di Cristo, e conformare ad essi la vita, cioè i singoli atti, interni ed esterni, che la libera volontà umana sceglie e fissa. Ora qual è la facoltà spirituale, che nei casi particolari addita alla volontà medesima, affinché scelga e determini, gli atti che sono conformi al volere divino, se non la coscienza? Essa è dunque eco fedele, nitido riflesso della norma divina delle umane azioni. Sicché le espressioni, quale «il giudizio della coscienza cristiana », o l’altra «giudicare secondo la coscienza cristiana », hanno questo significato: la norma della decisione ultima e personale per un’azione morale va presa dalla parola e dalla volontà di Cristo. Egli è infatti via, verità e vita, non solo per tutti gli uomini presi insieme, ma per ogni singolo [1]: è tale per l’uomo maturo, è tale per il fanciullo ed il giovane.

Da ciò consegue che formare la coscienza cristiana di un fanciullo o di un giovane consiste innanzi tutto nell’illuminare la loro mente circa la volontà di Cristo, la sua legge, la sua via, e inoltre nell’agire sul loro animo, per quanto ciò può farsi dal di fuori, affine di indurlo alla libera e costante esecuzione del divino volere. È questo il più alto impegno della educazione.

PRESUPPOSTI E FONTI DELLA EDUCAZIONE DELLA COSCIENZA

Ma dove troveranno l’educatore e l’educando, in concreto e con facilità e certezza, la legge morale cristiana? Nella legge del Creatore impressa nel cuore di ciascuno [2], e nella rivelazione, nel complesso, cioè, delle verità e dei precetti, insegnati dal divino Maestro. 

Ambedue, sia la legge scritta nel cuore, ossia la legge naturale, sia le verità e i precetti della rivelazione soprannaturale, il Redentore Gesù ha rimesso, come tesoro morale della umanità, nelle mani della sua Chiesa, affinché essa le predichi a tutte le creature, le illustri e le trasmetta, intatte e difese da ogni contaminazione ed errore, dall’una all’altra generazione.

ERRORI NELLA FORMAZIONE E NELLA EDUCAZIONE DELLA COSCIENZA CRISTIANA –
PRETESA REVISIONE DELLE NORME MORALI

Contro questa dottrina, incontrastata per lunghi secoli, emergono ora difficoltà ed obiezioni che occorre chiarire.

Come della dottrina dommatica, così anche dell’ordinamento morale cattolico si vorrebbe istituire quasi una radicale revisione per dedurne una nuova valutazione.

Il passo primario, o per dir meglio il primo colpo all’edificio delle norme morali cristiane, dovrebbe essere quello di svincolarle — come si pretende — dalla sorveglianza angusta ed opprimente dell’autorità della Chiesa, cosicché, liberata dalle sottigliezze sofistiche del metodo casistico, la morale sia ricondotta alla sua forma originaria e rimessa semplicemente alla intelligenza e alla determinazione della coscienza individuale.

Ognuno vede a quali funeste conseguenze condurrebbe un tale sconvolgimento dei fondamenti stessi della educazione.

Omettendo di rilevare la manifesta imperizia e immaturità di giudizio di chi sostiene simili opinioni, gioverà mettere in evidenza il vizio centrale di questa «nuova morale ». Essa, nel rimettere ogni criterio etico alla coscienza individuale, chiusa gelosamente in sé e resa arbitra assoluta delle sue determinazioni, ben lungi dall’agevolarle il cammino, la distoglierebbe dalla via maestra che è Cristo.

 Il divin Redentore ha consegnato la sua Rivelazione, di cui fanno parte essenziale gli obblighi morali, non già ai singoli uomini, ma alla sua Chiesa, cui ha dato la missione di condurli ad abbracciare fedelmente quel sacro deposito.

Parimente la divina assistenza, ordinata a preservare la Rivelazione da errori e da deformazioni, è stata promessa alla Chiesa, e non agli individui. Sapiente provvidenza anche questa, poiché la Chiesa, organismo vivente, può così, con sicurezza ed agilità, sia illuminare ed approfondire le verità anche morali, sia applicarle, mantenendone intatta la sostanza, alle condizioni variabili dei luoghi e dei tempi. Si pensi, per esempio, alla dottrina sociale della Chiesa, che, sorta per rispondere a nuovi bisogni, non è in fondo che l’applicazione della perenne morale cristiana alle presenti circostanze economiche e sociali.

Come è dunque possibile conciliare la provvida disposizione del Salvatore, che commise alla Chiesa la tutela del patrimonio morale cristiano, con una sorta di autonomia individualistica della coscienza?

Questa, sottratta al suo clima naturale, non può produrre che venefici frutti, i quali si riconosceranno al solo paragonarli con alcune caratteristiche della tradizionale condotta e perfezione cristiana, la cui eccellenza è provata dalle incomparabili opere dei Santi.

La «morale nuova » afferma che la Chiesa, anzi che fomentare la legge della umana libertà e dell’amore, e d’insistervi quale degna dinamica della vita morale, fa invece leva, quasi esclusivamente e con eccessiva rigidità, sulla fermezza e la intransigenza delle leggi morali cristiane, ricorrendo spesso a quei « siete obbligati », «non è lecito », che hanno troppo sapore di un’avvilente pedanteria.


I PRECETTI MORALI DELLA CHIESA PER LA EDUCAZIONE  DELLA COSCIENZA 
NELLA VITA PERSONALE…

Ora invece la Chiesa vuole — e lo mette in luce espressamente quando si tratta di formare le coscienze — che il cristiano venga introdotto nelle infinite ricchezze della fede e della grazia, in modo persuasivo, così da sentirsi inclinato a penetrarle profondamente.

La Chiesa però non può ritrarsi dall’ammonire i fedeli che queste ricchezze non possono essere acquistate e conservate se non a prezzo di precisi obblighi morali. Una diversa condotta finirebbe col far dimenticare un principio dominante, sul quale ha sempre insistito Gesù, suo Signore e Maestro. Egli infatti ha insegnato che per entrare nel regno dei cieli non basta dire « Signore, Signore », ma deve farsi la volontà del Padre celeste [3]. Egli ha parlato della « porta stretta » e della « angusta via » che conduce alla vita [4], ed ha aggiunto: « Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrare e non vi riusciranno » [5]. Egli ha posto come pietra di paragone e segno distintivo dell’amore verso Se stesso, Cristo, l’osservanza dei comandamenti [6]. Similmente al giovane ricco, che lo interroga, Egli dice: « Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti » e alla nuova domanda « Quali? » risponde: « Non uccidere! non commettere adulterio! non rubare! non fare testimonianza falsa! onora il padre e la madre! e ama il prossimo tuo come te stesso! ». Egli ha messo come condizione a chi vuole imitarlo, di rinunziare a se stesso e di prendere ogni giorno la sua croce [7]. Egli esige che l’uomo sia pronto a lasciare per Lui e per la sua causa quanto ha di più caro, come il padre, la madre, i propri figli, e fin l’ultimo bene, la propria vita [8]. Poiché Egli soggiunge: « A voi dico, amici miei: non temete quei che uccidono il corpo, e dopo tanto non possono fare di più. Vi mostrerò io chi dovete temere: temete Colui, che, dopo tolta la vita, ha il potere di mandare all’inferno » [9].

Così parlava Gesù Cristo, il divino Pedagogo, che sa certamente, meglio degli uomini, penetrare nelle anime e attrarle al suo amore con le infinite perfezioni del suo Cuore, « bonitate et amore plenum » [10].

E l’Apostolo delle genti San Paolo ha forse predicato altrimenti? Col suo veemente accento di persuasione, svelando l’arcano fascino del mondo soprannaturale, egli ha dispiegato la grandezza e lo splendore della fede cristiana, le ricchezze, la potenza, la benedizione, la felicità in essa racchiuse, offrendole alle anime come degno oggetto della libertà del cristiano e meta irresistibile di puri slanci d’amore. Ma non è men vero che sono altrettanto suoi gli ammonimenti come questo: «Operate con timore e tremore la vostra salute » [11], e che dalla medesima sua penna sono scaturiti alti precetti morali, destinati a tutti i fedeli, siano essi di comune intelligenza, ovvero anime di elevata sensibilità. Prendendo dunque come stretta norma le parole di Cristo e dell’Apostolo, non si dovrebbe forse dire che la Chiesa di oggi è inclinata piuttosto alla condiscendenza che alla severità? Di guisa che l’accusa di durezza opprimente, dalla «nuova morale » mossa contro la Chiesa, in realtà va a colpire in primo luogo la stessa adorabile Persona di Cristo.

Consapevoli pertanto del diritto e del dovere della Sede Apostolica d’intervenire, quando bisogni, autorevolmente nelle questioni morali, Noi nel discorso del 29 ottobre del passato anno Ci proponemmo d’illuminare le coscienze intorno ai problemi della vita coniugale. Con la medesima autorità dichiariamo oggi agli educatori e alla stessa gioventù; il comandamento divino della purezza dell’anima e del corpo vale senza diminuzione anche per la gioventù odierna. Anch’essa ha l’obbligo morale e, con l’aiuto della grazia, la possibilità di conservarsi pura. Respingiamo quindi come erronea l’affermazione di coloro, che considerano inevitabili le cadute negli anni della pubertà, le quali così non meriterebbero che se ne faccia gran caso, quasi che non siano colpa grave, perché ordinariamente, essi aggiungono, la passione toglie la libertà necessaria, affinché un atto sia moralmente imputabile.

Al contrario, è norma doverosa e saggia che l’educatore, pur non trascurando di rappresentare ai giovani i nobili pregi della purezza, in guisa da avvincerli ad amarla e desiderarla per se stessa, inculchino tuttavia chiaramente il comandamento come tale, in tutta la sua gravità e serietà di ordinazione divina. Egli così spronerà i giovani ad evitare le occasioni prossime, li conforterà nella lotta, di cui non nasconderà loro la durezza, li indurrà ad abbracciare coraggiosamente quei sacrifici che la virtù esige, e li esorterà a perseverare e a non cadere nel pericolo di deporre le armi fin dal principio e di soccombere senza resistenza alle perverse abitudini.

.… E NELLA VITA PUBBLICA

Anche più che nel campo della condotta privata, vi sono oggi molti che vorrebbero escludere il dominio della legge morale dalla vita pubblica, economica e sociale, dall’azione dei pubblici poteri nell’interno e all’esterno, nella pace e nella guerra, come se qui Dio non avesse nulla da dire, almeno di definito.

L’emancipazione delle attività umane esterne, come le scienze, la politica, l’arte, dalla morale viene talora motivata in sede filosofica dall’autonomia che ad esse compete, nel loro campo, di governarsi esclusivamente secondo leggi proprie, benché si ammetta che queste collimano d’ordinario con quelle morali. E si reca ad esempio l’arte, alla quale si nega non solo ogni dipendenza, ma anche ogni rapporto con la morale, dicendo: l’arte è solo arte, e non morale né altra cosa, da reggersi quindi con le sole leggi della estetica, le quali peraltro, se sono veramente tali, non si piegheranno a servire la concupiscenza. In simile maniera si discorre della politica e della economia, che non hanno bisogno di prendere consiglio da altre scienze, e quindi dall’etica, ma, guidate dalle loro vere leggi, sono per ciò stesso buone e giuste.

È, come si vede, un sottile modo di sottrarre le coscienze all’imperio delle leggi morali. In verità, non si può negare che tali autonomie siano giuste, in quanto esprimono il metodo proprio di ciascuna attività e i confini che separano le loro diverse forme in sede teorica; ma la separazione di metodo non deve significare che lo scienziato, l’artista, il politico siano liberi da sollecitudini morali nell’esercizio delle loro attività, specialmente se queste hanno immediati riflessi nel campo etico, come l’arte, la politica, la economia. La separazione netta e teorica non ha senso nella vita, che è sempre una sintesi, poiché il soggetto unico di ogni specie di attività è lo stesso uomo, i cui atti liberi e coscienti non possono sfuggire alla valutazione morale. Continuando a osservare il problema con sguardo ampio e pratico, che fa talora difetto a filosofi anche insigni, tali distinzioni ed autonomie sono volte dalla natura umana decaduta a rappresentare come leggi dell’arte, della politica o dell’economia ciò che invece riesce comodo alla concupiscenza, all’egoismo e alla cupidigia. Così l’autonomia teorica dalla morale diviene in pratica ribellione alla morale, e si spezza altresì quella armonia insita alle scienze e alle arti, che i filosofi di quella scuola acutamente riscontrano, ma dicono casuale, mentre è invece essenziale, se considerata dal soggetto, che è l’uomo, e dal suo Creatore, che è Dio.

Perciò i Nostri Predecessori e Noi stessi, nello scompiglio della guerra e nelle turbate vicende del dopoguerra, non abbiamo cessato d’insistere sul principio che l’ordine voluto da Dio abbraccia la vita intera, non esclusa la vita pubblica in ogni sua manifestazione, persuasi che in ciò non vi è alcuna restrizione della vera libertà umana, né alcuna intromissione nella competenza dello Stato, ma una assicurazione contro errori ed abusi, dai quali la morale cristiana, se rettamente applicata, può proteggere. Queste verità debbono essere insegnate ai giovani e inculcate nelle loro coscienze da chi, nella famiglia o nella scuola, ha l’obbligo di attendere alla loro educazione, ponendo così il seme di un avvenire migliore.

ESORTAZIONE FINALE

Ecco quanto intendevamo oggi di dirvi, diletti figli e figlie che Ci ascoltate, e nel dirvelo non abbiamo nascosto l’ansia che Ci stringe il cuore per questo formidabile problema, che tocca il presente e l’avvenire del mondo e l’eterno destino di tante anime. Quanto conforto Ci darebbe d’essere certi che voi condividete questa Nostra ansia per la cristiana educazione della gioventù! 

Educate le coscienze dei vostri fanciulli con tenace e perseverante cura. Educatele al timore, come all’amore di Dio. Educatele alla veracità. 

Ma siate veraci per primi voi stessi, e bandite dall’opera educativa quanto non è schietto né vero. 

Imprimete nelle coscienze dei giovani il genuino concetto della libertà, della vera libertà, degna e propria di una creatura fatta ad immagine di Dio. 

E ben altra cosa che dissoluzione e sfrenatezza; è invece provata idoneità al bene; e quel risolversi da sé a volerlo e a compierlo [12]; è la padronanza sulle proprie facoltà, sugl’istinti, sugli avvenimenti. 

Educateli a pregare e ad attingere dalle fonti della Penitenza e della Ss.ma Eucaristia ciò che la natura non può dare: la forza di non cadere, la forza di risorgere. Sentano già da giovani che senza l’aiuto di queste energie soprannaturali essi non riuscirebbero ad essere né buoni cristiani, né semplicemente uomini onesti, cui sia retaggio un vivere sereno. 

Ma così preparati, potranno aspirare anche all’ottimo, potranno darsi cioè a quel grande impiego di sé, il cui adempimento sarà il loro vanto: attuare Cristo nella loro vita.

A conseguire questo scopo Noi esortiamo tutti i Nostri diletti figli e figlie della grande famiglia umana ad essere fra di loro strettamente uniti: uniti per la difesa della verità, per la diffusione del regno di Cristo sulla terra. Si bandisca ogni divisione, si rimuova ogni dissenso; si sacrifichi generosamente — costi quel che costi — a questo bene superiore, a questo supremo ideale, ogni veduta particolare, ogni preferenza soggettiva; « se mala cupidigia altro vi grida », la vostra coscienza cristiana vinca ogni prova, sicché il nemico di Dio « tra voi di voi non rida » [13]. Il vigore della sana educazione si riveli nella sua fecondità in tutti i popoli, i quali tremano per l’avvenire della loro gioventù. Così il Signore riverserà su di voi e sulle vostre famiglie l’abbondanza delle sue grazie, in pegno delle quali v’impartiamo con paterno affetto l’Apostolica Benedizione.


A.A.S., vol. XXXXIV (1952), n. 5 - 6, pp. 270 - 278.

[1] Cf. Io., 14, 6.

[2] Cf. Rom., 2, 14-16.

[3] Cf. Matth., 7, 21.

[4] Cf. Matth., 7, 13-14.

[5Luc., 13, 24.

[6] Io., 14, 21, 24.

[7] Cf. Luc., 9, 23.

[8] Cf. Matth., 10, 37-39.

[9Luc., 12, 4-5.

[10] Lit. de sacr. Corde Iesu.

[11Phil., 2, 12

[12] Cf. Gal., 5,13.

[13Par., 5, 79, 81.


AMDG et DVM

lunedì 29 marzo 2021

Libro-intervista “Ultime conversazioni” - Ultimissime riflessioni

 28 marzo 2021

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Lo sappiamo: è in-credibile. Ma è normale: di fronte a un cambiamento di prospettiva così radicale entrano in gioco una serie di fattori psico-emotivi dove il rifiuto iniziale è una risposta inevitabile. Comunque, noi dobbiamo fare il nostro dovere: presentarvi fatti, documenti e ragionamenti per collegarli. Il resto sta a Voi.

L’”inaccettabile” proposta che stiamo per illustrarvi riguarda il libro-intervista “Ultime conversazioni” (Garzanti 2016) scritto da papa Benedetto XVI insieme al giornalista tedesco Peter Seewald.

In questo volume pare siano presenti due possibili letture, soprattutto nei capitoli che parlano delle “dimissioni” di Ratzinger e del suo "successore".

La prima lettura è patente: “clericalmente corretta” e risponde alla percezione comune supportata dai grandi media. Essa però è scritta con uno stile a tratti un po’ sfaldato e a volte semicomprensibile, del tutto insolito per l’adamantino teologo bavarese (tanto che negli altri capitoli riprende, invece, con ammirevole fluidità).

La seconda lettura, invece, è latente: a un esame più attento, l’uso accortissimo delle parole rende possibile, perfino con un pizzico di humor, un’interpretazione radicalmente opposta, scioccante, a volte immaginifica, ma rivelatrice e puntualmente coerente, soprattutto se si approfondiscono i rimandi alla cronaca e i riferimenti storici, mai casuali.

Peter Seewald appare decisamente “complice” di Ratzinger tanto che molte domande sembrano dei veri e propri “assist”. Ma è possibile che lo stesso giornalista non ne sia, ad oggi, consapevole e che Benedetto, su certi argomenti, abbia fatto inserire alcune domande così come le aveva scritte lui.

Siamo riusciti a “decrittare” due interi capitoli-chiave, più la sintesi: senza eccessive forzature, la possibile seconda interpretazione può collimare con una tesi sulla quale sono stati ormai pubblicati diversi libri e centinaia di articoli. Tali volumi, opera di giornalisti, teologi, latinisti e giuristi,  spiegano perché le dimissioni di papa Ratzinger siano del tutto invalide e i più recenti affermano decisamente come questo sia stato un volontario escamotage per realizzare un grande rinnovamento della Chiesa e una sua ripulitura dalla corruzione interna.

Annunciando e mai ratificando dimissioni dall’esercizio pratico del potere, (il ministerium) cosa inutile ai fini della rinuncia al soglio, Benedetto XVI avrebbe ceduto strategicamente terreno in modo che una falsa chiesa modernista capeggiata da un antipapa si potesse impadronire delle strutture, rivelandosi, col tempo, nella sua identità, nei suoi scopi sovversivi e anticristiani.

Non un “tiro mancino” o un infido inganno, attenzione: dal riconoscimento finale di Benedetto XVI come unico legittimo papa, (vivente, o a posteriori), la falsa chiesa sarebbe annullata istantaneamente e quindi, con quest'operazione dal profondo significato spirituale e storico, sarebbe inaugurata una nuova era di rinnovamento e purificazione peraltro già annunciata da diverse profezie.

Pazzesco, non è vero?

Ma cominciamo con l'esaminare le incongruenze più gravi  e macroscopiche del libro-intervista, quelle che ci dicono come, senza alcun dubbio, Ratzinger utilizzi una qualche forma di linguaggio indiretto.

DATI OGGETTIVI

L’11 febbraio 2013, Benedetto scrive una Declaratio di “dimissioni” con gravi errori di latino. Questi vengono subito corretti (sui giornali) dai latinisti Luciano Canfora e Wilfried Stroh e, più avanti, perfino dal card. Ravasi. Eppure, appena tre anni dopo, Ratzinger scrive nel libro di Seewald: “Il testo l’ho scritto io. In latino, perché una cosa così importante si fa in latino. E’ una lingua che conosco così bene da poter scrivere in modo decoroso. Avrei potuto scriverlo anche in italiano, naturalmente, ma c’era il pericolo che facessi qualche errore”. Come fa ad affermare di essere un bravo latinista dopo quella “figuraccia” a livello mondiale? Ne abbiamo scritto QUI.

Questo pare confermare la tesi secondo cui Ratzinger inserì apposta quegli errori nella Declaratio per richiamare l’attenzione su dimissioni del tutto invalide. Così, anche nel libro di Seewald, il papa riconduce  i lettori a quella strana incoerenza di tre anni prima, come a dire: "indagate lì".

Ancora un altro dato: in riferimento alle proprie dimissioni, Benedetto afferma nel libro di Seewald: “Nessun papa si è dimesso per mille anni e anche nel primo millennio ciò ha costituito un’eccezione”. Ieri abbiamo dimostrato QUI che si tratta di un errore storico gravissimo, dato che in ciascuno  dei due millenni si sono dimessi ben sei papi. Ricercando nella storia ecclesiastica, il riferimento di Ratzinger  è inevitabilmente al papa Benedetto VIII che nel 1012 rinunciò temporaneamente al ministerium (a fare il papa, come ha scritto Ratzinger nella sua Declaratio) per colpa – guarda caso - di un antipapa. Ritorna ancora una volta la tesi secondo cui lui non si è affatto dimesso, ma ha consentito volontariamente che si producesse un antipapato attraverso una “ritirata strategica”. Forse per questo Mons. Gaenswein ha dichiarato due giorni fa che lui e Benedetto "sono in lockdown sperimentale da otto anni"?

Decisamente notevole, poi, questa domanda-risposta.

D. La diminuzione del vigore fisico è un motivo sufficiente per scendere dal soglio di Pietro?

R. Se si vuole svolgere l’incarico (papale) come si deve non c’è ombra di dubbio: se non c’è più la capacità di farlo è necessario – per me almeno, un altro può vedere la cosa altrimenti – lasciare libero il soglio. 

Benedetto qui ci spiega - indirettamente, ma logicamente - come avrebbe dovuto scrivere delle dimissioni corrette: “Siccome il ministerium (fare il papa) mi è diventato gravoso, lascio il munus (il soglio, l‘essere papa)”. Ma Benedetto ha fatto l’esatto contrario!  Ha rinunciato al ministerium perché il munus gli era diventato gravoso. 

Infatti - “un altro” (l'antipapa?) – la vede in modo diverso, pensando  che il papa, rinunciando al ministerium, abbia perso anche il munus e cadendo nella trappola. Ritorna ancora la stessa tesi, dato che proprio sulla rinuncia inutile al ministerium si basano i testi che ventilano un piano preciso per annullare l’anti-Chiesa.

INTERPRETAZIONI ELUSIVE, IRONICHE, O CON DUPLICE SIGNIFICATO

Attenzione: le seguenti sono interpretazioni POSSIBILI di frasi reali tratte dal volume di Seewald. Alcune sono estremamente sottili, bisogna riflettervi un attimo sopra.

Ciò che deve essere verificato qui, di oggettivo,  non è se il senso vero sia l’uno o l’altro, ma se la costruzione delle frasi si possa prestare a un’ambiguità studiata e “scientifica” per corroborare la tesi del Reset cattolico.

Domanda. “Come ha giurato obbedienza al suo successore? “ RispostaIl papa è il papa, non importa chi sia”. (Facile elusione dell’interrogativo).

Prosegue Ratzinger: “Non vedo rotture col mio pontificato. Naturalmente si possono fraintendere alcuni punti per poi dire che adesso le cose vanno in modo del tutto diverso”. (Il mio pontificato non è terminato. Hanno frainteso pensando che io mi sia dimesso da papa e che ora ci sia un altro papa).

Questa è molto sottile, attenzione all’assist di Seewald:

D. Originariamente lei voleva dimettersi già in dicembre, poi però ha deciso per l’11 febbraio, lunedì di CARNEVALE, festa della Madonna di Lourdes. Ha un significato simbolico?  

R. Che fosse il lunedì di carnevale non ne ERO consapevole. In Germania mi ha causato anche qualche problema. Era il giorno della Madonna di Lourdes. La festa di Bernadette di Lourdes, a sua volta, coincide con il giorno del mio compleanno. Per questo mi sembrava giusto scegliere proprio quel giorno. 

D. La data dunque HA...

R. ...un NESSO interiore, sì.

(Seewald non chiede: “la data dunque AVEVA…” ma “la data dunque HA”: il nesso è ora, logicamente, fra 4 contingenze: Madonna di Lourdes, festa di Bernadettecompleanno di Ratzinger e PRIMO LUNEDI DI CARNEVALE, cosa di cui Ratzinger è divenuto consapevole subito dopo la Declaratio perché, come specifica non casualmente, in Germania avevano pensato a una carnevalata. La sua Declaratio di dimissioni è stata dunque un gigantesco scherzo sotto l’egida della Madonna?).

APPREZZAMENTI SU FRANCESCO

E’ oggettivo che in tutto il libro non si riesca a trovare UNA frase che sia inequivocabilmente - al di là di ogni dubbio - di ammirazione, o stima per Bergoglio. Ecco alcuni esempi:

"Più osservo il «carisma» di Francesco, più capisco che è stata una volontà divina".    (E' stata la volontà divina a farmi annunciare dimissioni invalide”? Non vi è alcuna considerazione sulla positività del carisma di Francesco).

 “Ho ricevuto una  sua lettera (di Bergoglio), la sua scrittura è minuta. È molto più piccina della mia. Io in confronto scrivo grandissimo”, (in riferimento al confronto fra la levatura dottrinale sua e di Bergoglio?).

“Non mi era nota la sua cordialità, la sua attenzione nei confronti degli altri”, (degli altri, non nei miei?).

 “Ho seguito il conclave (in cui fu eletto Bergoglio) vedendo quello che si poteva vedere alla televisione, soprattutto la sera dell’elezione”. (Non specifica se in tv ha visto le trasmissioni sul conclave o, magari, del tutto disinteressato, non abbia visto altri programmi tv, pur consoni alla sua dignità: “quello che si poteva vedere”).

E’ una persona molto diretta con i suoi simili”, (è molto autoritario coi suoi sodali?).

Su alcune cose (Bergoglio) mi ha rivolto delle domande, anche per l’intervista che ha concesso a «La Civiltà Cattolica». D’accordo, in questi casi esprimo la mia opinione”. (Siamo andati a controllare l’intervista su Civiltà Cattolica. Alla prima domanda: “Chi è Jorge Mario Bergoglio?”,  Bergoglio stesso risponde: “Non so quale possa essere la definizione più giusta… Io sono un peccatore. Questa è la definizione più giusta. E non è un modo di dire, un genere letterario. Sono un peccatore”.

Prosegue Ratzinger: “Bergoglio è un uomo riflessivo, un papa che riflette (Sembra un indovinello: solo il riflesso di un vero papa? Da non dimenticare che nel Terzo Segreto di Fatima, di cui Ratzinger è profondo conoscitore, si parla di due papi allo specchio, uno vero e uno falso).

Attenzione qui:

Seewald:  “Cosa ha pensato quando il suo successore si è affacciato sulla loggia della basilica di San Pietro? E per di più vestito di bianco?” (Che domanda è? Di cosa doveva vestirsi un papa neo-eletto?).

Ratzinger: È stata una sua scelta, anche noi che l’abbiamo preceduto eravamo in bianco. Non ha voluto la mozzetta rossa”. (Bergoglio, cardinale, ha scelto di indossare abusivamente la veste bianca come la mia, da legittimo papa. E non ha voluto indossare la mozzetta rossa da cardinale che gli spettava). Del resto, se Bergoglio è stato eletto legalmente papa, come poteva essere una “sua scelta” quella di vestirsi di bianco come Ratzinger e i predecessori? La veste bianca è obbligatoria, solo la mozzetta rossa è facoltativa. Da notare infine come Benedetto riesumi l'antico plurale maiestatico per definire se stesso).

"Ho ricevuto la sua esortazione apostolica. Non è affatto un testo breve, ma è bello e avvincente". (Non è affatto un "breve" apostolico, ovvero non ha validità di documento papale, ma è bello e avvincente... come un romanzo?). 

Interessante come un paio di volte Ratzinger definisca Bergoglio “il nuovo papa”. La cosa sulle prime sembra essere un riconoscimento effettivo della sua legittimità. Poi ci si ricorda che Ratzinger scrive nel 2016, quando Bergoglio è papa già da tre anni! Che senso ha chiamarlo ancora “nuovo papa” e non "IL papa" se "il papa è uno solo", come dice Ratzinger e se è solo Bergoglio, come vogliono fargli dire i media a tutti i costi? Si potrebbe intendere, quindi, “nuovo” papa, come “sovversivo”, “novatore”, “singolare”. Scrive peraltro Benedetto:

“Il nuovo papa è inoltre contemporaneamente italiano e sudamericano, così che qui si palesa il profondo intreccio tra Vecchio e Nuovo Mondo e l’intrinseca unità della storia”.

Più avanti, a pag. 184, riprende la metafora: “Io non appartengo più al vecchio mondo, ma quello nuovo in realtà non è ancora incominciato”. Vecchio e nuovo mondo non sono dunque una categoria geografica, ma due ERE, una materialista e l’altra spirituale. In questo senso, il papa Benedetto e l’antipapa Francesco sarebbero entrambi uno spartiacque in quest’epoca di passaggio verso il rinnovamento cristiano cattolico. E l’unità della storia potrebbe riferirsi al già visto parallelismo col predecessore Benedetto VIII-antipapa Gregorio, di un millennio prima.

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Molte cose vi saranno parse delle sfumature sottilissime, ma rileggendo bene viene fuori un uso del tutto particolare della lingua. Orbene, ecco la domanda finale che vi sarete posti: come mai Benedetto XVI non parla chiaro, una volta per tutte?

Le risposte possono essere tre:

1) In realtà è tutto casuale: un incredibile scherzo del destino ha accumulato una serie di semplici, casuali coincidenze non-significative. Sono solo i pazzi complottisti a voler vedere assurdi collegamenti dove non ce ne sono.

2) Se tutto il sistema è stato organizzato per produrre un rinnovamento spirituale, il messaggio dovrà essere tenue: solamente chi avrà “occhi per vedere e orecchie per intendere” capirà. Per questo Benedetto lascia che tutto vada da sé affidandosi agli uomini di vera fede, sulla base della frase di Gesù: "Chi cerca, trova".

3) Il Santo Padre non può parlare liberamente ed è costretto a far filtrare questi messaggi in modo indiretto per comunicare all’esterno. Gli unici che hanno potuto intervistarlo sono fino ad oggi giornalisti che provengono da testate pro-Bergoglio. Vescovi che hanno chiesto di parlare con lui, pare non siano mai riusciti a farsi ricevere.

Decidete Voi.