giovedì 1 agosto 2019

IL SEGRETO DI MARIA (4)



C) ECCELLENZA DELLA SANTA SCHIAVITU': 
PERCHE' FA PASSARE TUTTA LA
NOSTRA VITA SPIRITUALE PER MARIA, LA MEDIATRICE



Passare per Maria è imitare le tre Persone divine

35. Quanta luce dovrei avere per esporre a dovere l'eccellenza di questa devozione! Dirò soltanto
rapidamente:
1) - Darci così a Gesù per mezzo dì Maria è imitare Dio Padre, il quale ci ha dato il suo Figlio solo
per mezzo di Maria, e solo per mezzo di Lei ci comunica le sue grazie. E' imitare Dio Figlio, il
quale è venuto a noi solo per mezzo di Maria, e, avendoci dato l'esempio affinché facessimo come
Egli ha fatto, ci ha sollecitati ad andare a Lui per lo stesso mezzo con cui Egli è venuto a noi, cioè
Maria. E' imitare lo Spirito Santo, il quale soltanto per mezzo di Maria ci elargisce le sue grazie e i
suoi doni. Non è forse giusto, - dice San Bernardo-, che la grazia ritorni al suo Autore dallo stesso
canale per il quale è venuta a noi?



E' onorare Gesù

36. 2) - Andare a Gesù per mezzo di Maria è onorare veramente Nostro Signore Gesù Cristo, perché
è riconoscere che non siamo degni di accostarci direttamente da noi stessi alla sua infinita santità, a
causa dei nostri peccati, e insieme che abbiamo bisogno di Maria, sua santa Madre, perché sia
nostra Avvocata e nostra Mediatrice presso di Lui, che è nostro Mediatore. E' nello stesso tempo
accostarci a Lui come a Mediatore nostro ed a nostro Fratello, ed umiliarci davanti a Lui come
davanti al nostro Dio ed il nostro Giudice: in una parola, è praticare l'umiltà che rapisce sempre il
cuore di Dio.



E' il mezzo di purificare e di abbellire le nostre buone azioni

37. 3) - Consacrarci così a Gesù per mezzo di Maria, è mettere nelle mani di Maria le nostre buone
opere, le quali, benché sembrino buone, sono spesso macchiate e indegne degli sguardi e del
compiacimento di quel Dio, davanti al quale le stelle stesse non sono pure. Preghiamo questa buona
Madre e Padrona affinché, avendo accettato il nostro misero dono, lo purifichi, lo santifichi, lo
nobiliti e l'abbellisca in modo da renderlo degno di Dio. 

Davanti a Dio, il Padre di famiglia, tutti i
frutti della nostra anima hanno meno valore per attirarci la sua amicizia e la sua grazia, di quanto
non ne avrebbe davanti al re la mela bacata di un povero contadino, colono di Sua Maestà, per
pagare il proprio affitto. Che cosa farebbe il meschino, se fosse intelligente e sapesse di essere ben
voluto dalla regina? Non metterebbe forse la sua mela nelle mani di lei? e questa, sia per bontà
verso il povero contadino, sia per rispetto verso il re, non toglierebbe forse dalla mela quello che vi
fosse di difettoso e di guasto, mettendola poi sopra un vassoio d'oro, ornato di fiori? E il re potrebbe
non accettarla, anche con gioia, dalle mani della regina, che vuole così bene a quel contadino? 
Se
vuoi offrire qualche piccolo dono a Dio, - dice San Bernardo mettilo nelle mani di Maria, a meno
che non t'importi di essere respinto.


Perché senza Maria le nostre azioni valgono ben poco

38. Dio mio! com'è poca cosa quello che facciamo! Ma mettiamolo in mano a Maria con questa
devozione; e quando ci saremo dati interamente a Maria, tanto quanto è possibile, spogliandoci di
tutto in suo onore, Ella sarà infinitamente più generosa verso di noi, poiché "per un uovo ci darà un
bove" comunicandosi a noi con tutti i suoi meriti e tutte le sue virtù, mettendo i nostri meschini doni
nel piatto d'oro della sua carità, rivestendoci, come Rebecca fece con Giacobbe, dei begli abiti del
suo Primogenito ed unico Figlio, Gesù Cristo, cioè dei meriti di Lui, che Ella tiene a sua
disposizione; e così, dopo esserci, spogliati di tutto per onorarla quali suoi domestici e suoi schiavi,
avremo doppia veste: "Tutti i suoi familiari hanno doppia veste": vesti, ornamenti, profumi, meriti e
virtù di Gesù e di Maria nell'anima di uno schiavo di Gesù e di Maria, spoglio di se stesso e fedele
nel suo spogliamento.


E' esercitare meravigliosamente la carità verso il prossimo

39. 4) - Darsi così alla Santissima Vergine è praticare nel suo più alto grado possibile la carità verso
il prossimo; poiché è dare a Maria tutto ciò che si ha di più caro, affinché ne disponga a suo
piacimento a favore dei vivi e dei morti.

E' il mezzo di conservare e di aumentare la grazia di Dio in noi

40. 5) - Con questa devozione si mettono al sicuro le proprie grazie, i propri meriti e le proprie
virtù, facendone depositaria Maria e dicendole:

"Ecco, mia cara Signora, ciò che, per grazia di tuo Figlio, ho potuto fare di bene; tienitelo, perché
purtroppo, a causa della mia debolezza ed incostanza, a causa del numero stragrande e della malizia
dei miei nemici, insorgenti contro di me giorno e notte, io non mi sento capace di conservarlo. Si
vedono, ahimè! tutti i giorni cadere nel fango cedri del Libano, e diventare uccelli notturni aquile
che si innalzavano fino al sole; io vedo altresì mille giusti cadere alla mia sinistra e diecimila alla
mia destra. Ma Tu, o mia potente e grandissima Principessa, sorreggimi, perché non cada;
custodisci ogni mio bene, perché non mi sia rubato. a Te affido in deposito tutto quanto posseggo.
so bene chi sei, perciò tutto mi abbandono a te. Tu sei fedele a Dio ed agli uomini, non lascerai
quindi perire nulla di quanto ti ho affidato; Tu sei potente, e nulla può nuocerti, né rapirti ciò che
tieni nella tua mano".

"Se la segui non ti smarrisci, se la preghi non disperi, se pensi a lei non sbagli.
Sostenuto da lei non cadi, protetto da lei non temi, guidato da lei non ti stanchi,
con la sua benevolenza giungerai ... " (San Bernardo, inter flores, cap. 135; De Maria Virgine, pag. 2150).

Ed altrove aggiunge: "Maria trattiene il Figlio perché non colpisca, il diavolo perché non nuoccia, le
virtù perché non fuggano, i meriti perché non spariscano, le grazie perché non vengano meno".
Parole di San Bernardo, che esprimono in sostanza quanto ho detto. Se anche ci fosse solamente
questo motivo per invogliarmi a questa devozione, che mi offre il mezzo sicuro di conservarmi anzi
di crescere nella grazia di Dio, io non dovrei spirare per essa che fuoco e fiamme.
É la vera liberazione della nostra anima

41. 6) - Questa devozione rende un'anima veramente libera della libertà dei figli di Dio. Siccome
noi, per amore di Maria, ci riduciamo volontariamente in schiavitù, questa cara Padrona, per
riconoscenza, allarga e dilata il nostro cuore e ci fa camminare a passi da gigante nella via dei
comandamenti del Signore. 
Ella scaccia la noia, la tristezza e lo scrupolo. Nostro Signore stesso
fece conoscere alla Madre Agnese di Langeac, morta in concetto di santità, questa devozione, quale
sicuro mezzo per uscire dalle grandi pene e perplessità in cui si trovava: "Fatti schiava di mia Madre
e mettiti la catenella", - le disse; Agnese acconsentì e nel momento stesso ogni pena scomparve.
E' seguire il consiglio della Chiesa e l'esempio dei Santi

42. Per autorizzare questa devozione, bisognerebbe ricordare tutte le Bolle e le Indulgenze
accordate dai Papi, le Pastorali dei Vescovi, le Confraternite fondate in suo onore, l'esempio di
parecchi Santi e di grandi personaggi che l'hanno praticata; ma tutto questo lo lascio da parte.

TOTUS TUUS , MARIA!

QUI: i retroscena della storia recente, meglio: Il disegno dell'amore misericordioso.


1 gennaio 1979. 
Festa della Maternità divina di Maria Santissima.

Il disegno dell'amore misericordioso.

«Figli prediletti, sono accanto a voi all'inizio di questo nuovo anno. Abbiate fiducia nel mio
Cuore Immacolato.

Nel mio Cuore è racchiuso il disegno dell'amore misericordioso di mio Figlio Gesù, che vuole
ricondurre il mondo al Padre per la perfetta glorificazione di Dio.

Il mondo non è perduto, anche se ora cammina sulle strade della perdizione e della sua stessa
distruzione. Attraverso una prova, che Io vi ho più volte preannunciato, sarà alla fine salvato
con un atto dell'amore misericordioso di Gesù, che vi ha affidati all'azione della vostra
Mamma Celeste.

Ancora i peccati ricoprono la terra; odio e violenza esplodono da ogni parte; i più grandi delitti
gridano ogni giorno vendetta al cospetto di Dio.

Iniziate un anno in cui da tutti sarà particolarmente avvertita la potente mano di Dio, che si
piegherà sul mondo per soccorrerlo con la forza irresistibile del suo amore misericordioso.
Per questo, figli miei, vi attendono avvenimenti che voi non potete immaginare.

Ma vi sono anche le preghiere dei buoni, i dolori degli innocenti, le sofferenze nascoste di
molti, le lacrime e le implorazioni di numerose vittime sparse in ogni parte del mondo. Per
mezzo di esse ho affrettato i tempi del mio straordinario intervento.

La Chiesa, mia figlia prediletta, esce ora da una grande prova, perché la battaglia tra Me e il
mio Avversario si è svolta anche al suo vertice. Satana ha tentato di introdursi fino a
minacciare la pietra su cui è fondata la Chiesa, ma l'ho a lui impedito. Proprio mentre Satana si
illudeva di vincere, dopo che Dio aveva accolto il sacrificio di Papa Paolo VI e di Giovanni Paolo
I, da Dio ho ottenuto alla Chiesa il Papa da Me preparato e formato.

Egli si è consacrato al mio Cuore Immacolato e mi ha solennemente affidato la Chiesa di cui
sono Madre e Regina.

Nella persona e nell'opera del Santo Padre Giovanni Paolo II, Io rifletto la mia grande Luce,
che diventerà tanto più forte, quanto più la tenebra avvolgerà ogni cosa.

Sacerdoti e fedeli consacrati al mio Cuore Immacolato, figli che da ogni parte del mondo ho
raccolto nella mia schiera per la grande battaglia che ci attende: unitevi tutti attorno al Papa
e sarete rivestiti della mia stessa forza e della mia luce meravigliosa.

Amatelo, pregate per Lui, ascoltatelo. Ubbiditelo in tutto, anche nel portare l'abito
ecclesiastico, secondo il desiderio del mio Cuore ed il suo volere che vi ha già manifestato.

Offritemi il dolore che provate se, per questo, sarete talvolta derisi dai vostri stessi
confratelli.

Anche alla Chiesa, che ha nel Papa la sua guida sicura, sarà abbreviato il tempo della
purificazione, secondo il mio disegno di amore.

Questa perciò è la vostra ora; l'ora degli apostoli del mio Cuore Immacolato.

Diffondete con coraggio il Vangelo di Gesù, 
difendete la Verità, 
amate la Chiesa; 
aiutate tutti a fuggire il peccato e a vivere nella grazia e nell'amore di Dio.

Pregate, soffrite, riparate.

State entrando nel periodo conclusivo della purificazione e il tempo non sia da voi misurato,
perché è ormai ordinato secondo un disegno di amore che siete chiamati a vedere presto in
tutto il suo splendore».



AMDG et DVM

IL "perdono" di Assisi


IL PERDONO DI ASSISI
L’
INDULGENZA RIGUARDA LA PENA NON L’ASSOLUZIONE DEI PECCATI… specialmente se non confessati e non intenzionati a rigettarli.
(Papa Onorio III)

Chi è il vero san Francesco? in cosa è l’immagine per antonomasia dell’ortodossia portata allo zelo estremo?
Il vero san Francesco, oggi, a mio parere, lo ritroviamo nel “Perdono di Assisi” dove ritengo sia racchiuso tutto il suo essere e il suo pensiero.
Illuminante, in tal senso, è l’opuscolo che nel 2005 Benedetto XVI ha dedicato proprio a questo “Perdono d’ Assisi”, riproponendo, per altro, la sua stessa esperienza.
Voglio mandarvi tutti in Paradiso”: in questa affermazione si trova il vero san Francesco, con tutto quello che, naturalmente, comporta perché in Paradiso non si va se non per la via stretta dell’ortodossia dei Comandamenti – tutti: nessuno è escluso – che è la via “ordinaria”. Non ci si va senza penitenza, non ci si va se non si è “poveri” bisognosi del Perdono, della misericordia di Dio…
Possiamo citare brevemente il passo dalle Fonti:
(FF 3391-3397): «Insieme ai vescovi dell’Umbria, al popolo convenuto alla Porziuncola, Francesco disse tra le lacrime: “Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in paradiso!”». Poco prima, il santo si era recato dal papa Onorio III, che in quei giorni si trovava a Perugia, per chiedergli il privilegio dell’indulgenza plenaria per tutti coloro che in stato di grazia, nel giorno del 2 agosto, avrebbero visitato questa chiesetta, dove egli viveva in povertà, aveva accolto s. Chiara, fondato l’Ordine dei Minori per poi inviarli nel mondo come messaggeri di pace. Alla domanda del Papa: «Francesco, per quanti anni vuoi questa indulgenza?», il santo rispose: «Padre Santo, non domando anni, ma anime». E felice si avviò verso la porta, ma il Pontefice lo chiamò: «Come, non vuoi nessun documento?». E Francesco: «Santo Padre, a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza è opera di Dio, egli penserà a manifestare l’opera sua; io non ho bisogno di alcun documento; questa carta deve essere la Santissima Vergine Maria, Cristo il notaio e gli Angeli i testimoni».
Per lucrare l’indulgenza occorre essere in “stato di grazia”: più chiaro di così non si può! Nessuno sconto al peccato. L’indulgenza riguarda infatti la pena, non l’assoluzione dei peccati senza essersi confessati e senza essersi convertiti.

BENEDETTO XVI: QUELLA PREGHIERA CHE SAPEVO CERTAMENTE ESAUDITA
Arrivando ad Assisi da sud, nella piana si incontra la maestosa Basilica di Santa Maria degli Angeli, ma quel che cerchiamo, lo troviamo al centro della Basilica: una cappella medievale in cui degli antichi affreschi ci raccontano episodi della storia della salvezza e della vita di san Francesco, che proprio in questo luogo visse importanti esperienze. In quello spazio basso e poco illuminato possiamo percepire qualcosa del raccoglimento e della commozione che vengono dalla fede dei secoli, che qui ha trovato un luogo di riparo e di orientamento. Al tempo di san Francesco il territorio circostante era coperto di boschi, paludoso e disabitato.
Nel terzo anno dalla sua conversione Francesco si imbatté in questa piccola chiesa, ormai del tutto cadente, la chiesetta della Porziuncola dedicata a Santa Maria degli Angeli, in cui egli venerava la Madre di ogni bontà. Lo stato di abbandono in cui si trovava dovette parergli un triste segno della condizione della Chiesa stessa; egli ancora non sapeva che, restaurando quegli edifici, si stava preparando a rinnovare la Chiesa vivente. Ma proprio in questa cappella gli si fece incontro la chiamata definitiva, che diede alla sua missione la sua vera forma e permise la nascita dell’Ordine dei Frati Minori, all’inizio pensato come un movimento di evangelizzazione che doveva raccogliere di nuovo il popolo di Dio per il ritorno del Signore.
La Porziuncola era divenuta per Francesco il luogo dove finalmente aveva compreso il Vangelo. Si era infatti accorto che non si trattava di parole del passato, ma di un appello che si rivolgeva direttamente ed esplicitamente a lui come persona.
La Porziuncola – lo abbiamo visto – è anzitutto un luogo, ma grazie a Francesco d’Assisi è divenuto una realtà dello spirito e della fede, che proprio qui si fa sensibile e diventa un luogo concreto in cui possiamo entrare, ma grazie al quale possiamo anche accedere alla storia della fede e alla sua forza sempre efficace. Che poi la Porziuncola non ci ricordi solo grandi storie di conversione del passato, non rappresenti solo una semplice idea, ma riesca ancora ad accostarci al legame vivente di penitenza e di grazia, ciò dipende dal cosiddetto “Perdono d’Assisi”, che più propriamente dovremmo chiamare “Perdono della Porziuncola”. Qual è il suo vero significato? Secondo una tradizione che sicuramente risale almeno alla fine del secolo XIII, Francesco nel luglio del 1216 avrebbe fatto visita nella vicina Perugia al papa Onorio III, subito dopo la sua elezione, e gli avrebbe sottoposto una richiesta inusuale: chiese al pontefice di concedere l’Indulgenza plenaria per tutta la loro vita precedente a tutti coloro che si fossero recati nella chiesetta della Porziuncola, confessandosi e facendo penitenza dei propri peccati.
Il cristiano di oggi si chiederà che cosa possa significare un tale Perdono.
Al tempo di san Francesco come forma principale di penitenza imposta dalla Chiesa, in stretto rapporto con il Perdono dei peccati, era invalso l’uso di intraprendere un grande pellegrinaggio, a Santiago, a Roma e, soprattutto a Gerusalemme. Il lungo, pericoloso e difficile viaggio a Gerusalemme poteva davvero diventare per molti pellegrini un viaggio interiore; tuttavia un aspetto molto concreto era anche il fatto che in Terra Santa le offerte che esso portava con sé erano divenute la fonte più importante per il mantenimento della Chiesa locale. In proposito non si dovrebbe storcere troppo facilmente il naso: in tal modo la penitenza acquistava anche una valenza sociale.
Se dunque – come vuole la tradizione – Francesco aveva avanzato la richiesta che tutto questo potesse essere ottenuto con la visita orante al santo luogo della Porziuncola, ciò era legato davvero a qualcosa di nuovo: una Indulgenza, che doveva cambiare l’intera prassi penitenziale. Si può senz’altro comprendere che i cardinali fossero scontenti della concessione di questo privilegio da parte del papa e temessero per il sostentamento economico della Terra Santa, tanto che il Perdono della Porziuncola fu inizialmente ridotto a un solo giorno all’anno, quello della dedicazione della Chiesa, il 2 agosto.
A questo punto, però, ci si domanda se il papa potesse far questo così semplicemente. Può un papa dispensare da un processo esistenziale, quale era quello previsto dalla grande prassi penitenziale della Chiesa? Ovviamente, no. Quel che è un’esigenza interiore dell’esistenza umana, non può essere reso superfluo mediante un atto giuridico. Ma non si trattava affatto di questo. Francesco, che aveva scoperto i poveri e la povertà, nella sua richiesta era spinto dalla sollecitudine per quelle persone a cui mancavano i mezzi o le forze per un pellegrinaggio in Terra Santa; coloro che non potevano dare nulla, se non la loro fede, la loro preghiera, la loro disponibilità a vivere secondo il Vangelo la propria condizione di povertà. In questo senso l’Indulgenza della Porziuncola e la penitenza di coloro che sono tribolati, che la vita stessa carica già di una penitenza sufficiente. Senza dubbio a ciò si legava anche un’interiorizzazione del concetto stesso di penitenza, sebbene non mancasse certamente la necessaria espressione sensibile dal momento che implicava comunque il pellegrinaggio al semplice e umile luogo della Porziuncola, che allo stesso tempo doveva essere un incontro con la radicalità del Vangelo, come Francesco l’aveva appresa proprio in quel posto.
Dopo la concessione di questa particolare Indulgenza si arrivò ben presto a un passo ulteriore. Proprio le persone umili e di fede semplice finirono per chiedersi: perché solo per me stesso? Non posso forse comunicare anche ad altri quel che mi è stato dato in ambito spirituale, come avviene in ambito materiale? Il pensiero si rivolgeva soprattutto alle povere anime, a coloro che nella vita erano stati loro vicini, che li avevano preceduti nell’altro mondo e il cui destino non poteva essere loro indifferente. Si sapeva degli errori e delle debolezze delle persone che erano state care o dalle quali si erano forse ricevuti anche dei dispiaceri. Perché non ci si poteva preoccupare di loro? Perché non cercare di fare loro del bene anche al di là della tomba, di accorrere in loro aiuto, laddove possibile, nel difficile viaggio delle anime? “Se viviamo, viviamo per il Signore; se moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, noi siamo del Signore”, dice Paolo (Rm 14,8). Questo significa: il vero limite non è più la morte, ma l’appartenere o il non appartenere al Signore. Se gli apparteniamo, allora siamo vicini gli uni agli altri per mezzo di lui e in lui. Per questo – era la conseguenza logica – c’è un amore che va al di là dei limiti della morte.
Nei ricordi della mia giovinezza il giorno del Perdono d’Assisi è rimasto come un giorno di grande interiorità, come un giorno in cui si ricevevano i sacramenti in un clima di raccoglimento personale, come un giorno di preghiera. Nella piazza antistante la nostra chiesa parrocchiale in quel giorno regnava un silenzio particolarmente solenne. Entravano e uscivano in continuazione persone dalla chiesa. Si sentiva che il cristianesimo è grazia e che questa si dischiude nella preghiera. Indipendentemente da ogni teoria sull’Indulgenza, era quello un giorno di fede e di silenziosa speranza, di una preghiera che si sapeva certamente esaudita e che valeva soprattutto per i defunti.
Nel corso del tempo, tuttavia, a tutto questo si aggiunse un’altra idea: nell’ambito spirituale tutto appartiene a tutti. Non c’è nessuna proprietà privata. Il bene di un altro diventa il mio e il mio diventa suo. Tutto viene da Cristo, ma poiché noi gli apparteniamo, anche ciò che è nostro diventa suo ed è investito di forza salvifica. È questo ciò che si intende con le espressioni “tesoro della Chiesa” o “meriti” dei santi.
Chiedere l’Indulgenza significa entrare in questa comunione di beni spirituali e mettersi a propria volta a sua disposizione. La svolta nell’idea di penitenza, che ha avuto inizio alla Porziuncola, ha conseguentemente portato a questo punto: anche spiritualmente nessuno vive per se stesso. E solo allora la preoccupazione per la salvezza della propria anima si libera dall’ansia e dall’egoismo, proprio perché diventa preoccupazione per la salvezza degli altri.
Così la Porziuncola e l’Indulgenza che da lì ha avuto origine diventa un compito, un invito a mettere la salvezza degli altri al di sopra della mia e, proprio in questo modo, a trovare anche me stesso. Si tratta di non chiedere più: sarò salvato? Ma: che cosa vuole Dio da me perché altri siano salvati?
L’Indulgenza rinvia alla comunione dei santi, al mistero della sostituzione vicaria, alla preghiera come via per diventare una cosa sola con Cristo e con il suo volere. Egli ci invita a partecipare alla tessitura dell’abito bianco della nuova umanità, che proprio nella sua semplicità è la vera bellezza.
L’Indulgenza in fondo è un po’ come la chiesa della Porziuncola: come bisogna percorrere gli spazi piuttosto freddi ed estranei del grande edificio per trovare al suo centro l’umile chiesetta che tocca il nostro cuore, così occorre attraversare il complesso intreccio della storia e delle idee teologiche per giungere a ciò che è davvero semplice: alla preghiera, con cui ci lasciamo cadere nella comunione dei santi, per cooperare con essi alla vittoria del bene sull’apparente onnipotenza del male, sapendo che alla fine tutto e grazia.

 
Racconta il papa Benedetto XVI, in un passo molto significativo perchè parla anche di se stesso:
Qui devo aggiungere che nel corso del tempo l’indulgenza, in un primo momento riservata solo al luogo della Porziuncola, fu poi estesa prima a tutte le chiese francescane e, infine, a tutte le chiese parrocchiali per il 2 agosto. Nei ricordi della mia giovinezza il giorno del perdono d’Assisi è rimasto come un giorno di grande interiorità, come un giorno in cui si ricevevano i sacramenti in un clima di raccoglimento personale, come un giorno di preghiera. 

Nella piazza antistante la nostra chiesa parrocchiale in quel giorno regnava un silenzio particolarmente solenne. Entravano e uscivano in continuazione persone dalla chiesa. Si sentiva che il cristianesimo è grazia e che questa si dischiude nella preghiera. Indipendentemente da ogni teoria sull’indulgenza (qui vi suggeriamo di leggere il testo integralmente perché spiega altre cose interessanti), era quello un giorno di fede e di silenziosa speranza, di una preghiera che si sapeva certamente esaudita e che valeva soprattutto per i defunti
…”

e ancora:
Nell’ambito spirituale tutto appartiene a tutti. Non c’è nessuna proprietà privata. Il bene di un altro diventa il mio e il mio diventa suo. Tutto viene da Cristo, ma poiché noi gli apparteniamo, anche ciò che è nostro diventa suo ed è investito di forza salvifica. 
È questo ciò che si intende con le espressioni «tesoro della Chiesa» o «meriti» dei santi. 
Chiedere l’indulgenza significa entrare in questa comunione di beni spirituali e mettersi a propria volta a sua disposizione. 

La svolta nell’idea di penitenza, che ha avuto inizio alla Porziuncola, ha conseguentemente portato a questo punto: anche spiritualmente nessuno vive per se stesso. E solo allora la preoccupazione per la salvezza della propria anima si libera dall’ansia e dall’egoismo, proprio perché diventa preoccupazione per la salvezza degli altri. 

Così la Porziuncola e l’indulgenza che da lì ha avuto origine diventa un compito, un invito a mettere la salvezza degli altri al di sopra della mia e, proprio in questo modo, a trovare anche me stesso. Si tratta di non chiedere più: sarò salvato? ma: che cosa vuole Dio da me perché altri siano salvati? 

L’indulgenza rinvia alla comunione dei santi, al mistero della sostituzione vicaria, alla preghiera come via per diventare una cosa sola con Cristo e con il suo volere. Egli ci invita a partecipare alla tessitura dell’abito bianco della nuova umanità, che proprio nella sua semplicità è la vera bellezza. L’indulgenza in fondo è un po’ come la chiesa della Porziuncola: come bisogna percorrere gli spazi piuttosto freddi ed estranei del grande edificio per trovare al suo centro l’umile chiesetta che tocca il nostro cuore, così occorre attraversare il complesso intreccio della storia e delle idee teologiche per giungere a ciò che è davvero semplice: alla preghiera, con cui ci lasciamo cadere nella comunione dei santi, per cooperare con essi alla vittoria del bene sull’apparente onnipotenza del male, sapendo che alla fine tutto è grazia”.

Da: Joseph Ratzinger “Il Perdono di Assisi” Ed. Porziuncola 2005

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PERDONO DI ASSISI – come rendere fruttuosa l’Indulgenza
(Per sé o per i defunti)
Dal mezzogiorno del primo agosto alla mezzanotte del giorno seguente (2 agosto), oppure, col permesso dell’Ordinario (Vescovo), nella domenica precedente o seguente (a decorrere dal mezzogiorno del sabato fino alla mezzanotte della domenica) si può lucrare una volta sola l’indulgenza plenaria.
CONDIZIONI RICHIESTE:
1 – Visita, entro il tempo prescritto, a una chiesa Cattedrale o Parrocchiale o ad altra che ne abbia l’indulto e recita del “Padre Nostro” (per riaffermare la propria dignità di figli di Dio, ricevuta nel Battesimo) e del “Credo” (con cui si rinnova la propria professione di fede).
2 – Confessione Sacramentale per essere in Grazia di Dio (negli otto giorni precedenti o seguenti).
3 – Partecipazione alla Santa Messa e Comunione Eucaristica.
4 – Una preghiera secondo le intenzioni del Papa (almeno un “Padre Nostro” e un’“Ave Maria” o altre preghiere a scelta), per riaffermare la propria appartenenza alla Chiesa, il cui fondamento e centro visibile di unità è il Romano Pontefice.
5 – Disposizione d’animo che escluda ogni affetto al peccato, anche veniale.

Le condizioni di cui ai nn. 2, 3 e 4 possono essere adempiute anche nei giorni precedenti o seguenti quello in cui si visita la chiesa; tuttavia è conveniente che la Santa Comunione e la preghiera secondo le intenzioni del Papa siano fatte nello stesso giorno in cui si compie la visita.
SALVE SANCTE PATER

CHI PREGA SI SALVA - CHI NON PREGA SI DANNA

Sant' Alfonso Maria de' Liguori 
Vescovo e dottore della Chiesa
1 agosto

Risultati immagini per Sant' Alfonso Maria de' Liguori Vescovo e dottore della Chiesa
Napoli, 1696 - Nocera de' Pagani, Salerno, 1 agosto 1787
Nasce a Napoli il 27 settembre 1696 da genitori appartenenti alla nobiltà cittadina. Studia filosofia e diritto. Dopo alcuni anni di avvocatura, decide di dedicarsi interamente al Signore. Ordinato prete nel 1726, Alfonso Maria dedica quasi tutto il suo tempo e e il suo ministero agli abitanti dei quartieri più poveri della Napoli settecentesca. Mentre si prepara per un futuro impegno missionario in Oriente, prosegue l'attività di predicatore e confessore e, due o tre volte all'anno, prende parte alle missioni nei paesi all'interno del regno. Nel maggio del 1730, in un momento di forzato riposo, incontra i pastori delle montagne di Amalfi e, constatando il loro profondo abbandono umano e religioso, sente la necessità di rimediare ad una situazione che lo scandalizza sia come pastore che come uomo colto del secolo dei lumi. Lascia Napoli e con alcuni compagni, sotto la guida del vescovo di Castellammare di Stabia, fonda la Congregazione del SS. Salvatore. Intorno al 1760 viene nominato vescovo di Sant'Agata, e governa la sua diocesi con dedizione, fino alla morte, avvenuta il 1 agosto del 1787.
Patronato: Napoli, Teologi, Moralisti, Confessori
Etimologia: Alfonso = valoroso e nobile, dal gotico
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Memoria di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, vescovo e dottore della Chiesa, che rifulse per la sua premura per le anime, i suoi scritti, la sua parola e il suo esempio. Al fine di promuovere la vita cristiana nel popolo, si impegnò nella predicazione e scrisse libri, specialmente di morale, disciplina in cui è ritenuto un maestro, e, sia pure tra molti ostacoli, istituì la Congregazione del Santissimo Redentore per l’evangelizzazione dei semplici. Eletto vescovo di Sant’Agata dei Goti, si impegnò oltremodo in questo ministero, che dovette lasciare quindici anni più tardi per il sopraggiungere di gravi malattie. Passò, quindi, il resto della sua vita a Nocera dei Pagani in Campania, tra grandi sacrifici e difficoltà. 

Tracciare un profilo breve di un santo, grande e longevo quale fu il napoletano Alfonso Maria de’ Liguori, è quasi un’impresa. Qui lo si ricorda soprattutto per la sua tutela dei moralisti, come dal nuovo titolo conferitegli da papa Pio XII nel 1950. 
Il significato del suo nome, Alfonso, rispecchia sinteticamente la sua personalità: valoroso e nobile.

  L’attualità del santo di Napoli sta nel fatto che, pur contrastando nella sostanza il relativismo morale e riconoscendo la Chiesa cattolica come suprema maestra, diede spazio alle “voci interiori della coscienza” e mantenne una posizione di equilibrio e di pratica prudenza tra i due estremi del rigorismo e del lassismo. 
Tale posizione affiora in quasi tutte le sue numerosissime opere di meditazione e di ascetica, ma soprattutto è sempre presente nell’ancora oggi studiata Theologia moralis. È questo in effetti il vero capolavoro di colui che, canonizzato nel 1839, venne decretato da papa Pio IX Dottore della Chiesa nel marzo 1871.

  Alfonso Maria de’ Liguori nacque il 27 settembre 1696 a Marinella, nei pressi di Napoli, nel palazzo di villeggiatura della nobile famiglia: il padre Giuseppe era ufficiale di marina e la madre, Anna Cavalieri, apparteneva al casato dei marchesi d’Avenia. 

Egli fu il primo dei loro otto figli e crebbe all’insegna di una robusta educazione religiosa, addolcita però sempre da sentimenti di compassione nei riguardi dell’infelicità altrui. 
Si suole suddividere la sua vita in cinque distinti periodi, in ognuno dei quali la personalità si arricchiva o si modulava con tanta fede in Gesù e con grande devozione a Maria e alle sue “glorie”.

  Fino a ventisette anni prevalsero gli studi privati nel campo della musica, delle scienze, delle lingue e del diritto, seguiti da una iniziale brillante carriera forense. 
Questa si interruppe improvvisamente per una delusione provata in un processo giudiziario tormentato di falsità. 

Tra il 1723 e il 1732 si colloca il periodo ecclesiastico con l’ordinazione sacerdotale nel 1726 e l’esercizio ad ampio raggio del ministero. 

Quando nel 1730 fu mandato a Scala, sopra Amalfi, esplose la sua spiritualità con la fondazione due anni dopo e poi la diffusione della Congregazione del SS. Salvatore, successivamente approvata dal papa Benedetto XIV come Congregazione del SS. Redentore.

  L’intento era quello di imitare Cristo, cominciando dai redentoristi stessi, i quali andavano via via operando per la redenzione di tante anime con missioni, esercizi spirituali e varie forme di apostolato straordinario.

  Mantenendo la carica di Rettore Maggiore della Congregazione, Alfonso Maria de’ Liguori fu poi, dal 1762 al 1775, vescovo di S. Agata dei Goti, centro oggi in provincia di Benevento e allora sede episcopale di un’area montagnosa, povera e bisognosa di ogni forma di aiuto, al quale il santo rispose con generosità.

  Ammalato di artropatia deformante e quasi cieco, dopo dodici anni di direzione diocesana, Alfonso Maria si dimise e si ritirò nella casa dei suoi fratelli a Nocera de’ Pagani, in provincia di Salerno, tra preghiere e meditazioni. Là morirà il 1° agosto 1787, non senza avere prima subito la dura tribolazione di uno sdoppiamento dei suoi confratelli, ciò che si ricompose soltanto sei anni dopo la sua morte. La Chiesa universale lo ricorda solennemente ogni anno in occasione del dies natalis.

Autore: Mario Benatti
AMDG et DVM

"Gesù di Nazaret", terzo volume.

 La risposta essenziale di Maria all’Annunciazione: il suo semplice «sì»


La risposta essenziale di Maria all’Annunciazione: il suo semplice «sì».


[Maria] si dichiara serva del Signore. «Avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).

Bernardo di Chiaravalle, in una sua omelia di Avvento, ha illustrato in modo drammatico l’aspetto emozionante di questo momento. 

Dopo il fallimento dei progenitori, tutto il mondo è oscurato, sotto il dominio della morte. 
Ora Dio cerca un nuovo ingresso nel mondo. Bussa alla porta di Maria. Ha bisogno della libertà umana. Non può redimere l’uomo, creato libero, senza un libero «sì» alla sua volontà. 

Creando la libertà, Dio, in un certo modo, si è reso dipendente dall’uomo. Il suo potere è legato al «sì» non forzato di una persona umana. Così Bernardo mostra come, nel momento della domanda a Maria, il cielo e la terra, per così dire, trattengono il respiro. Dirà «sì»? Lei indugia… Forse la sua umiltà le sarà d’ostacolo? Per questa sola volta – le dice Bernardo – non essere umile, bensì magnanima! Dacci il tuo «sì»! 

È questo il momento decisivo, in cui dalle sue labbra, dal suo cuore esce la risposta: «Avvenga per me secondo la tua parola». È il momento dell’obbedienza libera, umile e insieme magnanima, nella quale si realizza la decisione più elevata della libertà umana. Maria diventa madre mediante il suo «sì». 

I Padri della Chiesa a volte hanno espresso tutto ciò dicendo che Maria avrebbe concepito mediante l’orecchio – e cioè: mediante il suo ascolto. Attraverso la sua obbedienza, la Parola è entrata in lei e in lei è diventata feconda. 

In questo contesto, i Padri hanno sviluppato l’idea della nascita di Dio in noi attraverso la fede e il Battesimo, mediante i quali sempre di nuovo il Logos viene a noi, rendendoci figli di Dio. 
Pensiamo, per esempio, alle parole di sant’Ireneo: «Come l’uomo passerà in Dio, se Dio non è passato nell’uomo? Come abbandoneranno la nascita per la morte, se non saranno rigenerati mediante la fede in una nuova nascita, donata in modo meraviglioso ed inaspettato da Dio, nella nascita dalla Vergine, quale segno della salvezza?» (Adv. haer. IV 33, 4; cfr. H. Rahner, Symbole der Kirche, p. 23). 


Capitolo 2: L’annuncio della nascita di Giovanni Battista e della nascita di Gesù, pp. 46-47


Da L’infanzia di Gesù, di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Rizzoli – LEV, 2012