mercoledì 2 aprile 2014

S. VINCENZO FERRERI : TRATTATO DELLA VITA SPIRITUALE



S. VINCENZO FERRERI 
TRATTATO DELLA VITA SPIRITUALE 

Traduzione 
del P. S. G. NIVOLI O. P. 
con note dei migliori commentatori 
Scuola Tipografica - S. Benigno Canavese, 1931 


Visto: nulla osta, Torino 10 Gennaio 1931, Can. B. CHIAUDANO 
Imprimatur: Can. ALOYSIUS BENNA V. G. 
Visto, si approva. P. Fr. LODOVICO M.. RAINERI O. P. Revisore. P. fr. GUSMANO M. 
RAINERI O. P. Revisore, Chieri, 15 febbraio 1931 
Imprimi potest, Torino, 21 febbraio 1931, P. Fr. GIUS. IGNAZIO M. CANE O.P., PROVINCIALE 
DELLA PROVINCIA DI S. PIETRO M. 

 INDICE 
Prefazione del traduttore. 
Prefazione di S. Vincenzo 
 PARTE PRIMA. I fondamenti della vita Spirituale. 
I. La povertà volontaria 
II. L'amore del silenzio. 
III. La purezza di cuore 
IV. Effetti della purezza di cuore 
 PARTE SECONDA. La pratica della vita spirituale. 
I. Il Direttore della coscienza. 
II. L'ubbidienza. 
III. Condotta che si deve tenere nella mortificazione del mangiare e del bere. 
IV. Condotta che si deve tenere nella mortificazione del sonno. 
V. Condotta che si deve tenere nello studio 
VI. Condotta che si deve tenere nella preghiera liturgica 
VII. Condotta che si deve tenere nell' esercizio 
del santo ministero. 
VIII. Condotta che si deve tenere in certe tentazioni. 
 PARTE TERZA. Riassunti e massime spirituali. 
I. Alcuni motivi di tendere alla perfezione. 
II. Due fondamenti della vita spirituale 
III. Disposizioni abituali dell'anima che vuole unirsi a Dio 
IV. La scala della perfezione 
V. Massime spirituali 

Appendice. Breve esercizio di perfezione proposto dal Ven. P. Luigi di Granata O.P. nel suo libro: 
Memoriale della vita cristiana.PRESENTAZIONE 




S. Vincenzo Ferreri nacque nel 1346, secondo l'Echard, a Valencia di Spagna e, all'età di 18 anni, 
entrò nell'Ordine dei Frati Predicatori. Fin dalla giovinezza si notò nei suoi costumi una gran 
santità. Nominato professore di filosofia, poi di teologia dopo studi solidi e brillanti, fin dall'età di 
25 anni, era un professore celebre per lo splendore del suo insegnamento. 

Quando scoppiò il Grande Scisma, S. Vincenzo si schierò apertamente per i Papi d'Avignone e 
sostenne la loro causa fino al momento in cui si scoprì la mala fede di Pietro di Luna. Egli stava alla 
Corte pontificia come Maestro del Sacro Palazzo quando, nel 1398, nel corso d'una malattia che 
tutti credevano mortale, Nostro Signore gli apparve, lo guarì istantaneamente e gli affidò la sua gran 
missione dicendogli fra altre cose: «Io t'ho eletto per fare di te un insigne araldo del Vangelo. Va 
attraverso al mondo: io sarò con te». 
Dopo aver rinunziato alla sua carica di Maestro del Sacro Palazzo e ricusato l'episcopato e il 
cardinalato, S. Vincenzo partì per compire questa famosa missione che costituisce uno dei fatti più 
straordinari e dei più importanti della storia della Chiesa nel contrastare il nefasto influsso 
dell'Umanesimo e del Rinascimento pagano. Per ben vent'anni, seguito dalla sua Compagnia di 
disciplinanti, percorse più volte in tutti i sensi l'Europa occidentale, predicando, con un successo 
inaudito, le verità più terribili, attirando turbe immense e provocando conversioni senza numero. 
L'argomento preferito dei suoi discorsi era la necessità della penitenza e l'imminenza del giudizio. 
Fece miracoli a migliaia; in particolare risuscitò morti per provare l'autenticità della sua missione. 
Fu per avventura il più grande taumaturgo e certamente uno dei più potenti apostoli che Dio abbia 
dato alla Chiesa. 
Anche nei suoi viaggi attraverso all'Europa conduceva una vita austerissima e da perfetto 
contemplativo . Nel processo di canonizzazione, si assicura ch'egli morì senz'aver perduto 
l'innocenza battesimale. L'iconografia lo rappresenta ordinariamente con ali d'angelo a cagione della 
perfetta purezza ed anche perché assicurava e provava risuscitando i morti ch'egli era l'Angelo di 
cui parla S. Giovanni al capo quattordicesimo dell'Apocalisse. Morì a Vannes in Bretagna. 
Questo gran Santo scrisse parecchie opere. Noi offriamo alle anime pie la traduzione annotata di 
quella in cui egli lasciò i suoi migliori insegnamenti. «Vi sono dei libri che si possono chiamare 
essenziali - dice il P. Surin - perché si trova in essi tutto ciò che è necessario all' uomo per vivere 
spiritualmente e santamente. Fra questi vi è l'operetta di S. Vincenzo Ferreri: La vita spirituale, che 
dice tutto, ma assai brevemente. Chi la possederà potrà dire d'avere tutta la scienza della vita dello 
spirito». 
S. Vincenzo la compose anzitutto per i religiosi del suo Ordine, come del resto per i religiosi fu 
scritta l'Imitazione di Gesù Cristo e il Combattimento Spirituale. Ma sarà facile ogni cristiano 
appropriarsi di massime e consigli il cui carattere particolare è dì essere pratici. «In nessun libro - 
assicurava Santa Lodovica Bertrando - io ho visto le virtù rappresentate così al vivo come in 
questo». Egli non si ferma alla superficie, alle mezze misure; ma va spietatamente al fondo e fino 
alla radice delle cose. È per eccellenza il libro per formare anime forti, saldamente fondate, e per 
dare alla pietà nel medesimo tempo che una vera base, quella tempra virile ed energica, diventata 
disgraziatamente troppo rara in mezzo a noi. 
Gl'insegnamenti del Santo sono brevi, ma sostanziali e fecondissimi. Offrono alla riflessione una 
materia inesauribile. Egli stesso ha cura d'avvertire «che ha accennato brevemente le verità, anziché 
svilupparle: affinché, aggiunge, impariamo a meditare molto su poche parole, ut addiscas in paucis 
magna cogitare, e affinché ciascuna verità ci sia materia di vaste e profonde considerazioni, 
materia altae contemplationis et spatiosae». È dunque un libro che non si esaurisce mai; è come il 
Vangelo, sempre nuovo. Quanto più vi si cerca, tanto più vi si trova, quanto più lo si possiede, tanto 
meglio si sente resta ad imparare. 
Per rendere più facile la meditazione di queste pagine abbiamo creduto utile aggiungere alcune note 
raccolte dai migliori commentatori come il P. Rousset e il P. Bernadot O. P., e di segnalarne le idee principali. Nessuno dei titoli secondari, nessuna delle note è di S. Vincenzo. Il lettore che le 
stimasse superflue, passi oltre. 
Uno dei libri più diffusi, forse il più diffuso alla fine del medio evo, questo trattatello fu per i 
cristiani di quella grande epoca quello che l'Imitazione di Gesù Cristo è per la nostra, il manuale 
preferito delle anime pie. Noi l'offriamo con fiducia a tutti quelli che amano le cose di Dio. 
Possa esso contribuire a rendere ai cristiani del nostro tempo la pietà umile e virile dei nostri padri! 



PREFAZIONE DI SAN VINCENZO 


Nel presente trattatello non intendo di far altro che esporre salutari insegnamenti estratti dagli scritti 
dei santi Dottori. Non faccio alcuna citazione né della Sacra Scrittura né di qualche Maestro in 
particolare, per provare o persuadere quello che dico; sia perché voglio essere breve, sia perché non 
mi rivolgo se non a quel lettore, che desidera vivamente di fare tutto quello che saprà tornare 
gradito a Dio. E neppure cerco di provare le mie affermazioni, perché non ho nessuna voglia di 
disputare con orgogliosi, ma solo d'illuminare gli umili. 
Chiunque pertanto si propone di fare del bene alle anime e di edificare il prossimo colle sue parole, 
deve prima di tutto possedere in se stesso quanto intende d'insegnare agli altri: altrimenti porterà 
poco frutto, perché la sua parola rimarrà inefficace finché i suoi uditori non lo vedranno praticare 
 tutto quello ch'egli insegna e molto di più ancora.

PARTE PRIMA 
I Fondamenti della Vita Spirituale 

CAPO I. 
La povertà volontaria 

Amare la povertà 
Anzitutto è necessario che il servo di Dio disprezzi tutto ciò che è terreno, lo consideri come 
spazzatura e non ne faccia uso se non per una rigorosa necessità (1). Ridurrà i suoi bisogni a poco e, 
per amore della povertà, sopporterà anche certi incomodi, perché, come disse un pio autore, quello 
che è meritorio non è l'esser poveri, ma, quando si è poveri, amare la povertà e sopportarne 
volentieri e allegramente le privazioni per amore di Gesù. 

Falsa Povertà 
Ohimè! quanti sono poveri solo di nome! perché si gloriano d'esser poveri solo a patto che loro 
nulla manchi. Pretendono d'esser amici della povertà, ma fuggono a tutto potere le compagne e gli 
amici inseparabili della povertà, la fame, la sete, il disprezzo, l'abiezione. 
Non così il nostro Padre San Domenico, né Colui che «essendo ricco si fece povero per noi», né gli 
Apostoli che c'istruirono e colle parole e cogli esempi. 

Regole pratiche 
Non domandare mai nulla a nessuno, salvo il caso di necessità. Rifiuta tutto ciò che ti si offre, per 
quanto ne venga pregato, anche col pretesto di darlo poi ai poveri; e sii persuaso che facendo casi 
edificherai grandemente e quelli che ti hanno fatto questa offerta, e tutti quelli che conosceranno il 
tuo rifiuto; e con ciò potrai più facilmente indurli al disprezzo del mondo, e a soccorrere altri 
poveri. 
Per il necessario, intendo quello di cui hai bisogno per il momento: un cibo frugale, abiti modesti e 
una calzatura di poco prezzo. Possedere libri non è una necessità. Quante volte i libri servono di 
pretesto a un'avarizia colpevole! Contentati di quelli che la comunità possiede e che ti saranno 
prestati. 
Vuoi tu conoscere chiaramente l'effetto dei miei consigli? Comincia col praticarli umilmente. Se li 
discuti con orgoglio non ci capirai nulla. Perché Gesù Cristo, Maestro d'umiltà, rivela agli umili la 
verità che nasconde ai superbi. 
Stabilisci dunque la povertà alla base della tua vita spirituale: essa è il fondamento posto da Gesù 
Cristo stesso, che cominciò il suo discorso del morte con queste parole: Beati i poveri di spirito! 

CAPO II. 
L'amore del silenzio 

Poi applicati virilmente a reprimere la lingua. Tu la ricevesti per esprimere le cose utili: dunque 
s'astenga da ogni frivolezza, da ogni inutilità. 
Per governarla meglio, non parlare mai se non per rispondere a domande necessarie o utili. Una 
domanda vana non merita che il silenzio. 
Se poi a volte ti si rivolgesse qualche facezia, per modo di ricreazione, per non essere di peso agli 
altri, potrai benissimo accoglierla con volto ilare e benevolmente. Però guardati dal parlare, anche 
se il tuo silenzio dovesse provocare mormorazioni, tristezza o altre parole amare; anche se dovessi 
essere trattato da orgoglioso, esagerato e intollerabile. Ma prega Dio con fervore affinché conservi 
in pace il loro cuore. 
Nondimeno qualche volta è permesso di parlare: in caso di necessità e quando la carità o 
l'obbedienza lo richiedono. Ma allora abbi cura di parlare solo dopo matura riflessione, di spicciarti con poche parole, umilmente e a voce sommessa. Lo stesso devi fare se hai da rispondere a 
qualcuno. 
Sappi così tacere per alcun tempo: edificherai i tuoi fratelli, e il silenzio t'insegnerà a parlare, 
quando sarà il momento opportuno. Frattanto prega Dio affinché si degni di supplire Lui, con buone 
ispirazioni, nel cuore dei tuoi fratelli, quei buoni pensieri che la legge del silenzio t'impedisce per il 
momento di comunicar loro. 
In tal modo con la povertà e con il silenzio estirperai le numerose sollecitudini che soffocano il 
buon seme. delle virtù gettato ininterrottamente nel tuo cuore dall'ispirazione divina.

CAPO III. 
La purezza di cuore 

La perfetta purezza di cuore 
Sforzi anche più vigorosi ti restano da fare per conquistare quelle virtù che ti solleveranno alla 
purezza di cuore. Secondo la parola del Salvatore, questa purezza aprirà i nostri occhi interiori alla 
contemplazione divina e ci stabilirà in un tale riposo e in una tale pace che Quegli che tiene la sua 
sede nella pace si degnerà anche di abitare in te (2). 
Non si tratta di quella purezza che si contenta di preservarci da pensieri carnali, ma di quella 
purezza perfetta di cuore, che ci allontana, per quanto è possibile quaggiù, da ogni pensiero inutile e 
ci fa quindi innanzi cercare il nostro piacere nel solo pensiero di Dio e delle cose divine. 
Per ottenerla, questa purezza, questa virtù celeste. anzi divina, poiché quegli che aderisce a Dio è un 
solo spirito con Lui, son necessarie parecchie cose. 

Mortificazione della volontà propria 
Anzitutto impiega tutte le tue forze nel rinunziare a te stesso, secondo la sentenza del Salvatore: Se 
qualcuno vuol venire dietro a Me, rinneghi se stesso. Ciò vuol dire che, in tutto, devi mortificare, 
disprezzare, contraddire la tua volontà propria e abbracciare la volontà degli altri, ogni volta che 
questa sia lecita e onesta. 

Di regola generale, quando trattasi delle cose materiali destinate ai bisogni del corpo, non seguire 
mai la tua volontà personale contro quella degli altri, anche se questa ti paresse stravagante. 
Sopporta ogni incomodo per conservare la pace interiore dell'anima, la quale non può non turbarsi 
per questa sorta di contraddizioni in cui l'attacco al proprio giudizio personale e il desiderio di fare 
la propria volontà provocano pensieri e parole contrarie alla carità. 

Anche nelle cose spirituali, alla tua volontà preferisci quella degli altri, purché questa sia buona, 
quand'anche la tua ti sembrasse migliore; perché, evitando gli alterchi, guadagnerai molto più con 
l'aumentare in te l'umiltà, la tranquillità e la pace, di quello che potresti guadagnare col praticare 
qualsiasi virtù secondo il tuo piacere e contro il piacere altrui. 
Ciò si deve però intendere de' tuoi familiari ed emuli nella pietà e nel desiderio di perfezione. 
Perché, in quanto a quelli che chiamano male il bene e bene il male e passano il loro tempo a 
scrutare e a giudicare le parole e i fatti altrui invece di correggere i loro propri i difetti, tu non devi 
seguire il loro giudizio nelle cose spirituali. 

Ma nelle cose materiali fa ordinariamente la volontà degli altri, qualsisiano. 
Qualche volta, quando Iddio t'ispirerà di fare qualcosa per la gloria sua, per la tua santificazione o 
per il bene del prossimo, ti si opporranno difficoltà, forse insuperabili. Sia che la difficoltà provenga 
da' tuoi superiori, o da' tuoi eguali, o da' tuoi inferiori, non ti trattenere a contendere. Rientra in te 
stesso e, quivi raccolto col tuo Dio, va via ripetendo: "Signore, mi si fa violenza, rispondete per me" 
(Isai. XXXVIII)
Non ti rattristare punto di queste difficoltà: Dio non le avrebbe permesse se, alla fin fine, non 
dovessero essere utili a te e agli altri. Anzi ti posso assicurare che, sebbene tu non lo veda oggi, più 
tardi capirai che codesti ostacoli apparenti ti avranno in realtà giovato ad ottenere il tuo intento. 
Quanti esempi, tratti dalla Sacra Scrittura, ti potrei citare, quello di Giuseppe in particolare, se non 
mi fossi imposto la brevità ad ogni costo! Ma credi alla mia esperienza che è così. 

Altre volte sembrerà che, Dio stesso frustri i tuoi sforzi con la malattia o con qualche altro avvenimento. 
Non te ne contristare in nessun modo, ricevi tutto con un'anima uguale e confida interamente in 
Colui che conosce meglio di te quello che ti è utile e non cessa di attirarti a Lui, forse a tua insaputa, 
se tu ti abbandoni senza riserva. 
Usa dunque ogni tua cura per restar padrone di te stesso nella pace e nella tranquillità del cuore. 
Nessun avvenimento t'affligga, tranne i tuoi peccati e quelli degli altri o le occasioni di peccato. 
Nessun accidente ti renda triste. 
Non ti lasciar trasportare dallo sdegno contro le colpe del prossimo. Di tutti abbi pietà e 
compassione ricordandoti sempre che tu stesso cadresti più basso ancora, se Gesù Cristo non ti 
sostenesse colla sua grazia. 

Mortificazione dell'amor proprio 
Inoltre tienti pronto a sopportare per amore di Gesù tutti gli obbrobri, tutte le pene, tutte le 
avversità. 
Il più piccolo desiderio di grandezza, sotto qualsiasi pretesto di carità, faccia capolino, è la testa del 
dragone infernale: bisogna subito schiacciarla con la croce, richiamandoti alla memoria l'umiltà e la 
crudele Passione di Gesù che fuggì la regia dignità per abbracciare liberamente la Croce e la sua 
ignominia (3). 
Fuggi, abbi in orrore, come un veleno mortale, ogni umana lode. Se sei disprezzato, rallegrati e sii 
intimamente convinto di meritare il vilipendio e le ingiurie di tutti. 
Non perdere mai di vista i tuoi difetti né i tuoi peccati; non temere d'ingrandirli ai tuoi occhi. In 
quanto ai difetti del prossimo, gettali dietro le spalle per nasconderli a te stesso. Che se tu sei 
forzato a vederli, guarderai di attenuarli, di scusarli misericordiosamente, e procurerai di recar 
soccorso a' tuoi fratelli (4). 
Distogli gli occhi dell'anima e del corpo dal guardare il prossimo, affinché tu possa considerare te 
stesso nel lume del volto di Dio. Sì, guarda continuamente te stesso e giudicati sempre lealmente. 
Esamina ciascuno de' tuoi atti, delle tue parole, de' tuoi pensieri per trovarvi materia di 
compunzione, perché anche le tue buone azioni sono lontane dall'essere perfette e pervase del 
fervore necessario; la negligenza le guasta e la tua giustizia può giustamente paragonarsi ad uno 
straccio immondo. 
Riprendi adunque continuamente te stesso. Non lasciar passare senza un biasimo severo né le tue 
negligenze in parole e in opere, né tampoco i tuoi pensieri, non dico cattivi, ma anche solamente 
inutili. Esercita codesta rigorosa sorveglianza ad ogni ora nel cospetto del tuo Dio (5). 

Umiltà riguardo a Dio 
A cagione de' tuoi difetti, tienti, davanti a Dio, per vile e miserabile più di qualsivoglia peccatore, 
reo di qualsiasi peccato; come degno d'essere punito ed escluso dalle celesti delizie, se Dio ti 
trattasse secondo la sua giustizia e non secondo la sua misericordia, poiché Egli ti fece tante grazie, 
più che a molti altri, e tu hai corrisposto coll'ingratitudine. 
Inoltre considera attentamente e con un vivo senso di spavento che qualsiasi grazia, inclinazione al 
bene e desiderio della virtù, non l'hai avuto da te stesso, ma dalla sola misericordia di Cristo, che 
avrebbe potuto arricchire di questi favori qualunque altro peccatore, e lasciare te nell'abisso della 
tua ignominia e della tua miseria. 

Umiltà riguardo al prossimo 
Pensa ancora e procura di persuaderti che non vi è un peccatore così carico di difetti che non 
servirebbe Dio meglio di te e non si mostrerebbe più riconoscente dei benefizi divini, se avesse 
ricevuto le medesime grazie che ricevesti tu, non per i tuoi meriti ma per la bontà affatto gratuita di 
Dio. Per ciò puoi bene considerarti come il più vile e il più basso degli uomini e temere con ragione 
che la tua ingratitudine spinga Iddio a cacciarti dalla sua presenza (6). 

Con ciò non voglio dire che tu debba crederti fuori della grazia di Dio e in stato di peccato mortale, 
sia pure che altri siano colpevoli di peccati mortali senza numero. Ciò del resto ci è ignoto, perché il 
nostro giudizio è fallace e Dio può ben aver loro concesso tutt'a un tratto la contrizione e un' 
effusione della sua grazia. 
Quando la tua umiltà ti paragonerà agli altri peccatori, non è utile che tu discenda ai loro disordini 
in particolare. Basta un confronto generale tra i loro peccati e la tua ingratitudine. Qualora volessi 
considerarli in particolare, potresti benissimo fame, per una certa rassomiglianza, dei peccati 
personali, apostrofando così la tua coscienza: quegli è un omicida, ed io, miserabile, quante volte 
non ho ucciso l'anima mia! Questi è fornicario e adultero, ed io non lo sono tutto il giorno, 
distogliendo la mia attenzione da Dio e cedendo alle suggestioni diaboliche? E così degli altri. 
Ma se osservassi che il diavolo approfitta di quest'esercizio per indurti alla disperazione, lascia 
queste apostrofi e solleva il tuo cuore alla speranza nel1a contemplazione della bontà e della 
clemenza del tuo Dio che già ti prevenne con tante grazie e certo vorrà compire l'opera che ha 
cominciato in te. Di regola ordinaria l'uomo spirituale, che ha già qualche esperienza di Dio, non 
prova questa tentazione di disperazione quando nel suo fervore accusa se stesso. Ma ciò può 
succedere e di fatto succede spesso ai principianti, specialmente a quelli che la misericordia di Dio 
ha liberati da molti pericoli e grandi peccati in cui trovavansi inviluppati. 

CAPO IV. 
Effetti della purezza di cuore 

Unione divina per mezzo della contemplazione 
La pratica di questi consigli farà nascere in te la madre e la custode d'ogni virtù, l'umiltà, la quale 
alla sua volta ti renderà capace della contemplazione divina purificando il tuo cuore da ogni 
pensiero superfluo. 
Infatti, quando l'uomo si ripiega sopra la propria bassezza, si disprezza, si riprende, si detesta, 
considera il suo nulla e giunge a dispiacere profondamente a se stesso; allora si occupa così bene 
degli affari dell'anima sua che ogni altro pensiero inutile si dilegua. Tutto quello che altre volte ha 
potuto vedere e udire, tutto quello che è temporale, egli lo elimina, lo dimentica. Comincia a 
ritornare in se stesso e a ripiegarsi sopra di sé in modo così ammirabile da avvicinarsi alla giustizia 
originale e alla purezza celeste. Nel medesimo tempo le potenze contemplative dell'anima sua si 
sviluppano ed egli mediante un'ascensione misteriosa si eleva fino alla contemplazione degli angeli 
e della divinità, contemplazione che l'infiamma del desiderio dei beni celesti e gli fa riguardare le 
cose della terra molto da lontano, come un nulla. 
Ben presto s'accende la carità, fuoco ardente che consuma la ruggine dei vizi e riempie talmente il 
cuore che non vi è più posto per la vanità. Quind'innanzi ogni pensiero, ogni parola, ogni azione 
procedono dall'amore. 

Ammirabile sicurezza 
Allora l'uomo può predicare agli altri con ogni sicurezza, senza detrimento per se stesso, senza 
pericolo di vana gloria. Perché, ancora una volta, la vanità non può penetrare in un cuore totalmente 
occupato dalla carità. 
Potrebbe occuparsi di qualche interesse corporale, lui che riguarda le cose temporali come fango? 
Potrebbe il desiderio della lode insinuarsi nel suo cuore, quando dinanzi a Dio si considera come un 
vile mondezzaio, come un miserabile degno d'abominazione e che cadrebbe nei peggiori disordini, 
se la misericordiosa potenza di Dio non lo sostenesse incessantemente? 
Come potrebbe inorgoglirsi d'alcuna buona opera quando vede più chiaro della luce del 
mezzogiorno ch'egli non può assolutamente far nulla, se ad ogni istante non è spinto e come 
costretto dalla virtù divina? 
Come potrebbe attribuirsi alcuna cosa come proveniente da se stesso quando, non cento ma mille 
volte, ha sperimentato la sua impotenza in ogni opera, grande e piccola; quando così spesso non ha potuto fare il bene che voleva, dovechè, tante altre volte, senza volerlo per così dire e quasi senza 
pensarci, ha sentito la grazia di Dio che lo trasportava con un ammirabile fervore e gli faceva fare 
quello che oltrepassava le sue forze? 
Infatti, se Iddio permette che rimaniamo così a lungo in quest'impotenza, è perché impariamo ad 
umiliarci, a non gloriarci mai in noi stessi, ma a riferire ogni bene a Dio, non solo come per uso, ma 
nella sincerità del nostro cuore. 
Ciò è facile a colui che è ammaestrato dall'esperienza e vede più chiaro della luce meridiana ch'egli 
è incapace, non solo di fare un'opera buona, ma anche di pronunziare il nome di Gesù, se non per la 
virtù dello Spirito Santo e per la grazia di Colui che disse: Senza di Me, non potete far nulla. 
Questo pensiero ti faccia lodare Iddio con tutta l'anima tua, dicendo: Siete voi, o Signore, che avete 
operato in noi tutte le opere nostre (Isai. XXVI), e col Salmista: Non a noi, o Signore, non a noi, 
ma solo date gloria al vostro nome. 
Non vi è dunque motivo di temere la vanagloria per colui che è già pienamente occupato della vera 
gloria di Dio e dello zelo delle anime. 

Conclusione 
Fin qui ho tracciato un rapido schizzo delle virtù interiori necessarie a chi vuole utilmente e senza 
pericolo procurare la salute dell'anima sua. Questo potrebbe bastare a un uomo illuminato, di alta 
intelligenza e che possedesse una lunga esperienza della vita interiore, perché gli sarebbe agevole 
riallacciare ciascuno de' suoi esercizi a questi tre principii della vita spirituale perfetta: la povertà 
volontaria, il silenzio, l'intima purezza del cuore. La loro pratica gl'insegnerebbe facilmente come 
occorra applicarsi agli altri esercizi. Ma siccome non tutti sono in grado d'intendere facilmente un 
breve sunto, perciò insisteremo più a lungo sugli atti particolari delle virtù. 

II 
PARTE SECONDA 
La Pratica della Vita Spirituale 


CAPO I. 
Il Direttore della coscienza 

È da sapere che chi ha un direttore al quale obbedisce senza riserva in tutte le cose, piccole e grandi, 
giungerà alla perfezione molto più facilmente e più presto di quello che potrebbe fare da solo, anche 
con un'intelligenza perspicacissima e con libri dotti in materia spirituale. 
Anzi Gesù Cristo non concederà mai la sua grazia, senza la quale non possiamo far nulla, a colui 
che, avendo a sua disposizione un uomo capace d'istruirlo e di dirigerlo, trascura questo soccorso, 
persuaso di bastare a se stesso e di poter trovare da solo quello che gli è utile alla salute. Perché la 
via dell'obbedienza è la via regia che conduce sicuramente gli uomini alla cima di quella scala 
misteriosa a cui il Signore pareva appoggiato. 
È la via che seguirono tutti i Padri del deserto e, in generale, tutti quelli che giunsero alla 
perfezione, salvochè per una grazia speciale Dio non abbia direttamente istruito certe persone che 
non avevano potuto trovare direttore. In questo caso la bontà di Dio supplisce all' assenza totale di 
soccorsi esterni, purché si faccia ricorso a Lui con un cuore umile e fervente. 
Ma è difficile trovare un buon direttore, purtroppo! in questi tempi disgraziati quasi nessuno è 
capace d'insegnare la perfezione. Peggio ancora, se alcuno vuol darsi a Dio, trova molti che ne lo 
ritraggono, e quasi nessuno che lo aiuti (7). In tal caso ricorri a Dio con tutto il tuo cuore e 
domandagli con preghiere insistenti ed umili che t'istruisca. 
Gettati nelle sue braccia, abbandonati a Lui, come un orfano. Egli ti accoglierà con bontà, perché 
non vuole la morte di nessuno ma che ciascuno giunga alla cognizione della verità.

CAPO II. 
L'ubbidienza 

Mi rivolgo pertanto a te che desideri ardentemente di trovare Dio e aspiri alla perfezione, per essere 
più utile alle anime. A te parlo che t'accosti a Dio con semplicità di cuore, senza doppiezza, che 
vuoi praticare a fondo la virtù e per la via dell'umiltà giungere alla gloria della maestà. 
Dopo aver già posto, come fondamenti principali dell'edifizio spirituale, la povertà e il silenzio, 
l'atleta di Gesù Cristo si cinga i reni e si tenga pronto a seguire in tutto e per tutto la via 
dell'ubbidienza, irremovibilmente (8). Osservi la regola, le costituzioni, le rubriche dell'ordinario e 
degli altri libri, dovunque, sempre, dentro, fuori, nel refettorio, nel dormitorio, nel coro, in quanto 
alle inclinazioni e prostrazioni, alzandosi e stando in piedi; in quanto a tutti questi atti si studii di 
osservare alla lettera tutti gli ordini dei superiori e di tener sempre presente la parola di Gesù: 
Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me. 

CAPO III. 
Condotta che si deve tenere 
nella mortificazione del mangiare e del bere 

Assoluta necessità della mortificazione 
Poi l'atleta di Cristo si adoperi ad adattare totalmente il suo corpo al servizio di Gesù Cristo e a 
regolare tutti i suoi atti e movimenti esterni secondo la decenza e la disciplina regolare. 
Ti sarebbe dunque affatto impossibile reprimere le ribellioni interne dell'anima, se non avessi prima 
ridotto il corpo a una disciplina che gli vieti non solo ogni atto, ma anche ogni moto disdicevole e 
sconveniente. 
In quest'opera dell'adattamento del corpo al servizio di Cristo, hai da insistere anzitutto contro la 
gola. Perché, se non sei padrone di questo vizio, non potrai acquistare nessun'altra virtù. 
Fa dunque ciò che ti dirò. 

Regole generali 
Anzitutto non ti procurare nessuna vivanda speciale, ma sii contento di ciò che si passa alla 
comunità. Se persone secolari ti offrono ghiottonerie per tuo uso personale, non le accettare in conto 
alcuno; se vogliono darle al convento, lo facciano alla buon'ora. 
Non accettare alcun invito fuori del refettorio, ma, assiduo al refettorio conventuale, osserva tutti i 
digiuni dell'Ordine secondo le forze che Dio ti ha dato. 
Se cadi malato, lasciati usare le cure necessarie, senza nulla procurarti da te stesso, ma accettando 
con riconoscenza quello che ti è offerto. 
Per evitare ogni eccesso nel mangiare e nel bere, esamina con attenzione quello che esige il tuo 
temperamento e sappi quello che ti è necessario e quello che è superfluo. Ma di regola generale 
mangia tanto pane quanto ne hai bisogno, specialmente in tempo di digiuno, e diffida del demonio 
quando ti spinge a fare astinenza nel pane. 
Distinguerai poi il necessario dal superfluo a questo segno; nel tempo in cui ti è permesso di fare 
due pasti, se dopo Nona ti sentirai aggravato a tal punto da non poter pregare, leggere o scrivere, ciò 
ordinariamente avviene perché hai commesso qualche eccesso. Così parimenti se proverai la 
medesima gravezza dopo il Mattutino, quando hai cenato, o dopo la Compieta quando digiuni. 
Mangia dunque del pane a sufficienza, ma in modo che dopo la refezione tu possa leggere, scrivere 
o pregare. Se però in queste ore ti sentissi meno disposto che in altre, non te ne turbare; ciò non è 
segno che tu abbia oltrepassato la misura, purché non senta quel gravame di cui si è parlato. 
Procura dunque di sapere quello che basta alla tua costituzione fisica secondo il metodo che ora t'ho 
indicato o qualche altro che t'ispirerà il Signore che tu devi pregare instantemente. Poi abbi gran 
cura di osservare sempre questa misura e di sorvegliare sempre quello che mangi a tavola. Se mai 
trascorri a qualche eccesso, non lo lasciar passare senza una condegna penitenza. In quanto al bere, non saprei qual regola darti, se non che ti restringa a poco a poco, bevendo ogni 
giorno un po' meno, non però a tal punto da provare giorno e notte una sete eccessiva. In particolare 
quando mangi minestra brodosa, puoi più facilmente privarti del bere e non permetterti che 
l'indispensabile. Non bere mai fuori di pasto, se non alla sera in tempo di digiuno e ancora con 
molta temperanza, oppure dopo un viaggio o una straordinaria fatica. Il vino poi lo berrai talmente 
annacquato che non abbia più la sua forza; e se fosse generoso acqua fino a metà o più. E fa così, 
più o meno, secondo Signore t'ispirerà. 

Prima del pasto 
Al segnale del campanello, lavati le mani con gravità e asciugati nel chiostro: poi, al secondo 
segnale, entra in refettorio, e, senza risparmiarti, benedici il Signore cantando con tutte le tue forze, 
pur serbando la modestia esterna. Poi prendi il tuo posto e pensa che stai per mangiare i peccati del 
popolo. 
Disponi il tuo cuore per giovarti della lettura che si fa durante la mensa o, se non si legge, a 
meditare qualche pio pensiero, per non mangiare con tutto te stesso.. Mentre il corpo prende la sua 
refezione, anche l'anima abbia il suo nutrimento. 

Durante il pasto 
A tavola, componiti decentemente gli abiti, raccogliendoti la cappa sulle ginocchia. Fa con te stesso 
un patto stretto di non guardare mai i tuoi vicini di tavola, ma di vedere solamente ciò che viene 
somministrato a te. 
Appena seduto non ti precipitare per servirti. Rimani tranquillo per un momento, almeno per il 
tempo di dire un Pater e un' Ave per le anime più bisognose del Purgatorio. 
Imponiti, come regola generale, di osservare una certa modestia ne' tuoi movimenti e nel tuo 
atteggiamento. 
Se ti sta davanti del pane fresco e del pane duro, del bianco e di qualità inferiore, scegli il più 
vicino, e preferisci ancora quello che lusingherà meno la tua sensualità. 
Non chiedere mai nulla per te, ma permetti che lo domandino i vicini. Se non lo domandano, abbi 
pazienza. 
Non appoggiare i gomiti sulla tavola, ma solo le mani. Non tenere le gambe divaricate, né l'una su 
l'altra. 
Non ricevere doppia porzione né qualsiasi vivanda che non fosse servita agli altri, foss'anche 
mandata dal Priore, ma lasciala tra i resti oppure nel piatto. 
Ricordati che è pratica gradita a Dio il lasciar sempre un po' di minestra nella scodella per Cristo 
nella persona dei poveri. Fa altrettanto per il pane. Lasciagli i pezzi migliori e mangia gli altri. E 
non t'inquietare se la tua carità eccita qualche mormorazione, purché il tuo Prelato te lo permetta. In 
generale, di tutto ciò che mangi serbane un poco a Cristo povero, e sempre ciò che vi sarà di meglio. 
Vi sono di quelli che danno a Cristo solo i rifiuti, come agli animali immondi. Se una sola portata ti 
basta per poter mangiare del pane a sufficienza, lascia l'altra per Cristo. 
Se Dio ti dà grazia, puoi praticare bellissimi atti di penitenza tanto graditi a Dio quanto ignorati 
dagli uomini. Se un alimento è insipido per difetto di sale o per altra causa, non aggiungervi né sale 
né condimento, in memoria di Gesù abbeverato di fiele e d'aceto. Resisti alla tua sensualità. Tutte 
quelle salse che non servono ad altro che solleticare la gola, lasciale senza fartene accorgere; così 
quei buoni bocconi che a volte ti si offrono alla fine della mensa, il formaggio, la frutta, il vino 
prelibato, i liquori, lasciali per amore di Dio. Nulla di tutto ciò è indispensabile alla salute, anzi ciò 
è spesso nocivo: quello che lusinga il gusto non sempre fa bene. 
Se fai queste penitenze per amore del Signore Gesù, non dubito che ti prepari una deliziosa 
refezione di dolcezze spirituali, dolcezze ch'Egli ti farà trovare anche negli altri alimenti di cui ti 
sarai contentato per Lui. 
Se vuoi renderti facile qualsiasi astinenza, andando a tavola, pensa che i tuoi peccati ti obbligano a 
digiunare in pane ed acqua, che il solo tuo cibo dev'essere il pane e che non prendi il resto se non per poter meglio mandar giù il pane. Questo pensiero ti renderà delizioso tutto ciò che aggiungerai 
al pane. 
Vi sono molte pratiche simili ch'io non posso indicarti, ma che Gesù t'ispirerà, se Lo preghi con 
fervore e se riponi in Lui tutta la tua speranza. Chi potrebbe dire le innumerevoli industrie divine 
nella santificazione dell'anima tua? 
Non essere di coloro che non finiscono mai di mangiare. All'opposto, appena potrai, cessa di 
mangiare per essere più attento alla lettura. 

Dopo il pasto 
Alzandoti da tavola ringrazia di tutto cuore Iddio che ti ha fatto parte de' suoi doni e ti ha dato forza 
per trionfare della tua sensualità. Non risparmiare la tua voce: ma, con tutto il tuo potere, rendi 
grazie al distributore di tutti i beni. Mio caro fratello, pensa quanti poveri crederebbero di fare un 
pasto delizioso se avessero solo il pane che Dio ti ha dato colle altre vivande! Non dimenticare che 
è Cristo che ti ha dato tutto, anzi ch'Egli stesso t'ha servito a mensa. E vedi con quale ritenutezza, 
con quale rispetto, con quale gravità e con quale timore devi prendere un pasto che Dio ti serve in 
persona. 
Come saresti felice se arrivassi a vedere queste cose cogli occhi dell'anima tua! Vedresti Cristo e la 
moltitudine dei Santi percorrere il refettorio. 

Per perseverare 
Se vuoi perseverare a lungo in queste pratiche di sobrietà e d'astinenza, mantienti saldo nel timore, 
riconosci che tutto viene da Dio e domandagli la perseveranza. 
Per non cadere, bada a non giudicare nessuno e a non sdegnarti né scandalizzarti se qualcuno 
oltrepassa la misura nel mangiare, ma eccita nel tuo cuore una compassione sincera, prega per loro, 
scusa li per quanto è possibile, ricordando che né tu né essi potete nulla se non per la forza di Cristo 
che distribuisce le sue grazie non secondo i nostri meriti, ma secondo il suo beneplacito. 
Questi pensieri ti renderanno incrollabile. 
Perché mai vi sono tanti che, dopo essersi lanciati coraggiosamente nella pratica dell'astinenza e 
delle altre virtù, si lasciano poi abbattere dalla stanchezza del corpo e dalla tiepidezza dell'anima? 
Unicamente a cagione del loro orgoglio e della loro presunzione. Presumendo troppo di se stessi, si 
sdegnano contro gli altri e li giudicano nel loro cuore: Dio sottrae loro la sua grazia ed essi cadono 
nella tiepidezza, oppure eccedono i giusti limiti della discrezione e contraggono qualche malattia. 
Allora oltrepassano la misura in senso contrario: troppo occupati dalla cura di ristabilirsi in salute, 
diventano molto più golosi di quelli ch'essi condannavano, com'io stesso ne vidi parecchi. Infatti 
accade comunemente che Dio lasci cadere colui che condanna suo fratello nella medesima colpa e 
qualche volta anche in una colpa più grave (9). 
Servi dunque Iddio con timore (Ps. XXVII). E se provi orgoglio al pensiero dei benefizi dell' 
Altissimo, armati contro te stesso di riprensioni e di sdegno, affinché il Signore non s'adiri contro di 
te e non t'allontani dalla via della giustizia (Ps. XI). 
Tal è il modo, gradito a Dio, di combattere la gola. Pochi l'osservano: gli uni per eccesso, ed altri 
perché non tengono conto delle circostanze. 

CAPO IV. 
Condotta che si deve tenere 
nella mortificazione del sonno 

Poi applicati a una cosa che è molto difficile: regolare il sonno e le veglie secondo la discrezione. 

La discrezione necessaria 
Nota che due eccessi specialmente sono pericolosi per il corpo e conseguentemente per l'anima: 
un'astinenza esagerata e veglie disordinate. Qui, più che nell'esercizio delle altre virtù, si ha da temere l'eccesso, Perciò il demonio si vale di quest'astuzia: se vede uno pieno di fervore, gli 
suggerisce di lanciarsi in astinenze e veglie prolungate che lo ridurranno a un'estrema debolezza, lo 
renderanno malato e buono a nulla e, come ho detto, l'obbligheranno poi a mangiare e a dormire più 
degli altri, Memore delle malattie ch'esse gli procurarono, questi non oserà più riprendere né le sue 
veglie, né le sue astinenze. D'altra parte il diavolo gli suggerirà: «Non far penitenza: dimentichi 
forse che la penitenza ti fece ammalare?» Mentre non erano punto l'astinenza né le veglie che 
l'avevano fatto cadere malato, ma la sua indiscrezione nella pratica della penitenza...Un principiante 
senza esperienza non sa riconoscere i sofismi del diavolo che lo spinge agli eccessi da due parti. 
Infatti, sotto pretesto di portarlo al bene, gli dice: «Quanti peccati hai commesso! Come potrai 
espiarli?» Oppure, se non ha gravi colpe da rimproverarsi, gli dice: «Vedi tutto quello che hanno 
voluto soffrire i martiri e gli eremiti?» 

Ubbidienza e umiltà 
Perché questi pensieri hanno l'apparenza del bene, il semplicione crede ch'essi non possano venire 
se non da Dio. Dio permette ch'egli s'inganni soprattutto perché non ha abbastanza umiltà e 
diffidenza di se stesso per pregare Dio con fervore, affinché lo illumini e lo diriga in assenza d'una 
guida capace. Infatti chi vive sotto la santa obbedienza e s'attiene alle sue prescrizioni è al sicuro da 
queste illusioni, anche se per un caso straordinario il suo padre spirituale sbagliasse. A cagione della 
sua umiltà e della sua obbedienza Dio fa volgere ogni cosa a suo vantaggio, come sarebbe facile 
dimostrare con molti esempi (10). 

Alcune pratiche 
Ecco pertanto quello che potrai fare per il sonno e per le veglie. Nell'estate, dopo il pasto del 
mezzogiorno, quando la campana ha dato il segnale del silenzio, prendi un po' di riposo. Quei 
momenti sono meno favorevoli agli esercizi di pietà. E codesto riposo ti permetterà di prolungare la 
tua veglia notturna. 
Di regola generale, ogni volta che ti disponi a dormire, abbi cura di meditare qualche salmo, 
qualche pensiero spirituale in cui il sonno ti sorprenderà e che ti ritornerà all'immaginazione. 
Alla sera, ordinariamente, veglia poco: quelli che vegliano alla sera mancano di attenzione e di 
divozione all' uffizio del Mattutino; sono sonnolenti, pesanti, senza fervore. Qualche volta perfino 
mancano all'uffizio (11). 
Fissati dunque alcune brevi preghiere, letture o meditazioni da fare alla sera prima di addormentarti. 
Se la tua divozione vi ti porta, puoi occuparti dei patimenti che Gesù soffrì durante la sua Passione 
in quell' ora, e così in tutte le altre ore, secondo il metodo di S. Bernardo (12) o secondo che lo 
Spirito di Dio t'ispirerà; giacché non tutti hanno la medesima divozione, trovandosi uno più portato 
alla pietà per una cosa, un altro per un'altra. A taluni basta abitare con semplicità dentro i forami 
della pietra (Cant. II, 14). Ma, qualunque sia la tua superiorità d'ingegno, non trascurare nulla di ciò 
che può eccitarti alla divozione. 
Nella notte, al primo segnale, scuoti ogni pigrizia e balza subito dal letto come se esso fosse in 
fiamme. Mettiti in ginocchio e fa salire dal tuo cuore una fervida preghiera, almeno un'Ave Maria o 
qualsiasi altra preghiera capace d'infiammare il tuo cuore. 
E qui nota che ti sarà assai più facile alzarti senza mollezza, e anche con una certa alacrità, se ti 
corichi vestito e dormi sul duro. Un servo di Dio deve fuggire ogni mollezza nel letto, senza però 
oltrepassare i limiti della discrezione. Abbi un pagliericcio che ti riuscirà tanto più gradito quanto 
più sarà duro. Per proteggerti contro il freddo prendi una o due coperte secondo la stagione e i tuoi 
bisogni. Il tuo capezzale sia un sacco pieno di paglia. Non guanciali pieni di piume: sarebbe una 
mollezza, come certe altre consuetudini per nulla necessarie. Dormi interamente vestito come 
durante il giorno e contentarti di toglierti le scarpe e di slacciarti la cintola. 
Tuttavia, nei grandi calori estivi, puoi deporre la cappa e conservare solo lo scapolare: Se dormi 
così, ti alzerai senza difficoltà, ed anche con gioia e sveltezza.CAPO V. 
Condotta che si deve tenere nello studio 

Riconduci a Cristo le tue letture e i tuoi studi di cui Gli parlerai e di cui Gli chiederai l'intelligenza. 
Durante lo studio, fermati frequentemente. Per un istante raccogliti e nasconditi nelle Piaghe di 
Gesù. Poi riprendi lo studio. Di quando in quando inginocchiati e lancia al Cielo una breve e 
ardente preghiera. Oppure esci dalla cella, vattene in chiesa, nel Chiostro, nel capitolo, là dove lo 
Spirito Santo ti porterà: con una preghiera vocale o semplicemente con gemiti e ardenti sospiri del 
cuore implora il soccorso divino, presenta all'Altissimo i tuoi voti e i tuoi desideri, invoca i Santi in 
tuo aiuto. 
Questi slanci si possono produrre senza il soccorso di salmi né d'alcuna preghiera vocale. Qualche 
volta, all'opposto, sorgono da un versetto di salmo, da un passo della Sacra Scrittura, o da qualche 
libro spirituale, ed altre volte, per la grazia di Dio, sono il frutto dei nostri proprii pensieri e dei 
nostri desideri. 
Questo fervore d'anima è ordinariamente rapido. Quando sarà passato, richiamati al pensiero quello 
che stavi studiando: allora ne avrai un'intelligenza più chiara. Poi ritorna allo studio o alla lettura, e 
di nuovo alla preghiera, combinando i due esercizi. Con quest'alternativa avrai e il cuore più 
fervoroso nella preghiera e la mente più illuminata nello studio. 
Questo fervore della divozione dopo lo studio si può provare in qualsiasi ora, secondo che si degna 
di concederlo Quegli la cui libera volontà dispone soavemente ogni cosa. Nondimeno, di solito, 
esso s'impadronisce più completamente dell'anima dopo il Mattutino. Bisogna perciò vegliar poco 
alla sera e riservare, per lo studio e per la preghiera delle ore mattutine, tutta la forza dell'anima. 

CAPO VI. 
Condotta che si deve tenere nella preghiera liturgica 

Durante l'Uffizio della Vergine tienti alla porta della tua cella, in piedi, senz'appoggiarti, e recitalo 
con voce chiara, colla mente attenta, col cuore lieto Come se vedessi coi tuoi occhi la Vergine 
gloriosa. 
Terminato quest'Uffizio, va in chiesa o in coro, là dove troverai maggiore è divozione. Ma, quando 
vai o vieni nel convento, fa molto attenzione a non rimanere colla mente vuota. Medita i salmi o 
qualche pensiero spirituale. Puoi anche, ma dell'Uffizio, recarti in coro e prepararti con una pia 
meditazione a una recita più attenta e più fervorosa. 

In Coro 
Dato l'ultimo segno del Mattutino e fatte le prostrazioni o inclinazioni, salmeggia in piedi, 
senz'appoggiarti, col cuore e col corpo virilmente disposti dinanzi al tuo Dio. Canta lietamente le 
sue lodi in compagnia degli Angeli certamente presenti e che bisogna riverire incessantemente 
durante l'Uffizio, perché contemplano in Cielo la faccia del Padre Onnipotente, che noi non 
vediamo ancora se non come in uno specchio in modo scuro. 
Non risparmiare la tua voce, serbando però la necessaria discrezione. Non omettere un jota né dei 
salmi, né dei versetti, né delle lezioni, né del canto. Se non puoi fornire tanta voce quanto gli altri, 
canta lo stesso, a voce più bassa. Se è possibile, abbi un libro per cantare i salmi e gl'inni. Mentre 
hai la mente occupata dei salmi e delle altre preghiere, per attingervi consolazioni spirituali, abbi 
cura di non lasciar apparire di fuori, nel tuo atteggiamento o nella tua voce, nulla che tradisca 
leggerezza. Allora specialmente. devi restar grave e padrone di te stesso, perché la gioia spirituale 
degenera presto in una specie di leggerezza, se la discrezione non continua a governare i moti 
esterni. 
Ci vorranno tutti i tuoi sforzi per salmeggiare colla mente e col cuore, perché non è una piccola 
impresa, specialmente per il principiante ancora malfermo in Dio, il preservarsi dalle distrazioni 
durante la salmodia. Occupa sempre il tuo posto in Coro, ordinariamente il medesimo, salvochè per un caso straordinario 
non lo debba cedere a un nuovo venuto. 

Modestia in Coro 
Se in Coro prevedi qualche difetto, procura di prevenirlo o per te stesso o per altri. Sarebbe cosa 
gradita a Dio lo studiare alla vigilia le rubriche e il canto del giorno dopo e prepararti a impedire 
ogni sbaglio e ogni negligenza. Ma evita d'immischiarti nelle discussioni che possono sorgere in 
Coro circa la salmodia e il canto, anche se sapessi con certezza quello che bisogna fare. A volte si 
sollevano gran discussioni per minuzie. Sarebbe minor male sbagliare che il discutere tanto. 
Tuttavia, se con una parola è possibile correggere un errore, la devi dire, specialmente se sei uno dei 
correttori del Coro. Ma se ti senti agitato dall'impazienza, è meglio che ti applichi a reprimere la tua 
agitazione interna. 
Se qualcuno fa degli sbagli nella lettura, nel canto o in altro modo, guardati dal mormorare o dal 
correggerlo. Questa correzione è una forma d'orgoglio. Qualsiasi sia lo sbaglio, non fare neppure un 
cenno; ciò sarebbe segno di un'anima gonfia d'orgoglio. 
Evita di guardare da una parte e dall'altra, e di sorvegliare il contegno de' tuoi vicini. Gli occhi 
devono stare bassi, a terra o sollevati al cielo o chiusi o fissi sul libro. 
Sia stando in piedi che seduto, non tenere le mani sotto il mento, ma sotto lo scapolare o sotto la 
cappa; né i piedi l'uno sull'altro, né le gambe divaricate. Mantienti in quella modestia ch'esige la 
presenza di Dio. Il diavolo si serve spesso di piccole miserie per distrarre dall'Uffizio certuni il cui 
atteggiamento palesa una gran tiepidezza. 
Vi sono molte altre cose che non è possibile esporre in particolare; ma se hai l'umiltà e la carità 
perfetta, l'unzione dello Spirito Santo t'insegnerà tutto. 

Spirito di discrezione 
Avverti però, o lettore, che, circostanze diverse potendo far apprezzare diversamente le medesime 
azioni, tu non devi biasimare alcuno, se vedi fare altrimenti da quello ch'io dico, per esempio, se in 
Coro si corregge uno sbaglio, poiché a un vecchio è permesso di fare una correzione. Devi però 
ritenere che ordinariamente il servo di Dio non deve entrare in discussione. Tollerare con pazienza 
un errore è minor male che disputare; tanto più in Coro, dove tali discussioni produrrebbero 
scandalo e impedirebbero l'attenzione e la pace interiore. 
Lo stesso intendo quando dico che, in Coro, bisogna sempre leggere o cantare, perché qualche volta 
può avvenire nell'anima uno slancio di fervore che il canto soffocherebbe; allora sarebbe meglio 
recitare l'Uffizio a bassa voce; almeno se vi sono abbastanza coristi da soddisfare al Coro. 
E così di molte altre cose circa le quali Dio t'istruirà, purché tu aderisca a Lui con purezza e 
semplicità di cuore. Tuttavia non devi credere a ispirazioni speciali e fare altrimenti da quello che 
ho detto, se non quando una pratica prolungata delle virtù ti avrà dato lo spirito di discrezione. 

CAPO VII. 
Condotta che si deve tenere nell'esercizio del santo ministero 

Nelle prediche e nelle esortazioni (13), usa un parlare semplice e familiare per spiegare in 
particolare quello che bisogna fare. Per quanto è possibile appoggia la tua parola con esempi, 
affinché il peccatore reo del medesimo peccato si senta colpito come se tu predicassi per lui solo. 
Ma parla in tal modo che apparisca che le tue parole sono il frutto, non di un'anima superba e 
irritata, ma delle viscere d'una carità paterna. Sii un padre che s'impietosisca dei suoi figli colpevoli, 
gravemente malati, giacenti in una fossa profonda e ch'egli vuol liberare. Sii una madre che carezza 
i suoi figli. Riponi la tua gioia nei progressi che loro meriteranno la gloria del Paradiso. 
Così tu farai del bene ai tuoi uditori, dovechè sarebbero poco commossi se. tu non facessi altro che 
svolgere idee generali sui vizi e sulle virtù. Lo stesso dicasi per le confessioni: sia che abbi da incoraggiare i timidi o da spaventare gl'induriti, 
mostra a tutti una carità profonda. Fa sì che il peccatore senta sempre che la pura carità ispira le tue 
esortazioni. Perciò qualche parola dolce deve sempre preparare un rimprovero; 
Tu adunque che vuoi essere utile alle anime, comincia col ricorrere a Dio con tutto il tuo cuore, e 
domandagli con semplicità che infonda in te la carità, che è la somma delle virtù e il mezzo per 
compire quello che desideri. 

CAPO VIII. 
Condotta che si deve tenere in certe tentazioni 

Per la gloria di N. S. Gesù Cristo t'indicherò i rimedi contro alcune tentazioni spirituali che Dio 
permette molto comunemente in questo tempo per la purificazione e prova degli eletti. Esse non 
attaccano apertamente nessun articolo principale della fede, ma l'uomo perspicace vede subito che 
tendono a distruggere questi fondamenti della nostra religione e preparano all'Anticristo la cattedra 
e il trono. 
Non le esporrò minutamente per non essere occasione di scandalo o di caduta a nessuno, ma ti dirò 
con quale prudenza devi regolarti per trionfarne. 
Queste tentazioni vengono da due lati: prima dalle suggestioni e illusioni del demonio che inganna 
l'uomo nelle sue relazioni con Dio e in tutto ciò che si riferisce a Dio; poi dalla dottrina corrotta e 
dai costumi di quelli che già sono caduti in queste tentazioni. T'indicherò dunque quale dev'essere la 
tua condotta riguardo agli uomini, riguardo alla loro dottrina e al loro modo di vivere. 

§ I. - TENTAZIONI CHE VENGONO 
DALLE SUGGESTIONI DIABOLICHE. 

Ecco dunque i rimedi contro le tentazioni spirituali che il diavolo eccita in alcune anime. 

Non desiderare le grazie straordinarie 
Primo rimedio. Quelli che vogliono vivere nella volontà di Dio non devono desiderare di ottenere 
coll'orazione, colla contemplazione o con altre opere di perfezione, visioni, rivelazioni o sentimenti 
soprannaturali che eccedono lo stato ordinario di quelli che hanno per Dio un timore e un amore 
sincerissimo. Perché un simile desiderio non può venire che da un fondo di orgoglio e di 
presunzione, da una curiosità vana riguardo a Dio e da una fede troppo fragile. La grazia di Dio 
abbandona l'anima presa da questo desiderio e la lascia cadere in queste illusioni e in queste 
tentazioni del demonio che la seduce con false visioni e con rivelazioni. È la tentazione più comune 
del nostro tempo. 
Sappi che le vere rivelazioni e godimenti spirituali dei segreti di Dio non sono il frutto di questi 
desideri, come di nessuno sforzo umano. Dio solo li dà all'anima profondamente umile, che desidera 
ardentemente e rispettosamente di conoscerlo. 
Ma sarebbe un commettere il medesimo sbaglio l'esercitarsi nell'umiltà e nel timore di Dio per 
ottenere visioni, rivelazioni e consolazioni spirituali. 

Consolazioni spirituali e umiltà 
Secondo rimedio. Quando preghi o contempli, non tollerare mai nell'anima tua alcuna consolazione, 
sia pure minima, se vedi ch'essa fondasi nella presunzione e nella stima di te stesso, se t'induce a 
desiderare felicità e riputazione e a crederti degno di lode e di gloria in questo mondo o delle gioie 
del Paradiso. 
L'anima che si prende piacere di simile consolazione cade in parecchi errori funesti Dio, per un 
giusto giudizio, permette al demonio di accrescere queste consolazioni di rinnovarle e di far nascere 
in quest'anima sentimenti falsissimi e pericolosissimi ch'ella prende per comunicazioni divine, Ahi! mio Dio, quante anime ingannate da queste illusioni! Tieni per certo che tal è la sorgente della 
maggior parte dei rapimenti, o piuttosto dei furori dei precursori dell' Anticristo. 
Guardati adunque, nell'orazione o contemplazione, dall'accettare alcuna consolazione, se non viene 
dalla perfetta cognizione e dal sentimento completo della tua bassezza e imperfezione, sentimento e 
cognizione ch'essa deve sviluppare, e se in presenza della grandezza e sublimità di Dio essa non la 
nascere un rispetto profondo con un ardente desiderio del suo onore e della sua gloria. 

Visioni, fede e purezza 
Terzo rimedio. Ogni sentimento, anche altissimo, ogni visione, anche sublime, quando 
t'indispongono contro un articolo di fede, contro i buoni costumi, specialmente contro l'umiltà e la 
purezza, abbili in orrore: sono certamente opera del demonio. 
Quando pure la tua visione non t'ispiri nulla di simile e ti rechi la certezza che viene da Dio e ti 
spinga a fare la volontà divina, tuttavia non t'appoggiare sopra di essa. 

Consigli dei visionari 
Quarto rimedio. Qualunque sia la pietà, la santità di vita, l'elevatezza d'intelligenza ed altre qualità 
d'una persona, non seguire mai i suoi consigli e i suoi esempi, se hai ragione di credere che i suoi 
consigli non sono secondo Dio o secondo la prudenza cristiana e che non t'impegnerebbero nella via 
tracciata da Gesù Cristo e dai Santi e rischiarata dalle sante Scritture. 
Disprezzando i loro consigli, non avere alcun timore di cadere nell'orgoglio o nella presunzione; 
perché agisci per zelo e per amore della verità. 

Non frequentare i visionari 
Quinto rimedio. Fuggi la compagnia e la familiarità di coloro che seminano e divulgano queste 
tentazioni, come di coloro che le difendono e le lodano. Non ascoltare né i loro racconti, né le loro 
spiegazioni. Non cercar di vedere ciò che fanno. Perché il demonio non mancherebbe di farti 
vedere, nelle loro parole e nei loro gesti, dei segni di perfezione, a cui forse presteresti fede per 
cadere e perderti con essi. 

§ 2. - TENTAZIONI 
CHE VENGONO DALLE FALSE DOTTRINE E DAI CATTIVI ESEMPI. 

Ti verrò pure indicando i rimedi da usare contro la dottrina e gli esempi di talune persone che 
propagano queste tentazioni. 

Prudenza e discrezione nell'esame 
Primo rimedio. Non far gran conto delle loro visioni, dei loro sentimenti straordinari né delle loro 
estasi. Anzi, se ti dicono qualche cosa contro la fede, la Sacra Scrittura o i buoni costumi, abbine, 
orrore: tutte queste visioni ed estasi sono pure follie, frenesie diaboliche. 
Ma se sono conformi alla fede, alla Sacra Scrittura, agli esempi dei Santi e ai buoni costumi, non le 
disprezzare, perché ti esporresti a disprezzare ciò che viene da Dio. Non te ne fidare però senza 
riserva, perché spesso, specialmente nelle tentazioni spirituali, il falso si nasconde sotto l'apparenza 
del vero, Il male sotto l'apparenza del bene: il demonio può così spandere il suo veleno mortale in 
un maggior numero d'anime senza diffidenza. 
La condotta più gradita a Dio in queste occasioni, mi sembra, è di non fermarsi punto a queste 
visioni, a queste estasi ed altri fatti straordinari, nonostante la loro apparenza di bene e di verità. 
Lasciali per quello che sono, salvochè non accadano a persone d'una tale santità, d'una tale prudenza 
e d'una tale umiltà da essere certo che non possano essere sedotte dalle illusioni e dagli artifizi del 
diavolo. Anche allora, quantunque sia bene rispettare le visioni e i giudizi di tali persone, tu avrai la 
prudenza di prestare la tua fiducia non tanto perché sono visioni, quanto purché sono conformi alla 
fede cattolica, alla Sacra Scrittura, ai buoni costumi e agli esempi dei Santi.  
Riflessione e consiglio prima d'agire 
Secondo rimedio. Se qualche rivelazione o movimento straordinario ti spinge a compire un'opera, 
specialmente un' opera importante che esce dalle tue abitudini e di cui ti domandi se essa piacerà a 
Dio, prima d'agire aspetta finché tu abbia esaminato tutte le circostanze, particolarmente il fine, e 
abbia la certezza d'essere accetto a Dio. 
Tuttavia non ne giudicare da te stesso, ma, per quanto è possibile, seguendo le regole tratte dalla 
Sacra Scrittura e dagli esempi dei Santi che possiamo imitare. Dico: esempi che possiamo imitare, 
perché S. Gregario c'insegna che molti Santi fecero cose che non sono imitabili, per quanto buone 
in se stesse. Basta aver per esse rispetto e ammirazione. 
E se non arrivi a conoscere la volontà di Dio, domanda a persone di vita e di dottrina sicura un 
consiglio sincero. 

Rallegrarsi di seguire la via ordinaria 
Terzo rimedio. Se sei esente da queste tentazioni a tal punto da non averle provate, o se, avendole 
provate, ne hai trionfato, solleva la tua mente e il tuo cuore a Dio per riconoscere umilmente questo 
grande benefizio. Ringrazialo spesso o piuttosto non cessar di ringraziarlo di questo favore. 
Guardati bene dall'attribuir alle tue forze, alla tua sapienza, ai tuoi meriti, alla tua condotta o al caso 
quello che hai avuto gratuitamente dalla bontà di Dio. I Santi c'insegnano che per questo soprattutto 
Dio ci sottrae la sua grazia e ci lascia in preda alle tentazioni e alle illusioni del demonio. 

Non far nulla nel dubbio 
Quarto rimedio. Quando provi qualche tentazione spirituale che ti getta nel dubbio, non 
intraprendere di tua propria iniziativa nulla di grave che già prima non eri solito di fare. Reprimi 
l'impulso del tuo cuore e della tua volontà; aspetta umilmente nel timore e nel rispetto di Dio 
ch'Egli si degni d'illuminarti. Tieni per certo che se, nel dubbio, intraprendessi da te stesso una cosa 
grave e insolita, non riusciresti a nulla di bene. Non intendo parlare se non di cose gravi é che 
escono dall'ordinario, sulle quali tu hai un dubbio. 

Perseverare nelle pratiche comuni 
Quinto rimedio. Per tutte queste Cose straordinarie non lasciar mai un bene che avevi intrapreso 
prima che esse si producano. Soprattutto guardati dall'abbandonare la preghiera, la confessione, la 
comunione, i digiuni e le altre opere di pietà e d'umiltà, quand'anche non ci trovassi alcuna 
consolazione. 

Abbandono alla divina volontà 
Sesto rimedio. In queste occasioni solleva la tua mente e il tuo cuore a Dio pregandolo umilmente 
di fare quello che sarà più utile alla sua gloria e alla salute dell'anima tua. Sottometti la tua volontà 
alla sua volontà divina. Se è sua volontà di lasciarti in queste tentazioni. la tua sia di non mai 
offenderlo. 

PARTE TERZA 
Riassunti e Massime Spirituali 

CAPO I. 
Alcuni motivi di tendere alla perfezione 

Lieto del bene che hai intrapreso per gloria divina e desideroso d'aiutarti perseverare e a salire più in 
alto, o almeno a dartene il desiderio, voglio esporti alcuni dei motivi che abbiamo d'eccitare il 
nostro cuore ad una vita più perfetta: il che tuttavia non potresti né intraprendere né continuare colle 
tue proprie forze. Toccherò solo rapidamente ciascuno di questi motivi senza spiegarli, affinché impari a meditare 
lungamente sopra poche parole, e affinché ciascuno di questi pensieri sia per te il soggetto di 
contemplazioni profonde ed estese. Però se vuoi trame profitto, non basta occuparne l'intelletto, ma 
bisogna farli passare nel cuore e decidere la volontà a fare quello che questi pensieri consigliano. 
Per aiutarti, ti mostrerò in poche parole come questi motivi non produrranno qualche effetto 
nell'anima tua se non sono compenetrati d'un sentimento e d'un amor soprannaturale. 

L'onore dovuto a Dio 
Primo motivo: l'amore e l'onore che Dio merita per la sua bontà, per la sua sapienza e per le altre 
sue perfezioni innumerevoli e infinite. Considerandole, capirai che quello che fai per onorario e 
ringraziarlo e che tu credevi essere molto, è in realtà pochissimo e come nulla in confronto di quello 
che merita. 
Questo motivo è il primo, perché anzitutto le nostre opere devono essere dirette a glorificare, a 
rispettare Dio, a dargli l'amore che merita sopra tutte le creature. 
Questo primo motivo tocca solo le anime grandi che sentono ed amano di contemplare la nobiltà, la 
perfezione e la maestà divina e si sforzano di proporzionare il loro amore e il loro culto all'infinità 
di Dio (14). 

I patimenti di Gesù per noi 
Secondo motivo: i disprezzi. le ingiurie, le privazioni, i dolori e l'amarissima Passione che il 
Figliuolo di Dio soffrì per tuo amore, affinché tu stesso l'amassi e l'onorassi. Se tu li mediti, vedrai 
quanto poco hai fatto per l'onore e l'amore di Dio rispetto a ciò che avresti dovuto fare (15). 
Questo motivo è più elevato e più perfetto dei seguenti, perciò l'ho messo al secondo posto. Esso 
trascina solamente le anime che provano una devozione affettuosa all'amore e alla bontà che il 
Figliuolo di Dio ci manifestò nella sua Passione. Queste anime desiderano con tutte le loro forze di 
contraccambiare a Dio la sua bontà e il suo amore. 

La nostra vocazione soprannaturale 
Terzo motivo: l'innocenza e la perfezione a cui ci obbliga la legge di Dio che esige, insieme con 
l'assenza d'ogni vizio e d'ogni peccato, la pienezza della virtù. Difatti è ciò che richiede il 
comandamento d'amare Iddio con tutto il nostro cuore, con tutta l'anima nostra e con tutte le nostre 
forze. pensaci, e vedrai la tua debolezza e la distanza che ti separa da questa purezza perfetta. 
Questo motivo non produce effetto se non nell'anima che sente quale alta perfezione esige il 
Signore da ogni creatura e nell'anima che questo motivo sublime induce al compimento generoso 
della volontà divina (16). 

I benefizi di Dio 
Quarto motivo: l'abbondanza e la grandezza dei benefizi di Dio. Ricordati dei favori temporali e 
spirituali ch'Egli distribuisce a tutti e particolarmente a te stesso, e sentirai che ciò che fai e ciò che 
potrai fare per Dio non è nulla in confronto de' suoi benefizi e delle sue grazie, massimamente se 
poni mente alla liberalità e alla bontà che presiedono alle sue larghezze. 
Questo motivo eccita soltanto le anime che ripensano in una meditazione affettuosa la grandezza e 
la nobiltà dei benefizi e della grazia di Dio e si sforzano di rendergli un culto proporzionato alla sua 
generosità (17). 

Le gioie del Cielo 
Quinto motivo: la grandezza e la nobiltà della ricompensa e della gloria che Dio promette e prepara 
a quelli che Lo glorificano colle loro virtù, ricompensa la cui magnificenza sarà proporzionata agli 
sforzi compiuti. 
Questo pensiero ci fa comprendere che il nostro merito non è niente in confronto di tanta gloria ed 
eccita il desiderio di fare per l'avvenire opere più meritorie. Ma non fa del bene se non quando l'anima stima ed ama d'un amor fervente la gloria del Paradiso e l'attende con una fiducia così ferma 
che la sua speranza la fa risolvere a praticare virtù che le meriteranno questa gloria (18). 

La bellezza della virtù e la deformità del peccato 
Sesto motivo: la bellezza e la generosità della virtù, la nobiltà ch'essa conferisce all'anima e d'altra 
parte la bassezza vergognosa del vizio e del peccato. 
Questa considerazione spinge un uomo saggio ad acquistare maggiore Virtù e ad evitare più 
diligentemente il peccato. Per essere efficace essa richiede un'anima pervasa d'orrore per ogni vizio, 
d'odio per ogni peccato, di simpatia e d'amore per la bellezza della virtù e del doni di Dio. Odio ed 
amore che devono possedere l'anima tutta quanta fino nelle sue profondità. 

Gli esempi dei Santi 
Settimo motivo: la sublime perfezione della vita dei Santi, il numero e l'eccellenza delle loro virtù. 
Che differenza in confronto dell'imperfezione della nostra vita e della tiepidezza delle nostre opere! 
(19). 
Questo motivo può ottenere un effetto solo quando l'anima, eccitata da una grande stima della vita 
dei Santi, desidera di riprodurla, principalmente la vita dei Santi assolutamente perfetti: la Vergine 
Maria prima di tutti, S. Giovanni Battista, S. Giovanni Evangelista, gli Apostoli ed altri ancora. 

La riparazione delle nostre colpe 
Ottavo motivo: la gravità e la moltitudine dei tuoi peccati contro Dio. Per quanto buone siano le tue 
opere, non son niente per soddisfare i tuoi debiti per via di giustizia. 
Questo motivo sarà utile solamente all'anima che non teme di rivolgere contro se stessa i peccati 
che ha commesso contro Dio e che è fermamente risoluta di rendere giustizia a Dio e a pagare il suo 
debito con opere meritorie. 

Il pericolo di dannazione 
Nono motivo: le tentazioni della carne, del mondo e del demonio che ti mettono in pericolo da ogni 
parte. 
Questo pensiero ti ecciterà ad essere più saldo e a salire più in alto che mai nella virtù a fine di 
resistere più sicuramente a queste tentazioni. Ma non può servire che all'anima pervasa dal 
sentimento della sua debolezza e dal grave pericolo delle tentazioni, e determinata a fuggire le 
occasioni per mettersi al sicuro sotto la protezione della grazia (20). 

Il timore del giudizio di Dio 
Decimo motivo: il rigore del giudizio di Dio. Tu desideri di comparire a questo giudizio con molte 
buone opere e soddisfazioni per tuoi peccati. Ma che cosa sono le tue buone opere e la tua penitenza 
in confronto di ciò che avresti dovuto fare? 
Questa considerazione suppone nell'anima la cognizione de' suoi peccati, il timore e il terrore intimo 
della sentenza che sarà pronunziata nel giudizio universale contro i peccatori impenitenti (21). 

L'incertezza della morte 
Undecimo motivo: la brevità della vita e l'avvicinarsi della morte della quale ignori l'ora e dopo la 
quale non potrai fare alcuna opera meritoria, alcuna penitenza. Perché non usiamo uno zelo più 
generoso nelle nostre mortificazioni e nelle nostre opere? 
Questo pensiero non produce frutti se non in un'anima atterrita dalla morte e fermamente decisa di 
fare opere meritorie (22). 

I pericoli dell'orgoglio e della tiepidezza 
Dodicesimo motivo: qualunque siano i tuoi principii e i tuoi progressi nella virtù, se non desideri 
una vita sempre più perfetta e non ti sforzi per arrivarci, è perché c'è in te un fondo di presunzione e d'orgoglio, molta tiepidezza e negligenza. Ora la presenza di questi due vizi trascina sempre seco 
una turba di disordini spirituali. Se vuoi liberartene, fa degli sforzi costanti per condurre una vita 
più sublime e più perfetta, qualunque sia la perfezione de' tuoi inizi. A quelli che cominciano 
coll'esser ferventi e cadono poi nella tiepidezza, perché credono d'essere qualche cosa, S. Bernardo 
dice: «Ah! se sapessi quanto poca cosa è ciò che hai e quanto presto la perderai se Chi te la diede 
non te la conserva!” 
Questa considerazione, per essere efficace, domanda un'anima che sente e comprende che darsi alla 
pratica della virtù senza il desiderio di salire più in alto suppone orgoglio e tiepidezza, e precipiterà 
in grandi sventure chi non evita questi vizi. 

I segreti giudizi di Dio 
Tredicesimo motivo: gl'imperscrutabili giudizi di Dio in alcune persone che, dopo una lunga 
perseveranza in un'alta santità e in una grande perfezione, sono state abbandonate da Dio a cagione 
di alcuni vizi nascosti ch'esse non credevano d'avere. 
Questa considerazione, qualunque sia la tua perfezione di vita, ti deciderà sicuramente a purificare 
ogni giorno i tuoi affetti e le tue intenzioni, a correggerti più sollecitamente che mai d'ogni difetto, a 
tendere a una santità più perfetta e a temere che non vi sia in te qualche vizio nascosto che ti faccia 
abbandonare da Dio. Ma non tocca se non un'anima piena di sollecitudine per la sua salute e che 
teme d'essere privata della grazia (23). 

Le pene dell'inferno 
Quattordicesimo motivo: le pene dell'inferno riservate a tutti i peccatori. Pensaci e troverai leggere 
tutte le penitenze, umiliazioni, povertà e tutte le prove che potrai sopportare per Dio in questa vita a 
fine di sfuggire queste pene. Il timore di questi supplizi non cesserà di spingerti a una vita più alta e 
più perfetta. 
Questo motivo tocca principalmente un'anima atterrita dalle pene eterne, convinta d'averle meritate 
per le sue colpe e che si sforza di sfuggirle colla penitenza. 

Riassunto: due punti essenziali 
Nota che in ciascuno di questi motivi tutto si riduce a due punti: prima al sentimento della nostra 
imperfezione e del nostro nulla, poi al desiderio efficace di sollevarsi a una vita più perfetta. Così il 
sentimento della nostra imperfezione e del nostro nulla non deve mai essere senza il desiderio e lo 
sforzo di giungere a una vita più perfetta e viceversa. 

CAPO II. 
Due fondamenti della vita spirituale 

Chiunque voglia sfuggire i lacci e le insidie finali dell'Anticristo, ossia del demonio, deve eccitare 
nel suo cuore due sentimenti. 

Rinunziare a se stesso nell'umiltà 
Anzitutto provi davanti a se stesso il medesimo sentimento che davanti ad un cadavere, brulicante 
di vermi, fetente, nauseante fino a tal punto da doversi turare le narici a cagione della puzza e 
rivoltare la faccia per evitare un simile orrore. 
Ecco, fratello mio, quello che ogni giorno dobbiamo fare, tu ed io. Io più di te, perché l'intera mia 
vita è un'infezione, tutto un'infezione, sono io stesso, il mio corpo e l'anima mia e tutto ciò che sono 
io, nella feccia e nella putredine de' miei peccati e delle mie iniquità, non è che un fetore e un 
oggetto d'orrore. E quello che è peggio, sento che questa infezione si rinnova e cresce ogni giorno. 
Al sentimento della sua corruzione il servo di Dio deve aggiungere una confusione profonda alla 
presenza di Dio, giudice rigoroso, come davanti a Colui che vede e sa tutto, e un vivo dolore d'aver 
offeso Iddio, d'aver perduto la grazia, frutto del Sangue di Gesù e dell'acqua battesimale. Di questa confusione che prova davanti a se stesso e davanti a Dio, dev'essere pervaso anche 
davanti agli angeli, alle anime sante e perfino davanti a tutti gli uomini. Deve convincersi ch'egli è 
un oggetto d'abominazione e di disgusto per tutti e che le persone non solo sdegnano di occuparsi di 
ciò ch'egli dice e fa, ma che sono forzati, davanti a lui, a turarsi le narici, a rivoltare la faccia per 
non vederlo, a rigettarlo come un cadavere putrefatto, a segregarlo dalla società e a relegarlo come 
un lebbroso ributtante. 
In quanto al suo corpo, sia persuaso che gli si renderebbe giustizia strappandogli gli occhi, 
amputandogli le mani, il naso e le orecchie, torturandolo in tutti i suoi sensi e in tutte le sue 
membra: perché ne ha abusato per offendere il suo Dio e il suo Creatore. Desideri d'essere 
disprezzato e calpestato. Sopporti pazientemente, con somma gioia ed allegrezza, tutti i rimproveri, 
le vergogne, le diffamazioni, le ingiurie, i biasimi e le contraddizioni d'ogni genere. 

Unione colla santa umanità di Gesù 
In secondo luogo bisogna che, con un sentimento di totale sfiducia di te stesso, delle tue buone 
opere e di tutta la tua vita, ti volga tutto quanto a N. S. Gesù Cristo, poverissimo, umilissimo, 
abbeverato d'insulti e di disprezzo, morto per te, e che t'abbandoni nelle sue braccia, finché non sii 
morto ne' tuoi sentimenti umani e Gesù Cristo viva nel tuo cuore e nell'anima tua. 
Bisogna che, completamente trasformato e trasfigurato, tu più non abbia nel più intimo di te stesso 
se non il desiderio di vedere, d'udire, d'amare Gesù per te confitto in Croce, come faceva la Vergine 
Maria. Morto al mondo, vivrai nella fede. 

CAPO III 
Disposizioni abituali dell'anima che vuole unirsi a Dio 

Nostro contegno riguardo a Dio 
Riguardo al Signore devi esercitarti in sette disposizioni principali: 
Un amore ardentissimo; 
Un timore sommo; 
Il rispetto di sua Maestà; 
Uno zelo perseverante; 
Il ringraziamento e la lode; 
Un'ubbidienza pronta e universale; 
Un gusto vivo, per quanto è possibile, delle soavità divine. 
Devi dunque chiedere continuamente queste disposizioni dicendo: 
 - Buon Gesù, fate ch'io sia, fino nel più intimo del cuore e dell'anima, pervaso d'amore, di timor 
sommo, di rispetto e di zelo ardente per la gloria vostra, di modo che, geloso del vostro onore, io 
provi il più violento orrore contro tutti gli oltraggi che vi si fanno, principalmente, o mio Dio, 
contro quelli che sono stati compiuti in me, da me o per causa mia. 
Fate inoltre ch'io vi riconosca e vi adori umilmente come mio Signore e mio Creatore, e che per i 
vostri benefizi io non cessi di rendervi fervide grazie. 
Fate che sempre e in ogni Cosa io vi benedica, vi lodi e vi glorifichi nell'allegrezza e nel giubilo del 
Cuore; che, ubbidendovi in ogni cosa, io passa, nonostante la mia indegnità e la mia ingratitudine, 
gustare eternamente le vostre ineffabili dolcezze cogli angeli e apostoli vostri. 

Nostro contegno riguardo a noi stessi 
Riguardo a te stesso, esercitati in sette altre disposizioni; 
Confusione profonda riguardo ai tuoi vizi e ai tuoi difetti; 
Dolore acutissimo e amarissimo che ti faccia piangere e deplorare i tuoi peccati, perché hanno 
offeso Dio e macchiato l'anima tua; 
Umiliazione di te stesso con disprezzo: riguardati come un oggetto vile e corrotto e desidera d'esser 
disprezzato; Stretto rigore per macerare il tuo corpo; risoluzione di trattarlo come una sozzura di peccato, anzi 
come un luogo immondo, una sentina, un ammasso di corruzione; 
Odio implacabile contro tutti i tuoi vizi e tutto ciò che t'induce al peccato; 
Vigilanza energica sopra tutti i tuoi sensi, tutte le tue azioni e tutte le tue potenze che devi 
rigorosamente tener disposte al bene; 
Discrezione perfetta, ossia moderazione: in tutte le cose osserva diligentemente la giusta misura tra 
il troppo e il troppo poco, l'esagerato e l'insufficiente, di modo che tu non faccia né più né meno di 
quello che bisogna. 

Nostro contegno riguardo al prossimo 
Riguardo al prossimo, esercitati in sette altre disposizioni: 
Tenera compassione che ti faccia sentire i mali e gl'incomodi del prossimo come se fossero tuoi; 
Dolce piacere del bene che loro avviene come se avvenisse a te stesso; 
Paziente tolleranza e perdono dell'ingiurie, che riceverai con calma e perdonerai con tutto il tuo 
cuore; 
Affabilità piena di benevolenza che ti renderà amabile verso tutti ne' tuoi atti e nelle tue parole; 
Umile rispetto: preferirai gli altri a te stesso, li onorerai tutti e nel tuo Cuore ti sottometterai a loro 
come ai tuoi padroni; 
Concordia perfetta; per quanto puoi e Dio te lo permette, sii del parere altrui, segui i loro desideri 
legittimi e considerati come una sola cosa con essi; 
Dono della tua vita ad esempio di Gesù: come Lui sarai pronto a dare la salute per tuoi fratelli. 
Avrai cura di pregare e di lavorare giorno e notte perché essi s'uniscano intimamente a Gesù e Gesù 
ad essi. 
Tuttavia da questi ultimi consigli non concluderai che tu non debba evitare e fuggire con tutte le tue 
forze i vizi degli uomini. Anzi ogni volta che la compagnia dei cattivi e dei tiepidi può esser per te 
un pericolo e distoglierti dalla perfezione, devi fuggirli come si fuggono i serpenti e i mostri. Perché 
il carbone più ardente si spegne nell'acqua o si raffredda; invece il più freddo s'accende al contatto 
d'altri carboni ardenti. Ma se questo pericolo di corruzione non esiste, distogli semplicemente gli 
occhi dai difetti del prossimo, oppure, se non puoi non vederli, sopportali con compassione, come i 
tuoi. 

Nostro contegno riguardo alle cose temporali 
Per regolare la tua condotta riguardo alle cose dell'eternità e delle cose del tempo, procura 
d'acquistare verso queste ultime le quattro disposizioni seguenti: 
Diportati come un pellegrino e uno straniero: considera tutte queste cose esteriori ed estranee a tal 
segno che gli stessi tuoi abiti ti siano così indifferenti come se fossero nell'India; 
Paventa l'abbondanza nella tua vita come un veleno e come un mare che t'inghiottisse; 
All'opposto, ama di provare l'indigenza, d'esser nel bisogno: è la scala che fa salire alle eterne 
ricchezze del Paradiso; 
Evita la compagnia, il commercio e il fasto dei ricchi e dei grandi, ma senza disprezzo, Ama 
solamente la compagnia dei poveri. Sia per te un piacere ricordarti di loro, vederli, conversar con 
loro. 
Sono essi l'immagine di Cristo: con loro, come con dei re, vivi pieno di lieto rispetto e orgoglioso 
della loro compagnia. 

CAPO IV. 
La scala della perfezione 

Quindici perfezioni sono necessarie a chi s'applica al servizio di Dio. 
 Vita purgativa 
Una chiara e perfetta cognizione dei proprii difetti. 
Un coraggio ardente e perseverante contro le cattive inclinazioni, desideri e passioni contrarie alla 
ragione. 
Un vivo timore che dopo tanti peccati egli non abbia fatto penitenza abbastanza e non sia rientrato 
in grazia con Dio. 
Un gran terrore che la sua fragilità lo faccia cadere nei medesimi disordini e forse in più gravi. 
Una disciplina rigorosa e una severa sorveglianza per governare i sensi esterni e sottomettere il 
corpo al servizio di Gesù Cristo. 
Una forte e valorosa pazienza nelle tentazioni e nelle prove. 
La fuga coraggiosa d'ogni persona che potrebbe esser causa od occasione di peccato o anche solo 
d'imperfezione. Queste persone sono demoni d'inferno. 

Vita illuminativa 
Portare la croce di Gesù che ha quattro braccia: quello della mortificazione dei vizi, quello della 
rinunzia a tutti i beni temporali, quello della rinunzia a tutte le amicizie carnali della famiglia, e 
quello del disprezzo, dell'annientamento di se stesso. 
Il ricordo prolungato e continuo dei benefizi di Nostro Signor Gesù Cristo. 
La perseveranza nella preghiera di giorno e di notte. 

Vita unitiva 
Il sentimento e il gusto abituali delle soavità divine. 
Un insaziabile desiderio di glorificare la nostra fede, di far conoscere, temere e amare Gesù Cristo. 
Una misericordiosa compassione per il prossimo in tutti i suoi bisogni. 
Rendere grazie incessantemente e con tutto il cuore; glorificare e lodare Dio e Cristo Gesù in ogni 
cosa. 
Dopo aver fatto tutto ciò, confessare dal fondo del cuore: - Mio Dio e mio Signore, o Cristo Gesù, 
io non sono nulla, non posso nulla, non valgo nulla, vi servo male e sono un servo inutile. 

CAPO V. 
Massime spirituali 

Alcune massime essenziali 
La povertà evangelica praticata dagli Apostoli è fondata su tre punti essenziali: 
L'abdicazione di tutti i propri i diritti; 
L'uso ristretto delle cose materiali; 
L'amore abituale degli effetti della povertà. 

*** 
Vi sono tre parti nell'astinenza: Indebolire i desideri della carne e cura dei bisogni della vita; 
Rendersi indifferenti alla quantità alla qualità dei cibi; 
Fare un uso sobrio di ciò che ci si dà. 

*** 
Vi sono tre cose che bisogna evitare e fuggire sollecitamente: 
Di fuori, la distrazione delle faccende; 
Dentro, l'orgoglio e l'ambizione; 
L'attacco eccessivo e sregolato ai beni materiali e un'affezione umana e disordinata verso noi stessi, 
i nostri amici secondo la carne o secondo il nostro Ordine. 

*** Vi sono tre cose che bisogna ricercare in modo particolare: 
Il desiderio d'esser disprezzato, calpestato, pubblicamente abbassato; 
Un'intima compassione per Gesù Crocifisso ; 
La tolleranza delle persecuzioni e del martirio per amore di Gesù e per riprodurre la vita evangelica. 
Fra il giorno chiedi queste tre cose con, preghiere prolungate e accompagnate da gemiti e ardenti 
sospiri. 

*** 
Vi sono tre cose che dobbiamo meditare assiduamente: 
Gesù nella sua Incarnazione, nella sua Passione e negli altri suoi misteri; 
La vita degli Apostoli e dei primi Frati del nostro Ordine, eccitando in noi il desiderio d'imitarli; 
La vita che condurranno più tardi gli uomini evangelici (24). 

La vita degli uomini evangelici 
Devi meditare giorno e notte la vita di quegli uomini poverissimi, semplicissimi e mansuetissimi, 
umili fino a stimarsi vili, uniti per un'ardente carità a Gesù, non pensando che a Gesù, non parlando 
che di Gesù, non gustando che Gesù e Gesù Crocifisso, indifferenti al mondo, dimentichi di sé, 
contemplando la gloria eterna di Dio e degli eletti, a cui tutto il loro essere anela nel desiderio 
incessante della morte ad esempio di S. Paolo che diceva: «Desidero di morire e d'essere con 
Cristo». Essi possederanno i tesori immensi e inestimabili delle ricchezze celesti. Saranno 
meravigliosamente invasi e sommersi dalla deliziosa abbondanza delle dolcezze e delle gioie del 
Paradiso. 
Nelle tue meditazioni figurati questi uomini che cantano sull'arpa del loro cuore, nel rapimento 
dell'estasi, il cantico degli angeli. Questa visione ti farà desiderare con incredibile ardore la venuta 
di questo tempo; dissiperà le nubi del dubbio e dell'ignoranza e t'introdurrà in una mirabile luce: 
distinguerai chiaramente tutti i mali del nostro tempo e comprenderai la misteriosa disposizione di 
tutti gli Ordini religiosi che dal tempo dell'Incarnazione di Cristo sono nati e nasceranno dalla 
Chiesa sino alla fine dei secoli, sino al momento in cui sarà consumata la gloria del nostro sommo 
Signore Gesù Cristo. 
Porta sempre nel tuo cuore Gesù Crocifisso, affinché ti conduca alla sua eterna gloria. Amen. 

APPENDICI 

BREVE ESERCIZIO DI PERFEZIONE 
PROPOSTO DAL 
Ven. P. LUIGI DI GRANATA 
nel suo libro: 
Memoriale della vita cristiana 


§ I. - DI DODICI C0SE CHE HA DA FARE IL SERVO DI DIO. 
Perché molti desiderano d'avere sempre sott'occhio i principali punti della vita spirituale, perciò 
riduco qui in compendio le cose principali che deve fare il servo di Dio, e quelle dalle quali 
principalmente si ha da guardare; affinché in questo breve sommario, come in un esemplare, veda 
quello che a lui conviene. 
Ora, in quanto a quello che deve fare: 

 Primo: procuri di star sempre alla presenza del Signore, poiché è manifesto per la dottrina 
dei Santi, che l'uomo non si muove mai a far cosa che sia grata a Dio, se prima Dio stesso non lo 
tocca e non lo muove. E se ciò non potrà fare continuamente, almeno spesso fra il giorno e h notte 
sollevi il cuore a Lui con brevi, amorose e umili orazioni e sospiri, chiedendogli sempre il suo 
soccorso ed amore, come quegli che senza di Lui non può cosa alcuna.  

Secondo: da tutto ciò che udirà o leggerà procuri sempre di trarre qualche divota ed amorosa 
considerazione, con cui nutrire e accrescere dentro di sé il dolce miele del divino amore, a guisa 
delle api che sempre cercano di trarre dai fiori qualcosa da portare nell'alveare. Di modo che, come 
un gran fuoco converte in fuoco tutto quello che vi si getta, sia acqua o ferro od altro, così parimenti 
il suo cuore dev'essere per tal modo acceso dal fuoco del divino amore che qualsivoglia cosa dal 
mondo gli sia materia e stimolo d'amore. 

 Terzo: quando a volte cadesse in qualche difetto o distrazione di cuore, non si sgomenti, né 
si lasci cadere sotto il peso, ma ritorni al Signore con umile e amorosa conversione, riconoscendo la 
sua gran miseria e la grandezza della divina misericordia, e facendo quanto potrà dal canto suo per 
rimettersi nello stato primitivo, e progredire nell'intrapreso cammino. 

 Quarto: procuri d'avere purezza d'intenzione in tutto quello che farà; perciò deve 
diligentemente esaminare tutte le sue parole, pensieri ed opere e soprattutto l'intenzione da cui è 
animato, procurando ognora di purificarla e di rettificarla coll'aver sempre di mira la gloria di Dio in 
tutto quello che fa; e ciò non una sola volta al giorno, ma ogni v che intraprende qualche cosa di 
nuovo. 

 Quinto: sebbene sia per lui tempo di pace, procuri d'andar sempre armato, e di trovarsi 
preparato a ricevere con umiltà e mansuetudine tutte quelle cose che gli occorreranno contrarie, 
anche all'improvviso; poiché, quantunque l'ira giovi talvolta a qualche cosa, è meraviglia però che 
riesca bene, perché lascia sempre la coscienza angustiata e inquieta se abbia o no oltrepassato i 
giusti limiti. Sicché l'irascibile è una certa passione dalla quale si ha più danno che vantaggio per 
progredire nel servizio di Dio. Giacché è manifesto che chi superasse questa passione vivrebbe 
sempre in gran pace. 

 Sesto: se non è superiore, non stia ad osservare i difetti altrui, ma sempre consideri i proprii: 
perché il notare i difetti del prossimo sempre reca seco rincrescimento, superbia, giudizio temerario, 
inquietudine di coscienza, zelo indiscreto ed altri sentimenti sregolati che turbano il cuore; dovechè 
il guardare i proprii difetti reca seco confusione di sé, umiltà, timor di Dio, e pace di animo. 

 Settimo: s'allontani dalle cose transitorie non solo collo spirito, ma anche col corpo e 
aderisca a Dio con tutto il cuore, perché quanto più si eserciterà in questo, tanto meno avrà 
dell'uomo e tanto più parteciperà di Dio, giacché chi ama le cose passeggere anch' egli passa e se ne 
va con esse; invece chi mette il suo cuore unicamente in Dio, partecipa in qualche modo alla 
fermezza e stabilità di Lui. Si guardi inoltre dalle molte faccende, quando siano smoderate, anche se 
non male in se stesse; perché distraggono il cuore, e non lo lasciano pienamente quietare nel 
Signore. 

 Ottavo: consideri sempre la vita di Gesù Cristo e la sua Sacratissima Passione e 
conversazione e dottrina e travagli, per imitare, quanto gli sarà possibile, i divini esempi delle sue 
virtù: umiltà, carità, misericordia, obbedienza, povertà, asprezza di vita, disprezzo del mondo e 
amore della nostra salute, ecc. ecc. 

 Nono: procuri continuamente, quanto potrà, di negare la propria volontà, rassegnata 
pienamente nelle mani di Dio; di modo che sia morto in Lui tutto il proprio volere, e solo viva 
quello di Dio, perché in tal modo non regniamo noi, ma il Signore in noi. E ciò si deve fare in ogni 
cosa, avversa o prospera, mesta o allegra, dolce o amara. 

 Decimo: nelle sue tribolazioni, esercizi e negozi ricorra a Dio umilmente con gran 
confidenza e con animo e cuore di figlio, essendo Egli potentissimo e pietosissimo Padre; 
rimettendo tutte le cose alla sua Provvidenza, pigliandole tutte come dalle sue mani, scacciando e 
gettando da sé ogni fastidioso pensiero, e abbandonandosi in tutto nelle braccia di Dio. 

 Undicesimo: sia grato al Signore di tutti i benefizi ricevuti e lo ringrazi sempre tanto dei 
piccoli come dei grandi, non guardando tanto ai doni, quanto all'indegnità di chi li riceve e alla 
grandezza ed amore di Lui, che glieli dà; poiché Egli non dà meno con amore le cose piccole che le 
grandi. 

 Dodicesimo: strappi e scacci da sé con cuore grande e generoso tutte quelle cose che lo 
distolgono dalla perfezione, siano cose corporali o spirituali, come l'amar disordinato di qualche persona, di libri, di studi, e le conversazioni, esercizi e familiarità, quantunque spirituali, quando 
vedrà che gli turbano il cuore e gl'impediscono di avanzarsi nella via di Dio. 

§ 2. - DI DODICI DIFETTI CHE DEVE SCHIVARE IL SERVO DI DIO. 
Vi sono molti difetti che impediscono il progresso nella via spirituale per i quali non pochi, dopo 
molti anni sono quei medesimi che sempre furono. 
Ne accenneremo qui dodici dei più notevoli, affinché il servo dì Dio confrontandosi in essi, come in 
uno specchio, possa conoscere le sue mancanze, e la loro causa che impedisce il suo progresso; e 
così procuri di emendarsi: 

 Primo: egli s'applica soverchiamente agli esercizi e alle faccende esteriori; dal che deriva 
che spesso è privo delle visite e consolazioni interiori; perché nessuno può trovare fuori di sé ciò 
che si deve trovare dentro. 

 Secondo: cerca disordinatamente di essere amabile e compiacente con tutti. Da ciò nasce che 
non sa separarsi dalle persone e dalle faccende quando bisogna; e così perde il tempo e manca molte 
volte a' suoi esercizi, per non mancare agli uomini, onde avviene che tanto meno piace a Dio, 
quanto più cerca di piacere alle creature. 

 Terzo: ha poca umiltà con Dio, e poca riverenza per Lui, e così viene a perdere quella 
spirituale verecondia che con Lui si richiede, la quale è figlia dell'umiltà e madre del progresso 
spirituale. 

 Quarto: è come senza freno, e si precipita inconsideratamente negli affari più per impeto 
d'animo, che con giudizio di ragione; donde avviene che per il suo soverchio trasporto perde la pace 
e la tranquillità del cuore, e per la troppa sua fretta fa malamente quello che vuol fare; poiché sta 
scritto che colui che cammina frettoloso, inciamperà (Prov. XIX, 2). Perciò in tutte le cose si deve 
procedere con maturo giudizio, il quale è amico e fedele compagno della prudenza. 

 Quinto: si stima disordinatamente e presume di sé e delle sue virtù, sebbene non lo conosca, 
e così, come il Fariseo, disprezza segretamente gli altri, e si crede migliore di loro, e perciò non ha 
la vera umiltà, che è il fondamento di tutte le virtù. 

 Sesto: è inclinato a giudicare gli altri e a condannare i fatti loro, e perciò si raffredda nella 
carità; perché, quanto più esagera i mali altrui, tanto più affila la spada con cui assale la carità, la 
quale nasce in parte dalla buona opinione che abbiamo del prossimo. 

 Settimo: ha tuttora molto del suo amore riposto in cose passeggere, quindi con ragione gli è 
tolto molto dell'amar divino.

 Ottavo: è assai tiepido e lento negli esercizi dell' orazione, incominciandoli con pigrizia, 
proseguendoli con negligenza e finendoli senza frutto; onde molte volte è privo delle visite di Dio e 
dell'accrescimento della divozione. 

 Nono: è molto negligente e trascurato nel vincere e mortificare se stesso; donde procede che 
non può vivere a Dio, perché vive a se stesso, né può essere trasformato in Dio, perché non muore a 
se stesso. 

 Decimo: non sta interiormente raccolto, ma molto distratto nelle cose esteriori; dal che 
deriva che non si conosce quanto bisogna, e perciò non sa considerarsi e disprezzarsi come 
dovrebbe. 

 Undicesimo: è tuttora molto amante della sua propria volontà e de' suoi comodi: da ciò 
proviene che non' può negare se stesso ed abbracciare la Croce di Cristo, e mortificare il suo 
naturale; e così non può giungere alla perfezione della vita evangelica. 

 Dodicesimo: è incostante e leggero nelle buone risoluzioni che fa, mutandole facilmente in 
qualsivoglia occasione che gli si presenti: da ciò proviene che, mancandogli la perseveranza che 
sola conduce a termine le cose, perde tutto il suo tempo in cominciare, e così non va avanti e non fa 
progresso nella vita spirituale; 
e questa è la cagione per cui si trovano taluni che si potrebbero paragonare a quell'albero del quale 
dicesi che fa frutti sette volte all'anno, ma non ne porta mai alcuno a maturità.ANNOTAZIONI 

(1) «L'uomo è collocato tra le cose di questo mondo e i beni spirituali in tal modo che quanto più 
s'attacca ai primi, tanto più s'allontana dagli altri, e viceversa» (Sum. Theol. II-II q. 108. a. 4). 

(2) «Se tu desideri di arrivare per una via retta e sicura in breve tempo all'unione divina, fine della 
beatitudine, applicati internamente con una cura vigile a conservare sempre puro il tuo cuore, 
libero il tuo spirito e nel riposo i tuoi sensi; raccogli gli affetti del tuo cuore e portali 
incessantemente in alto per fissarli in Dio» (S. Alberto Magno, L'Unione con Dio, c. V). 

(3) S. Tommaso insegna che i moti dell'orgoglio sono facilmente repressi colla considerazione 
dell'infinita grandezza di Dio, dell'abisso della nostra miseria e dell'imperfezione di tutte le nostre 
buone opere (Sum. Theol. II - II, q. 62, a. 9, ad I). 

(4) Il P. Faber assicura che Se qualcuno ha l'abitudine di pensare agli altri con bontà, e ciò per 
motivi soprannaturali, non è lontano dall'esser un santo (Confer. spirit.). 

(5) Questi consigli vanno intesi con la discrezione supposta dal Santo Autore. Sarebbe un disastro 
per la nostra vita interiore non uscir mai dalla preoccupazione di noi stessi e convertire ogni 
preghiera mentale in esame di coscienza. Ciononostante è indispensabile che l'anima si esamini, 
quotidianamente, sopra il suo difetto principale (“esame di coscienza particolare”), i suoi altri 
difetti, sopra le sue imperfezioni, ed anche sopra le sue tendenze intime. Un tale esame praticato 
assiduamente è la condizione del nostro emendamento. 

(6) Il B. Raimondo da Capua, Maestro Generale dei Domenicani, racconta di Santa Caterina da 
Siena che «ella non solo si metteva sotto alla più vile delle anime e desiderava incessantemente 
d'essere considerata come l'ultima di tutte, ma credeva fermamente di esser la causa di tutti i mali 
altrui. Ogni volta che pensava alle iniquità e alle sventure del mondo in generale o di ciascun 
individuo in particolare, ne attribuiva a se stessa la colpa, dicendo: Sei tu la causa di tutti questi 
mali; rientra dunque in te stessa e piangi le tue colpe ai piedi del Signore». E la Santa ciò spiegava 
dicendo ch'ella aveva mal corrisposto ai disegni di Dio sopra l'anima sua. 

(7) La scelta d'un direttore è d'una grand'importanza. «Sceglilo fra mille, diceva San Francesco di 
Sales. 

(8) Il papa Giovanni XXII diceva: «Datemi un Frate Predicatore che osservi la sua Regola fino all' 
ultimo jota, ed io lo canonizzo senza che vi sia bisogno d'altro miracolo». 

(9) «Un uomo è press'a poco, in fondo, quello ch'egli pensa degli altri. Se tu odi che qualcuno 
attribuisce bassezza a un altro, puoi star sicuro, non solo che vi è qualcosa di cattivo nella sua 
natura, ma ancora che vi è nel suo fondo il medesimo elemento di bassezza che non tarderà a 
svilupparsi, se pure non è già comparso alla luce. Uno è sempre capace d'un peccato di cui egli 
crede capace un altro, oppure che è disposto a imputare ad altri. Anche un sospetto ben fondato 
degrada più o meno il suo autore» (Faber, Conf. spirit.). 

(10) «La macerazione del corpo, dice S. Tommaso, non è gradita a Dio se non in quanto è fatta con 
la necessaria discrezione, essa deve padroneggiare la concupiscenza senza opprimere la natura». 

(11) «Io credo, dice S, Francesco di Sales, che sia una sollecitudine virtuosa il prendere il sonno di 
buon'ora alla sera poter svegliarci e alzarci di buon mattino». 
 (12) Vedi l'Orario nell'Appendice I, pag. 119. 

(13) «Dio volle che nessun bene si facesse all'uomo se non amandolo, e che l'insensibilità fosse per 
sempre incapace, sia di dargli la luce, sia d'ispirargli la virtù» (P. Lacordaire O.P.). 
«La bontà ha convertito più peccatori che lo zelo, l'eloquenza o l'istruzione, e queste tre cose non 
hanno mai convertito nessuno senza che c'entrasse in qualche modo la bontà... È la manifestazione 
di questo sentimento negli uomini apostolici che attira i peccatori verso di essi e che così li conduce 
alla loro conversione» (P. Faber, Conf. Spirit.). 

(14) «Molti cristiani, dice il P. Faber, invece di fare progresso nella via spirituale, restano 
stazionarii, perché loro non si annunziano le perfezioni divine o perché essi non ne fanno il 
soggetto delle loro letture. Molti servirebbero Dio per amore, se studiassero la sua essenza e i suoi 
attributi». 

(15) «Ogni amore che non trae la sua origine da Passione del Salvatore è frivolo e pericoloso» (S. 
Francesco di Sales). 

(16) «Lusingati quanto vuoi, persuaditi tutto quello che ti piace, fabbricati scuse e pretesti quanti ti 
parrà bene, ma tu non sei meno tenuto a tendere con tutte le tue forze alla perfezione. Ecco la 
verità. Se finora l'hai ignorata, d'ora innanzi non la ignorerai più» (Lodovico Blosio). 

(17) Cfr. Imitazione di G. C. 1. III, c. XII: «Del ricordo dei benefizi di Dio». 

(18) Cfr. Imit. l. III, c. XLVII: «Bisogna essere pronti a subire per la vita eterna quello che vi è di 
più penoso», - c. XLVIII: «L'eternità beata e le miserie di questa vita». 

(19) Cfr. Imit. 1. L c. XVIII: «L' esempio dei Santi». 

(20) Cfr. Imit. 1. III, c. XXXV. «Durante questa vita siamo sempre esposti alla tentazione». 

(21) Lo stesso S. Vincenzo ottenne innumerevoli conversioni predicando i rigori del giudizio 
divino. Cfr. Imit. 1. l. c. XXIV: «Giudizio e pene dei peccatori». 

(22) S. Teresa soleva dire alle sue figlie: «Figliole mie, un'anima, un'eternità!». Cfr. Imit. 1. I. c. 
XXIII. 

(23) Cfr. Imit. l. III, c. XIV: «Bisogna considerare i segreti giudizi di Dio per non inorgoglirsi del 
bene che si è fatto». 

(24) S. Vincenzo Ferreri, alla fine del suo Trattato annunzia che uomini apostolici d'una 
grandissima santità saranno dati alla Chiesa. Il B. Grignon de Monfort menziona espressamente 
questa visione del nostro Santo. Ricevette egli stesso lumi affatto simili e molto precisi su questo 
importante argomento.

PREGHIAMO per Papa Benedetto XVI



Dominus conservet Eum...

martedì 1 aprile 2014

«Maestro, dove abiti?»


SAN GIOVANNI PAOLO II: 

4. «Maestro, dove abiti?». La Chiesa risponde ogni giorno: Cristo è presente nell'Eucaristia, il sacramento della sua morte e risurrezione. In essa e attraverso di essa riconoscete la dimora del Dio vivente nella storia dell'uomo. 

Poiché l'Eucaristia è il sacramento dell'amore vincitore della morte; è il sacramento dell'Alleanza, puro dono d'amore per la riconciliazione degli uomini; è il dono della presenza reale di Gesù, il Redentore, nel pane che è il suo Corpo immolato, nel vino che è il suo Sangue versato per tutti. 

Mediante l'Eucaristia, incessantemente rinnovata in tutti i popoli del mondo, Cristo costituisce la sua Chiesa: ci unisce nella lode e nell'azione di grazie per la salvezza, nella comunione che solo l'amore infinito può suggellare. Il nostro raduno mondiale prende così ora tutto il suo significato, attraverso la celebrazione della Messa. 

Giovani, miei amici, la vostra presenza sia una reale adesione di fede! Ecco che Cristo risponde alla vostra domanda e, al tempo stesso, alle domande di tutti gli uomini che cercano il Dio vivente. Risponde con il suo invito: questo è il mio Corpo, mangiatene tutti. Egli affida al Padre il desiderio supremo dell'unità nella stessa comunione di tutti quelli che egli ama.

Mater Domini (canto Gregoriano) . Mp3

Thumbnail Cantori Gregoriani, Fulvio Rampi - Mater domini (Canto gregoriano) . mp3

Cantori Gregoriani, Fulvio Rampi - Mater Domini (canto Gregoriano) . Mp3

Artist: Cantori Gregoriani, Fulvio Rampi Album: Mater domini (Canto gregoriano) Label: Paoline UPC: 8019118020253
1. Salve Regina
2. Alma Redemptoris Mater
3. Et apertum est templum dei
4. Regina Caeli
5. Concordi Laetitia
6. Stabat mater
7. Gaudeamus
8. Ave mundi spes Maria
9. Virgo parens Christi
10. Beatam me dicent
11. Sanctus ix
12. Diffusa est gratia (CO.)
.:oO more Oo:.

IV Domenica di Quaresima - Anno A: Guarigione del cieco nato: Gv 9, 1-41

VOLETE RIABBRACCIARE-RIAMARE LE COSE BELLE DELLA CREAZIONE DEL DIO ALTISSIMO? LEGGIAMO IL RACCONTO DI QUESTA MIRACOLOSA GUARIGIONE DI CUI FU TESTIMONE OCULARE L'APOSTOLO PREDILETTO GIOVANNI DI ZEBEDEO.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 9,1-41.

Passando vide un uomo cieco dalla nascita
e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?».
Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio.
Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare.
Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo».
Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco
e gli disse: «Và a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)». Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: «Non è egli quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?».
Alcuni dicevano: «E' lui»; altri dicevano: «No, ma gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!».
Allora gli chiesero: «Come dunque ti furono aperti gli occhi?».
Egli rispose: «Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Và a Sìloe e lavati! Io sono andato e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista».
Gli dissero: «Dov'è questo tale?». Rispose: «Non lo so».
Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco:
era infatti sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi.
Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e ci vedo».
Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri dicevano: «Come può un peccatore compiere tali prodigi?». E c'era dissenso tra di loro.
Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «E' un profeta!».
Ma i Giudei non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista.
E li interrogarono: «E' questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?».
I genitori risposero: «Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco;
come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l'età, parlerà lui di se stesso».
Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano gia stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga.
Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età, chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: «Dà gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore».
Quegli rispose: «Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo».
Allora gli dissero di nuovo: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?».
Rispose loro: «Ve l'ho gia detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?».
Allora lo insultarono e gli dissero: «Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè!
Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia».
Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi.
Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta.
Da che mondo è mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato.
Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla».
Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: «Tu credi nel Figlio dell'uomo?».
Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?».
Gli disse Gesù: «Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui».
Ed egli disse: «Io credo, Signore!». E gli si prostrò innanzi.
Gesù allora disse: «Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi».
Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo forse ciechi anche noi?».
Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane».
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 8 Capitolo 510 pagina 81.


1Gesù esce insieme ai suoi apostoli e a Giuseppe di Sefori, diretto alla sinagoga. La giornata, limpida e serena, rallegra come una promessa di primavera dopo giorni di vento e di nuvole tutte invernali. Molti di Gerusalemme sono quindi per le vie, chi diretto alle sinagoghe, chi di ritorno da esse o da altri luoghi, chi con la famiglia, intenzionato ad uscire dalla città per godersi il sole nelle campagne. Dalla porta di Erode, visibile dalla casa di Giuseppe di Sefori, si vede uscire la gente per degli allegri svaghi oltre le mura, all’aperto. Un tuffo nel verde, nell’ampio, nel libero, fuori delle vie anguste fra le alte case. Credo che la cintura agreste che era intorno a Gerusalemme fosse voluta spontaneamente dai cittadini, che volevano conciliare la misura del sabato col loro desiderio di aria e sole, presi per le vie e non soltanto sulle altane delle case.
Ma Gesù non va verso la porta di Erode. Anzi volge le spalle alla stessa, dirigendosi verso l’interno della città. Ma non ha fatto che pochi passi nella via più larga, nella quale sbocca la stradetta dove è la casa di Giuseppe di Sefori, che Giuda di Keriot gli richiama l’attenzione su un giovane, che procede verso di loro toccheggiando il muro con un bastone, alzando il volto privo di occhi verso l’alto, nell’andatura caratteristica dei ciechi. Le vesti sono povere, sebbene pulite, e deve essere persona nota a molti di Gerusalemme, perché più di uno lo addita e alcuni vanno a lui dicendo: «Uomo, oggi hai sbaglialo la strada. Le vie del Moria sono tutte superate. Già sei in Bezeta».
«Non chiedo elemosina di denaro, oggi», risponde con un sorriso il cieco e procede sempre con quel sorriso verso il nord della città.
2«Maestro, osservalo. Ha le palpebre saldate. Anzi direi che non ha palpebre. La fronte si unisce alle guance senza incavo alcuno, e sembra che sotto non siano le palle degli occhi. È nato così l’infelice. E così morrà, senza aver visto una volta la luce del sole, né il volto dell’uomo. Ora dimmi, Maestro. Per essere così punito, certo ha peccato. Ma se è cieco nato, come certamente è, come può aver peccato prima di nascere? Avranno forse peccato i suoi parenti e Dio li ha puniti facendolo nascere in tal modo?».
Anche gli altri apostoli e Isacco e Marziam si stringono a Gesù per ascoltare la sua risposta. E affrettando il passo, come attirati dall’altezza di Gesù che domina la folla, accorrono due gerosolimitani di civile condizione, che erano un poco indietro del cieco. E fra questi è Giuseppe d’Arimatea, che non si avvicina ma, addossandosi ad un portone alto su due gradini, gira lo sguardo su tutti i volti osservando tutto.
Gesù risponde, e si sentono nitidamente le parole nel silenzio che si è fatto: «Non ha peccato né lui né i suoi parenti più di quanto pecchi ogni uomo e forse anche meno. Perché povertà è sovente freno al peccare. Ma egli è nato così perché ancora una volta siano manifeste in lui le potenze e le opere di Dio. Io sono la Luce venuta nel mondo perché quelli del mondo, che hanno dimenticato Iddio o smarrito la sua effigie spirituale, vedano e ricordino, e perché quelli che cercano Dio, o di Lui già sono, siano confermati nella fede e nell’amore. Il Padre mi ha mandato perché nel giorno che ancora è concesso ad Israele Io completi la conoscenza di Dio in Israele e nel mondo. Ecco dunque che Io debbo compiere le opere di Colui che mi ha mandato, e testimoniare che Io posso ciò che Egli può, perché sono Uno con Lui. E il mondo sappia e veda che il Figlio non è dissimile dal Padre, e creda in Me per ciò che Io sono. Dopo verrà la notte nella quale non si può lavorare, la tenebra, e chi non si sarà scolpito il mio segno e la fede in Me non potrà più farlo nelle tenebre e nella confusione, dolore, desolazione e rovina che copriranno questi luoghi e sbalordiranno gli spiriti con gli orgasmi degli affanni. Ma finché Io sono nel mondo, Io sono Luce e Testimonianza, Parola, Via e Vita, Sapienza, Potenza e Misericordia. 3Va’, dunque, e raggiungi il cieco nato e portamelo qui».
«Va’ tu, Andrea. Io voglio restare qui e vedere ciò che fa il Maestro», risponde Giuda indicando Gesù, che si è chinato verso la via polverosa, ha sputato in un mucchietto di terriccio e col dito sta stemperando la polvere nella saliva formando una pallina di fango e che, mentre Andrea, sempre condiscendente, va a prendere il cieco che sta per svoltare nella vietta dove è la casa di Giuseppe di Sefori, se la spalma sui due indici restando così, con le mani come le tengono i sacerdoti nella S. Messa, al Vangelo o all’Epistola. Però Giuda si ritira dal suo posto dicendo a Matteo e Pietro: «Venite qui, voi che avete poca statura, e vedrete meglio». E si mette dietro a tutti, quasi celato dai figli d’Alfeo a da Barlolomeo, che sono alti.
Andrea torna tenendo per mano il cieco, che si affanna a dire: «Non voglio denaro. Lasciami andare. So dove è quello chiamato Gesù. E vado per chiedere...».
«Questo è Gesù, questo che ti è davanti», dice Andrea fermandosi davanti al Maestro.
Gesù, contrariamente al solito, non chiede nulla all’uomo. Subito gli stende il poco fango, che ha sugli indici, sulle palpebre chiuse e gli ordina: «Ed ora va’, il più sollecito che puoi, alla cisterna di Siloe, senza fermarti a parlare con nessuno».
Il cieco, col volto impiastriccialo di fango, resta un attimo perplesso e apre le labbra per parlare. Poi le chiude e ubbidisce. I primi passi sono lenti, come di chi è pensieroso oppure deluso. Poi affretta il passo, rasentando col bastoncello il muro, sempre più lesto, lesto quanto lo può un cieco, forse più, come se si sentisse guidato...
I due gerosolimitani ridono sarcastici scrollando il capo e se ne vanno. Giuseppe d’Arimatea, e mi stupisce il fatto, li segue senza neppure salutare il Maestro, tornando sui suoi passi, ossia verso il Tempio, mentre da quella stessa direzione veniva. Così tanto il cieco, come i due, come Giuseppe d’Arimatea, vanno verso il sud della città, mentre Gesù piega verso occidente e lo perdo di vista, perché il volere del Signore mi fa seguire il cieco e quelli che lo seguono.
4Superata Bezeta, entrano tutti nella valle che è fra il Moria e Sion ‑ mi sembra di averla sentita altre volte chiamare Tiropeo ‑ la percorrono tutta fino ad Ofel, lo costeggiano, escono sulla via che va alla fonte di Siloe, sempre stando con quest’ordine: per primo il cieco, che deve essere conosciuto in quella parte popolana, poi i due, ultimo, a qualche distanza, Giuseppe d’Arimatea.
Giuseppe si ferma presso una casetta meschina, seminascosto da una siepe di bosso, che sporge contornando l’orticello della povera casa. Ma i due vanno proprio vicino alla fonte e osservano il cieco, che si accosta cauto al vasto bacino e, tastando il muro umido, spenzola dentro alla cisterna una mano e la trae gocciante d’acqua e se ne lava gli occhi, una, due, tre volte. Alla terza preme sul viso anche l’altra mano, lasciando cadere il bastone e gettando un grido come di dolore.
Poi scosta lentamente le mani e il suo primo grido di pena si muta in un urlo di gioia: «Oh! Altissimo! Io vedo!», e si getta a terra come vinto dall’emozione, le mani messe a parare gli occhi, strette alle tempie, per ansia di vedere, per sofferenza di luce, e ripete: «Vedo! Vedo! Questa è dunque la terra! Questa la luce! Questa l’erba che conoscevo solo per la sua frescura...». Si alza e stando curvo, come uno che porta un peso, il suo peso di gioia, va al ruscello che porta via il soprappiù dell’acqua e lo guarda scorrere scintillante e ridarello, a mormora: «E questa è l’acqua... Ecco! Così la sentivo fra le dita (vi immerge la mano) fredda e che non si tiene, ma non ti conoscevo... Ah! Bella! Bella! Come è tutto bello!». Alza il viso e vede un albero... ci va vicino, lo tocca, stende una mano, attira a sé un rametto, lo guarda e ride, ride, e fa solecchio, e guarda il cielo, il sole, e due lacrime scendono dalle vergini palpebre aperte a contemplare il mondo... E abbassa gli occhi sull’erba dove un fiore ondula sullo stelo, e vede se stesso riflesso nell’acqua del ruscello, e si guarda e dice: «Così io sono!», e osserva stupito una tortora venuta a bere poco più là, e una capretta che strappa le ultime foglie di un rosaio selvatico, e una donna che viene verso la fonte con un figliolino sul seno. E quella donna gli ricorda sua madre, la sua madre dallo sconosciuto volto, e alzando le braccia al cielo grida: «Te benedetto, Altissimo, per la luce, per la madre, e per Gesù!», e corre via lasciando a terra il suo ormai inutile bastone...
I due non hanno atteso di vedere tutto questo. Appena visto che l’uomo ci vedeva, sono corsi via verso la città. Giuseppe invece resta fino alla fine e, quando il cieco non più cieco gli sfreccia davanti entrando nel dedalo di viuzze del popolano borgo di Ofel, lascia a sua volta il suo posto e torna sui suoi passi, verso la città, molto pensieroso...
5Il borgo di Ofel, sempre rumoroso, è ora addirittura in subbuglio. Chi corre a destra, chi a sinistra. Domande, risposte.
«Ma vi sarete sbagliati con un altro...».
«No, ti dico. Gli ho parlato dicendo: “Ma sei proprio tu, Sidonia detto Barlolmai?”, e lui mi ha detto: “Lo sono”. Volevo chiedergli come fu, ma è corso via».
«Dove è ora?».
«Dalla madre, certamente».
«Chi? Chi l’ha visto?», chiedono nuovi accorrenti.
«Io, io», dicono in diversi rispondendo.
«Ma come avvenne?».
«...L’ho visto correre senza bastone con due occhi nel volto e ho detto: “Guarda! Così sarebbe Barlolmai se...”».
«Ti dico che tremo tutta. Entrando ha gridato: “Madre, io ti vedo!”».
«Una grande gioia per i parenti. Ora potrà aiutare il padre e guadagnare il suo cibo...».
«Quella povera donna! Si è sentita male dalla gioia. Oh! una cosa! una cosa! Io ero andata a farmi dare un po’ di sale e...».
«Corriamo a sentire da lui...».
Giuseppe d’Arimatea si trova preso in mezzo a questo baccano e, non so se per curiosità o se per spirito di imitazione, segue la corrente a va a finire in un vicoletto cieco, che se proseguisse andrebbe al Cedron, dove la folla si accalca soverchiando col suo parlare il fruscio delle acque del torrente, ingrossato dalle piogge di autunno. E Giuseppe vi arriva quando, da un altro vicolo che sbocca in questo, vengono i due di prima con altri tre: uno scriba, un sacerdote e un altro che non identifico alla veste. Essi si fanno largo con prepotenza e cercano entrare nella casa stipata di gente.
La casa è fatta di una vasta cucina nera come il catrame, con un angolo taglialo fuori da un rustico assito, oltre il quale è un giaciglio e una porta che dà in un’altra stanza con un letto più grande. Una porta, aperta nella parete opposta, mostra un orticello di pochi metri quadri. Ed è tutto.
6Il cieco guarito parla addossato al tavolo, rispondendo a chi lo interroga, tutta gente povera come lui, popolo minuto di Gerusalemme, di questo borgo, che è forse il più povero di tutti. Sua madre, ritta vicino a lui, lo guarda a piange asciugandosi gli occhi nel suo velo. Il padre, un uomo sciupato dal lavoro, si stropiccia la barba con la mano scossa da un tremilo. Entrare nella casa è impossibile anche alla prepotenza giudea e dottorale, e i cinque devono ascoltare da fuori le parole del guarito.
«Come mi si sono aperti? Quell’uomo che si chiama Gesù mi ha sporcato gli occhi con della terra bagnata e mi ha detto: “Va’ a lavarti alla fonte di Siloe”. Ci sono andato, mi sono lavalo e si sono aperti gli occhi e ho visto».
«Ma come hai fatto a trovare il Rabbi? Dicevi sempre che eri disgraziato perché mai lo incontravi, neppure quando passava sempre di qui per andare da Giona al Getsemani. E oggi, adesso che non si sa mai dove sia...».
«Eh! Ieri sera è venuto un suo discepolo e mi ha dato due monete dicendo: “Perché non cerchi di vedere?”. Gli ho detto: “Ho cercato. Ma non trovo mai quel Gesù che fa i miracoli. Lo cerco da quando ha guarito Annalia, del mio stesso borgo, ma se vado qua Egli è là...”, a lui mi ha detto: “Io sono un suo apostolo e ciò che io voglio Egli fa. Vieni domani in Bezeta e cerca la casa di Giuseppe il galileo, quello del pesce secco, Giuseppe di Sefori, presso la porta di Erode e l’arco della piazza, dalla parte d’oriente, e vedrai che prima o poi Egli passa di là o entra nella casa ed io ti accennerò al Maestro”. Ho detto: “Ma domani è sabato”. Volevo dire che Egli non farebbe nulla in sabato. Mi ha detto: “Se vuoi guarire è il giorno, perché dopo si lascia la città, né sai se lo potrai più incontrare”. Io ho detto ancora: “So che lo perseguitano. Ho sentito dalle porte della cinta del Tempio, dove vado a mendicare. E perciò dico che ora che lo perseguitano così, meno ancora vorrà essere perseguitato e non mi guarirà in sabato”. E lui: “Fa’ ciò che ti dico e in sabato tu vedrai il sole”. E io sono andato. Chi non sarebbe andato? Se lo dice un suo apostolo! Mi ha detto anche: “Io sono quello che Egli più ascolta, e vengo apposta perché mi fai pietà e perché voglio che splenda il suo potere dopo che lo hanno vilipeso. Tu, cieco nato, lo farai risplendere. So ciò che dico. Vieni e vedrai”. E io sono andato, e non ero ancora arrivato alla casa di Giuseppe che un uomo mi ha preso per mano, ma alla voce non era quello di ieri, e mi ha detto: “Vieni con me, fratello”, e io non volevo andare, credevo mi volesse dare pane e denaro, vesti forse, e gli dicevo di lasciarmi andare perché avevo saputo dove trovare quello chiamato Gesù, e l’uomo mi ha detto: “Questo è Gesù, questo che ti è davanti”. Ma io non ho visto nulla, per ché ero cieco. Ho sentito due dita coperte di terra bagnata toccarmi qui e qui, e una voce dire: “Va’ sollecito a Siloe e lavati e non parlare con alcuno”, e l’ho fatto. Ma ero sconfortato perché speravo vederci subito, e quasi ho creduto che fosse uno scherzo di giovani senza cuore, e non volevo quasi andare. Ma ho sentito dentro una specie di voce dire: “Spera e ubbidisci”, e allora sono andato alla fonte e mi sono lavalo e ho visto». E il giovane si ferma estatico a ripensare alla gioia del primo vedere...
7«Fate uscire l’uomo. Lo vogliamo interrogare», gridano i cinque.
Il giovane si fa largo ed esce sulla soglia.
«Dove è Colui che ti ha guarito?».
«Io non lo so», dice il giovane, al quale un amico ha sussurrato: «Sono scribi e sacerdoti».
«Come non lo sai? Dicevi ora che lo sapevi. Non mentire ai dottori della Legge e al sacerdote! Guai a chi cerca ingannare i magistrati del popolo!». .
«Non inganno nessuno. Quel discepolo mi ha detto: “È in quella casa” ed era vero, perché c’ero vicino quando sono stato preso e condotto da Lui. Ma dove ora sia non so. Il discepolo mi ha detto che vanno via. Potrebbe già essere uscito dalle porte».
«Ma dove andava?».
«E che ne so io?! Andrà in Galilea... Per come viene trattato qui!...».
«Stolto e irrispettoso! Bada a come parli, feccia del popolo! Ti ho detto: per che via si dirigeva?».
«Ma come volete che lo sappia se ero cieco? Può un cieco dire dove va un altro?».
«Sta bene. Seguici».
«Dove volete portarmi?».
«Dai capi dei farisei».
«Perché? Che c’entrano essi con me? Mi hanno forse guarito, essi, che io li debba ringraziare? Quando ero cieco e mendicavo, le mie mani non sentivano mai le loro monete, il mio udito mai la loro parola di pietà, e il mio cuore mai il loro amore. Che devo dire loro? Non ho che uno al quale dire “grazie”, dopo mio padre e mia madre che per tanti anni mi hanno amato infelice. Ed è questo Gesù che mi ha guarito amandomi col suo cuore, come i miei parenti col loro. Io non vengo dai farisei. Sto con mia madre e mio padre, a godere di vedere il loro volto ed essi i miei occhi nati ora, dopo tante primavere da quella in cui nacqui ma non vidi la luce».
«Non tante parole. Vieni a seguici».
«Che no! Non vengo! Avete voi forse mai asciugato una lacrima o un sudore a mia madre avvilita della mia sventura, a mio padre sfinito dal lavoro? Ora io lo posso fare col mio aspetto, e dovrei lasciarli e seguirvi?».
«Te lo ordiniamo. Non sei tu che ordini, ma il Tempio e i capi del popolo. Se la superbia di esser guarito ti rende ottusa la mente a ricordare che noi comandiamo, noi te lo ricordiamo. Avanti! Cammina! ».
«Ma perché io devo venire? Che volete da me?».
«Che tu deponga della cosa. È sabato. Opera compiuta nel sabato. Va registrata per il peccato. Peccato tuo e di quel satana».
«Satana voi! Peccato voi! E io dovrei venire a deporre contro chi mi ha beneficalo? Voi siete ebbri! Al Tempio verrò. A benedire il Signore. E non più di così. Nell’ombra della cecità sono stato per tanti anni. Ma le palpebre chiuse non hanno fatto tenebra che agli occhi. L’intelletto è stato in luce lo stesso, in grazia di Dio, e mi dice che non devo danneggiare l’unico Santo che è in Israele».
«Uomo, basta! Non sai che vi sono castighi per chi si oppone ai magistrati?».
«So niente io. Qui sono e qui sto. E non vi conviene nuocermi. Vedete che tutto l’Ofel è dalla mia parte».
«Sì! Sì! Lasciatelo! Sciacalli! È protetto da Dio. Non lo toccate! Dio è coi poveri! Dio è con noi, affamatori a ipocriti!». La gente urla e minaccia con una di quelle spontanee manifestazioni popolari che sono le esplosioni di sdegno degli umili verso chi li preme, o di amore per chi li protegge. E grida: «Guai a voi se colpite il nostro Salvatore! L’Amico dei poveri! Il Messia tre volte santo. Guai a voi! Non si è temuto le ire di Erode, non quelle dei Presidi, quando si è voluto. Non temiamo le vostre, vecchie iene dalle mascelle sdentate! Sciacalli dalle unghie mozzate! Inutili prepotenti! Roma non vuole i tumulti e non opprime il Rabbi perché Egli è pace. Ma voi vi conosce. Andate via! Via dai quartieri di quelli che opprimete con decime più forti delle loro forze, ad aver denaro per saziare le 
vostre fami e a compiere i turpi mercati. Discendenti di Giasone! Di Simone! Torturalori dei veri Eleazari, dei santi Onia. Conculcalori dei profeti! Via! Via!». Il tumulto si accende sempre più fiero.
8Giuseppe d’Arimatea, schiaccialo contro un muretto, sino allora spettatore attento ma inattivo dei fatti, con un’agilità insospettabile in un vecchio, e per di più così infagottato in vesti e mantelli, salta in piedi sul muricciolo a urla: «Silenzio, cittadini. E ascoltate Giuseppe l’Anziano!».
Una, due, dieci teste si volgono in direzione del grido. Vedono Giuseppe. Gridano il suo nome. Deve essere molto noto il d’Arimatea e deve godere il favore del popolo, perché le urla di sdegno si mutano in urla di gioia: «C’è Giuseppe l’Anziano! Viva lui! Pace e lunga vita al giusto! Pace e benedizione al benefattore dei miseri! Silenzio, ché parla Giuseppe! Silenzio!».
Il silenzio si fa a fatica, e si ode per qualche minuto il frusciare del Cedron oltre il vicolo. Tutte le teste sono rivolte a Giuseppe, avendo tutti dimenticato l’oggetlo che prima li faceva volgere in opposta direzione: i cinque disgraziati e improvvidi che hanno suscitalo il tumulto.
«Cittadini di Gerusalemme, uomini di Ofel, perché volete lasciarvi accecare dal sospetto e dall’ira? Perché mancare al rispetto e alle consuetudini, voi sempre così fedeli alle leggi dei padri? Di che temete? Forse che il Tempio sia un Moloch che non rende ciò che accoglie? Forse che i giudici vostri siano tutti ciechi, più del vostro amico, ciechi nel cuore e sordi nella giustizia? Non è forse usanza che un fatto prodigioso sia deposto, scritto e conservato da chi di dovere per le cronache di Israele? Lasciate dunque che, anche per onore del Rabbi che amate, il miracolato salga a deporre l’opera da Esso compiuta. Ancora titubate? Ebbene, io mi fo mallevadore che nulla av­verrà di male a Barlolmai. E voi sapete che io non mento. Co­me un figlio a me caro lo scorterò lassù, a ve lo ricondurrò qui poi. A me credete. E del sabato non fate un giorno di peccato con la ribellione ai vostri capi».
«Dice giusto! Non si deve. Possiamo credergli. Egli è un giusto. Nelle buone deliberazioni del Sinedrio è sempre la sua voce». La gente si scambia le sue idee e finisce per gridare: «A te sì. Il nostro amico a te lo affidiamo!». E rivolta al giovane: «Vieni! Non temere. Con Giuseppe d’Arimatea sei sicuro come e più che con tuo padre», e fa largo perché il giovane possa an­dare da Giuseppe, che è sceso dal suo pulpito improvvisalo, e mentre passa gli dicono: «Veniamo anche noi. Non temere!».
Giuseppe, nelle sue ricche vesti di splendida lana, pone una mano sulla spalla del giovane e si mette in cammino. La tunica bigia e consunta del giovane, il suo piccolo mantello, strusciano contro l’ampia veste rosso cupa e il pomposo manto ancor più scuro del vecchio sinedrista. Dietro, i cinque e, dopo questi, molti e molti di Ofel... 
9Eccoli al Tempio, dopo aver traversato le vie centrali attirando l’attenzione di molti, che si additano il già cieco dicendo: «Ma è colui che mendicava cieco! E ora ha gli occhi! Ma forse è uno che gli somiglia! No. È lui certo e lo conducono al Tempio. Andiamo a sentire», e il codazzo aumenta sempre più, sinché le mura del Tempio li inghiottono tutti.
Giuseppe guida il giovane in una sala, non è il Sinedrio, dove sono molti farisei e scribi. Giuseppe entra e con lui entra Barlolmai e i cinque. I popolani di Ofel vengono respinti nel cortile.
«Ecco l’uomo. Io stesso ve l’ho condotto, avendo, non visto, assistito al suo incontro col Rabbi e alla sua guarigione. E vi posso dire che fu del tutto casuale da parte del Rabbi. L’uomo, lo sentirete anche voi, fu condotto, o meglio, invitato ad andare dove era il Rabbi, da Giuda di Keriot, che voi conoscete. E io ho sentito, e anche questi due con me hanno sentito, perché erano presenti, come fu Giuda a tentare Gesù di Nazaret al miracolo. Or io qui depongo che, se uno vi è da punire, non è il cieco, né il Rabbi, ma l’uomo di Keriot, che ‑ Dio mi vede se mento nel dire ciò che il mio intelletto pensa ‑ è il solo autore del fatto come colui che lo ha con apposita manovra provocato. Ho detto».
«Il tuo dire non annulla la colpa del Rabbi. Se un suo discepolo pecca non deve peccare il Maestro. Ed Egli ha peccato guarendo in sabato. Ha compiulo opera servile».
«Sputare in terra non è fare opera servile. E toccare gli occhi di un altro non è fare opera servile. Io pure tocco l’uomo e non credo di peccare».
«Egli ha fatto miracolo in sabato. In questo sta il peccato».
«Onorare il sabato con un miracolo è grazia di Dio e sua bontà. È il suo giorno. E non potrà l’Onnipotente celebrarlo con un miracolo che faccia splendere la sua potenza?».
«Non siamo qui per ascoltare te. Tu non sei imputato. È l’uomo che vogliamo interrogare. 10Rispondi, tu. Come hai ottenuto la vista?».
«L’ho detto. E questi mi hanno sentito. Il discepolo di quel Gesù mi ha detto ieri: “Vieni e io ti farò guarire”. E sono venuto. E mi sono sentito mettere del fango qui e una voce dirmi di andare a Siloe a lavarmi. E l’ho fatto e ci vedo».
«Ma sai lo chi ti ha guarito?».
«Certo che lo so! Gesù. Ve l’ho detto».
«Ma sai di preciso chi è Gesù?».
«Non so niente io. Sono un povero e un ignorante. E fino a poco fa ero cieco. Questo so. E so che Lui mi ha guarito. E se lo ha potuto fare, certo Dio è con Lui».
«Non bestemmiare! Non può Dio essere con chi non osserva il sabato», urlano alcuni.
Ma Giuseppe e i farisei Eleazaro, Giovanni e Gioacchino osservano: «Neppure però può un peccatore fare tali prodigi».
«Siete sedotti voi pure, forse, da quel posseduto?».
«No. Siamo giusti. E diciamo che, se Dio non può essere con chi opera in sabato, neppure può l’uomo senza Dio fare che un cieco nato veda», dice calmo Eleazaro. E gli altri annuiscono.
«E il demonio dove lo mettete?», urlano bisbetici i malevoli.
«Non posso credere, e neppur voi lo credete, che il demonio possa far opera capace di far lodare il Signore», dice il fariseo Giovanni.
«E chi lo loda?».
«Il giovane, i suoi parenti, tutto Ofel, ed io con loro, e con me tutti quelli che giusti sono e santamente timorati di Dio», ribatte Giuseppe.
I malevoli, scornati, non sapendo cosa obbiettare, investono Sidonia detto Barlolmai: «Tu che cosa dici di colui che ti ha aperto gli occhi?».
«Per me è un profeta. E più grande di Elia col figlio della vedova di Sarepta. Perché Elia fece tornare l’anima nel fanciullo. Ma questo Gesù mi ha dato ciò che non avevo mai perso perché non l’avevo mai avuto: la vista. E se mi ha fatto gli occhi così in un baleno e con nulla, salvo un po’ di fango, mentre in nove mesi mia madre con carne e sangue non era riuscita a farmeli, deve essere grande come Dio, che col fango ha fatto l’uomo
«Va’ via! Va’ via! Bestemmiatore! Bugiardo! Merce d’acquisto!», e cacciano fuori l’uomo come fosse un dannato.
11«L’uomo mente. Non può esser vero. Tutti lo possono dire che chi è nato cieco non può guarire. Sarà uno che gli somiglia a Barlolmai e che il Nazareno ha preparato... oppure... Barlolmai non è mai stato cieco».
Davanti a questa sorprendente affermazione Giuseppe d’Arimatea scatta: «Che l’odio acciechi si sa dal tempo di Caino. Ma che faccia stolti non si sapeva ancora. Vi pare che uno giunga alla maturità della gioventù fingendosi cieco per... attendere un presumibile evento strepiloso e molto futuro? O che i parenti di Barlolmai non conoscano il figlio o si prestino a questa menzogna?».
«Il denaro può tutto. Ed essi sono poveri».
«Il Nazareno lo è più di loro».
«Tu menti! Somme da satrapo gli passano fra le mani».
«Ma non vi si fermano un istante. Sono dei poveri quelle somme. Usate per il bene, non per la menzogna».
«Come lo difendi! E sei uno degli Anziani!».
«Giuseppe ha ragione. La verità va detta quale che sia la carica che l’uomo ricopre», dice Eleazaro.
12«Correte a richiamare il cieco. E portatelo di nuovo qui. E altri vadano dai parenti e li portino qui», urla Elchia spalancando la porta e ordinando ad alcuni in attesa lì fuori. E la sua bocca è quasi coperta di bava tanto l’ira lo strozza.
Chi corre di qua, chi di là. Il primo che torna è Sidonia detto Barlolmai, stupito e seccato. Lo ficcano in un angolo guardandolo come una muta di cani guata una selvaggina... Poi, dopo un bel po’, ecco venire i genitori di lui, circondati da folla.
«Venite dentro voi. E gli altri fuori!».
I due entrano spaventati e vedono il figlio là in fondo, sano, ma in stato di arresto. La madre geme: «Figlio mio! E doveva esser giorno di festa per noi!».
«Ascoltate noi. È vostro figlio quell’uomo?», interroga rudemente un fariseo.
«Sì che è nostro figlio! E chi volete che sia se non lui?».
«Ne siete proprio sicuri?».
Il padre e la madre sono tanto sbalorditi della domanda che prima di rispondere si guardano.
«Rispondete!» .
«Nobile fariseo, e puoi pensare che un padre e una madre si possano ingannare sulla loro creatura?», dice umilmente il padre.
«Ma... potete giurare che... sì, che per nessuna somma vi fu chiesto di dire che questo è vostro figlio mentre è uno che gli somiglia?».
«Chiesto di dire? E da chi mai? Giurare? Ma mille volte, e per l’altare e il Nome di Dio, se vuoi!». È così sicura l’affermazione che smonterebbe anche il più ostinato.
Ma i farisei non si smontano! Chiedono: «Ma vostro figlio non era nato cieco?».
«Sì. Così era nato. A palpebre chiuse e, sotto, il vuoto, il nulla...».
«E come mai ora ci vede, ha gli occhi e le palpebre aperte su essi? Non vorrete già dire che gli occhi possono nascere così, come fiori a primavera, e che una palpebra si schiuda, come giusto fa il calice di un fiore!...», dice un altro fariseo e ride sarcastico.
«Sappiamo che questo uomo è veramente nostro figlio da quasi trent’anni e che è nato cieco, ma come ora ci veda non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi. Del resto, chiedetene a lui. Non è ebete e non è fanciullo. Ha i suoi buoni anni. Interrogatelo e vi risponderà».
«Voi mentite. Egli, in casa vostra, ha narralo come fu guarito e da chi. Perché dite che non sapete?», urla uno dei due che avevano sempre seguito il cieco.
«Eravamo tanto sbalorditi dalla sorpresa che non abbiamo sentito», si scusano i due.
13I farisei si volgono a Sidonia detto Barlolmai: «Vieni avanti tu. E da’ pur gloria a Dio se ti riesce! Non sai che chi ti ha toccato gli occhi è un peccatore? Non lo sai? Ebbene, sappilo. Noi te lo diciamo, che lo sappiamo».
«Mah! Sarà come voi dite. Io, se sia peccatore, non lo so. So soltanto che prima ero cieco e ora ci vedo, e ben chiaro».
«Ma cosa ti fece? Come ti apri gli occhi?». 
«Ve l’ho già detto e voi mi avete ascoltalo. Ora volete sentire di nuovo? Perché? Forse volete farvi discepoli di Lui?». 
«Stolto! Sii tu discepolo di quell’uomo. Noi siamo discepoli di Mosè. E di Mosè sappiamo ogni cosa e che Dio gli ha parlato. Ma di quest’uomo nulla sappiamo, né di dove venga né chi sia, e nessun prodigio del Cielo lo indica per profeta». 
«Qui appunto sta il meraviglioso! Che voi non sapete di dove Egli sia e dite che nessun prodigio lo indica per giusto. Ma Egli mi ha aperto gli occhi e nessuno di noi d’Israele aveva mai potuto farlo, neppur l’amore di una madre e i sacrifici del padre mio. Una cosa però sappiamo tutti, tanto io che voi, ed è che Dio non esaudisce il peccatore, ma colui che ha timore di Dio e fa la sua volontà. Non si è mai sentito che nessuno in tutto il mondo abbia potuto aprire gli occhi ad un cieco nato, ma questo Gesù lo ha fatto. Se Egli non fosse da Dio, non lo avrebbe potuto fare. 
«Sei nato nel peccato interamente, e deforme sei nello spirito come e più che non lo fosti nel corpo, e ti pretendi di insegnare a noi? Va’ via, maledetto aborto, e fatti satana col tuo seduttore. Via! Via tutti, plebe stolta a peccatrice!», e buttano fuori figlio, padre e madre, come fossero tre lebbrosi. 
14I tre se ne vanno lesti, seguiti dagli amici. Ma, giunto fuori dalla cinta, Sidonia si volge e dice: «E state! E dite ciò che volete! Il vero è che io ci vedo e ne lodo Iddio. E satana voi sarete, non già il Buono che mi ha guarito». 
«Taci, figlio! Taci! Purché ciò non ci faccia del male!...», geme la madre. 
«Oh! madre mia! Ti ha avvelenato l’anima l’aria di quella sala, tu che nel mio dolore mi insegnavi a lodar Dio e che ora nella gioia non lo sai ringraziare e temi gli uomini? Se Dio mi ha amato tanto e ti ha amata tanto da darci il miracolo, non saprà difenderci da un pugno d’uomini?». 
«Il figlio ha ragione, donna. Andiamo alla sinagoga nostra a lodare il Signore, posto che dal Tempio ci hanno cacciato. E andiamoci lesti, prima che termini il sabato...». 
E, affrettando il passo, si sperdono nelle vie della valle.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/