mercoledì 28 novembre 2012

quattordici generazioni


Il tempo che è trascorso,

quello delle  quattordici generazioni,

vi faccia capire che è giunto per voi

la pienezza dei tempi…

Gesù 04 / 07 - 01 - 04 Maria Santissima 23 - 01 - 04
Amati, Dio Sapientissimo, Che vede i cuori e scruta le menti, ha stabilito dei tempi per ogni cosa, anche per le grandi rivelazioni.
Questi, come spesso ho ripetuto, non sono tempi ordinari, ma straordinari, tempi nella loro pienezza come non erano nel passato.
Con grande Gioia vi dico che Gesù, Mio Figlio, ha preparato per questo momento storico sorprese belle e sublimi, sta quindi, preparando l’intera Umanità a godere le Sue Meraviglie, a gustare le Sue Delizie.

Come voi andate constatando, la Sua Preparazione è quotidiana, il Messaggio d’Amore è di ogni giorno proprio perché occorre un impegno continuo per prepararsi ai grandi eventi che saranno collettivi, ma anche individuali.
Preparatevi alle sorprese ed accogliete con gioia ed amore sempre la Volontà Divina, sempre dettata dall’Immenso Amore di Dio per le Sue creature…
Molti che sono anche vicini al Mio Cuore pensano: “Accadrà come nel passato, ciò che è accaduto, accadrà ancora.”

Amati, vi ho già detto che questi sono i tempi speciali nei quali tutto deve accadere quello che è stato preannunciato.
Paolo parlò delle Mie grandi Meraviglie, lo Spirito glielo rivelò, ma non capì il tempo nel quale dovevano accadere, pensò che il suo fosse già nella pienezza, ma così non era.
Amata sposa, il tempo nel quale vivi e palpiti è il tempo della pienezza, tutto deve avvenire proprio secondo le profezie
Pensa, sposa amata, al tempo che è trascorso, quello delle quattordici generazioni, non ti è difficile capire che è giunto per voi la pienezza dei tempi e che siete alla grande svolta, come nel passato avvenne.
( vedi Matteo 1,17 )
Quando tutte le porte saranno chiuse,
nessuno più avrà accesso e grande
sarà la disperazione…

Opera scritta dalla Divina Sapienza per gli eletti degli ultimi tempi





23.11.12


Eletti, amici cari, confidate in Me ed attendete nella pace del cuore la Mia Venuta.



Sposa cara, chi confida in Me è felice nel profondo, non ha da temere, non perde la speranza, ama il Dono della vita e cerca il Bene. Piccola Mia, voglio che ogni anima trovi rifugio in Me per essere felice; ma nel presente vedo che molte anime hanno preso una via che porta da Me lontano, sempre più lontano. Chiamo a Me le anime: se esse di Me si dimenticano, Io, Io, Gesù, di loro non Mi scordo, perché sono Dio e le ho create per la Felicità, non per il dolore. Piccola sposa, anche gli uomini di questo tempo non hanno compreso che la rovina di tutto è il peccato: nel mondo esso scorre, come un fiume, melmoso, che distrugge dove passa. Il Mio Progetto è di fare nuove tutte le cose. Pensa a ciò che accade dopo una grande inondazione: tutto è stato coperto di fango e non è più utilizzabile. Guardati intorno e vedi ciò che accade: il fango del peccato è dovunque! Io, Io, Gesù, voglio rinnovare la faccia della terra; ma quanto va gettato! Ciò che è buono lo tengo, dopo averlo purificato a fondo, ma il resto va: non si può mettere una toppa nuova su di un vestito vecchio. Ti dico, sposa cara, che molto andrà e poco resterà! Se la purificazione del presente già fa tremare le vene ed i polsi, più amara sarà quella del futuro, non confrontabile.

Mi dici “Dolce Amore, ciò che Tu fai, ciò che Tu progetti, ciò che Tu pensi è tutto perfetto; ma trema il cuore al pensiero dell’amara purificazione, perché l’uomo non sa sopportare neppure quella presente e sulla terra c’è un grande gemito generale, per le cose che continuano a peggiorare. Dolce Amore, Santissimo Gesù, chi riesce a sopportare una purificazione molto amara? Dolce Gesù, attenua e abbrevia! Servano le suppliche dei Tuoi piccoli ad attenuare ad abbreviare. Già il mondo è molto provato e la purificazione è solo all’inizio! Chi resterà, Dolce Amore? La terra, il bel pianeta, da Te tanto amato, diverrà una landa arida e deserta; non si sentirà neppure più il canto del gufo e della civetta. Dolce Amore, prendi i Tuoi Meriti, che sono infiniti, per concedere ancora.

Sposa amata, come già ti ho detto, quando si fa una nuova costruzione, serve togliere, completamente, ciò che è vecchio e cadente. Puoi costruire un muro nuovo sopra uno vecchio? No, di certo. Questo non si può, certo, fare! Piccola cara, occorre abbattere, fino in fondo, il muro vecchio e, poi, costruire quello nuovo. Piccola sposa, tutto ciò che è vecchio e logoro andrà. Il vecchio non si ricorderà più, tanto sarà bello il nuovo. Piccola Mia, ogni uomo affronti con coraggio il tempo della sua purificazione e pieghi il capo davanti alla Mia Volontà. Non temere: le prove non saranno superiori alle forze; esse saranno adeguate, sempre. Chi supplica con umiltà il Mio Aiuto, certo, lo avrà; ma chi nella prova si rivolgerà a Me con ira perirà nel suo male.

Mi dici: “Adorato Gesù, Re dell’Universo, ogni ginocchio si pieghi davanti a Te per benedirTilodarTiadorarTi e la terra fiorisca, come un roseto a maggio.”

Sposa cara, voglio la salvezza delle anime e non la loro rovina. Ecco: avvolgo la terra con la Mia Misericordia. Ognuno l’accolga! Resta, felice, nel Mio Cuore e godine le Delizie d’Amore. Ti amo.
Vi amo.

                                                                                              Gesù




Opera scritta dalla Divina Sapienza per gli eletti degli ultimi tempi


23.11.12


La Mamma parla agli eletti



Figli cari e tanto amati, lasciatevi abbracciare e permeare dalla Misericordia di Dio: chi accoglie la Sua Misericordia si salva ed è felice; ma chi non l’accoglie non ha salvezza né Pace né futuro. Figli amati, il Padre caro ha meravigliosi Progetti per questo tempo. Il Suo Cuore è solo Amore: per Amore, ha donato il Figlio, Gesù; per Amore, dona Me a voi perché abbiate Pace e salvezza e, per Amore, farà nuove tutte le cose. Insieme, adoriamoLo. Vi amo.
Ti amo, angelo Mio.

                                                                                              Maria Santissima


AVE MARIA!

S. Perpetua e S. Felìcita / Vangeli della Fede /


Perpetua e Felìcita

1° marzo 1944.

Mi dice Gesù, verso le 17:
«Non era mia intenzione darti questa visione questa sera. Avevo intenzione di
farti vivere un altro episodio dei “vangeli della fede”. Ma è stato espresso un
desiderio da chi merita d’esser accontentato. E Io accontento. Nonostante i tuoi
dolori, vedi, osserva e descrivi. I tuoi dolori li dài a Me e la descrizione ai
fratelli.»

E nonostante i miei dolori, tanto forti - per cui mi pare di avere il capo
stretto in una morsa che parte dalla nuca e si congiunge sulla fronte e scende
verso la spina dorsale, un male terribile per cui ho pensato mi stesse per
scoppiare una meningite e poi mi sono svenuta - scrivo. È tanto forte anche ora.
Ma Gesù permette che riesca a scrivere per ubbidire. Dopo... dopo sarà quel che
sarà.

Le assicuro, intanto, che passo di sorpresa in sorpresa; perché per prima cosa
mi trovo di fronte a degli africani, arabi per lo meno, mentre ho sempre creduto
che questi santi fossero europei. Ché non avevo la minima nozione della loro
condizione sociale e fisica e del loro martirio. Di Agnese  sapevo vita e
morte. Ma di questi! È come se leggessi un racconto sconosciuto.

Per prima illustrazione, avanti di svenirmi, ho visto un anfiteatro su per giù
come il Colosseo (ma non rovinato), vuoto per allora di popolo. Solo una
bellissima e giovane mora è ritta là in mezzo e sollevata dal suolo, raggiante
per una luce beatifica che si sprigiona dal suo corpo bruno e dalla scura veste
che lo copre. Sembra l’angelo del luogo. Mi guarda e sorride. Poi mi svengo e
non vedo più nulla.

Ora la visione si completa. Sono in un fabbricato che, per la mancanza di ogni e
qualsiasi comodità e per la sua arcigna apparenza, mi si rivela come una
fortezza adibita a carcere. Non è il sotterraneo del Tullianum visto ieri . Qui
sono stanzette e corridoi sopraelevati. Ma così scarsi di spazio e di luce e
così muniti di sbarre e di porte ferrate e piene di chiavistelli, che quel “che”
di migliore che hanno in posizione viene annullato dal loro rigore che annulla
la benché più piccola idea di libertà.

In una di queste tane è seduta su un tavolaccio, che fa da letto, sedile e
tavola, la giovane mora che ho visto nell’anfiteatro. Ora non emana luce. Ma
unicamente tanta pace. Ha in grembo un piccino di pochi mesi al quale dà il
latte. Lo ninna, lo vezzeggia con atto di amore. Il bambino scherza con la
giovane madre e strofina la sua faccetta molto olivastra contro la bruna
mammella materna, e vi si attacca e stacca con avidità e con subite risatine
piene di latte.

La giovane è molto bella. Un viso regolare piuttosto tondo, con bellissimi occhi
grandi e di un nero vellutato, bocca tumida e piccina piena di denti
candidissimi e regolari, capelli neri e piuttosto crespi ma tenuti a posto da
strette trecce che le si avvolgono intorno al capo. Ha il colorito di un bruno
olivastro non eccessivo.

Anche fra noi italiani, e specie del meridione d’Italia, si vede quel
colore, appena un poco più chiaro di questo. Quando si alza per addormentare il
piccino andando su e giù per la cella, vedo che è alta e formosa con grazia. Non
eccessivamente formosa, ma già ben modellata nelle sue forme. Sembra una regina
per il portamento dignitoso. È vestita di una veste semplice e scura, quasi
quanto la sua pelle, che le ricade in pieghe morbide lungo il bel corpo.

Entra un vecchio, moro lui pure. Il carceriere lo fa entrare aprendo la pesante
porta. E poi si ritira. La giovane si volge e sorride. Il vecchio la guarda e
piange. Per qualche minuto restano così.
Poi la pena del vecchio prorompe. Con affanno supplica la figlia di aver pietà
del suo soffrire: “Non è per questo” le dice “che ti ho generato. Fra tutti i
figli ti ho amata, gioia e luce della mia casa. Ed ora tu ti vuoi perdere e
perdere il povero padre tuo che sente morirsi il cuore per il dolore che gli
dài. Figlia, sono mesi che ti prego. Hai voluto resistere ed hai conosciuto il
carcere, tu nata fra gli agi. Curvando la mia schiena davanti ai potenti t’avevo
ottenuto di esser ancora nella tua casa per quanto come prigioniera. Avevo
promesso al giudice che ti avrei piegata con la mia autorità paterna. Ora egli
mi schernisce perché vede che di essa tu non ti sei curata. Non è questo quel
che dovrebbe insegnarti la dottrina che dici perfetta. Quale Dio è dunque quello
che segui, che ti inculca di non rispettare chi ti ha generato, di non amarlo,
perché se mi amassi non mi daresti tanto dolore? La tua ostinazione, che neppure
la pietà per quell’innocente ha vinto, ti ha valso di esser strappata alla casa
e chiusa in questa prigione. Ma ora non più di prigione si parla, ma di morte. E
atroce. Perché? Per chi? Per chi vuoi morire? Ha bisogno del tuo, del nostro
sacrificio - il mio e quello della tua creatura che non avrà più madre - il tuo
Dio? Il suo trionfo ha bisogno del tuo sangue e del mio pianto per compiersi? Ma
come? La belva ama i suoi nati e tanto più li ama quanto più li ha tenuti al
seno. Anche in questo speravo e per questo ti avevo ottenuto di poter nutrire il
tuo bambino. Ma tu non muti. E dopo averlo nutrito, scaldato, fatto di te
guanciale al suo sonno, ora lo respingi, lo abbandoni senza rimpianto. Non ti
prego per me. Ma in nome di lui. Non hai il diritto di farne un orfano. Non ha
diritto il tuo Dio di fare questo. Come posso crederlo buono più dei nostri se
vuole questi sacrifici crudeli? Tu me lo fai disamare, maledire sempre più. Ma
no, ma no! Che dico? Oh! Perpetua, perdona! Perdona al tuo vecchio padre che il
dolore dissenna. Vuoi che lo ami il tuo Dio? Lo amerò più di me stesso, ma resta
fra noi. Di’ al giudice che ti pieghi. Poi amerai chi vuoi degli dèi della
terra. Poi farai del padre tuo ciò che vuoi. Non ti chiamo più figlia, non son
più tuo padre. Ma il tuo servo, il tuo schiavo, e tu la mia signora. Domina,
ordina ed io ti ubbidirò. Ma pietà, pietà. Salvati mentre ancora lo puoi. Non è
più tempo di attendere. La tua compagna ha dato alla luce la sua creatura, lo
sai, e nulla più arresta la sentenza. Ti verrà strappato il figlio; non lo
vedrai più. Forse domani, forse oggi stesso. Pietà, figlia! Pietà di me e di lui
che non sa parlare ancora, ma lo vedi come ti guarda e sorride! Come invoca il
tuo amore! Oh! Signora, mia signora, luce e regina del cuor mio, luce e gioia
del tuo nato, pietà, pietà!”

Il vecchio è ginocchioni e bacia l’orlo della veste della figlia e le abbraccia
i ginocchi e cerca prenderle la mano che ella si posa sul cuore per reprimerne
lo strazio umano. Ma nulla la piega.

“È per l’amore che ho per te e per lui che rimango fedele al mio Signore” ella
risponde. “Nessuna gloria della terra darà al tuo capo bianco e a questo
innocente tanto decoro quanto ve ne darà il mio morire. Voi giungerete alla
Fede. E che direste allora di me se avessi per viltà di un momento rinunciato
alla Fede? Il mio Dio non ha bisogno del mio sangue e del tuo pianto per
trionfare. Ma tu ne hai bisogno per giungere alla Vita. E questo innocente per
rimanervi. Per la vita che mi desti e per la gioia che egli mi ha dato, io vi
ottengo la Vita che è vera, eterna, beata. No, il mio Dio non insegna il
disamore per i padri e per i figli. Ma il vero amore. Ora il dolore ti fa
delirare, padre. Ma poi la luce si farà in te e mi benedirai. Io te la porterò
dal cielo. E questo innocente non è che io l’ami meno, ora che mi sono fatta
svuotare dal sangue per nutrirlo. Se la ferocia pagana non fosse contro noi
cristiani, gli sarei stata madre amantissima ed egli sarebbe stato lo scopo
della mia vita. Ma più della carne nata da me è grande Iddio, e l’amore che gli
va dato infinitamente più grande. Non posso neppure in nome della maternità
posporre il suo amore a quello di una creatura. No. Non sei lo schiavo della
figlia tua. Io ti son sempre figlia e in tutto ubbidiente fuorché in questo: di
rinunciare al vero Dio per te. Lascia che il volere degli uomini si compia. E se
mi ami, seguimi nella Fede. Là troverai la figlia tua, e per sempre, perché la
vera Fede dà il Paradiso, ed a me il mio Pastore santo ha già dato il benvenuto
nel suo Regno”.

E qui la visione ha un mutamento, perché vedo entrare nella cella altri
personaggi: tre uomini ed una giovanissima donna. Si baciano e si abbracciano a
vicenda. Entrano anche i carcerieri per levare il figlio a Perpetua. Ella
vacilla come colpita da un colpo. Ma si riprende.

La compagna la conforta: “Io pure, ho già perduto la mia creatura. Ma essa non è
perduta. Dio fu meco buono. Mi ha concesso di generarla per Lui e il suo
battesimo si ingemma del mio sangue. Era una bambina... e bella come un fiore.
Anche il tuo è bello, Perpetua. Ma per farli vivere in Cristo questi fiori hanno
bisogno del nostro sangue. Duplice vita daremo loro così”.
Perpetua prende il piccino, che aveva posato sul giaciglio  e che dorme sazio e
contento, e lo dà al padre dopo averlo baciato lievemente per non destarlo. Lo
benedice anche e gli traccia una croce sulla fronte ed una sulle manine, sui
piedini, sul petto, intridendo le dita nel pianto che le cola dagli occhi. Fa
tutto così dolcemente che il bambino sorride nel sonno come sotto una carezza.

Poi i condannati escono e vengono, in mezzo a soldati, portati in una oscura
cavea dell’anfiteatro in attesa del martirio. Passano le ore pregando e cantando
inni sacri, esortandosi a vicenda all’eroismo.

Ora mi pare di essere io pure nell’anfiteatro che ho già visto. È pieno di folla
per la maggior parte di pelle abbronzata. Però vi sono anche molti romani. La
folla rumoreggia sulle gradinate e si agita. La luce è intensa nonostante il
velario steso dalla parte del sole.

Vengono fatti entrare nell’arena, dove mi pare siano stati già eseguiti dei
giuochi crudeli perché è macchiata di sangue, i sei martiri in fila. La folla
fischia e impreca. Essi, Perpetua in testa, entrano cantando.

Si fermano in mezzo all’arena e uno dei sei si volge alla folla.
“Fareste meglio a mostrare il vostro coraggio seguendoci nella Fede e non
insultando degli inermi che vi ripagano del vostro odio pregando per voi e
amandovi. Le verghe con cui ci avete fustigato, il carcere, le torture, l’aver
strappato a due madri i figli - voi bugiardi che dite d’esser civili e attendete
che una donna partorisca per poi ucciderla e nel corpo e nel cuore separandola
dalla sua creatura, voi crudeli che mentite per uccidere perché sapete che
nessuno di noi vi nuoce, e men che mai delle madri che altro pensiero non hanno
che la loro creatura - non ci mutano il cuore. Né per quanto è amore di Dio né
per quanto è amore di prossimo. E tre, e sette, e cento volte daremmo la vita
per il nostro Dio e per voi. Perché voi giungiate ad amarlo, e per voi preghiamo
mentre già il Cielo su noi si apre: Padre nostro che sei nei cieli...”. In
ginocchio i sei santi martiri pregano.

Si apre un basso portone e irrompono le fiere che, per quanto sembrano bolidi
tanto sono veloci nella corsa, mi paiono tori o bufali selvaggi. Come una
catapulta ornata di corna puntute, investono il gruppo inerme. Lo alzano sulle
corna, lo sbattono per aria come fossero tanti cenci, lo riabbattono al suolo,
lo calpestano. Tornano a fuggire come pazzi di luce e di rumore e tornano a
investire.
Perpetua, presa come un fuscello dalle corna di un toro, viene scaraventata
molti metri più là. Ma per quanto ferita, si rialza e sua prima cura è di
ricomporsi le vesti strappate sul seno. Tenendosele con la destra, si trascina
verso Felicita caduta supina e mezza sventrata, e la copre e sorregge facendo di
sé appoggio alla ferita. Le bestie tornano a ferire finché i sei malvivi
sono stesi al suolo. Allora i bestiari le fanno rientrare e i gladiatori
compiono l’opera.
Ma, fosse pietà o inesperienza, quello di Perpetua non sa uccidere. La ferisce,
ma non prende il punto giusto. “Fratello, qua, che io ti aiuti” dice ella con un
filo di voce e un dolcissimo sorriso. E, appoggiata la punta della spada contro
la carotide destra, dice: “Gesù, a Te mi raccomando! Spingi, fratello. Io ti
benedico” e sposta il capo verso la spada per aiutare l’inesperto e turbato
gladiatore.

Dice Gesù:
«Questo è il martirio della mia martire Perpetua, della sua compagna Felicita e
dei suoi compagni. Rea di esser cristiana. Catecumena ancora. Ma come intrepida
nel suo amore per Me! Al martirio della carne ella ha unito quello del cuore, e
con lei Felicita. Se sapevano amare i loro carnefici, come avranno saputo amare
i figli loro?
Erano giovani e felici nell’amore dello sposo e dei genitori. Nell’amore della
loro creatura. Ma Dio va amato sopra ogni cosa. Ed esse lo amano così. Si
strappano le loro viscere separandosi dal loro piccino, ma la Fede non muore.
Esse credono nell’altra vita. Fermamente. Sanno che essa è di chi fu fedele e
visse secondo la Legge di Dio.
Legge nella legge è l’amore. Per il Signore Iddio, per il prossimo loro. Quale
amore più grande di dare la vita per coloro che si ama, così come l’ha data il
Salvatore per l’umanità che Egli amava? Esse dànno la vita per amarmi e per
portare altri ad amarmi e possedere perciò l’eterna Vita.
Esse vogliono che i
figli e i genitori, gli sposi, i fratelli e tutti coloro che esse amano di amore
di sangue o di amore di spirito - i carnefici fra questi poiché Io ho detto:
“Amate coloro che vi perseguitano” : Matteo 5, 43-44; Luca 6, 27. - abbiano
la Vita del mio Regno. E, per guidarli a questo mio Regno, tracciano
col loro sangue un segno che va dalla Terra al Cielo, che splende, che chiama.
Soffrire? Morire? Cosa è? È l’attimo che fugge. Mentre la vita eterna resta.
Nulla è quell’attimo di dolore rispetto al futuro di gioia che le attende. Le
fiere? Le spade? Che sono? Benedette siano esse che dànno la Vita.
Unica preoccupazione - poiché chi è santo lo è in tutto - di conservare la
pudicizia. In quel momento, non della ferita ma delle vesti scomposte hanno
cura. Poiché, se vergini non sono, sono sempre delle pudiche. Il vero
cristianesimo dà sempre verginità di spirito. La mantiene, questa bella purezza,
anche là dove il matrimonio e la prole han levato quel sigillo che fa dei
vergini degli angeli.
Il corpo umano lavato dal Battesimo è tempio dello Spirito di Dio. Non va dunque
violato con invereconde mode e inverecondi costumi. Dalla donna, specie dalla
donna che non rispetta se stessa, non può che venire una prole viziosa e una
società corrotta, dalla quale Dio si ritira e nella quale Satana ara e semina i
suoi triboli che vi fanno disperare.»

Da “Vangeli della Fede”
AMDG et BVM

È già un gran miracolo che i ciechi vedano...



MARTEDÌ 27 NOVEMBRE 2012.    Da MiL



Roma. Chiesa di Gesù e Maria : la Santa Messa nel Rito Romano antico continuerà regolarmente ! L'attesa notizia nel giorno della festa della Medaglia Miracolosa !

La Messa in rito tradizionale antico celebrata da circa trent’anni nella chiesa di Gesù e Maria in via del Corso a Roma, non sarà sospesa come si era temuto nelle scorse settimane. 
Il cardinale vicario Agostino Vallini e il vescovo ausiliare mons. Zuppi, dopo aver incontrato i padri agostiniani ( scalzi ) a cui è affidata la chiesa, i sacerdoti dell’istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote che vi celebrano la Messa e una rappresentanza dei fedeli che vi assistono regolarmente, hanno confermato che il rito tradizionale continuerà ad essere officiato. 
A partire dall’ 8 dicembre la Santa Messa sarà celebrata a Gesù e Maria ogni domenica alle 9.30".

Da : Corrispondenza Romana 


Nel giorno della festa della Medaglia Miracolosa ringraziamo la Santissima Vergine Maria , Salus Populi Romani, per questa attesa notizia ! 

 " In questi giorni risplende la Medaglia Miracolosa, 
come per richiamarci in modo visibile e tangibile che alla preghiera tutto è permesso, anche i miracoli, e soprattutto i miracoli. 
In ciò sta la specialità magnifica della Medaglia Miracolosa, e noi abbiamo bisogno di miracoli. 
È già un gran miracolo che i ciechi vedano... 
Ma vi è un altro miracolo che dobbiamo domandare a Maria Regina della Medaglia, ed è che vedano quelli che non vogliono vedere" 

 (Pio XI, il 19 luglio 1931, in occasione del processo di beatificazione di Caterina Labouré)
*****
Santa Caterina Labourè
Santa Caterina e la Medaglia Miracolosa

Ma dove e come ha avuto origine la Medaglia miracolosa? Essa risale al 1830. La sua origine è veramente meravigliosa. Si può dire che questa medaglietta è "miracolosa " già nel suo nascere.

Siamo a Parigi. Ci troviamo nella Casa Madre delle Suore di San Vincenzo de' Paoli e Santa Luisa de Marillac, le Figlie della Carità. Nella Casa Madre c'è il Noviziato. Tra le novizie c'è un'umile suora che si chiama Suor Caterina Labouré, oggi Santa. A quest'umile novizia, nascosta e sconosciuta, avverranno alcuni dei fatti più straordinari che possono capitare a una creatura sulla terra: le apparizioni della Vergine Immacolata. Perché a Suor Caterina? ... Perché proprio a lei? ...
Perché era una Suora tanto umile, tanto semplice, tanto angelica...
Questa risposta corrisponde alle divine parole di Gesù: "Ti ringrazio, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose agli intelligenti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli" (Lc 10,21).

La conferma più splendida della lode di Gesù agli umili la troviamo nel comportamento di S. Caterina dopo i fatti straordinari: ella seppe tenere nascosto il segreto delle apparizioni della Madonna per ben 46 anni, ossia fino alla morte, rivelandolo soltanto al suo confessore. A questi "piccoli" Dio dona le cose più grandi.

"Ecco un'altra Mamma!"

Fin da piccina, S. Caterina Labouré ebbe nel Cuore una devozione così tenera e filiale verso la Madonna che quando le morì la mamma, ella riunì i fratellini ai piedi di una statuina di Maria e disse loro "Non abbiamo più la mamma: ecco un'altra Mamma!"
Era così che un tempo i genitori cristiani educavano i figli e dalle famiglie cristiane fiorivano i Santi.
La pia fanciulla era nata a Fain-les-Moutiers, villaggio della Borgogna, il 2 maggio 1806. La famiglia era molto buona: c'erano dieci figli; si viveva tutti in una grande fattoria. 

Quando Caterina aveva ancora dodici anni, e la mamma era già morta, dovette assumere la direzione della casa perché la sorella maggiore entrava in convento a Parigi tra le Figlie della Carità. Giudiziosa e sollecita, la brava fanciulla non fece rimpiangere la sorella più grande. Attenta e generosa, Caterina arrivava a tutto: sbrigava i lavori di casa, serviva il papà e i fratelli, coltivava con fervore la sua pietà eucaristica e la sua devozione alla Madonna.

Visse così, laboriosa e pura, fino alla sua giovinezza. E si capiva che qualcosa di speciale maturava in lei, per il fascino che esercitava con il suo candore e la sua umiltà. Ciò apparve evidente quando le furono fatte diverse proposte di matrimonio, e la sua risposta fu sempre una sola:
"Ho già trovato il mio sposo fin dal giorno della prima Comunione, a Lui ho dato tutta me stessa". Anch'ella voleva diventare la Sposa di Gesù tra le Figlie della Carità al servizio dei poveri e dei sofferenti.

La Sposa di Gesù.
S. Vincenzo invita in sogno S. Caterina a
seguirlo per l'assistenza degli infermi

Finalmente, superati ostacoli amarissimi, la pia giovane poté entrare nel noviziato delle Figlie della Carità, a Parigi, in Rue du Bac. Era il 21 aprile 1830.

Non trovò nessuna difficoltà a vivere una vita di sacrificio nella preghiera e nella mortificazione. Era così bene allenata! E tutto ella era pronta a soffrire pur di diventare la Sposa sempre vergine di Gesù: era il suo ideale di amore sublime e infinito. L'intuizione luminosa che ebbe -e che hanno solo i semplici e i puri di cuore- fu quella di diventare degna Sposa di Gesù affidandosi alla Madonna e ricopiando fedelmente le virtù della Celeste Vergine.

Ecco il proposito fondamentale scritto da lei stessa con semplicità "Prenderò Maria per modello al principio delle mie azioni, e penserò come Ella avrebbe fatto il dovere che sto per compiere". Via via, intensificherà talmente la sua filiale devozione alla Madonna, e ne scoprirà così in profondità il valore, soprattutto per la gioventù, che la Madonna stessa, in una delle apparizioni, la incaricò di organizzare un'associazione mariana per aiutare tutti a possedere la "perla preziosa" (Mt 13,46) della devozione mariana.
Per questo, senza risparmio di prove e di sofferenze, ella si impegnò e arrivò a fondare le "Figlie di Maria' esclamando felice, con lo sguardo profetico rivolto al futuro "Come sarà bello vedere Maria onorata da tutta la gioventù!"

"La gioia più dolce"

Il fatto centrale di tutta la vita di S. Caterina, però, fu e rimane sempre quello delle cinque apparizioni della Madonna che le affidò la "Medaglia miracolosa" da diffondere nel mondo intero.

Nel luglio e nel novembre del 1830 avvennero le due principali apparizioni della Vergine Santissima nella Cappella del Noviziato. La prima delle due avvenne di notte. Avvertita dall'Angelo Custode, S. Caterina si recò trepidante nella Cappella e andò a inginocchiarsi ai piedi della Madonna che stava seduta al lato destro dell'altare. La Santa poté poggiare le sue mani sulle ginocchia della Madonna e contemplare il Suo celestiale volto. "In quel momento -scriverà poi- provai la gioia più dolce della mia vita ".
Il colloquio durò più di due ore! La seconda volta, S. Caterina ricevette dalla Vergine la missione di far coniare la celebre "medaglia" che sarà giustamente definita "miracolosa". La Madonna stessa le fece vedere il modello completo, così come lo vediamo riprodotto sulle medagline. Le difficoltà e i travagli furono grandi prima di ottenere che venisse coniata questa medaglina. Un'umile suora, ignorata da tutti, ricca soltanto della povertà evangelica, come avrebbe mai potuto far coniare una medaglia da produrre poi in quantità sempre maggiori, e da diffonderla nel mondo intero?

La potenza di Dio risplende tanto più gloriosa, quanto più impotenti sono le creature. E due anni dopo, il 30 giugno 1832, venivano coniati i primi 1500 esemplari della medaglina.
S. Caterina, così umile, così povera, potette avere fra le mani la bella medaglina. Quanti baci e lacrime d'amore! E con quale entusiasmo si applicò a diffonderla ovunque e a chiunque, certissima delle parole della Madonna "Tutte le persone che porteranno la medaglia riceveranno grandi grazie ". Tra gli operai e gli ammalati, fra i soldati e i poveri, per oltre 40 anni, S. Caterina, la dolce Figlia della Carità, fu apostola della Medaglia miracolosa fino alla sua beata morte, che avvenne il 31 dicembre 1876.

Il suo corpo verginale riposa sotto l'altare, nella cappella delle apparizioni, ai piedi della sua Regina Immacolata. Nella ricognizione del corpo, le mani di S. Caterina che avevano toccato la Madonna e i suoi occhi che l'avevano contemplata apparvero conservati straordinariamente bene.
Notizie tratte dal sito www.totustuus.org


lunedì 26 novembre 2012

Medaglia miracolosa (o Medaglia della Madonna delle Grazie, o Medaglia dell'Immacolata)


Medaglia miracolosa



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La Medaglia miracolosa
Medaglia miracolosa (o Medaglia della Madonna delle Grazie, o Medaglia dell'Immacolata) è il nome che la tradizione devozionale cattolica ha dato alla medaglia realizzata in seguito ai fatti del 1830 in rue du Bac,140 a Parigi, che ebbero per protagonista santa Caterina Labouré, novizia nel convento delle Figlie della Carità di San Vincenzo de' Paoli, la quale riferì di aver avuto delle apparizioni della Madonna. Gregorio XVI e Pio IX hanno fatto uso dell'effigie (Laurentin, 1996). Secondo quanto riferito da suor Labouré, questa medaglia sarebbe stata coniata dietro ordine esplicito della Madonna, dato durante la seconda apparizione (27 novembre 1830), come segno di amore, pegno di protezione e sorgente di grazie.

Indice

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Origine del nome [modifica]

Diffusa nella regione di Parigi durante l'epidemia di colera del 1832 dalle Figlie della Carità, la medaglia avrebbe dato luogo a parecchie, inspiegabili guarigioni. Nel febbraio 1834 è documentato l'appellativo popolare di miracolosa senza che, ancora, fosse noto il suo legame con le apparizioni di rue du Bac (Laurentin, 1980).

Analisi dei simboli [modifica]

La forma della medaglia è ovale. Nelle risultanze dell'inchiesta canonica datata 13 luglio 1836 si legge che «la Medaglia trae origine da una visione e [...] è la copia fedele di un quadro che avrebbe creduto di vedere una suora della Carità di san Vincenzo de Paoli nella cappella di comunità. [...] Si è emessa l'opinione che la visione non avrebbe potuto essere immaginaria, né fantastica, essendosi ripetuta più volte [...] che non era l'effetto di un sogno, né il prodotto di un'immaginazione esaltata, avendo avuto luogo di giorno, durante l'orazione o la messa [...] Gli effetti della Medaglia [...] sembrano dei mezzi attraverso i quali il cielo sembra aver confermato la realtà della visione, la verità del racconto e approvato la coniazione e la propagazione della Medaglia» (Guida, 2000). La visione da cui scaturì l'effigie avvenne verso le 17.30, durante la preghiera che seguiva la meditazione; stando al racconto, la Madonna apparve accanto al quadro di san Giuseppe, alla destra della veggente.

Iconografia del recto [modifica]

  • Il serpente: Maria è raffigurata nell'atto di schiacciargli la testa. L'immagine era stata preannunciata nella Bibbia, con le parole: «Io porrò inimicizia tra te e la donna [...] questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,15). In tal modo, Dio dichiarò iniziata la lotta tra il bene e il male (simboleggiato dal serpente, cioè il diavolo). Questa lotta è vinta da Gesù Cristo, il nuovo Adamo, insieme a Maria, la nuova Eva.
  • I raggi di luce: simboleggiando le grazie, dalla Chiesa sono definiti la Tesoriera di Dio.
  • La giaculatoria: queste immagini sono incorniciate dall'invocazione «o Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi», materializzatasi durante l'apparizione (in originale: «O Marie, conçue sans péché, priez pour nous qui avons recours à vous»).

Iconografia del verso [modifica]

  • Le 12 stelle: sono le 12 tribù d'Israele e i 12 apostoli. La Vergine è anche salutata come Stella del mare nella preghiera Ave Maris Stella. In proposito, va notato che nelle sue memorie suor Labouré non ha mai parlato delle stelle, né del loro numero (Chierotti, 1963).
  • Il cuore coronato di spine: è il Sacro Cuore di Gesù. Fu Maria che lo formò nel suo grembo. Gesù ha promesso a santa Margherita Maria Alacoque la grazia della vita eterna per i devoti del suo Sacro Cuore, che simboleggia il suo amore infinito e senza limiti.
  • Il cuore trafitto da una spada: è il Cuore Immacolato di Maria, inseparabile da quello di Gesù, secondo quanto profetizzato da Simeone in Lc 2,33-35. Anche nei momenti più tragici della sua passione e morte in croce, Maria era lì, condividendo il suo dolore.
  • M: ovvero Maria. La M sostiene una traversa che regge la Croce, che rappresenta la prova. Questo simbolismo indica lo stretto rapporto di Maria e di Gesù nella storia della salvezza.
  • La traversa e la Croce: simboleggiano la prova. Essendo la messa, per la dottrina cattolica, una ripetizione del sacrificio del Calvario, qui è sottolineata l'importanza del sacrificio eucaristico nella vita cristiana.

La preghiera del recto [modifica]

La giaculatoria che, secondo suor Labouré, la Madonna volle incisa sulla medaglia, è ritmata sui «due tempi essenziali della preghiera cristiana: l'invocazione e la lode» (Rondet, 2004). Secondo il disegno di Dio, Maria si fa advocata, cioè colei che difende.
  • Il saluto: risuona qui l'Ave, o Maria con cui l'arcangelo Gabriele introduce il suo annuncio (Lc 1,28). Più che un'implorazione infatti, le parole o Maria sono da intendersi come un approccio, un grado nuovo di intimità e di amicizia del fedele con colei che, attraverso il Figlio, è tramite privilegiato verso il Padre poiché, dal momento del suo sì «ella si rivolge al Signore con un rapporto speciale di umiltà e di confidenza» (Lodi, 1996).
  • L'inno: l'affermazione concepita senza peccato presuppone una sovrabbondanza di grazie che si riversano sull'umanità. «La perfetta disponibilità della “serva del Signore” (Lc 1,38), che si abbandona fiduciosamente a Dio e rischia l'esistenza sulla sua parola [...] è in antitesi [...] con la figura della donna genesiaca: Maria è il contrario di Eva in quanto in lei non ha la meglio il peccato, ma l'adesione cordiale al volere di Dio» (De Fiores, 1996).
  • La supplica: questo rovesciamento di prospettiva si palesa nel passaggio pregate per noi. Emerge qui un doppio movimento: la preghiera a Maria si fa per riceverla, al contrario dalle formule con cui ci si rivolge a Dio. «Questa diversità di vocabolario indica bene la differenza. Quando chiediamo a Maria di pregare per noi, lo facciamo con fiducia perché, nella nostra umanità, lei viene associata in modo unico all'opera della Trinità» (Rondet, 2004). Nella Lumen gentium ella è chiamata «sacrarium Spiritus Sancti», ciò che «indica l'inabitazione dello Spirito Santo in Maria in modo del tutto singolare e superiore a quella degli altri cristiani [...] Per cui lo Spirito diventa un solo principio con Maria sul piano dell'azione. Sì che l'azione del pregare di Maria è allo stesso tempo preghiera di Maria e preghiera dello Spirito (è lo Spirito che prega, Rm 8,26; è lo Spirito che grida: Abbà, Gal 4,6 (Amato, 1996). Per un misterioso dono conferitole dallo Spirito dunque, l'intercessione di Maria ha il potere di smuovere la misericordia del Figlio nel tempo dell'uomo. Alle nozze di Cana (Gv 2,4-5) Gesù risponde «non è ancora giunta la mia ora», indicando un tempo escatologico; Maria però suggerisce: «Fate quello che vi dirà». Per suo tramite dunque, la preghiera diviene atto di trasformazione, poiché nel manifestarsi della gloria di Dio la visuale dell'uomo si amplia e si arricchisce, gli affanni scolorano, la speranza ne è vivificata. Ma la vicenda di Cana è importante anche perché dà conto dell'attenzione di Maria ai bisogni degli uomini: ella è infatti la prima ad accorgersi che il vino è finito (Gv 2,3) e a chiedere al Figlio di provvedere, affinché non sia compromesso il buon andamento della festa nuziale.
  • L'abbandono: la chiusura della giaculatoria, quel ricorriamo a voi, segna il momento del totale abbandono. Nella prospettiva di fede, questo stato è sempre connotato positivamente, come atto volontario, tant'è che per descriverlo si ricorre a immagini archetipiche: il pianto del neonato manifesta una fiduciosa attesa delle cure materne, l'abbandono a un amore protettivo, senza cui la sopravvivenza è impossibile. L'analogia rende lo scoramento dell'uomo di fronte alle difficoltà e al peccato, che solo la misericordia di Dio può alleviare e sanare. Mediatrice perfetta, Maria s'incarica di innalzare agli occhi del Padre le necessità umane, di cui condivide le attese e le speranze.

Interpretazione teologica [modifica]

La visione che suor Labouré trasfuse nella medaglia è una sorta di summa dottrinaria e di sintesi devozionale, il cui significato si chiarisce col passare del tempo, ma non potrà mai dirsi definitivamente compiuto. «Questo significato era sconosciuto ai veggenti, che si limitavano a trasmettere un messaggio, come una macchina spirituale. [...] Ciò equivale a dire che non si può studiare l'avvenimento della 'rue du Bac' staccandolo dalla sua posterità, dalla sua costellazione. Il segno dei tempi non è limitato all'avvenimento 'rue du Bac' [...] Il segno è l'insieme, la totalità [...] il 'concerto' degli avvenimenti mistici apparentati, che si scaglionano nella durata storica dopo il 1830, che si producono ancora clandestinamente, che si riprodurranno, e dei quali il significato può essere capito solo alla fine». Ancora: «Un problema pratico di ogni cristiano è quello di concentrare il massimo nel minimo. [...] Il difficile sta nel trovare un simbolo [...] che parli a tutti [...] La medaglia è questo simbolo: un simbolo del tutto; un punto [...] che riempie tutto» (Guitton, 1997).

Aspetti pneumatologici [modifica]

La Madonna è effigiata come la donna vestita di sole (Ap 12,1), che biblicamente esprime la trascendenza di Dio. «Inoltre il gesto di 'vestire', quando ha per soggetto Dio, significa l'amore, la tenerezza, la sollecitudine che egli nutre» (Serra 1, 1996). Ella indossa camice, mantello e velo, che non lasciano trasparire le sue fattezze, al di là dei lineamenti del viso. È un abbigliamento sacerdotale, che intreccia un linguaggio di pudore sacro (la dalmatica) a uno di consacrazione (il velo). «I due linguaggi esprimono lo Spirito creatore e santificante, che aleggia sulle acque». La Vergine velata è perciò la traduzione della Vergine dell'annunciazione «coperta [...] dalla duplice 'adombrazione' dell'Onnipotenza e dello Spirito» (Guitton, 1997).

Regalità di Maria [modifica]

Le braccia della Madonna sono tese, in un gesto di compiacenza, nell'atto di distribuire grazie ai fedeli, rappresentate dalla luce che irradia. «La distensione [...] indica un dono totale: quello che Maria fa di se stessa a chi la implora. Le mani sono di 'Signora', di 'Regina', che non possono non evocare [...] la sposa del Cantico dei Cantici» (Guitton, 1997). Si rielaborano qui secoli di culto liturgico e di pietà popolare, che fin dal Medioevo avevano trovato espressione nelle antifone mariane, specie nella Salve Regina.

La Gerusalemme celeste [modifica]

Sull'altra faccia figurano la lettera M (cioè Maria) sormontata dalla Croce, e sotto i fiammeggianti cuori di Gesù e di Maria; quest'insieme è circondato da 12 stelle, come descritto in Ap 12,1. Tale iconografia è tradizionalmente interpretata come simbolo di redenzione, attraverso la passione di Gesù e di Maria, e di corredenzione di quest'ultima, mentre le stelle rappresentano le virtù mariane. A questa lettura va aggiunta anche quella derivante da Ap 21,10-14, dove la donna, espressione del nuovo popolo di Dio, cioè la Chiesa di Cristo, simboleggia Gerusalemme, la città santa discesa dal cielo, con 12 porte, sormontate da 12 angeli e i 12 nomi delle tribù dei figli di Israele; le mura della città poggiano su 12 basamenti, sopra cui sono i 12 nomi dei 12 apostoli dell'Agnello (Serra 1, 1996). In questo modo, la Medaglia miracolosa si propone quale sintesi delle due esegesi che hanno disputato intorno ad Ap 12,1: quella ecclesiologica e quella mariologica. Parrebbe inoltre concretizzare la visione profetica di Is 62,2-3 per cui «ti si chiamerà con un nome nuovo che la bocca del Signore indicherà. Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio», nonché quella di Bar 5,1-5, della Gerusalemme rivestita «dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre».

I segni cristologici [modifica]

Una più recente traduzione dei segni, di carattere cristologico, vede invece nella croce, nella lineetta e nella M tre lettere dell'alfabeto greco (X, J, M), iniziali della frase che campeggia nelle rappresentazioni e nelle iscrizioni del mondo classico, ovvero «di Cristo Gesù Madre» (Chierotti, 1979). Questa centralità di Maria, che una tendenza teologica postconciliare aveva messo in ombra, nella medaglia è esaltata al punto che «non è lecito accantonare la Madre, perché [...] ella è vitalmente, ontologicamente legata al Figlio. La mariologia è unita strettamente alla cristologia: abbandonare o anche solo ridimensionare la prima significa mettere in causa pure la seconda» (Messori, 2008).

La Virgo Potens [modifica]

Secondo il racconto di suor Labouré, all'inizio dell'apparizione del 27 novembre la Madonna, ritta su una semisfera, reggeva fra le mani, all'altezza del cuore, un globo dorato, offrendolo a Dio con atteggiamento materno, mentre una voce interna diceva alla veggente: «Questo globicino simboleggia il mondo intero ed ogni anima in particolare!» (Chierotti, 1979). Qui è l'immagine missionaria di Maria, la Virgo Potens, nel suo ruolo regale di mediatrice fra Dio e gli uomini, con l'intento di fare del regnum hominis il regnum Dei (Masciarelli, 1996).

Funzione materna [modifica]

Il globo mostrato da Maria fa riferimento alla sua maternità spirituale per gli uomini, in funzione d'una mediazione ascendente (Chierotti, 1979) di cooperazione umana dipendente dal Cristo. «Nell'intero arco della storia della salvezza, Maria [...] diventa realtà operante ed efficiente dal momento del suo consenso espresso nell'evento salvifico dell'annunciazione» (Meo, 1996). Tale immagine non è rappresentata nella medaglia, ma ne costituisce il presupposto; tant'è che, qualche mese prima della morte (31 dicembre 1876), suor Labouré insistette affinché, nella cappella di rue du Bac, fosse realizzato un altare con la statua della Madonna col globo: cosa che, dopo varie traversie, fu definitivamente autorizzata da Leone XIII nel 1885 (Laurentin, 1980).

Socia del Redentore [modifica]

Nella seconda fase della visione di suor Labouré il globo scompare «forse in alto, forse soffuso dalla luce». A quel punto, le braccia della Madonna si abbassano e dagli anelli alle dita dipartono raggi luminosi che avvolgono il mondo sotto i suoi piedi: la mediazione di Maria si fa discendente (Chierotti, 1979), s'indirizza agli uomini, perché «nessuna sua cooperazione può essere indicata in quel settore della salvezza che va dal momento della creazione a quello dell'incarnazione, e niente ci può far pensare ad un suo specifico influsso diretto sulla salvezza del cosmo». La sua cooperazione è singolarmente associata a quella del Redentore «perché gli uomini fossero liberati dalla schiavitù del peccato ed avessero aperta la via della salvezza» (Meo, 1996). Alle nozze di Cana, il primo segno della missione di Gesù (Gv 2,11) si manifesta per intercessione di Maria (Gv 2,5).

Realizzazione e diffusione [modifica]

Non poche furono le difficoltà per giungere alla realizzazione della medaglia: le autorità religiose erano infatti caute di fronte alle rivelazioni di suor Labouré. Il suo confessore, padre Jean-Marie Aladel, a tutta prima giudicò severamente il racconto delle apparizioni: «Pura illusione! [...] Se volete onorare Nostra Signora, imitate le sue virtù, e guardatevi dall'immaginazione!». Di fronte allo stallo, nell'autunno 1831 suor Labouré sbottò: «La Vergine è dispiaciuta!». A quel punto, col supporto del confratello Jean-Baptiste Étienne, futuro superiore generale della congregazione, padre Aladel si rivolse all'arcivescovo di Parigi, che diede la sua approvazione al conio. Nella primavera 1832 l'incarico venne affidato all'orafo Vachette di quai des Orfèvres 54; il modello indicato per il recto fu quello della statua dell'Immacolata Concezione di Edmé Bouchardon, visibile nella chiesa di Saint Sulpice. Il 30 giugno, i primi 1.500 esemplari furono battuti. Suor Labouré ricevette la medaglia ai primi di luglio e la approvò (Laurentin, 1980). La diffusione fu rapidissima: nel 1835, il giornale La France Catholique la definì «uno dei più grandi segni degli ultimi tempi», rivelando che la portavano anche i membri della famiglia reale (Sicari, 2007); nello stesso anno, è testimoniata a Roma da un sonetto di Gioachino Belli; nel primo decennio, solo in Francia ne circolarono oltre cento milioni di copie (Chierotti, 1979); alla morte di suor Labouré, aveva superato il miliardo di esemplari (Di Lorenzo, 2004). Il 7 dicembre 1838, Gregorio XVI accordò il permesso di portarla. Oggi è di gran lunga la più diffusa di tutti i tempi, per un totale di parecchi miliardi in ogni parte del mondo (Laurentin, 1996).

Cautele della gerarchia [modifica]

L'arcivescovo di Parigi, monsignor Hyacinthe-Louis de Quélen, quando fu portato a conoscenza dei fatti di rue du Bac e della richiesta di Maria tramite suor Labouré, rispose: «Nessun inconveniente a far coniare la Medaglia», ritenendola conforme alla fede e alla pietà. Stabilì tuttavia: «Non si formulino giudizi prematuri sulla natura della visione, né si rivelino le circostanze. Si diffonda questa medaglia, semplicemente. E si giudicherà l'albero dai suoi frutti» (Laurentin, 1980). In merito, si è ipotizzato che l'arcivescovo guardasse con particolare favore «a qualsiasi misura che potesse allentare il tenore anticlericale dei tempi» (Burton, 2001). Col moltiplicarsi delle notizie relative agli eventi prodigiosi che sarebbero stati determinati dalla medaglia però, crebbero anche le domande circa la sua origine. Per non urtare le suscettibilità della curia romana, dove i dossier su presunti miracoli non erano ben accolti, si pensò di pubblicare le informazioni relative alle apparizioni in un opuscolo devozionale dal titolo Mois de Marie. Fu padre Aladel, il 17 marzo 1834, a stendere un prudente e succinto racconto degli eventi, che fu dato alle stampe e divulgato il 10 aprile. Nel manoscritto originale si leggeva che suor Labouré «ha creduto di vedere»; in una stesura successiva, resasi necessaria di fronte ai sempre maggiori interrogativi del pubblico, padre Aladel chiarì invece che «durante l'orazione ha visto un quadro», sottolineando come la Vergine sia apparsa «nel modo in cui si è soliti vederla rappresentata sotto il titolo dell'Immacolata Concezione». Questa nuova pubblicazione vide la luce come Notice il 20 agosto; tirata in 10.000 copie, fu in breve esaurita; la seconda edizione, del 20 ottobre, fu di 15.000 copie ma finì altrettanto presto; si arrivò a una terza edizione, in 37.664 copie. Anche sulla Notice i particolari circa le apparizioni furono omessi: precauzione necessaria affinché Roma non intendesse che si volesse dar rilievo a fatti di carattere superstizioso (Laurentin, 1980).

Adattamento della visione [modifica]

Il bozzetto che padre Aladel ricostruì in base ai racconti di suor Labouré, e che poi divenne l'incisione della medaglia, per alcuni elementi differisce da quanto le testimonianze autografe della veggente lasciano trapelare. Le difformità più importanti sono due: le 12 stelle che compaiono sul verso, forse un adattamento alla donna dell'Apocalisse, e l'assenza del globo che ella teneva fra le mani. Su quest'ultimo, di cui il Mois de Marie e la Notice non fanno menzione, si è appuntata l'indagine storica, che ha proposto quattro diverse soluzioni: non c'era nella visione del 27 novembre, ma in un'altra; faceva parte della medesima apparizione, che però si è svolta in due fasi; è un'invenzione di suor Labouré; l'unica, effettiva visione, fu quella della Vergine col globo, che padre Aladel avrebbe però conformato alla classica immagine dell'Immacolata Concezione, con le braccia distese e le mani aperte. Quest'ultima ipotesi, che spiegherebbe l'insistenza di suor Labouré per la realizzazione della statua quale complemento della visione, sarebbe confermata da padre Jules Charles Chevalier, biografo della veggente, nella dichiarazione rilasciata al processo ordinario (17 giugno 1896): «Non mi spiego perché padre Aladel ha soppresso il globo che ella mi ha sempre confermato di aver visto tra le mani della santa Vergine. [...] Sarei portato a credere che ha agito così per semplificare la medaglia e farla accettare più facilmente al pubblico, in un tempo in cui le passioni politiche esercitavano una grande influenza» (Guida, 2000). L'interpretazione di padre Chevalier è però messa in dubbio dagli storiografi: «In mancanza di prove documentarie inoppugnabili, non si può dimostrare che Aladel ed Etienne siano stati indotti a aderire alle richieste di Caterina dalla situazione socio-politica generale» (Burton, 2001).

Messaggio mariano [modifica]

Sarebbe stata la Madonna a dire: «Fa' coniare una medaglia su questo modello; le persone che la porteranno con fiducia e che con devozione reciteranno questa breve preghiera, godranno d'una protezione speciale della Madre di Dio». Maria avrebbe inoltre chiarito il senso ultimo della richiesta con queste parole, che la veggente riportò in forma autografa: «Io spando [queste grazie] su coloro che me le domandano [ha inteso Caterina. Lei mi ha fatto] comprendere quant'è piacevole pregare la Santa Vergine e quanto ella è stata generosa con coloro che la pregano. Che grazie ella concede a coloro che gliele domandano, e quale gioia prova nell'accordarle». Sia nella seconda, che nella terza e ultima apparizione (dicembre 1830, data non specificata), la Madonna avrebbe aggiunto: «Questi raggi simboleggiano le grazie che la Santa Vergine ottiene per coloro che gliele domandano» (Laurentin, 1980). Da qui la seguente considerazione: «La medaglia è una miniatura [...] In uno spazio molto piccolo, in modo minuscolo, con un minimo di simboli, essa riassume in tutto la mariologia. In essa si potrebbe trovare una microapocalisse, ossia un insegnamento globale della Chiesa sulla madre del Cristo, proposto per immagine e allegoria» (Guitton, 1997).

Contesto storico [modifica]

Il messaggio mariano insito nell'apparizione di rue du Bac emergerebbe anche su un piano traslato, ricordando «la vicinanza del cielo al mondo desolato, dal quale sembrerebbe escluso, un mondo che la Rivoluzione [francese] aveva scristianizzato, secolarizzato, reso orfano». Tramite la Medaglia miracolosa, Maria intendeva così risvegliare «la preghiera, l'iniziativa, lo zelo missionario di quel secolo, che fu esemplare» (Laurentin, 2001). Padre Chevalier insisterà su questo punto: «L'apparizione del 1830 [...] ha segnato la fine di un periodo disastroso per la Chiesa e la società [...] È stata l'inizio di un'era nuova: era di misericordia e di speranza» (Guida, 2000).

Rinnovamento vincenziano [modifica]

Pur se a un livello meno universalistico, notevole fu l'influenza che i fatti di rue du Bac ebbero per le comunità fondate da san Vincenzo. I rivolgimenti rivoluzionari erano stati causa di decadimento nell'osservanza della regola e del venir meno delle vocazioni. Ma la straordinaria fortuna della medaglia determinò il superamento di tali difficoltà. Il 1º gennaio 1855, in un messaggio diretto alla famiglia vincenziana, il superiore generale scrisse: «La Compagnia, rialzatasi a stento dalle sue rovine, non aveva che un'esistenza molto debole e sterile e poche speranze di riprendere un giorno il bel posto che aveva un tempo occupato nella Chiesa, quando una voce misteriosa le annunciò che Dio si sarebbe servito delle due famiglie di San Vincenzo per rianimare la fede. Poco dopo, ebbe luogo, nella cappella della Casa Madre delle Figlie della Carità, l'apparizione di Maria Immacolata che fece nascere la Medaglia Miracolosa. Tale evento si verificò nel 1830. Cominciò allora una nuova era per la Compagnia» (Sicari, 2007). Nel 1837 si contavano 325 case delle Figlie della Carità; nel 1860 erano divenute 1.050, comprese le missioni estere (Guida, 2000); al 31 dicembre 2005 ammontavano a 2.424, per un totale di 21.002 suore.

Le Figlie di Maria [modifica]

Con un rescritto del 20 giugno 1847, Pio IX accordò alle scuole tenute dalle Figlie della Carità la facoltà di costituire un'associazione sotto la protezione della Vergine Immacolata, che adottò la medaglia con un nastro azzurro quale segno distintivo. La confraternita delle Figlie di Maria nacque anch'essa per insistenza di suor Labouré, secondo le indicazioni datele dalla Madonna, con una finalità che aveva pure carattere sociale e missionario, in un'epoca di forte inurbamento e di sviluppo industriale: educare le figlie del popolo, le quali non ricevevano alcuna istruzione perché costrette a lavorare. L'intento edificante era di «arrivare al cuore di Gesù per mezzo della sua Madre Immacolata» (Guida, 2000).

Sodalizio della medaglia [modifica]

L'8 luglio 1909 Pio X diede l'approvazione all'Associazione della Medaglia Miracolosa, nata sul modello delle Figlie di Maria. Ne fanno parte tutti coloro che ricevono l'imposizione liturgica della medaglia che, dopo il Concilio Vaticano II, ogni sacerdote può fare servendosi della formula rituale: in sostanza, ne è membro chiunque porti la medaglia al collo. Pio X arricchì l'associazione di varie indulgenze. Nel caso in cui la medaglia venga smarrita, basta avere l'intenzione di indossarne un'altra, anche non benedetta, perché si possa continuare a lucrare tali indulgenze. Obbligo degli associati è «di portare con amore e di diffondere la Medaglia Miracolosa», invocando spesso la Madonna con la giaculatoria incisa sul recto (Chierotti, 1979).

Suore di Maria della Medaglia Miracolosa [modifica]

Nel 1879, a opera della Figlia della Carità suor Leopoldina Brandis, è sorta a Lubiana la congregazione delle Suore di Maria della Medaglia Miracolosa per l'assistenza agli ammalati e ai moribondi: oggi l'istituto è particolarmente diffusa in Slovenia e in Croazia, ma conta filiali anche in altri paesi europei, in Canada e in Benin.

Influenze dogmatiche [modifica]

Le apparizioni di rue du Bac sono indissolubilmente legate alla coniazione della Medaglia miracolosa perché essa, quale tangibile espressione della comunicazione del soprannaturale con l'umano, ebbe il potere di risvegliare l'attenzione verso il fatto mariano, che la devozione e l'iconografia popolare avevano già ampliato e arricchito di molteplici significati, e le cui prerogative attendevano un riordino e una più chiara definizione da parte del Magistero.

L'Immacolata Concezione [modifica]

La rapida e straordinaria diffusione della medaglia rinvigorì la pietà mariana immacolista, che fin dall'Alto Medioevo riconosceva tale prerogativa alla Madonna. L'invocazione sul recto era, di per sé, una chiara affermazione di carattere dottrinario, circostanza che indusse molti vescovi a chiedere che nel prefazio della festa della Concezione della Vergine fosse introdotto il termine Immacolata e nelle litanie fosse aggiunta un'invocazione che rammentasse tale privilegio (Aubert, 1964). Per ciò che concerne la diocesi parigina, con una lettera pastorale datata 1 gennaio 1839, monsignor de Quélen annunciò che «per un favore speciale» il Pontefice aveva autorizzato la festa dell'Immacolata Concezione; e a giugno ottenne che le parole «Maria, concepita senza peccato» entrassero nelle litanie (Boistel d'Exauvillez, 1840). Dopo il 1840, un gruppo di 51 prelati francesi propose la definizione dell'Immacolata Concezione come dogma di fede, ma Gregorio XVI non acconsentì a questa e a successive istanze, nel timore di reazioni degli ambienti giansenisti e per le reticenze dei vescovi inglesi, irlandesi e, soprattutto, tedeschi, dove le facoltà di teologia giudicavano con sfavore una dottrina troppo poco scientificamente stabilita (Aubert, 1964). Fu Pio IX a rompere gli indugi con la costituzione apostolica Ineffabilis Deus, che l'8 dicembre 1854 introduceva il dogma per «soddisfare ai piissimi desideri del mondo cattolico». Il documento si soffermava pure sull'attesa dei credenti: «Queste richieste sono state nuovamente ripetute nei tempi più recenti, specialmente al Nostro Predecessore Gregorio XVI di felice memoria, e sono state rivolte anche a Noi dai Vescovi, dal Clero secolare, da Famiglie religiose, da Sovrani e da popoli fedeli». Tali passaggi intesero superare le riserve dei teologi, la cui opposizione al riconoscimento derivava dalla mancanza di prove bibliche a sostegno; l'argomento principe invocato dalla Ineffabilis Deus infatti, fu il factum ecclesiae, la fede viva della Chiesa universale (Serra 2, 1996) attraverso i secoli, da ultimo incarnata nella Medaglia miracolosa.

Il titolo di regina [modifica]

Pur senza voler introdurre un nuovo articolo di fede, l'enciclica Ad Caeli Reginam di Pio XII (11 ottobre 1954, centenario della Ineffabilis Deus) non è disgiunta dalla profonda rilettura del fatto mariano che le circostanze inerenti alla realizzazione e la circolazione della medaglia avevano messo in moto. La semisfera che sta sotto i piedi della Madonna è attualmente spiegata come l'universo imperfetto di cui ella è signora, in quanto preesistente nel pensiero del Creatore (Guitton, 1997). Nell'economia del piano salvifico, gli straordinari privilegi di grazia che le furono concessi (come affermato in Lc 1,49) erano assoggettati al suo essere destinata a divenire la Madre del Figlio di Dio «Re dei re e Signore dei signori» (Ap 19,16). Chiarisce dunque la Ad Caeli Reginam: «Ne segue logicamente che ella stessa è Regina, avendo dato la vita a un Figlio; che nel medesimo istante del concepimento, anche come uomo, era re e signore di tutte le cose, per l'unione ipostatica della natura umana col Verbo». Ma l'enciclica va oltre: «Tuttavia la beatissima Vergine si deve proclamare regina non soltanto per la maternità divina, ma anche per la parte singolare che, per volontà di Dio, ebbe nell'opera della nostra salvezza eterna».

Prodigi associati [modifica]

Senza numero sono i miracoli che si sarebbero ottenuti attraverso la medaglia: la maggioranza, ovviamente, quasi senza possibilità di controllo. Tuttavia vanno ricordati quelli legati alle prodigiose guarigioni dal colera registrate nell'estate 1832, in particolare il caso di Caroline Nenain, 8 anni. La bimba, nella sua classe di place du Louvre, era la sola a non portare l'effigie: e si ammalò; messe in allarme, le suore gliela procurarono, ed ella fu in grado di tornare a scuola il giorno dopo. Il 13 giugno 1833, un soldato di Alençon «rabbioso e blasfemo», indossata la medaglia si mise a pregare e, di fronte alla morte, esclamò: «Quel che mi dà dolore, è d'aver amato così tardi e di non amare di più». Nella Notice del 20 agosto 1834 si raccontò invece d'una donna muta di Costantinopoli che, il 10 giugno precedente, sarebbe guarita grazie alla medaglia (Laurentin, 1980). Ma il fatto più clamoroso fu quello che coinvolse Alphonse Marie Ratisbonne, discendente d'una famiglia di banchieri ebraici, ateo e fiero polemista della devozione cattolica. Nel gennaio 1842, durante un viaggio per il Medio Oriente in vista delle nozze, una serie di coincidenze lo portò a soggiornare a Roma. Qui, ebbe in dono la Medaglia miracolosa. Scrisse nelle sue memorie: «Il mio primo impulso fu di ridere alzando le spalle; ma mi venne l'idea che questa scena avrebbe fornito un brano delizioso alle mie impressioni di viaggio, e acconsentii a prendere la medaglia come un corpo di reato che avrei offerto alla mia fidanzata. [...] Però, nel mezzo della notte fra il 19 e il 20, mi risvegliai di soprassalto: vedevo fissa dinanzi a me una grande croce nera di forma particolare e senza Cristo. Mi sforzai di scacciare quest'immagine, ma non riuscivo a evitarla e da qualsiasi lato mi giravo me la trovavo sempre davanti. Non saprei dire quanto durò questa lotta. Mi riaddormentai; al mattino, svegliatomi, non ci pensavo più». Il 20 gennaio si recò nella chiesa di Sant'Andrea delle Fratte in compagnia d'un amico che doveva dare disposizioni per un funerale; mentre l'altro era impegnato, lui si aggirò tra i banchi; d'un tratto «la chiesa intera scomparve, non vidi più nulla... o piuttosto, Dio mio, vidi soltanto una cosa! [...] afferrai la medaglia che avevo al petto e baciai con effusione l'immagine della Vergine risplendente di grazia... Oh, era davvero lei!» (Guitton, 1997). Quella di Ratisbonne, che al momento del prodigio aveva solo una vaga idea della concezione religiosa cristiana e d'improvviso fu in possesso per intero dei dogmi e della dottrina, è classificata come una conversione istantanea e perfetta, un'irruzione del divino capace di spazzare ogni dubbio e ogni ostacolo alla fede.

Anticipatrice di Lourdes [modifica]

Quando, nel 1858, suor Labouré udì raccontare delle apparizioni a Bernadetta Soubirous, non ebbe esitazioni: «È la stessa» disse (Laurentin, 1980). Ciò che le visioni di rue du Bac avevano messo in moto dunque, e di cui la medaglia rappresentava il tangibile compimento, trovò infine sbocco a Lourdes, dove la Madonna affermò in modo solenne il dogma che Pio IX aveva proclamato appena quattro anni prima, dichiarando: «Io sono l'Immacolata Concezione». Poiché a quell'epoca circolavano alcune varianti della medaglia, è da notare che Bernadetta ne portava al collo una spuria, sul cui verso era effigiata santa Teresa d'Avila (Guida, 2000).

Vessillo dell'Europa 

La bandiera dell'Unione europea
Le 12 stelle in campo azzurro della bandiera europea si rifanno esplicitamente alla simbologia mariana di Ap 12; tuttavia, per essere compresa in modo corretto, la questione va scomposta secondo due linee di eventi. Il primo fa capo alla risoluzione approvata l'8 dicembre 1955 dal Consiglio d'Europa: il bozzetto vincitore, opera di Arsène Heitz, fu preferito perché le stelle corrispondevano a un numero di perfezione e di pienezza per la cultura del mondo antico e medievale (i 12 segni zodiacali, le 12 fatiche di Ercole, i 12 figli di Giacobbe, le 12 tribù d'Israele, i 12 fasci littori della Roma monarchica, i 12 apostoli, i 12 mesi dell'anno, le 12 ore del quadrante, i 12 cavalieri della Tavola rotonda), indipendente dal numero di nazioni che avrebbero aderito alla futura federazione. L'11 aprile 1983 la bandiera è stata fatta propria anche dal Parlamento europeo e, dal 1986, è divenuta vessillo dell'Unione Europea. Secondo le dichiarazioni di Paul Michel Gabriel Lévy, belga di religione ebraica che, nel 1955, presiedeva la commissione giudicatrice, la scelta fu scevra da influenze di carattere religioso. Il secondo aspetto invece, riguarda l'ispirazione di Heitz: l'idea nacque mentre stava leggendo la storia di suor Labouré e della medaglia, di cui divenne un devoto (Messori, 2008), e le 12 stelle riprendevano proprio quelle che compaiono nell'incisione. Il suo bozzetto, selezionato fra i 101 pervenuti, fu spiegato alla commissione giudicatrice senza riferimenti di tipo devozionale, per non urtare suscettibilità in tal senso: e così venne approvato. In questa chiave, la vicenda è stata interpretata come «un'astuzia della Storia» 'orchestrata' dal Cielo (Messori, 2003) in un giorno (8 dicembre, festa dell'Immacolata Concezione) che più simbolico non avrebbe potuto essere, malgrado la data fosse stata fissata secondo uno scadenziario politico. «Così, almeno, pensavano gli eurocrati; i quali sembrano davvero essere serviti da strumenti inconsapevoli di un piano che li ha travalicati» (Messori, 2008).

Calendario liturgico [modifica]

La Beata Vergine Maria della Medaglia Miracolosa dal 1894 si festeggia, al termine d'una novena, il 27 novembre alle ore 17, ovvero, come recita la supplica «proprio nel giorno ed ora benedetta, da te prescelta per la manifestazione della tua Medaglia» (Chierotti, 1979). La novena perpetua di norma si tiene ogni sabato, o almeno al 27 di ogni mese, con la recita integrale del rosario: tre corone, almeno fino all'introduzione dei misteri luminosi, voluti da Giovanni Paolo II nel 2002, poiché i 15 misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi corrisponderebbero ai 15 anelli che la Madonna portava durante l'apparizione a suor Labouré (Guitton, 1997).

Bibliografia [modifica]

  • A. Amato, Spirito Santo, in S. De Fiores, S. Meo (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, Torino, 1996 (IV edizione), pp. 1194–1225.
  • R. Aubert, Il pontificato di Pio IX, in A. Fliche, V. Martin (a cura di) e J.B. Duroselle, E. Jarry (continuatori), Storia della Chiesa, Torino, 1964, vol. XXI (edizione italiana diretta da G. Pelliccia).
  • P.I. Boistel d'Exauvillez, Vie de Mgr de Quélen, archevêque de Paris, Parigi, 1840, t. II.
  • R.D.E. Burton, Blood in the city, Ithaca, 2001.
  • L. Chierotti, Caterina Labouré, in F. Caraffa, G. Morelli (diretta da), Bibliotheca Sanctorum, Roma, 1963, vol. III, pp. 1046–1047.
  • L. Chierotti, Il dono di Maria, ossia la Medaglia Miracolosa, Sarzana, 1979.
  • S. De Fiores, Immacolata III-IV, in S. De Fiores, S. Meo (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, Torino, 1996 (IV edizione), pp. 625–635.
  • M. Di Lorenzo, Un 'salvacondotto' per tutti i popoli della terra, Madre di Dio, a. 72, n. 12 (2004).
  • P. Guida, Caterina Labouré e le apparizioni della Vergine alla Rue du Bac, Cinisello Balsamo, 2000 (II edizione).
  • J. Guitton, La medaglia miracolosa, Cinisello Balsamo, 1997 (V edizione).
  • R. Laurentin, Vie de Catherine Labouré, Parigi, 1980.
  • R. Laurentin, Apparizioni, in S. De Fiores, S. Meo (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, Torino, 1996 (IV edizione), pp. 113–124.
  • R. Laurentin, Le apparizioni della Vergine, Casale Monferrato, 2001.
  • E. Lodi, Preghiera mariana, in S. De Fiores, S. Meo (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, Torino, 1996 (IV edizione), pp. 1023–1032.
  • M.G. Masciarelli, Laici, in S. De Fiores, S. Meo (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, Torino, 1996 (IV edizione), pp. 644–661.
  • S. Meo, Mediatrice, in S. De Fiores, S. Meo (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, Torino, 1996 (IV edizione), pp. 827–841.
  • V. Messori, Dall'aureola dell'Immacolata le dodici stelle dell'Europa, Corriere della Sera, 14 luglio 2003.
  • V. Messori, Ipotesi su Maria, Milano, 2008 (IV edizione).
  • M. Rondet, I mille volti della preghiera, Milano, 2004.
  • A. Serra (1), Bibbia, in S. De Fiores, S. Meo (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, Torino, 1996 (IV edizione), pp. 209–280.
  • A. Serra (2), Immacolata II, in S. De Fiores, S. Meo (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, Torino, 1996 (IV edizione), pp. 619–625.
  • A.M. Sicari, Santi nella carità, Milano, 2007.

Voci correlate [modifica]

Collegamenti esterni [modifica]

Data la mole di voci, spesso ripetitive, dedicate ai fatti di rue du Bac, si propone una divisione sistematica di alcuni materiali disponibili in rete.

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