lunedì 1 ottobre 2012

Pregando con Santa TERESA DI GESU' BAMBINO e DEL VOLTO SANTO




Preghiera allo Sposo Divino

S. Teresa di Gesù Bambino la scrisse per sé in occasione della Sua professione religiosa e ne portò l'autografo sul cuore per tutto quel giorno.
8 settembre 1890

O Gesù, mio Sposo divino! che io non perda mai la seconda veste del mio battesimo! prendimi prima che commetta la più leggera colpa volontaria. Che io non cerchi e non trovi mai se non te solo, che le creature siano un niente per me e che io sia un niente per loro, ma tu, Gesù, sii tutto!
Che le cose della terra non possano mai turbare la mia anima, che niente turbi la mia pace. Gesù, non ti domando che la pace, ed anche l'amore, l'amore infinito senza altro limite che te, l'amore per cui non sia più io, ma te, o Gesù! Gesù, che per te io muoia martire, il martirio del cuore o del corpo, o piuttosto tutti e due! Concedimi di adempiere ai miei voti in tutta la loro perfezione e fammi comprendere ciò che dev'essere una sposa per te. Fa che io non sia mai di peso alla comunità, ma che nessuno si occupi di me, che io sia considerata come qualcosa da calpestare, dimenticata come un granellino di sabbia tuo, o Gesù! Che la tua volontà si compia in me perfettamente, che io raggiunga il posto che tu sei andato avanti a me a prepararmi.
Gesù, fa che io salvi molte anime, che oggi neppure una sia dannata e che tutte le anime del purgatorio siano liberate. Gesù, perdonami se dico scuse che non si devono dire: io non voglio che rallegrarti e consolarti.


Consacrazione 

al Volto Santo

Composta dalla Santa per se stessa e per due sue novizie.

Volto adorabile di Gesù! giacché vi siete degnato di scegliere particolarmente le anime nostre per donarvi ad esse, noi intendiamo consacrarle a voi.
Ci sembra, o Gesù, di sentirvi sussurrare: «Apritemi, sorelle mie, mie spose dilette, poiché il mio Volto è coperto di rugiada e i miei capelli dette stille della notte» (Ct 5,2). Le anime nostre comprendono il vostro linguaggio d'amore; noi vogliamo asciugarvi il Volto soave e consolarvi della dimenticanza dei cattivi. Ai loro occhi voi siete ancora «come nascosto... vi considerano come un essere abietto!» (Is 53,3).
Volto più bello delle rose e dei gigli di primavera, voi non siete nascosto agli occhi nostri! Le lacrime, che velano il vostro sguardo divino, ci appaiono come diamanti preziosi che vogliamo raccogliere per acquistare con il loro valore infinito le anime dei nostri fratelli.
Dalle vostre labbra adorate abbiamo inteso il gemito amoroso. Comprendendo come la sete che vi consuma è sete d'amore, noi vorremmo, per dissetarvi, possedere un amore infinito!
Sposo prediletto delle anime nostre! se possedessimo l'amore di tutti i cuori, quest'amore sarebbe per voi. Ebbene, dateci questo amore, e venite a dissetarvi nelle vostre piccole spose!
Anime, Signore, abbiamo bisogno di anime! specialmente anime di apostoli e di martiri, affinché, per loro mezzo, possiamo infiammare del vostro amore la moltitudine dei poveri peccatori.
O Volto adorabile, noi sapremo ottenere questa grazia! Dimenticando il nostro esilio, sulle sponde dei fiumi di Babilonia canteremo a voi le più dolci melodie. E giacché voi siete la vera, l'unica patria dei nostri cuori, i nostri cantici non saranno modulati su terra straniera. Volto amato di Gesù! in attesa del giorno eterno in cui contempleremo la vostra gloria infinita, l'unico nostro desiderio è di piacere ai vostri occhi divini, nascondendo anche noi i volti, affinché in terra nessuno ci possa riconoscere. Il vostro sguardo velato: ecco il nostro cielo, o Gesù!
T. di Gesù Bambino e del Volto Santo
G. di S. T., Maria del Volto Santo


Atto d'offerta all'Amore misericordioso di Dio

J. M. J. T.
Offerta di me stessa come vittima d'olocausto
all'Amore misericordioso del buon Dio.
Mio Dio! Trinità beata, desidero amarvi e farvi amare, lavorare per la glorificazione della santa Chiesa, salvando le anime che sono sulla terra e liberando quelle che sono nel purgatorio. Desidero compiere perfettamente la vostra volontà e arrivare al grado di gloria che m'avete preparato nel vostro regno. In una parola, desidero essere santa, ma sento la mia impotenza e vi domando, o mio Dio, di essere voi stesso la mia santità.
Poiché mi avete amata fino a darmi il vostro unico Figlio perché fosse il mio salvatore e il mio sposo, i tesori dei suoi meriti appartengono a me ed io ve li offro con gioia, supplicandovi di non guardare a me se non attraverso il volto di Gesù e nel suo cuore bruciante d'amore.
Vi offro inoltre tutti i meriti dei Santi (che sono in cielo e sulla terra), i loro atti d'amore e quelli dei santi Angeli; vi offro infine, o beata Trinità, l'amore e i meriti della santa Vergine, mia madre diletta. A lei abbandono la mia offerta e la prego di presentarvela. Il suo Figlio divino, mio sposo diletto, nei giorni della sua vita mortale, ci ha detto: «Tutto ciò che domanderete al Padre in nome mio, ve lo darà!».
Sono dunque certa che esaudirete i miei desideri; lo so, mio Dio, più volete dare, più fate desiderare. Sento nel mio cuore desideri immensi e vi chiedo con tanta fiducia di venire a prendere possesso della mia anima. Ah! non posso ricevere la santa comunione così spesso come vorrei, ma, Signore, non siete l'onnipotente?... Restate in me come nel tabernacolo, non allontanatevi mai dalla vostra piccola ostia...
Vorrei consolarvi dell'ingratitudine dei cattivi e vi supplico di togliermi la libertà di dispiacervi. Se qualche volta cado per mia debolezza, il vostro sguardo divino purifichi subito la mia anima consumando tutte le mie imperfezioni, come il fuoco che trasforma ogni cosa in se stesso...
Vi ringrazio, o mio Dio, di tutte le grazie che m'avete accordate, in particolare di avermi fatta passare attraverso il crogiolo della sofferenza. Sarò felice di vedervi comparire, nel giorno finale, con lo scettro della croce. Poiché vi siete degnato di darmi come eredità questa croce tanto preziosa, spero di rassomigliare a voi nel cielo e di veder brillare sul mio corpo glorificato le sacre stimmate della vostra passione.
Dopo l'esilio della terra, spero di venire a godervi nella patria, ma non voglio ammassare dei meriti per il cielo, voglio lavorare solo per vostro amore, con l'unico scopo di farvi piacere, di consolare il vostro Sacro Cuore e di salvare anime che vi ameranno eternamente.
Alla sera di questa vita, comparirò davanti a voi a mani vuote, perché non vi chiedo, Signore, di contare le mie opere. Tutte le nostre giustizie hanno macchie ai vostri occhi (Is 64,6). Voglio perciò
Ai vostri occhi il tempo è nulla. Un giorno solo è come mille anni (Sal 89,4) e perciò potete prepararmi in un istante a comparire davanti a voi...
Per vivere in un atto di perfetto amore, mi offro come vittima d'olocausto ai vostro amore misericordioso, supplicandovi di consumarmi senza posa, lasciando traboccare nella mia anima i flutti d'infinita tenerezza che sono racchiusi in voi, e così possa diventare martire del vostro amore, o mio Dio!...
Che questo martirio, dopo avermi preparata a comparire davanti a voi, mi faccia infine morire e la mia anima si slanci senza alcuna sosta verso l'eterno abbraccio del vostro amore misericordioso...
Voglio, o mio Diletto, ad ogni battito del cuore rinnovarvi questa offerta un numero infinito di volte, fino a che, svanite le ombre, possa ridirvi il mio amore in un faccia a faccia eterno! ...
Maria Francesca Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo
Gesù!
rel. carm. ind.
Festa delta Santissima Trinità,
il 9 giugno dell'anno di grazia 1895


CUORE IMMACOLATO DI MARIA
FIDUCIA SALVEZZA SPERANZA GIOIA MIA!

“Catholicorum magister”, “Mundi magister”, “Sacrae legis peritissimus”, “espertissimo della Legge Sacra” (cioè la Bibbia) ; “Il dottore sommo nell’esegesi scritturistica” .


SAN GIROLAMO:


AL SERVIZIO DELLA PAROLA DI DIO


È stato uno dei grandi personaggi del mondo occidentale. Uno di quegli uomini che hanno lasciato un’impronta su questa terra: hanno fatto cultura, sono stati punti di riferimento nei secoli per tante persone. Hanno fatto storia. Il loro lavoro vince l’usura del tempo che tutto divora e spesso tutto dimentica.


Ecco alcuni titoli che hanno dato a Girolamo i suoi contemporanei e i posteri:

“Catholicorum magister” (Cassiano); maestro non solo dei cattolici ma “Mundi magister” così Prospero d’Aquitania. “Sacrae legis peritissimus”, “espertissimo della Legge Sacra” (cioè la Bibbia) è la definizione di Sulpicio Severo. Erasmo da Rotterdam lo salutò come: “Principe dei teologi”.


Nel nostro secolo poi papa Benedetto XV, nel 1920, lo ha indicato come “il dottore sommo nell’esegesi scritturistica” proprio perché egli aveva messo ogni istante della sua vita al servizio della Sacra Scrittura “per raggiungere più compiutamente il senso della Parola di Dio”.



La festa liturgica di Girolamo santo viene celebrata il 30 settembre. Un particolare curioso e forse unico. È ricordato come un santo che vale per tutta la chiesa (non è un “locale” insomma), ma non fu mai dichiarato tale dalla Chiesa. Il motivo? Semplice. Aveva un caratteraccio poco... santo. Era impetuoso, collerico, incline alla polemica, poco paziente e tagliente nei giudizi. Concediamogli però un’attenuante: ha condotto una vita ascetica rigorosa, soffrendo non poco per numerose malattie. Girolamo riconosceva questo suo carattere poco conciliante e socievole. L’arte lo ha rappresentato magro mentre si batte il petto con una pietra, dicendo, come riferisce la tradizione: “Perdonami, Signore, perché sono Dalmata”. Era tuttavia molto stimato dagli uomini di cultura del suo tempo ed il popolo lo ha venerato come santo fin dal primo Medio Evo.

È di Girolamo la famosa frase: “Ignoratio Scripturarum, ignoratio Christi est”.
Non conoscere la Scrittura equivale a non conoscere Gesù Cristo. Non possiamo dire che c’è molta conoscenza della Scrittura tra i Cattolici, anche se, dopo il Vaticano II, è più avvertita l’importanza di questa conoscenza e c’è più impegno per studiarla.
Alla vigilia dell’anno giubilare del 2000, preparato dalla riflessione sui temi “teologici” del Figlio (1997), dello Spirito (1998), del Padre (1999), ricordando san Girolamo riproponiamo il problema della conoscenza della Parola di Dio, del suo studio, del “perdere tempo” su di essa, per essere in grado di conoscere il Cristo, centro della Scrittura. Non c’è vero amore per ciò che la nostra intelligenza ignora. L’amore cresce se cresce la conoscenza. Questo vale per l’esperienza umana ma anche per quella spirituale. Non c’è conoscenza e quindi amore di Cristo senza lo studio di lui nella Bibbia. È questo il suo profondo messaggio.

Girolamo nacque nel 342 a Stridone in Dalmazia. I genitori cattolici lo fecero studiare prima a Roma, poi andò a Treviri, infine ad Aquileia. Qui aderì ad una comunità di asceti, che si chiamava “Coro dei Beati”.
Presto risuonò forte in lui il richiamo dell’Oriente. Girolamo partì carico dei suoi amati autori classici. Vi rimase dal 373 al 381. Fece grandi amicizie, come quella con Evagrio e con Gregorio di Nazianzio che lo avviò alla conoscenza e traduzione di Origene e di altri autori.


Nel 382 iniziò per Girolamo il periodo romano: sarà breve ma decisivo per il resto della sua vita. A Roma infatti conobbe il papa Damaso e ne divenne segretario. Questi lo indirizzò con decisione e intelligenza all’attività biblica. Da quel momento Girolamo visse per la Scrittura, per la sua traduzione, per il commento di essa, per la predicazione e per l’iniziazione di altri alla sua comprensione e personalizzazione. La Parola di Dio sarà il punto di riferimento costante in tutta la sua attività. Nel 384 iniziò infatti a rivedere le antiche versioni dei vangeli e quindi dei salmi.


Per capire la Scrittura la chiave ermeneutica è Cristo

Questo suo lavoro aveva l’appoggio e l’incoraggiamento di Damaso. Ma questi morì nel dicembre di quell’anno. Le lotte di potere non sono state mai completamente assenti anche in àmbito ecclesiale. Dopo tutto la chiesa è fatta di uomini con le loro virtù e ahimè anche i loro difetti. Girolamo aveva fatto un pensierino alla cattedra di Pietro, ritenendosi non proprio indegno. Dal lato culturale certamente lo era: fu uno degli uomini più eruditi del suo tempo (insieme ad Agostino, che ammirava e col quale ebbe un’amicizia “dialettica”). Conosceva bene sei lingue, aveva una profonda conoscenza dei classici.
Gli mancavano, ahimè, gli appoggi politici che pesano, le conoscenze che contano, le frequentazioni giuste e mirate. Per la successione a Damaso ci furono forti tensioni tra il clero romano, anche contro “quel dalmata” considerato un outsider. Girolamo ne rimase deluso, e captato il vento contrario alla sua santa ambizione, decise per il secondo e definitivo ritorno in Oriente. Vi rimarrà fino alla morte (420).
Si stabilì a Betlemme fondandovi due monasteri, uno maschile e l’altro femminile. Tra i suoi meriti c’è anche quello di aver dato un impulso decisivo alla diffusione del monachesimo occidentale. Il suo lavoro principale ormai era la traduzione della Scrittura, iniziata per incarico del suo amico Damaso. Quest’opera verrà conosciuta come la Vulgata: questa avrà un influsso enorme sulla vita della Chiesa e sul clima culturale del tempo e anche dopo.
Sarà proprio la sua Vulgata il primo libro della storia ad essere stampato da Johannes Gutenberg l’inventore della stampa. Girolamo era convinto che il messaggio biblico ha come finalità tutto il genere umano e non solo “le sfaccendate scuole di filosofi”. Il filo unificatore di un serio studio della Scrittura o ascesi biblica è dato dalla chiave centrale di interpretazione che è Cristo: lo studio impegnato porterà ad una conoscenza amorosa di Cristo e alla sua sequela. Per Girolamo leggere il Libro non è come leggere un libro. Il lettore biblico deve avere cinque qualità: essere prudente, diligente, interessato, zelante, informato.


“La Bibbia è una mediazione tra Dio che rivolge la Parola e l’uomo che legge, a guisa di una lettera che gli è stata inviata: Girolamo risulta in questo il Padre della Chiesa che più spinge a leggerla... Il dialogo del lettore con le pagine bibliche si concretizza poi in un dialogo con Cristo, perché tutte le Scritture parlano di Lui. La Bibbia perciò è il luogo privilegiato di incontro con Cristo, è il grande sacramentum del Salvatore...” (V. Grossi).

Che eredità spirituale ci lascia Girolamo? Certamente il suo amore totale per la Parola di Dio. L’itinerario esistenziale e spirituale che egli visse, trovò nello studio alla Bibbia il filo unificante, la fonte e le radici stesse della sua santità. La sua immensa fatica nella traduzione della Bibbia non era altro che la prova concreta, quotidiana del suo immenso amore a Cristo: ogni fatica affrontata per Lui gli sembrava leggera. In questo suo lavoro non era certamente sorretto dalle prospettive di carriera o di guadagno. Solo Cristo e solo per Cristo.


Lo studio della Scrittura era pensato da Girolamo come una vera ascesi, cioè come autentico, serio, quotidiano impegno e sacrificio per Cristo e la sua causa. Così scriveva Girolamo del suo amico Nepoziano:

“Con l’assidua lettura della Scrittura e la quotidiana meditazione egli aveva reso il suo cuore una biblioteca di Cristo”.
Ai cristiani che talvolta si lamentano del “silenzio di Dio” nella loro vita, San Girolamo ricorda una verità fondamentale:
“Quando preghi tu parli allo sposo. Quando leggi la Scrittura è Lui che ti parla”.
Dipende da noi lasciarlo parlare.


MARIO SCUDU sdb ***


*** Questo e altri 120 santi e sante sono nel volume di :
MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice ELLEDICI, 2011



“Ignoratio Scripturarum, 
ignoratio Christi est”.

“L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo” : San Girolamo .


 
30 SETTEMBRE
SAN GIROLAMO, SACERDOTE CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA
L'eremita.
"Non conosco Vitale, non voglio Melezio e ignoro Paolino (Lett. XV, al. LVII), mio è soltanto chi aderisce alla cattedra di Pietro" (Lett. XV, al. LVIII). Così, verso il 376, dalle solitudini della Siria, turbate da rivalità episcopali, che da Antiochia agitavano tutto l'Oriente, scriveva a Papa Damaso un monaco sconosciuto, implorando luce per la sua anima redenta dal sangue del Signore (ibidem).
Girolamo era originario della Dalmazia. Lontano da Stridone, terra semibarbara in cui era nato, ne conservava l'asprezza come linfa vigorosa. Lontano da Roma, dove gli studi di belle lettere e filosofia non avevano saputo preservarlo dalle più tristi cadute. Il timore del giudizio di Dio l'aveva condotto al deserto della Calcide. Sotto un cielo di fuoco, per quattro anni macerò il suo corpo con spaventevoli penitenze e cominciò a sacrificare i suoi gusti ciceroniani allo studio della lingua primitiva dei Libri santi. Era questa, per la sua anima appassionata di classiche bellezze, una migliore e più meritevole penitenza. Il lavoro intrapreso era allora ben più duro che ai nostri giorni, perché oggi lessici, grammatiche e lavori di ogni genere hanno resa più facile la ricerca. Quante volte, scoraggiato, disperò del successo! Però egli aveva già sperimentata la verità della sentenza, che avrebbe formulato più tardi: "Amate la scienza delle Scritture e non amerete i vizi della carne" (Lett. CXXV, al. IV, a Rustico). Partendo perciò dall'alfabeto ebraico, andava compitando continuamente sillabe sibilanti e aspirate (ibidem), l'eroica conquista delle quali gli ricordò sempre quanto gli erano costate, per la durezza da allora impressa - è affermazione sua - alla pronunzia del latino (Lett. XXIX, al. CXXX, a Marcella). Egli impegnò nel lavoro tutta l'energia della sua natura focosa, vi si consacrò per tutta la vita [1].
Dio riconobbe in modo magnifico l'omaggio reso in quel modo alla sua parola e, invece del solo risanamento morale, che aveva sperato, Girolamo raggiunse la santità eccezionale, che oggi noi in lui onoriamo e dalle lotte del deserto, per altri in apparenza sterili, usciva uno di quegli uomini dei quali è stato detto: Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo (Mt 5,13-14). Dio metteva a tempo giusto sul candeliere questa luce, per rischiarare tutti quelli che sono nella casa (ivi 15).
Il segretario del Papa.
Roma rivedeva molto trasformato il brillante studente di altri tempi, proclamato ormai degno del sacerdozio, per la santità, la scienza e l'umiltà (Lett. XLV, al. XCIX, ad Asella). Damaso, dottore vergine della Chiesa vergine (Lett. XLVIII, al. L, a Pammachio), lo incaricava di rispondere a suo nome alle consultazioni dell'Oriente e dell'Occidente (Lett. CXXIII, al. XI, ad Ageruchia), e otteneva che cominciasse i grandi lavori scritturali, che dovevano rendere il suo nome immortale e assicurarlo alla riconoscenza del popolo cristiano, con la revisione del Nuovo Testamento latino sul testo originale greco.
Il vendicatore di Maria.
Intanto Girolamo si rivelava polemista incomparabile con la confutazione di Elvidio, che osava mettere in dubbio la perpetua verginità di Maria, Madre di Dio. In seguito, Gioviniano, Vigilanzio, Pelagio ed altri ancora dovevano provarne il vigore. E Maria, ricompensando il suo onore così vendicato, gli conduceva tutte le anime nobili, perché le guidasse nella via della virtù, che sono l'onore della terra e perché, con il sale delle Scritture, le preservasse dalla corruzione di cui l'impero stava ormai morendo.
Il direttore di anime.
Ecco un fenomeno strano per lo storico che non ha fede: attorno a questo Dalmata, mentre la Roma dei Cesari agonizza, brillano i nomi più belli di Roma antica. Creduti estinti, quando la gloria della città regina si era offuscata nelle mani dei plebei arricchiti; nel momento critico in cui, purificata dalle fiamme appiccate dai Barbari, la capitale da essi data al mondo sta per riprendere il suo destino, essi ricompaiono, come per diritto di nascita, a fondare Roma un'altra volta per la sua vera eternità. La lotta ormai è un'altra, ma il loro posto rimane in testa all'armata che salverà il mondo. Sono rari fra noi i saggi, i potenti, i nobili, diceva l'Apostolo quattro secoli prima (1Cor 1,26) e Girolamo protesta; nei nostri tempi sono numerosi, numerosi in mezzo ai monaci (Lett. LXVI, al. XXVI, a Pammachio).
La falange patrizia costituisce la parte migliore dell'armata monastica, al suo sorgere in occidente, e le comunica per sempre il suo carattere di antica grandezza, ma nei suoi ranghi, con titolo eguale a quello dei padri e dei fratelli, si vedono le vergini e le vedove, talvolta le spose, insieme e lo sposo. È Marcella la prima ad ottenere la direzione di Girolamo e sarà Marcella che, scomparso il maestro, diventerà, nonostante la sua umiltà, l'oracolo consultato da tutti nelle difficoltà relative alle Scritture [2]. Seguono Marcella: Furia, Fabiola, Paola, nomi che ricordano i grandi avi, i Camilli, i Fabii, gli Scipioni.
Per il principe del mondo, Satana (Gv 14,30), che credeva ormai sue per sempre le glorie dell'antica città, è troppo e le ore del Santo nella città sono contate. Figlia di Paola, Eustochio aveva meritato di vedersi indirizzato il manifesto sublime, ma pieno di tempesta, in cui Gerolamo, esaltando la verginità, non ha paura di sollevare contro di sé con verve mordente la congiura di falsi monaci, di vergini folli e di chierici indegni (Lett. XXII, a Eustochio, sulla custodia della verginità). Invano la prudente Marcella prevede l'uragano, Girolamo non l'ascolta e osa dire ciò che altri osano fare (Lett. XXVII, al. CXX, a Marcella), ma ha fatto i conti senza la morte di Damaso, che sopravviene in quel momento.
A Betlemme.
Trascinato dal turbine, il giustiziere ritorna al deserto: non più Calcide, ma la quieta Betlemme, dove i ricordi dell'infanzia del Signore attirano questo forte tra i forti, dove Paola e la figlia vengono a stabilirsi, per non perdere i suoi insegnamenti, che preferiscono a tutto, per addolcire la sua amarezza, per medicare le ferite del leone dalla voce possente, che continua a destare echi in Occidente. Onore a queste valorose! La loro fedeltà, la loro sete di sapere, le loro pie importunità procureranno al mondo un tesoro che non ha prezzo: la traduzione autentica dei Libri santi (Conc. Trid. Sess. IV) che l'imperfezione dell'antica versione Italica e le sue varianti, diventate senza numero, hanno resa necessaria davanti ai Giudei, che accusano la Chiesa di aver falsato la Scrittura.
Ogni nuova traduzione destava nuove critiche, non sempre mosse dall'odio: riserve di paurosi, allarmati per l'autorità dei Settanta, grandissima nella sinagoga e nella Chiesa, rifiuti interessati di possessori di manoscritti dalle pagine di porpora, dalle splendide unciali, dalle lettere miniate in argento e oro, che sarebbero stati deprezzati. "Si tengano la loro metallurgia e ci lascino i nostri poveri quaderni - grida san Girolamo esasperato". "Siete proprio voi che mi costringete a subire tante sciocchezze e tante ingiurie, dice alle ispiratrici del suo lavoro, ma, per tagliar alla radice il male, sarebbe meglio impormi il silenzio". Ma la madre e la figlia non la pensavano a quel modo e Girolamo si adattava. "Quia vos cogitis... cogor... cogitis... " (passim).
Tutte le sante amicizie di un tempo facevano parte, da lontano, di questa attività studiosa e Girolamo a nessuno rifiutava il concorso della sua scienza e si scusava amabilmente del fatto che una metà del genere umano gli sembrava più privilegiata: "Principia, figlia mia in Gesù Cristo, io so che molti trovano cosa non buona che io qualche volta scriva a donne; mi si lasci dire ai miei detrattori: Non risponderei a donne, se mi interrogassero sulle Scritture gli uomini" (Lett. LXV, al. CXL, a Principia).
Un messaggio desta esultanza nei monasteri fondati in Efrata: da un fratello di Eustochio e da Leta, figlia cristiana di Albino, sacerdote pagano, è nata a Roma un'altra Paola. Consacrata allo Sposo prima ancora della nascita, balbetta in braccio al sacerdote di Giove l'Alleluia dei cristiani e sa che, oltre i monti e oltre il mare, ha un altro nonno e una zia totalmente consacrata a Dio e vuol partire. Girolamo scrive alla madre gioiosa: "Mandatela e io le sarò maestro e balio, la porterò sulle mie vecchie spalle, aiuterò la sua bocca balbettante a formare le parole, fiero più ancora di Aristotele, perché egli allevava soltanto un re di Macedonia e io invece preparerò al Cristo un'ancella, una sposa, una regina, destinata ad aver posto nei cieli" (Lett. CVII, al. VII, a Leta).
Gli ultimi giorni.
E Betlemme vide la dolce bambina. Giovanissima ancora, assumeva la responsabilità di continuarvi l'opera dei suoi e, presso il vegliardo morente, fu l'angelo del passaggio da questo mondo alla eternità.
L'ora dei profondi distacchi aveva preceduto il momento supremo. La prima Paola partì cantando: Ho preferito vivere umile nella casa di Dio che abitare nelle tende dei peccatori (Sal 83,11. Lett. CVIII, al. XXVII, a Eustochio). Di fronte alla prostrazione mortale, che parve annientare per sempre Girolamo (Lett. XCIX, al. XXXI, a Teofilo) Eustochio, affranta, respinse le sue lacrime e, per le pressioni della figlia, riprese a vivere, per mantenere le promesse fatte alla madre. La vediamo completare le traduzioni, riprendere i commenti del testo, passare da Isaia al Profeta Ezechiele quando sul mondo e su di essa cade il dolore inesprimibile del tempo: "Roma è caduta, si è spenta la luce della terra, in una città sola si è accasciato il mondo. Che cosa fare, se non tacere e pensare ai morti?".
Bisognava però pensare più ancora ai moltissimi fuggitivi, che, spogliati di tutto, giungevano ai Luoghi santi e Girolamo, l'implacabile lottatore, non sapeva risparmiare il suo cuore e le sue lacrime ad alcuno degli sventurati. Più ancora che insegnare la Scrittura, desiderando praticarla, dedicava il suo tempo all'ospitalità e per lo studio restava solo la notte ai suoi occhi quasi ciechi. Ma gli studi gli erano tuttavia carissimi, dimenticava in essi le miserie del giorno e si riempiva di gioia nel rispondere ai desideri della figlia che Dio gli aveva dato. Si leggano le prefazioni ai quattordici libri di Ezechiele e si vedrà quale parte ebbe la vergine di Cristo nell'opera strappata alle angosce del tempo, alle infermità di Girolamo e alle sue ultime lotte contro l'eresia. Si è detto che l'eresia profittava dello scompiglio del mondo per manifestare nuove audacie. Forti dell'appoggio del vescovo di Gerusalemme, i Pelagiani si armarono una notte di torcia e di spada e si gettarono all'assassinio e all'incendio sul monastero di Girolamo e sulle vergini, che dopo la morte di Paola riconoscevano per madre Eustochio. Virilmente affiancata dalla nipote, Paola la giovane, la santa raccolse le sue figliuole e riuscì ad aprirsi un passaggio in mezzo alle fiamme. Ma l'ansietà della terribile notte aveva consumate le sue forze e Girolamo la seppellì presso la mangiatoia del Dio Bambino, come la madre e, lasciando incompiuto il suo commento a Geremia, si dispose egli pure a morire.
VITA. - San Girolamo nacque a Stridone in Dalmazia tra il 340 e il 345 da genitori che lo inviarono poi a Roma a studiarvi grammatica e retorica. Preso per qualche tempo dai piaceri e dal desiderio di successi, presto ne fu stanco e chiese il battesimo a Papa Liberio. Dopo un soggiorno alla corte imperiale di Treviri, si ritirò ad Aquileia, e, poco appresso, partì per l'Oriente. Dimorò ad Antiochia nella Quaresima del 374 o 375 e, caduto gravemente infermo, promise di non leggere più libri profani. Guarito, parti per il deserto di Calcide, a sud-est di Antiochia, dove visse in romitaggio e imparò l'Ebraico. Tornato ad Antiochia, fu ordinato sacerdote e si portò a Costantinopoli, dove incontrò san Gregorio di Nazianzo. Nel 382 era a Roma e Papa Damaso lo scelse per segretario, gli consigliò di studiare la Sacra Scrittura e di rivedere la traduzione dei Vangeli e del Salterio. Allo studio unì la predicazione e la direzione spirituale. Dopo la morte del Papa, avvenuta nel 384, lasciò Roma e con Paola ed Eustochio, visitò la Palestina, l'Egitto e si stabilì a Betlemme nel 386. Paola costruì un monastero per lui e per i suoi compagni e un altro per sé e per le sue figlie. La sua vita fu da allora tutta conservata allo studio della Scrittura, alla traduzione dei Libri santi, alla direzione spirituale con Conferenze e Lettere. Morì nel 419 o nel 420, a 92 anni e il suo corpo è venerato a Roma, nella Chiesa di S. Maria Maggiore.
Il Santo.
Tu completi, o santo illustre, la brillante costellazione dei Dottori nel cielo della santa Chiesa. Già si annunzia l'aurora del giorno eterno e il Sole di giustizia apparirà presto sulla valle del giudizio. Modello di penitenza, insegnaci il timore, che preserva o ripara, guidaci nelle vie austere dell'espiazione. Monaco, storico di grandi monaci, padre di solitari, come te attirati a Betlemme dal profumo dell'Infanzia divina, mantieni lo spirito di lavoro e di preghiera nell'Ordine monastico in cui parecchie famiglie hanno preso da te il nome. Flagello degli eretici, stringici alla fede romana, zelatore del gregge, preservaci dai lupi e dai mercenari, vendicatore di Maria, ottieni che fiorisca sempre sulla terra la verginità.
Il Dottore.
La tua gloria o Girolamo, partecipa della gloria dell'Agnello. La chiave di Davide (Ap 3,7) ti fu data per aprire i sigilli molteplici delle Scritture e, sotto il velo delle parole, mostrarci Gesù. Oggi la Chiesa della terra canta le tue lodi per questo e per questo ti presenta ai suoi figli come l'interprete ufficiale del Libro ispirato, che la guida al suo destino. Gradisci, col suo omaggio, la nostra personale gratitudine. Per le tue preghiere, possa il Signore ridarci il rispetto e l'amore che la sua divina parola merita e, per i tuoi meriti, si moltiplichino attorno al sacro deposito i dotti e le loro sapienti ricerche. Ma tutti sappiano che, se si vuole capire Dio, lo si ascolta in ginocchio. Dio si accetta, non si discute anche se, nella interpretazione diversa che possono avere i suoi messaggi, è lecita la ricerca, sotto il controllo della Chiesa, per scoprire il vero; anche se è cosa lodevole scrutarne senza fine la profondità augusta. Beato chi ti segue in questo studio santo! L'hai detto tu: "Vivere in mezzo a tanti tesori, sprofondarsi in essi, non saper altro, non cercar altro, non è forse questo abitare già in cielo, mentre siamo ancora sulla terra? Impariamo nel tempo ciò che dovremo conoscere per l'eternità" (Lett. LIV, a Paolino).

[1] Hebraeam linguam, quam ego ab adolescentia multo labore ac sudore ex parte didici, et infatigabili meditatione non desero, ne ipse ab ea deserar (Lett. CVIII, l. XXVII, a Eustochio).
[2] Lett. CXXVII, l. XVI, a Principia. Et quia valde prudens erat, sic ad interrogata respondebat, ut etiam sua non sua diceret .... ne virili sexui, et interdum sacerdotibus de obscuris et ambiguis sciscitantibus, tacere videretur iniuriam.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1118-1124 
“Quando preghi tu parli allo sposo. 
 Quando leggi la Scrittura è Lui che ti parla”.

“Ignoratio Scripturarum, 
ignoratio Christi est”.

NOVE INVOCAZIONI ALL'ARCANGELO MICHELE


NOVE INVOCAZIONI
ALL'ARCANGELO MICHELE
 1. O Beato Michele, Preposto del Paradiso, la cui voce levò nei Cieli la prima lode di Dio, insegnateci la vera orazione, che è lode perenne della gloria di Dio.
 2. O Beato Michele, Messaggero della Santissima Trinità, insegnateci a seguirne con prontezza e abbandono le adorabili ispirazioni.
3. O Beato Michele, Principe delle Milizie Celesti, che nel presagio della Incarnazione apriste la lunga battaglia tra il Cielo e l'Inferno, insegnateci a condurre sulla terra quella stessa battaglia, per i meriti di Colui che s'incarnò per noi.

4. O Beato Michele, latore al sublime altare del Padre della Divina Vittima dei nostri altari, insegnatesi l'adorazione perfetta della Santissima Eucaristia.

5. O Beato Michele, Cavaliere della Santissima Vergine, insegnateci a portare sempre in cuore il nome e l'immagine della vostra Celeste Signora.

6. O Beato Michele, Patrono della Chiesa Cattolica, insegnateci a professarne con assoluta purezza l'irreformabile dottrina.

7. O Beato Michele, Diacono delle Liturgie Celesti, insegnateci a custodire e tramandare con fedelissimo amore le nostre sante liturgie terrestri, che ne sono lo specchio e la figura.

8. O Beato Michele, Custode delle anime dei Giusti, otteneteci dal Signore di addormentarci nel segno della fede confessata dai nostri padri e di essere suffragati con i riti della nostra mirabile tradizione.

9. O Beato Michele, Corifeo dei Nove Cori Angelici, consentiteci di unire sino da questa vita il nostro gaudio al loro gaudio senza fine, dicendo ad una voce: Sanctus, Sanctus, Sanctus, Dominus Deus Sabaoth, pleni sunt cæli et terra majestatis gloriæ tuæ,  hosanna in excelsis.
 REGINA ANGELORUM ORA PRO NOBIS

¡San Francisco de Asís: pídele a Jesús que lo amemos tan intensamente como lo lograste amar tú!




Santos y teología del corazón - San Francisco de Asís


Fundador de la Orden de los Frailes Menore (OFM),
conocidos como los franciscanos.
Por SCTJM

"Ninguna otra cosa hemos de hacer sino ser solícitos en seguir la voluntad de Dios y en agradarle en todas las cosas." San Francisco de Asís

Vida de San FranciscoNació en Asís (Italia), en el año 1182. Después de una juventud disipada en diversiones, se convirtió, renunció a los bienes paternos y se entregó de lleno a Dios. Abrazó la pobreza y vivió una vida evangélica, predicando a todos el amor de Dios. Dio a sus seguidores unas sabias normas, que luego fueron aprobadas por la Santa Sede. Fundó una Orden de frailes y su primera seguidora mujer, Santa Clara que funda las Clarisas, inspirada por El.

Un santo para todosCiertamente no existe ningún santo que sea tan popular como él, tanto entre católicos como entre los protestantes y aun entre los no cristianos. San Francisco de Asís cautivó la imaginación de sus contemporáneos presentándoles la pobreza, la castidad y la obediencia con la pureza y fuerza de un testimonio radical.
Llegó a ser conocido como el Pobre de Asís por su matrimonio con la pobreza, su amor por los pajarillos y toda la naturaleza. Todo ello refleja un alma en la que Dios lo era todo sin división, un alma que se nutría de las verdades de la fe católica y que se había entregado enteramente, no sólo a Cristo, sino a Cristo crucificado.

Nacimiento y vida familiar de un caballeroFrancisco nació en Asís, ciudad de Umbría, en el año 1182. Su padre, Pedro Bernardone, era comerciante. El nombre de su madre era Pica y algunos autores afirman que pertenecía a una noble familia de la Provenza. Tanto el padre como la madre de Francisco eran personas acomodadas.
Pedro Bernardone comerciaba especialmente en Francia. Como se hallase en dicho país cuando nació su hijo, la gente le apodó "Francesco" (el francés), por más que en el bautismo recibió el nombre de Juan.

En su juventud, Francisco era muy dado a las románticas tradiciones caballerescas que propagaban los trovadores. Disponía de dinero en abundancia y lo gastaba pródigamente, con ostentación. Ni los negocios de su padre, ni los estudios le interesaban mucho, sino el divertirse en cosas vanas que comúnmente se les llama "gozar de la vida". Sin embargo, no era de costumbres licenciosas y era muy generoso con los pobres que le pedían por amor de Dios.

Hallazgo de un tesoroCuando Francisco tenía unos 20, estalló la discordia entre las ciudades de Perugia y Asís, y en la guerra, el joven cayó prisionero de los peruginos. La prisión duró un año, y Francisco la soportó alegremente. Sin embargo, cuando recobró la libertad, cayó gravemente enfermo. La enfermedad, en la que el joven probó una vez más su paciencia, fortaleció y maduró su espíritu. Cuando se sintió con fuerzas suficientes, determinó ir a combatir en el ejército de Galterío y Briena, en el sur de Italia. Con ese fin, se compró una costosa armadura y un hermoso manto. Pero un día en que paseaba ataviado con su nuevo atuendo, se topó con un caballero mal vestido que había caído en la pobreza; movido a compasión ante aquel infortunio, Francisco cambió sus ricos vestidos por los del caballero pobre. Esa noche vio en sueños un espléndido palacio con salas colmadas de armas, sobre las cuales se hallaba grabado el signo de la cruz y le pareció oír una voz que le decía que esas armas le pertenecían a él y a sus soldados.

Francisco partió a Apulia con el alma ligera y la seguridad de triunfar, pero nunca llegó al frente de batalla. En Espoleto, ciudad del camino de Asís a Roma, cayó nuevamente enfermo y, durante la enfermedad, oyó una voz celestial que le exhortaba a "servir al amo y no al siervo". El joven obedeció. Al principio volvió a su antigua vida, aunque tomándola menos a la ligera. La gente, al verle ensimismado, le decían que estaba enamorado. "Sí", replicaba Francisco, "voy a casarme con una joven más bella y más noble que todas las que conocéis". Poco a poco, con mucha oración, fue concibiendo el deseo de vender todos sus bienes y comprar la perla preciosa de la que habla el Evangelio.

Aunque ignoraba lo que tenía que hacer para ello, una serie de claras inspiraciones sobrenaturales le hizo comprender que la batalla espiritual empieza por la mortificación y la victoria sobre los instintos. Paseándose en cierta ocasión a caballo por la llanura de Asís, encontró a un leproso. Las llagas del mendigo aterrorizaron a Francisco; pero, en vez de huir, se acercó al leproso, que le tendía la mano para recibir una limosna. Francisco comprendió que había llegado el momento de dar el paso al amor radical de Dios. A pesar de su repulsa natural a los leprosos, venció su voluntad, se le acercó y le dio un beso. Aquello cambió su vida. Fue un gesto movido por el Espíritu Santo, pidiéndole a Francisco una calidad de entrega, un "sí" que distingue a los santos de los mediocres.

San Buenaventura nos dice que después de este evento, Francisco frecuentaba lugares apartados donde se lamentaba y lloraba por sus pecados. Desahogando su alma fue escuchado por el Señor. Un día, mientras oraba, se le apareció Jesús crucificado. La memoria de la pasión del Señor se grabó en su corazón de tal forma, que cada vez que pensaba en ello, no podía contener sus lágrimas y sollozos.

"Francisco, repara mi Iglesia, pues ya ves que está en ruinas"A partir de entonces, comenzó a visitar y servir a los enfermos en los hospitales. Algunas veces regalaba a los pobres sus vestidos, otras, el dinero que llevaba. Les servía devotamente, porque el profeta Isaías nos dice que Cristo crucificado fue despreciado y tratado como un leproso. De este modo desarrollaba su espíritu de pobreza, su profundo sentido de humildad y su gran compasión. En cierta ocasión, mientras oraba en la iglesia de San Damián en las afueras de Asís, le pareció que el crucifijo le repetía tres veces: "Francisco, repara mi casa, pues ya ves que está en ruinas".

El santo, viendo que la iglesia se hallaba en muy mal estado, creyó que el Señor quería que la reparase; así pues, partió inmediatamente, tomó una buena cantidad de vestidos de la tienda de su padre y los vendió junto con su caballo. Enseguida llevó el dinero al pobre sacerdote que se encargaba de la iglesia de San Damián, y le pidió permiso de quedarse a vivir con él. El buen sacerdote consintió en que Francisco se quedase con él, pero se negó a aceptar el dinero. El joven lo depositó en el alféizar de la ventana. Pedro Bernardone, al enterarse de lo que había hecho su hijo, se dirigió indignado a San Damián. Pero Francisco había tenido buen cuidado de ocultarse.
Renuncia a la herencia de su padre Al cabo de algunos días pasados en oración y ayuno, Francisco volvió a entrar en la población, pero estaba tan desfigurado y mal vestido, que la gente se burlaba de él como si fuese un loco. Pedro Bernardone, muy desconcertado por la conducta de su hijo, le condujo a su casa, le golpeó furiosamente (Francisco tenía entonces 25 años), le puso grillos en los pies y le encerró en una habitación.

La madre de Francisco se encargó de ponerle en libertad cuando su marido se hallaba ausente y el joven retornó a San Damián. Su padre fue de nuevo a buscarle ahí, le golpeó en la cabeza y le conminó a volver inmediatamente a su casa o a renunciar a su herencia y pagarle el precio de los vestidos que le había tomado. Francisco no tuvo dificultad alguna en renunciar a la herencia, pero dijo a su padre que el dinero de los vestidos pertenecía a Dios y a los pobres.


Su padre le obligó a comparecer ante el obispo Guido de Asís, quien exhortó al joven a devolver el dinero y a tener confianza en Dios: "Dios no desea que su Iglesia goce de bienes injustamente adquiridos". Francisco obedeció a la letra la orden del obispo y añadió: "Los vestidos que llevo puestos pertenecen también a mi padre, de suerte que tengo que devolvérselos". Acto seguido se desnudó y entregó sus vestidos a su padre, diciéndole alegremente: "Hasta ahora tú has sido mi padre en la tierra. Pero en adelante podré decir: “Padre nuestro, que estás en los cielos”.' Pedro Bernardone abandonó el palacio episcopal "temblando de indignación y profundamente lastimado".

El Obispo regaló a Francisco un viejo vestido de labrador, que pertenecía a uno de sus siervos. Francisco recibió la primera limosna de su vida con gran agradecimiento, trazó la señal de la cruz sobre el vestido con un trozo de tiza y se lo puso.

Llamado a la renuncia y a la negaciónEnseguida, partió en busca de un sitio conveniente para establecerse. Iba cantando alegremente las alabanzas divinas por el camino real, cuando se topó con unos bandoleros que le preguntaron quién era. El respondió: "Soy el heraldo del Gran Rey". Los bandoleros le golpearon y le arrojaron en un foso cubierto de nieve. Francisco prosiguió su camino cantando las divinas alabanzas. En un monasterio obtuvo limosna y trabajo como si fuese un mendigo. Cuando llegó a Gubbio, una persona que le conocía le llevó a su casa y le regaló una túnica, un cinturón y unas sandalias de peregrino. Francisco los usó dos años, al cabo de los cuales volvió a San Damián.
Para reparar la iglesia, fue a pedir limosna en Asís, donde todos le habían conocido rico y, naturalmente, hubo de soportar las burlas y el desprecio de más de un mal intencionado. El mismo se encargó de transportar las piedras que hacían falta para reparar la iglesia y ayudó en el trabajo a los albañiles. Una vez terminadas las reparaciones en la iglesia de San Damián, Francisco emprendió un trabajo semejante en la antigua iglesia de San Pedro. Después, se trasladó a una capillita llamada Porciúncula, que pertenecía a la abadía benedictina de Monte Subasio. Probablemente el nombre de la capillita aludía al hecho de que estaba construida en una reducida parcela de tierra.

La Porciúncula se hallaba en una llanura, a unos cuatro kilómetros de Asís y, en aquella época, estaba abandonada y casi en ruinas. La tranquilidad del sitio agradó a Francisco tanto como el título de Nuestra Señora de los Ángeles, en cuyo honor había sido erigida la capilla.

Francisco la reparó y fijó en ella su residencia. Ahí le mostró finalmente el cielo lo que esperaba de él, el día de la fiesta de San Matías del año 1209.
En aquella época, el evangelio de la misa de la fiesta decía: "Id a predicar, diciendo: El Reino de Dios ha llegado... Dad gratuitamente lo que habéis recibido gratuitamente... No poseáis oro ... ni dos túnicas, ni sandalias, ni báculo ...He aquí que os envío como corderos en medio de los lobos..." (Mat.10 , 7-19). Estas palabras penetraron hasta lo más profundo en el corazón de Francisco y éste, aplicándolas literalmente, regaló sus sandalias, su báculo y su cinturón y se quedó solamente con la pobre túnica ceñida con un cordón. Tal fue el hábito que dio a sus hermanos un año más tarde: la túnica de lana burda de los pastores y campesinos de la región. Vestido en esa forma, empezó a exhortar a la penitencia con tal energía, que sus palabras hendían los corazones de sus oyentes. Cuando se topaba con alguien en el camino, le saludaba con estas palabras: "La paz del Señor sea contigo".

Dones extraordinariosDios le había concedido ya el don de profecía y el don de milagros. Cuando pedía limosna para reparar la iglesia de San Damián, acostumbraba decir: "Ayudadme a terminar esta iglesia. Un día habrá ahí un convento de religiosas en cuyo buen nombre se glorificarán el Señor y la universal Iglesia". La profecía se verificó cinco años más tarde en Santa Clara y sus religiosas. Un habitante de Espoleto sufría de un cáncer que le había desfigurado horriblemente el rostro. En cierta ocasión, al cruzarse con San Francisco, el hombre intentó arrojarse a sus pies, pero el santo se lo impidió y le besó en el rostro. El enfermo quedó instantáneamente curado. San Buenaventura comentaba a este propósito: "No sé si hay que admirar más el beso o el milagro".

Nueva orden religiosa y visita al PapaFrancisco tuvo pronto numerosos seguidores y algunos querían hacerse discípulos suyos. El primer discípulo fue Bernardo de Quintavalle, un rico comerciante de Asís. Al principio Bernardo veía con curiosidad la evolución de Francisco y con frecuencia le invitaba a su casa, donde le tenía siempre preparado un lecho próximo al suyo. Bernardo se fingía dormido para observar cómo el siervo de Dios se levantaba calladamente y pasaba largo tiempo en oración, repitiendo estas palabras: "Deus meus et omnia" (Mi Dios y mi todo). Al fin, comprendió que Francisco era "verdaderamente un hombre de Dios" y enseguida le suplicó que le admitiese corno discípulo.


Desde entonces, juntos asistían a misa y estudiaban la Sagrada Escritura para conocer la voluntad de Dios. Como las indicaciones de la Biblia concordaban con sus propósitos, Bernardo vendió cuanto tenía y repartió el producto entre los pobres.
Pedro de Cattaneo, canónigo de la catedral de Asís, pidió también a Francisco que le admitiese como discípulo y el santo les "concedió el hábito" a los dos juntos, el 16 de abril de 1209. El tercer compañero de San Francisco fue el hermano Gil, famoso por su gran sencillez y sabiduría espiritual.

En 1210, cuando el grupo contaba ya con 12 miembros, Francisco redactó una regla breve e informal que consistía principalmente en los consejos evangélicos para alcanzar la perfección. Con ella se fueron a Roma a presentarla para aprobación del Sumo Pontífice. Viajaron a pie, cantando y rezando, llenos de felicidad, y viviendo de las limosnas que la gente les daba.

En Roma no querían aprobar esta comunidad porque les parecía demasiado rígida en cuanto a pobreza, pero al fin un Cardenal dijo: "No les podemos prohibir que vivan como lo mandó Cristo en el Evangelio". Recibieron la aprobación, y se volvieron a Asís a vivir en pobreza, en oración, en santa alegría y gran fraternidad, junto a la iglesia de la Porciúncula. Inocencio III se mostró adverso al principio. Por otra parte, muchos cardenales opinaban que las órdenes religiosas ya existentes necesitaban de reforma, no de multiplicación y que la nueva manera de concebir la pobreza era impracticable.

El cardenal Juan Colonna alegó en favor de Francisco que su regla expresaba los mismos consejos con que el Evangelio exhortaba a la perfección. Más tarde, el Papa relató a su sobrino, quien a su vez lo comunicó a San Buenaventura, que había visto en sueños una palmera que crecía rápidamente y después, había visto a Francisco sosteniendo con su cuerpo la basílica de Letrán que estaba a punto de derrumbarse. Cinco años después, el mismo Pontífice tendría un sueño semejante a propósito de Santo Domingo. Inocencio III mandó, pues, llamar a Francisco y aprobó verbalmente su regla; enseguida le impuso la tonsura, así como a sus compañeros y les dio por misión predicar la penitencia.

La PorciúnculaSan Francisco y sus compañeros se trasladaron provisionalmente a una cabaña de Rivo Torto, en las afueras de Asís, de donde salían a predicar por toda la región. Poco después, tuvieron dificultades con un campesino que reclamaba la cabaña para emplearla como establo de su asno. Francisco respondió: "Dios no nos ha llamado a preparar establos para los asnos", y acto seguido abandonó el lugar y partió a ver al abad de Monte Subasio. En 1212, el abad regaló a Francisco la capilla de la Porciúncula, a condición de que la conservase siempre como la iglesia principal de la nueva orden. El santo se negó a aceptar la propiedad de la capillita y sólo la admitió prestada. En prueba de que la Porciúncula continuaba como propiedad de los benedictinos, Francisco les enviaba cada año, a manera de recompensa por el préstamo, una cesta de pescados cogidos en el riachuelo vecino.

Por su parte, los benedictinos correspondían enviándole un tonel de aceite. Tal costumbre existe todavía entre los franciscanos de Santa María de los Ángeles y los benedictinos de San Pedro de Asís.
Alrededor de la Porciúncula, los frailes construyeron varias cabañas primitivas, porque San Francisco no permitía que la orden en general y los conventos en particular, poseyesen bienes temporales. Había hecho de la pobreza el fundamento de su orden y su amor a la pobreza se manifestaba en su manera de vestirse, en los utensilios que empleaba y en cada uno de sus actos. Acostumbraba llamar a su cuerpo "el hermano asno", porque lo consideraba como hecho para transportar carga, para recibir golpes y para comer poco y mal. Cuando veía ocioso a algún fraile, le llamaba "hermano mosca", porque en vez de cooperar con los demás echaba a perder el trabajo de los otros y les resultaba molesto.

Poco antes de morir, considerando que el hombre está obligado a tratar con caridad a su cuerpo, Francisco pidió perdón al suyo por haberlo tratado tal vez con demasiado rigor. El santo se había opuesto siempre a las austeridades indiscretas y exageradas. En cierta ocasión, viendo que un fraile había perdido el sueño a causa del excesivo ayuno, Francisco le llevó alimento y comió con él para que se sintiese menos mortificado.

Somete la carne a las espinas; Dios le otorga sabiduríaAl principio de su conversión, viéndose atacado por violentas tentaciones de impureza, solía revolcarse desnudo sobre la nieve. Cierta vez en que la tentación fue todavía más violenta que de ordinario, el santo se disciplinó furiosamente; como ello no bastase para alejarla, acabó por revolcarse sobre las zarzas y los abrojos.
Su humildad no consistía simplemente en un desprecio sentimental de sí mismo, sino en la convicción de que "ante los ojos de Dios el hombre vale por lo que es y no más". Considerándose indigno del sacerdocio, Francisco sólo llegó a recibir el diaconado. Detestaba de todo corazón las singularidades. Así cuando le contaron que uno de los frailes era tan amante del silencio que sólo se confesaba por señas, respondió disgustado: "Eso no procede del espíritu de Dios sino del demonio; es una tentación y no un acto de virtud." Dios iluminaba la inteligencia de su siervo con una luz de sabiduría que no se encuentra en los libros. Cuando cierto fraile le pidió permiso para estudiar, Francisco le contestó que si repetía con devoción el "Gloria Patri", llegaría a ser sabio a los ojos de Dios y él mismo era el mejor ejemplo de la sabiduría adquirida en esa forma.

Sobre la pobreza de espíritu, Francisco decía: "Hay muchos que tienen por costumbre multiplicar plegarias y prácticas devotas, afligiendo sus cuerpos con numerosos ayunos y abstinencias; pero con una sola palabrita que les suena injuriosa a su persona o por cualquier cosa que se les quita, enseguida se ofenden e irritan. Estos no son pobres de espíritu, porque el que es verdaderamente pobre de espíritu, se aborrece a sí mismo y ama a los que le golpean en la mejilla".

La NaturalezaSus contemporáneos hablan con frecuencia del cariño de Francisco por los animales y del poder que tenía sobre ellos. Por ejemplo, es famosa la reprensión que dirigió a las golondrinas cuando iba a predicar en Alviano: "Hermanas golondrinas: ahora me toca hablar a mí; vosotras ya habéis parloteado bastante". Famosas también son las anécdotas de los pajarillos que venían a escucharle cuando cantaba las grandezas del Creador, del conejillo que no quería separarse de él en el Lago Trasimeno y del lobo de Gubbio amansado por el santo. Algunos autores consideran tales anécdotas como simples alegorías, en tanto que otros les atribuyen valor histórico.

Aventura de amor con DiosLos primeros años de la orden en Santa María de los Ángeles fueron un período de entrenamiento en la pobreza y la caridad fraternas. Los frailes trabajaban en sus oficios y en los campos vecinos para ganarse el pan de cada día. Cuando no había trabajo suficiente, solían pedir limosna de puerta en puerta; pero el fundador les había prohibido que aceptasen dinero. Estaban siempre prontos a servir a todo el mundo, particularmente a los leprosos y menesterosos.
San Francisco insistía en que llamasen a los leprosos "mis hermanos cristianos" y los enfermos no dejaban de apreciar esta profunda delicadeza. Les decía a los frailes: ¨Todos los hermanos procuren ejercitarse en buenas obras, porque está escrito: 'Haz siempre algo bueno para que el diablo te encuentre ocupado'. Y también, 'La ociosidad es enemiga del alma'. Por eso los siervos de Dios deben dedicarse continuamente a la oración o a alguna buena actividad.¨
El número de los compañeros del santo continuaba en aumento, entre ellos se contaba el famoso "juglar de Dios", fray Junípero; a causa de la sencillez del hermanito Francisco solía repetir: "Quisiera tener todo un bosque de tales juníperos". En cierta ocasión en que el pueblo de Roma se había reunido para recibir a fray Junípero, sus compañeros le hallaron jugando apaciblemente con los niños fuera de las murallas de la ciudad. Santa Clara acostumbraba llamarle "el juguete de Dios".

Santa Clara Clara había partido de Asís para seguir a Francisco, en la primavera de 1212, después de oírle predicar. El santo consiguió establecer a Clara y sus compañeras en San Damián, y la comunidad de religiosas llegó pronto a ser, para los franciscanos, lo que las monjas de Prouille habían de ser para los dominicos: una muralla de fuerza femenina, un vergel escondido de oración que hacía fecundo el trabajo de los frailes.
Evangeliza a los mahometanos
En el otoño de ese año, Francisco, no contento con todo lo que había sufrido y trabajado por las almas en Italia, resolvió ir a evangelizar a los mahometanos. Así pues, se embarcó en Ancona con un compañero rumbo a Siria; pero una tempestad hizo naufragar la nave en la costa de Dalmacia. Como los frailes no tenían dinero para proseguir el viaje, se vieron obligados a esconderse furtivamente en un navío para volver a Ancona. Después de predicar un año en el centro de Italia (el señor de Chiusi puso entonces a la disposición de los frailes un sitio de retiro en Monte Alvernia, en los Apeninos de Toscana), San Francisco decidió partir nuevamente a predicar a los mahometanos en Marruecos. Pero Dios tenía dispuesto que no llegase nunca a su destino: el santo cayó enfermo en España y, después, tuvo que retornar a Italia. Ahí se consagró apasionadamente a predicar el Evangelio a los cristianos.

La humildad y obedienciaSan Francisco dio a su orden el nombre de "Frailes Menores" por humildad, pues quería que sus hermanos fuesen los siervos de todos y buscasen siempre los sitios más humildes. Con frecuencia exhortaba a sus compañeros al trabajo manual y, si bien les permitía pedir limosna, les tenía prohibido que aceptasen dinero. Pedir limosna no constituía para él una vergüenza, ya que era una manera de imitar la pobreza de Cristo. Sobre la excelsa virtud de la humildad, decía: "Bienaventurado el siervo a quien lo encuentran en medio de sus inferiores con la misma humildad que si estuviera en medio de sus superiores. Bienaventurado el siervo que siempre permanece bajo la vara de la corrección. Es siervo fiel y prudente el que, por cada culpa que comete, se apresura a expiarlas: interiormente, por la contrición y exteriormente por la confesión y la satisfacción de obra". El santo no permitía que sus hermanos predicasen en una diócesis sin permiso expreso del Obispo. Entre otras cosas, dispuso que "si alguno de los frailes se apartaba de la fe católica en obras o palabras y no se corregía, debería ser expulsado de la hermandad". Todas las ciudades querían tener el privilegio de albergar a los nuevos frailes, y las comunidades se multiplicaron en Umbría, Toscana, Lombardia y Ancona.

Crece la ordenSe cuenta que en 1216, Francisco solicitó del Papa Honorio III la indulgencia de la Porciúncula o "perdón de Asís". El año siguiente, conoció en Roma a Santo Domingo, quien había predicado la fe y la penitencia en el sur de Francia en la época en que Francisco era "un gentilhombre de Asís". San Francisco tenía también la intención de ir a predicar en Francia. Pero, como el cardenal Ugolino (quien fue más tarde Papa con el nombre de Gregorio IX) le disuadiese de ello, envió en su lugar a los hermanos Pacífico y Agnelo. Este último había de introducir más tarde la Orden de los frailes menores en Inglaterra. El sabio y bondadoso cardenal Ugolino ejerció una gran influencia en el desarrollo de la Orden. Los compañeros de San Francisco eran ya tan numerosos, que se imponía forzosamente cierta forma de organización sistemática y de disciplina común. Así pues, se procedió a dividir a la Orden en provincias, al frente de cada una de las cuales se puso a un ministro, "encargado del bien espiritual de los hermanos; si alguno de ellos llegaba a perderse por el mal ejemplo del ministro, éste tendría que responder de él ante Jesucristo". Los frailes habían cruzado ya los Alpes y tenían misiones en España, Alemania y Hungría.

El primer capítulo general se reunió, en la Porciúncula, en Pentecostés del año de 1217. En 1219, tuvo lugar el capítulo "de las esteras", así llamado por las cabañas que debieron construirse precipitadamente con esteras para albergar a los delegados. Se cuenta que se reunieron entonces cinco mil frailes. Nada tiene de extraño que en una comunidad tan numerosa, el espíritu del fundador se hubiese diluido un tanto. Los delegados encontraban que San Francisco se entregaba excesivamente a la aventura y exigían un espíritu más práctico. Es que así les parecía lo que en realidad era una gran confianza en Dios.


El santo se indignó profundamente y replicó: "Hermanos míos, el Señor me llamó por el camino de la sencillez y la humildad y por ese camino persiste en conducirme, no sólo a mí sino a todos los que estén dispuestos a seguirme... El Señor me dijo que deberíamos ser pobres y locos en este mundo y que ése y no otro sería el camino por el que nos llevaría. Quiera Dios confundir vuestra sabiduría y vuestra ciencia y haceros volver a vuestra primitiva vocación, aunque sea contra vuestra voluntad y aunque la encontréis tan defectuosa".
Francisco les insistía en que amaran muchísimo a Jesucristo y a la Santa Iglesia Católica, y que vivieran con el mayor desprendimiento posible hacia los bienes materiales, y no se cansaba de recomendarles que cumplieran lo más exactamente posible todo lo que manda el Santo Evangelio.

El mayor privilegio: no gozar de privilegio algunoRecorría campos y pueblos invitando a la gente a amar más a Jesucristo, y repetía siempre: 'El Amor no es amado". La gente le escuchaba con especial cariño y se admiraba de lo mucho que sus palabras influían en los corazones para entusiasmarlos por Cristo y su Verdad. Sus palabras eran reflejo de su vida en imitación a Jesús, decía:
"El que ama verdaderamente a su enemigo no se apena de las injurias que éste le provoca, sino que sufre por amor de Dios a causa del pecado que arrastra el alma que lo ofendió. Y le manifiesta su amor con obras".

A quienes le propusieron que pidiese al Papa permiso para que los frailes pudiesen predicar en todas partes sin autorización del obispo, Francisco repuso: "Cuando los obispos vean que vivís santamente y que no tenéis intenciones de atentar contra su autoridad, serán los primeros en rogaros que trabajéis por el bien de las almas que les han sido confiadas. Considerad como el mayor de los privilegios el no gozar de privilegio alguno..." Al terminar el capítulo, San Francisco envió a algunos frailes a la primera misión entre los infieles de Túnez y Marruecos, y se reservó para sí la misión entre los sarracenos de Egipto y Siria. En 1215, durante el Concilio de Letrán, el Papa Inocencio III había predicado una nueva cruzada, pero tal cruzada se había reducido simplemente a reforzar el Reino Latino de oriente. Francisco quería blandir la espada de Dios.
San Francisco se fue a Tierra Santa a visitar en devota peregrinación los Santos Lugares donde Jesús nació, vivió y murió: Belén, Nazaret, Jerusalén, etc. En recuerdo de esta piadosa visita suya, los franciscanos están encargados desde hace siglos de custodiar los Santos Lugares de Tierra Santa.

Misionero ante el SultánEn junio de 1219, se embarcó en Ancona con 12 frailes. La nave los condujo a Damieta, en la desembocadura del Nilo. Los cruzados habían puesto sitio a la ciudad, y Francisco sufrió mucho al ver el egoísmo y las costumbres disolutas de los soldados de la cruz. Consumido por el celo de la salvación de los sarracenos, decidió pasar al campo del enemigo, por más que los cruzados le dijeron que la cabeza de los cristianos estaba puesta a precio. Habiendo conseguido la autorización del delegado pontificio, Francisco y el hermano Iluminado se aproximaron al campo enemigo, gritando: "¡Sultán, Sultán!". Cuando los condujeron a la presencia de Malek-al-Kamil, Francisco declaró osadamente: "No son los hombres quienes me han enviado, sino Dios todopoderoso.

Vengo a mostrarles, a ti y a tu pueblo, el camino de la salvación; vengo a anunciarles las verdades del Evangelio". El Sultán quedó impresionado y rogó a Francisco que permaneciese con él. El santo replicó: "Si tú y tu pueblo estáis dispuestos a oír la palabra de Dios, con gusto me quedaré con vosotros. Y si todavía vaciláis entre Cristo y Mahoma, manda encender una hoguera; yo entraré en ella con vuestros sacerdotes y así veréis cuál es la verdadera fe". El Sultán contestó que probablemente ninguno de los sacerdotes querría meterse en la hoguera y que no podía someterlos a esa prueba para no soliviantar al pueblo.
Cuentan que el Sultán llegó a decir: "Si todos los cristianos fueran como él, entonces valdría la pena ser cristiano". Pero el Sultán, Malek-al-Kamil, mandó a Francisco que volviese al campo de los cristianos. Desalentado al ver el reducido éxito de su predicación entre los sarracenos y entre los cristianos, el Santo pasó a visitar los Santos Lugares. Ahí recibió una carta en la que sus hermanos le pedían urgentemente que retornase a Italia.

La crisis del acomodamiento lleva a clarificar la reglaDurante la ausencia de Francisco, sus dos vicarios, Mateo de Narni y Gregorio de Nápoles, habían introducido ciertas innovaciones que tendían a uniformar a los frailes menores con las otras órdenes religiosas y a encuadrar el espíritu franciscano en el rígido esquema de la observancia monástica y de las reglas ascéticas. Las religiosas de San Damián tenían ya una constitución propia, redactada por el cardenal Ugolino sobre la base de la regla de San Benito. Al llegar a Bolonia, Francisco tuvo la desagradable sorpresa de encontrar a sus hermanos hospedados en un espléndido convento. El Santo se negó a poner los pies en él y vivió con los frailes predicadores. Enseguida mandó llamar al guardián del convento franciscano, le reprendió severamente y le ordenó que los frailes abandonasen la casa.

Tales acontecimientos tenían a los ojos del Santo las proporciones de una verdadera traición: se trataba de una crisis de la que tendría que salir la Orden sublimada o destruida. San Francisco se trasladó a Roma donde consiguió que Honorio III nombrase al cardenal Ugolino protector y consejero de los franciscanos, ya que el purpurado había depositado una fe ciega en el fundador y poseía una gran experiencia en los asuntos de la Iglesia. Al mismo tiempo, Francisco se entregó ardientemente a la tarea de revisar la regla, para lo que convocó a un nuevo capítulo general que se reunió en la Porciúncula en 1221. El Santo presentó a los delegados la regla revisada. Lo que se refería a la pobreza, la humildad y la libertad evangélica, características de la Orden, quedaba intacto. Ello constituía una especie de reto del fundador a los disidentes y legalistas que, por debajo del agua, tramaban una verdadera revolución del espíritu franciscano. El jefe de la oposición era el hermano Elías de Cortona. El fundador había renunciado a la dirección de la Orden, de suerte que su vicario, fray Elías, era prácticamente el ministro general. Sin embargo, no se atrevió a oponerse al fundador, a quien respetaba sinceramente. En realidad, la Orden era ya demasiado grande, como lo dijo el propio San Francisco: "Si hubiese menos frailes menores, el mundo los vería menos y desearía que fuesen más."

Al cabo de dos años, durante los cuales hubo de luchar contra la corriente cada vez más fuerte que tendía a desarrollar la orden en una dirección que él no había previsto y que le parecía comprometer el espíritu franciscano, el Santo emprendió una nueva revisión de la regla. Después la comunicó al hermano Elías para que éste la pasase a los ministros, pero el documento se extravió y el Santo hubo de dictar nuevamente la revisión al hermano León, en medio del clamor de los frailes que afirmaban que la prohibición de poseer bienes en común era impracticable.

La regla, tal como fue aprobada por Honorio III en 1223, representaba sustancialmente el espíritu y el modo de vida por el que había luchado San Francisco desde el momento en que se despojó de sus ricos vestidos ante el obispo de Asís.
La Tercera OrdenUnos dos años antes, San Francisco y el cardenal Ugolino habían redactado una regla para la cofradía de laicos que se habían asociado a los frailes menores y que correspondía a lo que actualmente llamamos Tercera Orden, fincada en el espíritu de la "Carta a todos los cristianos", que Francisco había escrito en los primeros años de su conversión. La cofradía, formada por laicos entregados a la penitencia, que llevaban una vida muy diferente de la que se acostumbraba entonces, llegó a ser una gran fuerza religiosa en la Edad Media. En el derecho canónico actual, los terciarios de las diversas órdenes gozan todavía de un estatuto específicamente diferente del de los miembros de las cofradías y congregaciones marianas.

La representación del Nacimiento de JesúsSan Francisco pasó la Navidad de 1223 en Grecehio, en el valle de Rieti. Con tal ocasión, había dicho a su amigo, Juan da Vellita: "Quisiera hacer una especie de representación viviente del nacimiento de Jesús en Belén, para presenciar, por decirlo así, con los ojos del cuerpo la humildad de la Encarnación y verle recostado en el pesebre entre el buey y el asno". En efecto, el Santo construyó entonces en la ermita una especie de cueva y los campesinos de los alrededores asistieron a la misa de medianoche, en la que Francisco actuó como diácono y predicó sobre el misterio de la Natividad.
Se le atribuye haber comenzado en aquella ocasión la tradición del "belén" o "nacimiento". Nos dice Tomás Celano en su biografía del Santo: "La Encarnación era un componente clave en la espiritualidad de Francisco. Quería celebrar la Encarnación en forma especial. Quería hacer algo que ayudase a la gente a recordar al Cristo Niño y cómo nació en Belén".

San Francisco permaneció varios meses en el retiro de Grecehio, consagrado a la oración, pero ocultó celosamente a los ojos de los hombres las gracias especialísimas que Dios le comunicó en la contemplación. El hermano León, que era su secretario y confesor, afirmó que le había visto varias veces durante la oración elevarse tan alto sobre el suelo, que apenas podía alcanzarle los pies y, en ciertas ocasiones, ni siquiera eso.

Los EstigmasAlrededor de la fiesta de la Asunción de 1224, el Santo se retiró a Monte Alvernia y se construyó ahí una pequeña celda. Llevó consigo al hermano León, pero prohibió que fuese alguien a visitarle hasta después de la fiesta de San Miguel. Ahí fue donde tuvo lugar, alrededor del día de la Santa Cruz de 1224, el milagro de los estigmas, del que hablamos el 17 de septiembre. Francisco trató de ocultar a los ojos de los hombres las señales de la Pasión del Señor que tenía impresas en el cuerpo; por ello, a partir de entonces llevaba siempre las manos dentro de las mangas del hábito y usaba medias y zapatos.

Sin embargo, deseando el consejo de sus hermanos, comunicó lo sucedido al hermano Iluminado y a algunos otros, pero añadió que le habían sido reveladas ciertas cosas que jamás descubriría a hombre alguno sobre la tierra.

En cierta ocasión en que se hallaba enfermo, alguien propuso que se le leyese un libro para distraerle. El Santo respondió: "Nada me consuela tanto como la contemplación de la vida y Pasión del Señor. Aunque hubiese de vivir hasta el fin del mundo, con ese solo libro me bastaría". Francisco se había enamorado de la santa pobreza, mientras contemplaba a Cristo crucificado y meditaba en la nueva crucifixión que sufría en la persona de los pobres.

El santo no despreciaba la ciencia, pero no la deseaba para sus discípulos. Los estudios sólo tenían razón de ser como medios para un fin y sólo podían aprovechar a los frailes menores, si no les impedían consagrar a la oración un tiempo todavía más largo y si les enseñaban más bien, a predicarse a sí mismos que a hablar a otros. Francisco aborrecía los estudios que alimentaban más la vanidad que la piedad, porque entibiaban la caridad y secaban el corazón. Sobre todo, temía que la señora Ciencia se convirtiese en rival de la dama Pobreza. Viendo con cuánta ansiedad acudían a las escuelas y buscaban los libros sus hermanos, Francisco exclamó en cierta ocasión: "Impulsados por el mal espíritu, mis pobres hermanos acabarán por abandonar el camino de la sencillez y de la pobreza".

En sus escritos, esto es lo que el Santo nos dejó dicho sobre la vigilancia del corazón: “Cuidémonos mucho de la malicia y astucia de Satanás, el cual quiere que el hombre no tenga su mente y su corazón dirigidos a Dios. Y anda dando vueltas buscando adueñarse del corazón del hombre y, bajo la apariencia de alguna recompensa o ayuda, ahogar en su memoria la palabra y los preceptos del Señor, e intenta cegar el corazón del hombre mediante las actividades y preocupaciones mundanas, y fijar allí su morada”.

Antes de salir de Monte Alvernia, el Santo compuso el "Himno de alabanza al Altísimo". Poco después de la fiesta de San Miguel bajó finalmente al valle, marcado por los estigmas de la Pasión y curó a los enfermos que le salieron al paso.

La hermana MuerteLas calientísimas arenas del desierto de Egipto afectaron la vista de Francisco hasta el punto de estar casi completamente ciego. Los dos últimos años de la vida de Francisco fueron de grandes sufrimientos que parecía que la copa se había llenado y rebalsado. Fuertes dolores debido al deterioro de muchos de sus órganos (estómago, hígado y el bazo), consecuencias de la malaria contraida en Egipto. En los más terribles dolores, Francisco ofrecía a Dios todo como penitencia, pues se consideraba gran pecador y para la salvación de las almas. Era durante su enfermedad y dolor donde sentía la mayor necesidad de cantar.

Su salud iba empeorando, los estigmas le hacían sufrir y le debilitaban, y casi había perdido la vista. En el verano de 1225 estuvo tan enfermo, que el cardenal Ugolino y el hermano Elías le obligaron a ponerse en manos del médico del Papa en Rieti. El Santo obedeció con sencillez. De camino a Rieti fue a visitar a Santa Clara en el convento de San Damián. Ahí, en medio de los más agudos sufrimientos físicos, escribió el "Cántico del hermano Sol" y lo adaptó a una tonada popular para que sus hermanos pudiesen cantarlo.

Después se trasladó a Monte Rainerio, donde se sometió al tratamiento brutal que el médico le había prescrito, pero la mejoría que ello le produjo fue sólo momentánea. Sus hermanos le llevaron entonces a Siena a consultar a otros médicos, pero para entonces el Santo estaba moribundo. En el testamento que dictó para sus frailes, les recomendaba la caridad fraterna, los exhortaba a amar y observar la santa pobreza, y a amar y honrar a la Iglesia. Poco antes de su muerte, dictó un nuevo testamento para recomendar a sus hermanos que observasen fielmente la regla y trabajasen manualmente, no por el deseo de lucro, sino para evitar la ociosidad y dar buen ejemplo. "Si no nos pagan nuestro trabajo, acudamos a la mesa del Señor, pidiendo limosna de puerta en puerta".

Cuando Francisco volvió a Asís, el Obispo le hospedó en su propia casa. Francisco rogó a los médicos que le dijesen la verdad, y éstos confesaron que sólo le quedaban unas cuantas semanas de vida. "¡Bienvenida, hermana Muerte!", exclamó el Santo y acto seguido, pidió que le trasportasen a la Porciúncula. Por el camino, cuando la comitiva se hallaba en la cumbre de una colina, desde la que se dominaba el panorama de Asís, pidió a los que portaban la camilla que se detuviesen un momento y entonces volvió sus ojos ciegos en dirección a la ciudad e imploró las bendiciones de Dios para ella y sus habitantes.

Después mandó a los camilleros que se apresurasen a llevarle a la Porciúncula. Cuando sintió que la muerte se aproximaba, Francisco envió a un mensajero a Roma para llamar a la noble dama Giacoma di Settesoli, que había sido su protectora, para rogarle que trajese consigo algunos cirios y un sayal para amortajarle, así como una porción de un pastel que le gustaba mucho.


Felizmente, la dama llegó a la Porciúncula antes de que el mensajero partiese. Francisco exclamó: "¡Bendito sea Dios que nos ha enviado a nuestra hermana Giacoma! La regla que prohibe la entrada a las mujeres no afecta a nuestra hermana Giacoma. Decidle que entre".
El Santo envió un último mensaje a Santa Clara y a sus religiosas, y pidió a sus hermanos que entonasen los versos del "Cántico del Sol" en los que alaba a la muerte. Enseguida rogó que le trajesen un pan y lo repartió entre los presentes en señal de paz y de amor fraternal diciendo: "Yo he hecho cuanto estaba de mi parte, que Cristo os enseñe a hacer lo que está de la vuestra”. Sus hermanos le tendieron por tierra y le cubrieron con un viejo hábito. Francisco exhortó a sus hermanos al amor de Dios, de la pobreza y del Evangelio, "por encima de todas las reglas", y bendijo a todos sus discípulos, tanto a los presentes como a los ausentes.
Murió el 3 de octubre de 1226, después de escuchar la lectura de la Pasión del Señor según San Juan. Francisco había pedido que le sepultasen en el cementerio de los criminales de Colle d'lnferno. En vez de hacerlo así, sus hermanos llevaron al día siguiente el cadáver en solemne procesión a la iglesia de San Jorge, en Asís. Ahí estuvo depositado hasta dos años después de la canonización. En 1230, fue secretamente trasladado a la gran basílica construida por el hermano Elías.

El cadáver desapareció de la vista de los hombres durante seis siglos, hasta que en 1818, tras 52 días de búsqueda, fue descubierto bajo el altar mayor, a varios metros de profundidad. El Santo no tenía más que 44 o 45 años al morir. No podemos relatar aquí ni siquiera en resumen, la azarosa y brillante historia de la Orden que fundó. Digamos simplemente que sus tres ramas: la de los frailes menores, la de los frailes menores capuchinos y la de los frailes menores conventuales forman el instituto religioso más numeroso que existe actualmente en la Iglesia. Y, según la opinión del historiador David Knowles, al fundar ese instituto, San Francisco "contribuyó más que nadie a salvar a la Iglesia de la decadencia y el desorden en que había caído durante la Edad Media".

¡San Francisco de Asís: pídele a Jesús que lo amemos tan intensamente como lo lograste amar tú!


La Porciúncula, en la Basílica de Nuestra Señora de los ÁngelesLa Porciúncula es un pueblo y a la misma vez una iglesia localizada aproximadamente a tres-cuartos de milla de la ciudad de Asís en Italia. El pueblo ha progresado alrededor de la Basílica de Nuestra Señora de los Ángeles. Fue precisamente en esta Basílica que San Francisco de Asís recibió su vocación en el año 1208. San Francisco vivió la mayor parte de su vida en este lugar. En el año 1211, San Francisco logró una estadía permanente en este pueblo cerca de Asís, gracias a la generosidad de los Benedictinos, los cuales le donaron la pequeña capilla de Santa María de los Ángeles o la Porciúncula, considerada como “una pequeña parte” de esas tierras.

Un día mientras San Francisco estaba arrodillado en la capilla de San Damián, sintió que Cristo le habló desde el crucifijo y le dijo: “Reconstruye mi Iglesia que esta en ruinas.” El se tomó estas palabras literalmente y empezó a reconstruir varias Iglesias. No fue hasta un tiempo después que San Francisco comprendió que el mensaje principal de Cristo era que construyera y fortaleciera espiritualmente la Iglesia de Cristo. Así fue que el Santo comenzó a trabajar en la restauración de las iglesias de San Damián, San Pedro Della Spina y Santa Maria de los Ángeles o de la Porciúncula.

Al lado del humilde santuario de la Porciúncula, fue edificado el primer convento Franciscano, con la construcción de unas cuantas pequeñas chozas o celdas de paja y barro, cercadas con un seto. Este acuerdo fue el comienzo de la Orden Franciscana. La Porciúncula fue también el lugar donde San Francisco recibió los votos de Santa Clara. El 3 de Octubre de 1226, muere San Francisco, y en su lecho de muerte, le confía el cuidado y protección de la capilla a sus hermanos.

Un poco después del año 1290, la capilla, la cual media aproximadamente 22 pies por 13 ½ pies fue ampliamente engrandecida para poder acomodar a la cantidad de peregrinos que venían a visitarla. Más tarde, los edificios alrededor del santuario fueron destruidos por orden de Pio V (1566-72), excepto la celda en la cual murió San Francisco. Luego, estos fueron reemplazados por una gran Basílica, estilo contemporáneo. El nuevo edificio fue erigido sobre su celda y sobre la capilla de la Porciúncula. La Basílica ahora tiene tres naves y un circulo de capillas que se extienden a lo largo de la longitud de los costados.

La Basílica forma una cruz latina de 416 pies de largo por 210 pies de ancho. Un pedazo del altar de la capilla es de la Anunciación, la cual fue pintada por un sacerdote en el año 1393. Uno todavía puede visitar la celda donde murió San Francisco. Detrás de la sacristía se encuentra el sitio donde el santo, durante una tentación se dice, que se revolcó en un arbusto de brezo, el cual después se convirtió en un rosal sin espinas. Fue precisamente durante esa misma noche del 2 de Agosto, que el Santo recibió la “Indulgencia de la Porciúncula.” Hay una representación del recibimiento de esta indulgencia en la fachada de la capilla de la Porciúncula.

Se cuenta que una vez, en el año 1216, mientras Francisco estaba en la Porciúncula, en oración y en contemplación, se le apareció Cristo y le ofreció que le pidiera el favor que el quisiera. En el centro del corazón de San Francisco siempre estaba la salvación de las almas. El soñaba en que su amada Porciúncula fuese un santuario donde muchos se pudieran salvar, entonces le pidió al Señor que le concediera una indulgencia plenaria ( o sea, una completa remisión de todas las culpas), para que todos aquellos que vinieran a visitar la pequeña capilla, una vez que se hubieran arrepentido de sus pecados y confesado, pudieran obtenerla. Nuestro Señor accedió a su petición con la condición de que el Papa ratificará la indulgencia.

San Francisco se fue de inmediato hacia Perugia con uno de sus hermanos en busca del Papa Honorio III. Este, a pesar de alguna oposición de la Curia, ante este favor nunca antes escuchado dio su aprobación a la Indulgencia, limitándola a poder recibirla solamente una vez al año. Posteriormente, el Papa la confirmó y fijo la fecha del 2 de Agosto como el día para alcanzar esta indulgencia. En Italia, es comúnmente conocida como “el perdón de Asís” o la “indulgencia de la Porciúncula”. Este es el recuento tradicional de la historia.

Todos los fieles católicos pueden alcanzar la indulgencia plenaria el 2 de Agosto (o en otro día que haya sido declarado o asignado por el ordinario local para el beneficio de los fieles), bajo las debidas disposiciones (confesión sacramental, santa comunión, y rezar por las intenciones del Santo Padre). Estas condiciones pueden cumplirse unos días antes o después del día en que se gana la indulgencia. También tienen que visitar la iglesia devotamente y rezar el Padrenuestro y el Credo. La Indulgencia se aplica a la Catedral de la Diócesis, y a la co-catedral (si es que existe alguna), aunque no sean parroquiales, y también las iglesias quasi-parroquiales. Para alcanzar esta indulgencia, como cualquier indulgencia plenaria, los fieles tienen que estar libres de cualquier apego al pecado, aún al pecado venial. Donde se desea este apego, la indulgencia es parcial.


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