giovedì 20 luglio 2023

Parliamo di......... minigonne

 Rino Cammilleri

MINIGONNE

Il caso Socrate, una cacofonia di corpi adolescenziali

L’incauta vicepreside romana del Liceo Socrate che ha detto qualcosa sulla minigonna in classe ha scatenato il prevedibile putiferio. Sì, perché le studentesse hanno subito inalberato a vista di telecamera un cartello manoscritto: «Non è colpa nostra se vi ci cade l’occhio». Allora ci sarebbe da chiedere, alle amanuensi, che se la mettono a fare, la minigonna. Ma l’antico buonsenso dice che la tua mancanza di pudore offende il mio, sei tu che devi smettere, e non costringere me a voltarmi da un’altra parte.

ATTUALITÀ 20_09_2020

L’incauta vicepreside romana che ha detto qualcosa sulla minigonna in classe ha scatenato il prevedibile putiferio. Sì, perché le studentesse hanno subito inalberato a vista di telecamera un cartello manoscritto: «Non è colpa nostra se vi ci cade l’occhio». Allora ci sarebbe da chiedere, alle amanuensi, che se la mettono a fare, la minigonna. Ovviamente, il ministero ha subito avviato indagine conoscitiva, senza avvedersi dell’incongruenza: la ministra non è mai stata vista in aula con le cosce al vento, infatti ha rispetto dell’istituzione. Rispetto che, però, viene meno se a sbattersene sono proprio quelle a cui la scuola dovrebbe inculcarlo.

Non c’è da stupirsi: il politicamente corretto è talmente innaturale da cadere continuamente in contraddizioni e paradossi. La protesta delle Vip, anche politiche, è stata naturalmente bipartisan, perché nel New World auspicato le donne, minoranza oppressa secondo la narrazione femminista, hanno tutti i diritti e nessun dovere. E anche le genitrici intervistate sono compatte a difesa delle pargole. Come! Mancano i banchi e voi ve la prendete con le minigonne? Il fatto è che quelle vicepreside (donna, si noti) aveva argomentato proprio dalla mancanza di banchi. In diverse scuole, come abbiamo visto dalle foto sui giornali, gli studenti stanno inginocchiati davanti alle sedie usate come leggio o addirittura seduti sul pavimento opportunamente sanificato.

Ora, non ci vuole Overton per immaginare lo spettacolo offerto da una signorina in mini (o micro) gonna seduta per terra a gambe incrociate. «Abbiamo diritto di vestirci come ci pare» è lo slogan. Giustissimo. Anche se davanti a quel «vestirci» sarebbe più esatto metterci una «s». Di questo diritto logica vuole che discenda anche quello di venire a scuola non solo in mini ma anche, se mi aggrada, senza lingerie. E se a qualche professore (maschio, ma di questi tempi non è detto) «gli cade l’occhio», peggio per lui: se non se la sente, mandi certificato medico, aggiungendosi all’altro problema della scuola (i trentamila e rotti insegnanti che, causa Covid, hanno marcato visita).

Netflix è stata subissata di proteste per il film Cuties (di cui qui abbiamo già parlato). Però i protestatari sono gli stessi che mandano le figlie a scuola succintamente abbigliate: ecco un altro paradosso del politicamente corretto. Se a qualche maniaco in astinenza «gli cade l’occhio» e passa ai fatti, ecco l’unanime grido di sdegno: impiccatelo! Come se l’inasprimento della pena rendesse più lieve il danno dello stupro subito.

O, statistica canta, riducesse l’incidenza del fenomeno, che, anzi, è in aumento. Il massimo che il pensiero politicamente corretto riesce a escogitare per arginare detto fenomeno è il corso di recupero per gli stupratori o di educazione per i maschi in genere. Ma l’antico buonsenso dice che la tua mancanza di pudore offende il mio, sei tu che devi smettere, e non costringere me a voltarmi da un’altra parte.

E’ pur vero che oggi un genitore ha qualche difficoltà a farsi obbedire dalla figlia cutie, la quale oppone che «così fan tutte». Il risultato complessivo è una cacofonia di corpi adolescenziali solo alcuni dei quali, pochi, veramente atti a scatenare fantasie maschili. Dovrebbe, semmai, intervenire nel dibattito Sgarbi e ricordare quanto sia rara la bellezza. Intanto, la vicepreside romana è stata linciata per avere proferito una raccomandazione materna. Da oggi in poi si guarderà bene dall’aprire bocca e, come Marco Antonio sul cadavere di Cesare, mormorerà: «Malanno, tu sei scatenato, prendi il corso che vuoi».



AMDG et D.V. MARIAE

San Girolamo Emiliani, il campione della CARITA', seguito da una schiera di imitatori che solo Dio conosce



ECCO a voi  il Santo che si dedicò alle opere di pietà in tempi difficilissimi e fu modello per tantissimi altri santi  dal 1500 in poi.

 Girolamo nacque a Venezia dalla nobile famiglia Emiliani. Intraprese la carriera militare fin dall'adolescenza, e, in seguito fu preposto, in tempi difficilissimi per la repubblica, alla difesa di Castelnuovo, presso Quero, sui monti di Treviso. 

I nemici, impadronitisi della fortezza, lo rinchiusero in una orribile prigione, dalla quale fu liberato per intervento della beatissima Vergine. 

A Venezia si dedicò interamente alle opere di pietà. 

Aveva particolare compassione degli orfani abbandonati della città e li accolse in una casa da lui affittata, nutrendoli a sue spese e dando loro un'educazione cristiana. 

In quel tempo erano approdati a Venezia il beato Gaetano e Pietro Carafa, che divenne poi Paolo IV, i quali approvarono l'iniziativa di Girolamo e lo condussero all'ospedale degli incurabili perché educasse gli orfani e insieme assistesse i malati. 

In seguito, su loro consiglio, egli partì per il vicino continente ed eresse orfanotrofi ed altri pii istituti prima a Brescia, poi a Bergamo e a Como. Fermatosi finalmente a Somasca, umile villaggio nel territorio di Bergamo, fondò la residenza di una nuova congregazione che prese il nome da questo luogo e fu poi approvata da Pio V. Colpito dal contagio, diede la sua vita per i fratelli a cinquantasei anni, nel 1537.

℣. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
℟. Grazie a Dio.

Preghiamo.
O Dio, padre delle misericordie , per i meriti e l'intercessione del beato Girolamo, che volesti fosse un sostegno e un padre per gli orfani: concedi, che noi custodiamo fedelmente lo spirito di adozione, onde ci nominiamo e siamo tuoi figli.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
℟. Amen.

mercoledì 19 luglio 2023

Papa Benedetto XVI e San Francesco d'Assisi

Papa Benedetto XVI e San Francesco d'Assisi



Cari fratelli e sorelle,
in una recente catechesi, ho già illustrato il ruolo provvidenziale che l’Ordine dei Frati Minori e l’Ordine dei Frati Predicatori, fondati rispettivamente da san Francesco d’Assisi e da san Domenico da Guzman, ebbero nel rinnovamento della Chiesa del loro tempo. Oggi vorrei presentarvi la figura di Francesco, un autentico "gigante" della santità, che continua ad affascinare moltissime persone di ogni età e di ogni religione.
"Nacque al mondo un sole". Con queste parole, nella Divina Commedia (Paradiso, Canto XI), il sommo poeta italiano Dante Alighieri allude alla nascita di Francesco, avvenuta alla fine del 1181 o agli inizi del 1182, ad Assisi. Appartenente a una ricca famiglia – il padre era commerciante di stoffe –, Francesco trascorse un’adolescenza e una giovinezza spensierate, coltivando gli ideali cavallereschi del tempo.


A vent’anni prese parte ad una campagna militare, e fu fatto prigioniero. Si ammalò e fu liberato. Dopo il ritorno ad Assisi, cominciò in lui un lento processo di conversione spirituale, che lo portò ad abbandonare gradualmente lo stile di vita mondano, che aveva praticato fino ad allora. Risalgono a questo periodo i celebri episodi dell’incontro con il lebbroso, a cui Francesco, sceso da cavallo, donò il bacio della pace, e del messaggio del Crocifisso nella chiesetta di San Damiano.

Per tre volte il Cristo in croce si animò, e gli disse: "Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina". Questo semplice avvenimento della parola del Signore udita nella chiesa di S. Damiano nasconde un simbolismo profondo. Immediatamente san Francesco è chiamato a riparare questa chiesetta, ma lo stato rovinoso di questo edificio è simbolo della situazione drammatica e inquietante della Chiesa stessa in quel tempo, con una fede superficiale che non forma e non trasforma la vita, con un clero poco zelante, con il raffreddarsi dell’amore; una distruzione interiore della Chiesa che comporta anche una decomposizione dell’unità, con la nascita di movimenti ereticali.


Tuttavia, in questa Chiesa in rovina sta nel centro il Crocifisso e parla: chiama al rinnovamento, chiama Francesco ad un lavoro manuale per riparare concretamente la chiesetta di san Damiano, simbolo della chiamata più profonda a rinnovare la Chiesa stessa di Cristo, con la sua radicalità di fede e con il suo entusiasmo di amore per Cristo.

Questo avvenimento, accaduto probabilmente nel 1205, fa pensare ad un altro avvenimento simile verificatosi nel 1207: il sogno del Papa Innocenzo III. Questi vede in sogno che la Basilica di San Giovanni in Laterano, la chiesa madre di tutte le chiese, sta crollando e un religioso piccolo e insignificante puntella con le sue spalle la chiesa affinché non cada. E’ interessante notare, da una parte, che non è il Papa che dà l’aiuto affinché la chiesa non crolli, ma un piccolo e insignificante religioso, che il Papa riconosce in Francesco che Gli fa visita.


Innocenzo III era un Papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico, tuttavia non è lui a rinnovare la Chiesa, ma il piccolo e insignificante religioso: è san Francesco, chiamato da Dio. Dall’altra parte, però, è importante notare che san Francesco non rinnova la Chiesa senza o contro il Papa, ma solo in comunione con lui. Le due realtà vanno insieme: il Successore di Pietro, i Vescovi, la Chiesa fondata sulla successione degli Apostoli e il carisma nuovo che lo Spirito Santo crea in questo momento per rinnovare la Chiesa. Insieme cresce il vero rinnovamento.

Ritorniamo alla vita di san Francesco. Poiché il padre Bernardone gli rimproverava troppa generosità verso i poveri, Francesco, dinanzi al Vescovo di Assisi, con un gesto simbolico si spogliò dei suoi abiti, intendendo così rinunciare all’eredità paterna: come nel momento della creazione, Francesco non ha niente, ma solo la vita che gli ha donato Dio, alle cui mani egli si consegna.
Poi visse come un eremita, fino a quando, nel 1208, ebbe luogo un altro avvenimento fondamentale nell’itinerario della sua conversione.


Ascoltando un brano del Vangelo di Matteo – il discorso di Gesù agli apostoli inviati in missione –, Francesco si sentì chiamato a vivere nella povertà e a dedicarsi alla predicazione. Altri compagni si associarono a lui, e nel 1209 si recò a Roma, per sottoporre al Papa Innocenzo III il progetto di una nuova forma di vita cristiana. Ricevette un’accoglienza paterna da quel grande Pontefice, che, illuminato dal Signore, intuì l’origine divina del movimento suscitato da Francesco.

Il Poverello di Assisi aveva compreso che ogni carisma donato dallo Spirito Santo va posto a servizio del Corpo di Cristo, che è la Chiesa; pertanto agì sempre in piena comunione con l’autorità ecclesiastica. Nella vita dei santi non c’è contrasto tra carisma profetico e carisma di governo e, se qualche tensione viene a crearsi, essi sanno attendere con pazienza i tempi dello Spirito Santo.


In realtà, alcuni storici nell’Ottocento e anche nel secolo scorso hanno cercato di creare dietro il Francesco della tradizione, un cosiddetto Francesco storico, così come si cerca di creare dietro il Gesù dei Vangeli, un cosiddetto Gesù storico. Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia. La verità è che san Francesco ha avuto realmente una relazione immediatissima con Gesù e con la parola di Dio, che voleva seguire sine glossa, così com’è, in tutta la sua radicalità e verità. E’ anche vero che inizialmente non aveva l’intenzione di creare un Ordine con le forme canoniche necessarie, ma, semplicemente, con la parola di Dio e la presenza del Signore, egli voleva rinnovare il popolo di Dio, convocarlo di nuovo all’ascolto della parola e all’obbedienza verbale con Cristo. Inoltre, sapeva che Cristo non è mai "mio", ma è sempre "nostro", che il Cristo non posso averlo "io" e ricostruire "io" contro la Chiesa, la sua volontà e il suo insegnamento, ma solo nella comunione della Chiesa costruita sulla successione degli Apostoli si rinnova anche l’obbedienza alla parola di Dio.


E’ anche vero che non aveva intenzione di creare un nuovo ordine, ma solamente rinnovare il popolo di Dio per il Signore che viene. Ma capì con sofferenza e con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il diritto della Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si inserì in modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con i Vescovi. Sapeva sempre che il centro della Chiesa è l'Eucaristia, dove il Corpo di Cristo e il suo Sangue diventano presenti. Tramite il Sacerdozio, l'Eucaristia è la Chiesa. Dove Sacerdozio e Cristo e comunione della Chiesa vanno insieme, solo qui abita anche la parola di Dio. Il vero Francesco storico è il Francesco della Chiesa e proprio in questo modo parla anche ai non credenti, ai credenti di altre confessioni e religioni.

Francesco e i suoi frati, sempre più numerosi, si stabilirono alla Porziuncola, o chiesa di Santa Maria degli Angeli, luogo sacro per eccellenza della spiritualità francescana.
Anche Chiara, una giovane donna di Assisi, di nobile famiglia, si mise alla scuola di Francesco.
Ebbe così origine il Secondo Ordine francescano, quello delle Clarisse, un’altra esperienza destinata a produrre frutti insigni di santità nella Chiesa.
Anche il successore di Innocenzo III, il Papa Onorio III, con la sua bolla Cum dilecti del 1218 sostenne il singolare sviluppo dei primi Frati Minori, che andavano aprendo le loro missioni in diversi paesi dell’Europa, e persino in Marocco.


Nel 1219 Francesco ottenne il permesso di recarsi a parlare, in Egitto, con il sultano musulmano Melek-el-Kâmel, per predicare anche lì il Vangelo di Gesù. Desidero sottolineare questo episodio della vita di san Francesco, che ha una grande attualità. In un’epoca in cui era in atto uno scontro tra il Cristianesimo e l’Islam, Francesco, armato volutamente solo della sua fede e della sua mitezza personale, percorse con efficacia la via del dialogo. Le cronache ci parlano di un’accoglienza benevola e cordiale ricevuta dal sultano musulmano. È un modello al quale anche oggi dovrebbero ispirarsi i rapporti tra cristiani e musulmani: promuovere un dialogo nella verità, nel rispetto reciproco e nella mutua comprensione (cfr Nostra Aetate, 3). Sembra poi che nel 1220 Francesco abbia visitato la Terra Santa, gettando così un seme, che avrebbe portato molto frutto: i suoi figli spirituali, infatti, fecero dei Luoghi in cui visse Gesù un ambito privilegiato della loro missione. Con gratitudine penso oggi ai grandi meriti della Custodia francescana di Terra Santa.
Rientrato in Italia, Francesco consegnò il governo dell’Ordine al suo vicario, fra Pietro Cattani, mentre il Papa [Onorio] affidò alla protezione del Cardinal Ugolino, il futuro Sommo Pontefice Gregorio IX, l’Ordine, che raccoglieva sempre più aderenti. Da parte sua il Fondatore, tutto dedito alla predicazione che svolgeva con grande successo, redasse una Regola, poi approvata dal Papa.
Nel 1224, nell’eremo della Verna, Francesco vede il Crocifisso nella forma di un serafino e dall’incontro con il serafino crocifisso, ricevette le stimmate; egli diventa così uno col Cristo crocifisso: un dono, quindi, che esprime la sua intima identificazione col Signore.
La morte di Francesco – il suo transitus - avvenne la sera del 3 ottobre 1226, alla Porziuncola. Dopo aver benedetto i suoi figli spirituali, egli morì, disteso sulla nuda terra.
Due anni più tardi il Papa Gregorio IX lo iscrisse nell’albo dei santi. Poco tempo dopo, una grande basilica in suo onore veniva innalzata ad Assisi, meta ancor oggi di moltissimi pellegrini, che possono venerare la tomba del santo e godere la visione degli affreschi di Giotto, pittore che ha illustrato in modo magnifico la vita di Francesco.
È stato detto che Francesco rappresenta un alter Christus, era veramente un’icona viva di Cristo. Egli fu chiamato anche "il fratello di Gesù". In effetti, questo era il suo ideale: essere come Gesù; contemplare il Cristo del Vangelo, amarlo intensamente, imitarne le virtù. In particolare, egli ha voluto dare un valore fondamentale alla povertà interiore ed esteriore, insegnandola anche ai suoi figli spirituali. La prima beatitudine del Discorso della Montagna - Beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3) - ha trovato una luminosa realizzazione nella vita e nelle parole di san Francesco. Davvero, cari amici, i santi sono i migliori interpreti della Bibbia; essi, incarnando nella loro vita la Parola di Dio, la rendono più che mai attraente, così che parla realmente con noi. La testimonianza di Francesco, che ha amato la povertà per seguire Cristo con dedizione e libertà totali, continua ad essere anche per noi un invito a coltivare la povertà interiore per crescere nella fiducia in Dio, unendo anche uno stile di vita sobrio e un distacco dai beni materiali.

In Francesco l’amore per Cristo si espresse in modo speciale nell’adorazione del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Nelle Fonti francescane si leggono espressioni commoventi, come questa: 
"Tutta l’umanità tema, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, vi è Cristo, il Figlio del Dio vivente. O favore stupendo! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi per la nostra salvezza, sotto una modica forma di pane" (Francesco di Assisi, Scritti, Editrici Francescane, Padova 2002, 401).

In quest’anno sacerdotale, mi piace pure ricordare una raccomandazione rivolta da Francesco ai sacerdoti: "Quando vorranno celebrare la Messa, puri in modo puro, facciano con riverenza il vero sacrificio del santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo" (Francesco di Assisi, Scritti, 399).
Francesco mostrava sempre una grande deferenza verso i sacerdoti, e raccomandava di rispettarli sempre, anche nel caso in cui fossero personalmente poco degni. Portava come motivazione di questo profondo rispetto il fatto che essi hanno ricevuto il dono di consacrare l’Eucaristia. Cari fratelli nel sacerdozio, non dimentichiamo mai questo insegnamento: la santità dell’Eucaristia ci chiede di essere puri, di vivere in modo coerente con il Mistero che celebriamo.

Dall’amore per Cristo nasce l’amore verso le persone e anche verso tutte le creature di Dio. Ecco un altro tratto caratteristico della spiritualità di Francesco: il senso della fraternità universale e l’amore per il creato, che gli ispirò il celebre Cantico delle creature. È un messaggio molto attuale. Come ho ricordato nella mia recente Enciclica Caritas in veritate, è sostenibile solo uno sviluppo che rispetti la creazione e che non danneggi l’ambiente (cfr nn. 48-52), e nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno ho sottolineato che anche la costruzione di una pace solida è legata al rispetto del creato. Francesco ci ricorda che nella creazione si dispiega la sapienza e la benevolenza del Creatore. La natura è da lui intesa proprio come un linguaggio nel quale Dio parla con noi, nel quale la realtà diventa trasparente e possiamo noi parlare di Dio e con Dio.

Cari amici, Francesco è stato un grande santo e un uomo gioioso. La sua semplicità, la sua umiltà, la sua fede, il suo amore per Cristo, la sua bontà verso ogni uomo e ogni donna l’hanno reso lieto in ogni situazione. Infatti, tra la santità e la gioia sussiste un intimo e indissolubile rapporto. Uno scrittore francese ha detto che al mondo vi è una sola tristezza: quella di non essere santi, cioè di non essere vicini a Dio. Guardando alla testimonianza di san Francesco, comprendiamo che è questo il segreto della vera felicità: diventare santi, vicini a Dio!

Ci ottenga la Vergine, teneramente amata da Francesco, questo dono. Ci affidiamo a Lei con le parole stesse del Poverello di Assisi: "Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te nata nel mondo tra le donne, figlia e ancella dell’altissimo Re e Padre celeste, Madre del santissimo Signor nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo: prega per noi... presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e Maestro" (Francesco di Assisi, Scritti, 163).


Papa Benedetto XVI, Udienza Generale - Aula Paolo VI
Mercoledì, 27 gennaio 2010

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http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2010/documents/hf_ben-xvi_aud_20100127_it.html



AMDG et D.V. MARIAE


"LA VERITA' E' SPUNTATA FUORI DALLA TERRA E LA GIUSTIZIA SI E' AFFACCIATA DAL CIELO"

 "  Veritas de terra orta est: et justitia de coelo prospexit  " (Salmo 84,12) 

Cristo che è Verità, spuntò dalla Terra: cioé dal seno della Vergine;  e lo stesso Cristo, che è giustizia dal  cielo venne a farci giusti.  

Mons Antonio Martini Arcivescovo di Firenze  nel 1750 circa, a questo punto dice: Vedi S.Agostino. E aggiunge: "Del resto gli Ebrei stessi convengono, che del Messia solo in  questo luogo si parla."

Cristo vittima dei nostri peccati.

13. [v 12.] La verità è spuntata fuori dalla terra e la giustizia si è affacciata dal cielo. La verità spuntata dalla terra è Cristo, nato da donna. Dalla terra è spuntata fuori la verità: il Figlio di Dio ha tratto origine dalla carne. 

Cos'è infatti la verità? Il Figlio di Dio. E la terra cos'è? La carne. 

Provati a domandare come sia nato il Cristo, e riscontrerai che dalla terra è spuntata fuori la verità. Tuttavia questa verità, che nasce dalla terra, esisteva già prima della terra; anzi, fu per opera di lei che vennero all'esistenza il cielo e la terra. 

Ma perché la giustizia ci guardasse dal cielo, vale a dire, perché gli uomini avessero a conseguire la giustificazione mediante la grazia divina, la verità accettò di nascere dalla Vergine Maria, e in tal modo poté offrire il sacrificio con il quale fu giustificato l'uomo: il sacrificio della passione, il sacrificio della croce. Come avrebbe potuto, infatti, offrire il sacrificio per i nostri peccati, se non avesse potuto morire? Ma come sarebbe potuto morire, se non avesse preso da noi ciò che gliene avrebbe dato la possibilità? 

Voglio dire: se Cristo non avesse assunto da noi una carne mortale, non sarebbe potuto morire: dal momento che il Verbo di Dio è immortale, com'è immortale la divinità, immortale la potenza e la sapienza di Dio. Ma allora, se il Cristo non fosse morto, come avrebbe potuto offrire a Dio il sacrificio della nostra salvezza? E come sarebbe potuto morire, se non si fosse rivestito di carne umana? Ma come rivestirsi di carne senza che la verità traesse origine dalla terra? La verità è spuntata fuori dalla terra; la giustizia si è affacciata dal cielo.

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Confessione e giustificazione.  [ E' sempre sant'Agostino che parla]

14. A questo punto io vorrei proporvi un'altra interpretazione. La verità è spuntata fuori dalla terra significa che dall'uomo è venuta fuori la confessione. Ecco: tu eri un uomo gravato di peccati. O terra, tu avevi peccato e t'eri sentita rivolgere le parole: Tu sei terra, e alla terra ritornerai 30Oh! spunti allora dal tuo cuore la verità, e la giustizia ti guarderà dal cielo. Ma in che modo da te, peccatore ed iniquo, potrà germogliare la verità? Confessa i tuoi peccati, e la verità spunterà fuori da te. Se infatti, essendo peccatore, ti ritieni per giusto, come farà la verità a spuntare fuori da te? Se invece nella tua iniquità ti confessi iniquo, allora dalla terra spunta fuori la verità. Volgi un istante lo sguardo a quel pubblicano che prega là nel tempio a distanza dal fariseo. Egli non osa levare al cielo gli occhi, si batte il petto dicendo: Signore, sii benigno con me che sono un peccatore. Ecco la verità che spunta fuori dalla terra: la confessione dei peccati che viene effettuata da un uomo. E quale ne è la conseguenza? Ve lo dico in verità; il pubblicano se ne ripartì giustificato; non altrettanto il fariseo. Poiché chiunque si innalza verrà abbassato e chi si umilia verrà posto in alto 31. È spuntata fuori dalla terra la verità nella confessione dei peccati; dal cielo si è affacciata la giustizia, a far ripartire giustificato il pubblicano e non altrettanto il fariseo. Difatti che la verità abbia attinenza con la confessione dei peccati è noto a voi tutti. Lo dice l'evangelista Giovanni: Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e in noi non c'è verità. Come viceversa possa succedere che la verità spunti fuori dalla terra e dal cielo le si affacci incontro la giustizia, sentilo ancora dal medesimo evangelista che prosegue: Se confessiamo i nostri peccati, Dio è fedele e giusto, e ci condona le nostre colpe e ci rende puri da ogni peccato 32Ecco pertanto come la verità è spuntata fuori dalla terra e come la giustizia si è affacciata dal cielo. Vuoi sapere qual è la giustizia che si è affacciata dal cielo? Quella di Dio. Il quale dice all'incirca così: " Siamo larghi di perdono con quest'uomo, che da se stesso non si è risparmiato. Usiamogli misericordia, poiché si riconosce peccatore. Egli si è rivolto contro se stesso e si è messo ad espiare il proprio peccato; io mi rivolgerò a lui per liberarlo ". Dalla terra è spuntata fuori la verità; la giustizia si è affacciata dal cielo.

AVE MARIA!