Anche i Focolarini chiedono un cambio di paradigma in tema di omosessualità. E lo fanno attraverso Avvenire parlando del gruppo “Nessuno solo”, pensato per accogliere figli gay e trans. Ma si dimentica la distinzione tra peccatore (da accogliere) e peccato (da abbandonare).
Appare ogni giorno sempre più evidente che all’interno della Chiesa cattolica c’è una strategia ben pianificata per sdoganare omosessualità e transessualità che per la dottrina cattolica rimangono e rimarranno per sempre condizioni intrinsecamente disordinate (clicca qui e qui).
In merito all’omosessualità i plurimi giudizi negativi, da parte del Magistero recente, su questa condizione e sui relativi atti si possono rinvenire in: Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2357-2358; Congregazione per la Dottrina della Fede, Persona humana, n. 8, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, n. 3; Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, n. 10; Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, n. 4.
In netta antitesi all’insegnamento limpido del Magistero ormai sono in molti - laici, uomini di Chiesa, istituzioni ecclesiali, movimenti religiosi, eccetera - a chiedere un cambio di paradigma, ossia di dottrina, su queste tematiche. Ultimi, in termini di tempo, sono i Focolarini, i quali giocano la solita carta dell’accoglienza delle persone omo e transessuali per accogliere in realtà omosessualità e transessualità. Ne parla Avvenire, che si guarda bene dal criticare simile scelta. Anzi Luciano Moia, penna di riferimento nel giornale per questi temi, verga un pezzo che incensa un simile approccio gay friendly.
I Focolarini hanno creato il gruppo “Nessuno solo”, formato da coppie di genitori provenienti da tutto il mondo, con lo scopo di accogliere i figli gay e trans dei membri del movimento. Più precisamente, come spiega Moia, «l’obiettivo non è quello di trovare una ricetta buona per tutte le situazioni o di esprimere valutazioni giudicanti sui diversi casi». Ovviamente si usa un linguaggio ambiguo per ingoiare il cammello e pure il moscerino. Chiariamoci bene: è doveroso giudicare negativamente omosessualità e transessualità e condotte conseguenti. Il giudizio è negativo perché omosessualità e transessualità non fanno il bene della persona. Da qui lo sforzo di accompagnare queste persone ad abbandonare queste condizioni. Irragionevole invece assecondarle nelle loro condotte che le renderebbero ancor più infelici. Parimenti è doveroso sospendere ogni giudizio sulla responsabilità individuale riguardo a chi assume queste condotte. Giudizio quest’ultimo che spetta a Dio. In sintesi: doveroso giudicare condizione e atti, vietato giudicare la responsabilità della persona.
Moia intervista Maria e Gianni Salerno, responsabili centrali di questo gruppo, i quali dichiarano: «Sentiamo l’importanza di essere vicini alle famiglie e ai loro figli e stiamo cercando di individuare come creare spazi di accoglienza e condivisione, perché tutti possano scoprire e sperimentare l’amore di Dio. Il riferimento rimane l’obiettivo espresso al n. 250 di Amoris laetitia perché tutti, indipendentemente dal loro orientamento sessuale possano “realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita”. Sicuramente abbiamo compreso ancora di più che siamo tutti figli di un Dio che ci ama immensamente così come siamo e ha a cuore la felicità dei nostri figli e la nostra».
Questo è un altro topos tipico di chi vuole cattolicizzare l’omosessualità e la transessualità: Dio ci ama come siamo. Ribadiamo alcuni concetti già espressi in passato: Dio ama il peccatore, ma non il peccato. Più correttamente dovremmo dire che ama la persona che pecca nonostante i suoi peccati. Quindi non ama il peccatore in quanto peccatore, ma ama la persona nonostante sia anche peccatrice. La costituzione apostolica del Concilio Vaticano II Gaudium et spes a questo proposito appunta: «Occorre distinguere tra errore, sempre da rifiutarsi, ed errante, che conserva sempre la dignità di persona, anche quando è macchiato da false o insufficienti nozioni religiose» (n. 28). Parole che fanno eco a quelle di papa Giovanni XXIII: «Non si dovrà però mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale religioso. L’errante è sempre e anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità» (Pacem in terris, n. 83).
Dio accoglie a braccia aperte il ladro, l’omicida, la prostituta, la persona omosessuale, l’adultero, ma non accoglie a braccia aperte il furto, l’omicidio, la prostituzione, l’omosessualità e l’adulterio. Così san Tommaso d’Aquino: «Nei peccatori si possono considerare due cose: la natura e la colpa. Per la natura, che essi hanno ricevuto da Dio, i peccatori sono capaci della beatitudine […]. Perciò per la loro natura essi devono essere amati con amore di carità. Invece la loro colpa è contraria a Dio, ed è un ostacolo alla beatitudine. Quindi per la colpa, con la quale si oppongono a Dio, tutti i peccatori devono essere odiati […]. Infatti nei peccatori dobbiamo odiare che siano peccatori, e amare il fatto che sono uomini capaci della beatitudine. E questo significa amarli veramente per Dio con amore di carità» (Summa Theologiae, II-II, q. 25, a. 6 c.).
Dio non può che amare il bene e quindi non può che amare le parti buone del nostro essere: ama la bontà che trova in noi, non la nostra malvagità. Il luogo comune “Dio ti ama per quello che sei” è accettabile se lo riferiamo solo alle parti migliori di noi, ossia alle azioni buone da noi compiute. Dio non potrebbe mai amare il lato omicida di una persona. Il Signore perciò non ama tutto ciò che siamo. Sotto altra prospettiva, ma giungendo alle medesime conclusioni, potremmo dire che Dio ci ama sempre come persone, ma siamo noi che con le nostre azioni ci allontaniamo dal suo amore. Per accogliere l’amore di Dio dunque dobbiamo essere degni del suo amore, cioè lo stato della nostra anima deve essere adeguato al suo amore. Dio scarica su di noi la pioggia del suo amore, della sua grazia, ma, se noi apriamo l’ombrello del peccato, non una goccia di quell’amore potrà toccarci. Infatti, Dio non obbliga nessuno ad amarlo e a ricevere il suo amore.
Il “Dio ti ama come sei”, inteso come qui abbiamo descritto, infine sfocia in un paradosso: se Dio ci ama per quello che siamo e Tizio ad esempio è un ladro, perché Tizio dovrebbe cessare di essere un ladro dato che comunque Dio lo ama anche se ladro? Non esisterebbe più il dovere di conversione, ciò a voler dire che non ci sarebbe l’obbligo di abbandonare il peccato perché, anche se pecchi, Dio ti ama ugualmente e sei salvo a prescindere dalle tue scelte.
Malgrado le restrizioni, le giovani generazioni sono così attratte dalla liturgia tradizionale che lo "storico" pellegrinaggio francese deve chiudere le iscrizioni: i posti non bastano. Tra loro anche molti partecipanti alla GMG. I numeri e l'età media parlano da soli: la Tradizione non è indietrismo, è il futuro.
Compie quarant’anni il Pellegrinaggio della gioventù francese Parigi-Chartres, organizzato dall’Associazione Notre-Dame de Chrétienté. E quest’anno, per la prima volta, gli organizzatori hanno dovuto comunicare a malincuore di non poter accettare più ulteriori iscrizioni. Overbooking. Resta solo ancora qualche posto per la fascia 13-17 anni, ma la realtà, scrivono gli organizzatori, è impietosa: «la dimensione dei bivacchi, il numero di tende che vi si possono installare, la lunghezza della colonna in movimento, che supererebbe le 2 ore, ritardando troppo l'arrivo degli ultimi pellegrini».
Una colonna di 16.000 giovani pellegrini e quattro treni prenotati per il ritorno a Parigi: è partito così, oggi, lo storico pellegrinaggio nato senza troppi clamori nel 1983, come pellegrinaggio del Centre Henri Charlier, segno della Francia cattolica e dall’animo monastico, che voleva reagire alla decristianizzazione e all’impietosa secolarizzazione. Già due anni dopo i pellegrini potevano entrare nella cattedrale di Chartres per celebrarvi la Messa conclusiva. Con la crisi delle ordinazioni episcopali da parte di Mons. Marcel Lefebvre, le porte della cattedrale resteranno chiuse fino al 1989, quando Giovanni Paolo II, con il Motu Proprio Ecclesia Dei afflicta, riconoscerà un posto nella Chiesa a tutte le realtà, piene di giovani famiglie, legate al rito romano antico.
Da quando la Messa nel rito antico ha conosciuto nuove restrizioni, i partecipanti al pellegrinaggio sono aumentati a dismisura. Effetto Traditionis Custodes? Forse. In ogni caso dovrebbe essere l’ “effetto Gamaliele” a far riflettere le autorità ecclesiastiche e farle ritornare sui propri passi; per non ritrovarsi a combattere contro Dio. Tanto più che un sondaggio realizzato dal quotidiano La Croix (vedi qui e qui) tra 30 mila giovani francesi che parteciperanno alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona,rivela che quasi il 40% di loro apprezza la Messa in rito antico; altrettanti ritengono di non esserne attratti, ma non sono contrari, mentre appena un 12% pare aver interiorizzato la stigmatizzazione dell’indietrismo, ritenendo che il Rito antico costituisca un inutile ritorno al passato. Questo è per chi non ha occhi che per i numeri; ma se qualcuno volesse rendersi conto della realtà, il che non guasterebbe, basterebbe parlare con questi giovani. Come ha fatto Matthieu Lasserre per il quotidiano francese di ispirazione cattolica.
Jeanne è una mamma di 28 anni, e non proviene da una famiglia tradizionalista; eppure, ama la Messa nel Rito romano antico, perché avverte «questa sensazione di essere là per Cristo. Dimentico chi è il sacerdote, la cui personalità passa in secondo piano, e sono rivolta verso l’essenziale». Un bell’aiuto per sostenere la lotta di papa Francesco al clericalismo. Ma c’è anche altro ad attrarre alla Messa antica, come spiega Élodie: « Prego con il messale della mia bis-bis nonna. Ho l’impressione d’inserirmi nel prolungamento delle radici della Chiesa e di tutti i grandi santi che hanno pregato con queste stesse parole».
Lo storico del cattolicesimo, Paul Airiau, spiega così il successo della Messa in latino tra le giovani generazioni: «L'interesse del rito tridentino è quello di offrire un pacchetto completo che appare efficace. È una coerenza musicale e rituale, con la garanzia di una stabilità delle forme, qualunque sia il luogo. E funziona, perché questo set è spiegato in connessione con una certa visione della Chiesa e del mondo. C'è una dimensione molto strutturante con una formazione politica, spirituale, teologica e filosofica e una dimensione assoluta specifica della gioventù».
Stabilità, coerenza, visione, assoluto: antidoti formidabili alla fluttuante e liquida “cultura” del relativismo; nella quale evidentemente questi giovani non si trovano a loro agio. E cercano altro: altro, non un prolungamento del mondo verniciato di spiritualità. Aspetti che lo stesso Airiau riconosce come attrattivi anche nei confronti di quei giovani che avevano abbandonato la pratica della fede. Pur con giusta prudenza, ma è un fatto che le comunità legate al rito antico risultano molto aperte verso “quelli di fuori”: «è una dinamica che non è nuova, ma che è stata sottostimata. Ormai esiste un’ibridazione tra la gioventù tradi e quella non tradi».
Altro dato di grande interesse è il fatto che questi giovani non si fanno troppi problemi a frequentare sia il rito antico che quello riformato. Questa «fluidità liturgica» che si registra, non è tuttavia indifferentismo, perché questi giovani tendono a conservare alcuni elementi del rito antico, che hanno imparato ad apprezzare. Come quello di ricevere la Comunione in ginocchio e sulla lingua. L’intento del Summorum Pontificum, cassato dal Papa, rivive nei giovani?
Non solo sensibilità liturgica. I giovani che andranno alla prossima GMG si dimostrano in controtendenza rispetto alle generazioni che li hanno preceduti ed appaiono decisamente più “conservatori”. Un termine che in realtà è ideologizzato, e che non è in grado di «rendere conto delle molteplici dimensioni della vita di fede», scrive Jerôme Chapuis. E militanti: «Questi giovani della GMG sono impegnati non solo nella Chiesa, ma anche nella società, spesso con i più poveri. Si allenano intellettualmente». Una realtà ben viva, decisamente diversa rispetto a quello che viene per lo più presentato come un mondo di nostalgici, un po’ ai margini della vita della Chiesa.
Anche il sociologo Yann Raison du Cleuziou deve ammettere che «sorprendentemente, il sondaggio mostra la forza del conservatorismo tra i giovani cattolici». La sorpresa è solo per chi ha dovuto attendere i risultati di un sondaggio per comprendere i tratti di una realtà che aveva già sotto gli occhi.
C’è un altro elemento di interesse, ad emergere: «Fatto nuovo, i giovani cattolici di destra hanno più esperienza militante di chi si dice di centro o di sinistra. Si permettono di condurre battaglie conservatrici, ad esempio facendo campagne su questioni di bioetica (35%) o di moralità sessuale (32%)», spiega ancora du Cleuziou. «Nella misura in cui il cambiamento sociale rimane molto apprezzato nella società, questo conservatorismo non li rende guardiani dell'ordine stabilito, ma paradossalmente dei contestatori». Una realtà ben diversa da quella che il sociologo francese chiama di centro-sinistra ed ecologista, e che si autodefinisce come «la generazione papa Francesco», caratterizzata da un maggiore conformismo.
E tuttavia questo spirito di contestazione che caratterizza i giovani “di destra” non li porta all’anarchia, ma li attacca ancora di più all’istituzione: «tra le diverse risposte proposte, la rappresentazione della Chiesa che raccoglie consensi maggioritari è quella di una Chiesa che, nella società, deve essere un “faro che indica la strada nelle tenebre” (59%)». Questi giovani evidentemente concordano con l’idea che Gesù stesso aveva della sua Chiesa e dei suoi pastori. Ed è per questa ragione che «non appena entrano in gioco le posizioni più conformi al magistero, sono sempre le sensibilità maggioritarie di destra a sostenerle, mentre la sinistra mantiene una posizione più distaccata». Al contrario solo il 7% identifica la Chiesa come «ospedale da campo».
Per esempio, sulla questione del ruolo delle donne nella Chiesa il 64% chiude definitivamente al diaconato e al sacerdozio femminile. E ben il 33% afferma che nella Chiesa si sentono più che riconosciute, mentre è la società civile, che non le tutela come madri di famiglia.
Chapeau all’onestà della redazione de La Croix. Questa è la realtà, questo è il futuro. Riusciranno prima o poi i nostri pastori a far pace con quello che lo Spirito opera nella Chiesa? Lo Spirito Santo, non lo spirito del Concilio.