https://tucristo.com/noticias/leeme-o-lamentalo-es-un-libro-aprobado-por-el-cardenal-de-lisboa-que-nos-ensena/
https://www.marialuzdivina.com/paginas/purgatorio/libro1/cap00.php
"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
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Dio non può patire, ma può compatire.
39. Soffrire con l'altro, per gli altri; soffrire per amore della verità e della giustizia; soffrire a causa dell'amore e per diventare una persona che ama veramente – questi sono elementi fondamentali di umanità, l'abbandono dei quali distruggerebbe l'uomo stesso. Ma ancora una volta sorge la domanda: ne siamo capaci? È l'altro sufficientemente importante, perché per lui io diventi una persona che soffre? È per me la verità tanto importante da ripagare la sofferenza? È così grande la promessa dell'amore da giustificare il dono di me stesso?
Alla fede cristiana, nella storia dell'umanità, spetta proprio questo
merito di aver suscitato nell'uomo in maniera nuova e a una profondità nuova la
capacità di tali modi di soffrire che sono decisivi per la sua umanità. La fede
cristiana ci ha mostrato che verità, giustizia, amore non sono semplicemente
ideali, ma realtà di grandissima densità. Ci ha mostrato, infatti, che Dio – la
Verità e l'Amore in persona – ha voluto soffrire per noi e con noi.
Bernardo di Chiaravalle ha coniato la meravigliosa espressione: Impassibilis est Deus, sed non incompassibilis [29] – Dio non può patire, ma può compatire. L'uomo ha per Dio un valore così grande da essersi Egli stesso fatto uomo per poter com-patire con l'uomo, in modo molto reale, in carne e sangue, come ci viene dimostrato nel racconto della Passione di Gesù. Da lì in ogni sofferenza umana è entrato uno che condivide la sofferenza e la sopportazione; da lì si diffonde in ogni sofferenza la con-solatio, la consolazione dell'amore partecipe di Dio e così sorge la stella della speranza.
Certo, nelle nostre molteplici sofferenze e prove abbiamo sempre bisogno anche delle nostre piccole o grandi speranze – di una visita benevola, della guarigione da ferite interne ed esterne, della risoluzione positiva di una crisi, e così via. Nelle prove minori questi tipi di speranza possono anche essere sufficienti.
Ma nelle prove veramente gravi, nelle quali devo far mia la decisione definitiva di anteporre la verità al benessere, alla carriera, al possesso, la certezza della vera, grande speranza, di cui abbiamo parlato, diventa necessaria. Anche per questo abbiamo bisogno di testimoni, di martiri, che si sono donati totalmente, per farcelo da loro dimostrare – giorno dopo giorno. Ne abbiamo bisogno per preferire, anche nelle piccole alternative della quotidianità, il bene alla comodità – sapendo che proprio così viviamo veramente la vita.
Diciamolo ancora una volta: la capacità di soffrire per amore della verità è misura di umanità. Questa capacità di soffrire, tuttavia, dipende dal genere e dalla misura della speranza che portiamo dentro di noi e sulla quale costruiamo. I santi poterono percorrere il grande cammino dell'essere-uomo nel modo in cui Cristo lo ha percorso prima di noi, perché erano ricolmi della grande speranza.
*
da: LETTERA ENCICLICA SPE SALVI DEL SOMMO PONTEFICE BENEDETTO XVI
AI VESCOVI AI PRESBITERI E AI DIACONI ALLE PERSONE CONSACRATE
NOI SIAMO LO STUPORE DI DIO
A Charles Péguy
Caro Péguy,
il tuo spirito entusiastico, la passione di suscitatore e condottiero
d’anime, mi sono sempre piaciuti; meno certe tue ridondanze
letterarie ora amare, ora ironiche, ora eccessivamente
appassionate nella battaglia condotta contro gli uomini erranti
del tuo tempo.
Nelle tue pagine religiose c’è qualche tratto poeticamente
(non dico teologicamente) felice: là, dove introduci Dio a parlare
della speranza, per esempio.
«La fede degli uomini non mi stupisce – dice Dio –, non
è cosa sorprendente: io risplendo talmente nella mia creazione,
che per non vedermi, questa povera gente dovrebb’esser cieca. La
carità degli uomini non mi stupisce – dice Dio –, non è cosa sorprendente:
queste povere creature sono così infelici, che, se non
hanno un cuore di sasso, non possono che aver amore le une per
le altre. La speranza, ecco quello che mi stupisce!».
D’accordo con te, caro Péguy, che la speranza stupisce. D’accordo
con Dante ch’essa è uno attender certo. D’accordo su ciò
che la Bibbia racconta di coloro che sperano.
Abramo non sapeva proprio perché Dio gli avesse ordinato
di uccidere l’unico figlio; non vedeva da dove, morto Isacco,
potesse venire la posterità numerosa che gli era stata promessa,
eppure attendeva con certezza.
Davide, avanzando contro Golia, sapeva benissimo che cinque
sassi erano troppo poco di fronte a un gigante bardato di
ferro. Eppure attendeva con certezza e intimava al colosso blindato:
«Vengo da parte di Dio. Tra poco ti spiccherò la testa dal
busto!».
Pregando con i salmi, anch’io, caro Péguy, mi sento trasformato
in uomo che attende con certezza: Dio è la mia luce e la
mia salvezza, di chi temerò?... Anche se si accampa contro di me
un esercito, non temerà il mio cuore. Anche se si leva contro di
me la battaglia, anche allora io sono fiducioso!
* * *
Come sbagliano, Péguy, quelli che non sperano! Giuda ha
fatto un grosso sproposito il giorno in cui vendette Cristo per
trenta denari, ma ne ha fatto uno molto più grosso quando pensò
che il suo peccato fosse troppo grande per essere perdonato.
Nessun peccato è troppo grande: una miseria finita, per quanto
enorme, potrà sempre essere coperta da una misericordia infinita.
E non è mai troppo tardi: Dio non solo si chiama Padre,
ma Padre del figlio prodigo, che ci scorge quando siamo ancora
lontano, che si intenerisce e, correndo, viene a gettarsi al nostro
collo e a baciarci teneramente.
E non deve spaventare un eventuale passato burrascoso. Le
burrasche, che furono male nel passato, diventano bene nel presente
se spingono a rimediare, a cambiare; diventano gioiello, se
donate a Dio per procurargli la consolazione di perdonarle.
Il Vangelo ricorda tra gli antenati di Gesù quattro donne, di
cui tre non del tutto commendabili: Rahab aveva fatto la cortigiana;
Thamar aveva avuto il figlio Phares da suo suocero Giuda
e Betsabea era stata adultera con Davide. Mistero di umiltà che
queste parenti siano state accettate da Cristo, che siano incluse
nella sua genealogia, ma anche – opino – in mano di Dio, mezzo
per poterci assicurare: voi potete diventare dei santi, qualunque
sia la storia della vostra famiglia, il temperamento e il sangue
ereditato, la vostra situazione passata!
Caro Péguy, sarebbe però sbagliato attendere, rimandare di
continuo. Chi si mette sulla strada del poi sbocca nella strada del
mai. Conosco qualcuno, che sembra fare della vita una perpetua
«sala d’aspetto». Vengono e partono i treni e lui: «Partirò un’altra
volta! Mi confesserò in fin di vita!».
Del «prode Anselmo» diceva il Visconti-Venosta:
«Passa un giorno, passa l’altro,
mai non torna il prode Anselmo».
Qui abbiamo il rovescio: un Anselmo che mai non parte.
La cosa non è senza rischio. Supponi, caro Péguy, che i barbari
stiano invadendo l’Italia e avanzino distruggendo e ammazzando.
Tutti scappano: gli aerei, le auto, i treni sono presi d’assalto:
«Vieni! – grido io all’Anselmo – c’è ancora un posto sul treno,
sali subito!». E lui: «Ma è proprio certo che i barbari mi faranno
fuori, se resto qui?».
«Certo no, potrebbero risparmiarti, potrebbe anche darsi
che, prima del loro arrivo, passasse un altro treno. Ma sono possibilità
lontane e si tratta della vita. Aspettare ancora è imperdonabile
imprudenza!».
«Non mi potrò convertire anche più tardi?». «Certo, ma sarà
forse più difficile di adesso: i peccati ripetuti diventano abitudini
e catene, ch’è più difficile rompere. Adesso, subito, per favore!».
* * *
Tu lo sai, Péguy. L’attendere si basa sulla bontà di Dio, che
traluce specialmente nel comportamento di Cristo, chiamato nel
Vangelo «amico dei peccatori». Quale sia la dimensione di questa
amicizia è noto: perduta una pecora, il Signore va in cerca fin che
la trova: trovatala, se la pone tutto lieto sulle spalle, la riporta a
casa e dice a tutti: «Vi sarà più grande gioia in cielo per un solo
peccatore che si pente che per novantanove giusti che non hanno
bisogno di penitenza».
La samaritana, l’adultera, Zaccheo, il ladrone crocifisso a destra,
il paralitico e noi stessi siamo stati cercati, ritrovati, trattati
così. E questo è un altro stupore!
* * *
Ma ce n’è un altro ancora: l’attender certo della gloria futura,
come dice ancora Dante. Fa stupore quella certezza messa accanto
alla futurità, cioè alla lontananza sfumata. Eppure questa è,
Péguy, la situazione di noi speranti.
Ci troviamo sulla linea di Abramo, che, avuta da Dio la promessa
di un paese fertilissimo, obbedì, e «partì – dice la Bibbia
– senza sapere dove andasse», ma sicuro lo stesso e abbandonato
a Dio. Ci troviamo nello stato descritto da Giovanni evangelista:
«Già da adesso noi siamo figli di Dio, ma ciò che noi saremo
non è stato ancora manifestato». Ci troviamo, come il Napoleone
manzoniano, «avviati pei floridi sentier de la speranza», anche
se non conosciamo bene la regione in cui i sentieri sboccano.
La conosciamo almeno vagamente? O farneticava Dante,
quando tentò di descriverla come luce, amore e letizia? «Luce intellettuale», perché la nostra mente vedrà lassù chiarissimamente
quello che quaggiù aveva intravisto appena: Dio. «Amor di vero
bene», perché i beni che amiamo qui sono un bene, goccioline,
briciole, frammenti di bene, mentre Dio è il bene. «Letizia che
trascende ogni dolore», perché non c’è paragone tra quella e le
dolcezze di questo mondo.
Concorda Agostino, che chiama Dio «bellezza sempre antica
e sempre nuova». Concorda Manzoni: lassù... «è silenzio e
tenebra la gloria che passò». Concorda Isaia nel famoso dialogo:
«Grida! – Che cosa griderò? – Grida così: ogni uomo è come
erba e tutta la sua gloria è come fiore del campo. Si secca l’erba e
appassisce il fiore!».
Con questi grandi concordiamo anche noi, caro Péguy.
Qualcuno ci chiamerà «alienati» poetizzanti e non pratici? Noi
risponderemo: «Siamo i figli della speranza, lo stupore di Dio!».
Agosto 1971
AMDG et DVM
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
O Dio vieni a salvarmi con i tuoi angeli, Signore vieni presto in mio aiuto.
Per la Croce:
Credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra. E in Gesù Cristo, Suo Figlio unigenito, Signore nostro; il quale fu concepito di Spirito Santo, nato dalla vergine Maria; soffrì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò dai morti; ascese al cielo; siede alla destra di Dio Padre onnipotente; da dove verrà per giudicare i vivi ed i morti. Io credo nello Spirito Santo; la santa Chiesa cattolica; la comunione dei santi; la remissione dei peccati; la risurrezione della carne; la vita eterna. Amen.
Primo grano a forma di rosa:
Padre Nostro
Per i primi tre grani bianchi:
Ave Maria – per ottenere più fede
Ave Maria – per ottenere più speranza
Ave Maria – per ottenere più carità
Primo grano, Maria prima rosa mistica:
O Santo Arcangelo MICHELE, “Chi è come Dio?”, guidaci nell’umiltà per combattere il demone della superbia, affinché noi diventiamo a somiglianza di Gesù eucaristico, umile e mite di cuore, per appartenere alla sua dinastia regale. Amen.
Sui sette grani bianchi (ripetere 7 volte):
O Maria, Regina degli Angeli, intercedi per noi presso il Signore, per preparare la Sua Venuta Maestosa con i Suoi figli devoti, segnati dal sigillo regale dello Spirito Santo, tuo Sposo divino. Amen.
Secondo grano a forma di rosa:
O Santo Arcangelo GABRIELE, “Potenza di Dio”, insegnaci a dare con generosità per combattere il demone dell’avidità, affinché noi diventiamo a somiglianza di Gesù, donatore di vita eterna, per appartenere alla sua dinastia regale. Amen.
Sui sette grani bianchi (ripetere 7 volte):
O Maria, Regina degli Angeli, intercedi per noi presso il Signore, per preparare la Sua Venuta Maestosa con i Suoi figli devoti, segnati dal sigillo regale dello Spirito Santo, tuo Sposo divino. Amen.
Terzo grano a forma di rosa:
O Santo Arcangelo RAFFAELE, “Medicina di Dio”, guariscici da tutte le malattie e da tutti i peccati di impurità per combattere il demone della lussuria, affinché noi diventiamo a somiglianza di Gesù, santo e puro di cuore, per appartenere alla sua dinastia regale. Amen.
Sui sette grani bianchi (ripetere 7 volte):
O Maria, Regina degli Angeli, intercedi per noi presso il Signore, per preparare la Sua Venuta Maestosa con i Suoi figli devoti, segnati dal sigillo regale dello Spirito Santo, tuo Sposo divino. Amen.
Quarto grano a forma di rosa:
O Santo Arcangelo URIELE, “Fuoco di Dio”, insegnaci ad essere pazienti per combattere il demone dell’ira, affinché noi diventiamo a somiglianza di Gesù, agnello paziente, per appartenere alla sua dinastia regale. Amen.
Sui sette grani bianchi (ripetere 7 volte):
O Maria, Regina degli Angeli, intercedi per noi presso il Signore, per preparare la Sua Venuta Maestosa con i Suoi figli devoti, segnati dal sigillo regale dello Spirito Santo, tuo Sposo divino. Amen.
Quinto grano a forma di rosa:
O Santo Arcangelo GEUDIELE, “Lode a Dio”, guidaci nell’accettare i decreti divini per combattere il demone dell’invidia, affinché noi diventiamo a somiglianza di Gesù, esecutore perfetto dei decreti del Padre, per appartenere alla sua dinastia regale. Amen.
Sui sette grani bianchi (ripetere 7 volte):
O Maria, Regina degli Angeli, intercedi per noi presso il Signore, per preparare la Sua Venuta Maestosa con i Suoi figli devoti, segnati dal sigillo regale dello Spirito Santo, tuo Sposo divino. Amen.
Sesto grano a forma di rosa:
O Santo Arcangelo SEALTIELE, “Preghiera a Dio”, insegnaci ad essere temperanti per combattere il demone della gola, affinché noi diventiamo a somiglianza di Gesù, perfetto in ogni azione, per appartenere alla sua dinastia regale. Amen.
Sui sette grani bianchi (ripetere 7 volte):
O Maria, Regina degli Angeli, intercedi per noi presso il Signore, per preparare la Sua Venuta Maestosa con i Suoi figli devoti, segnati dal sigillo regale dello Spirito Santo, tuo Sposo divino. Amen.
Settimo grano a forma di rosa:
O Santo Arcangelo BARACHIELE, “Benedizione di Dio”, guidaci nello zelo per il Signore, per combattere il demone dell’accidia, affinché noi diventiamo a somiglianza di Gesù, impegnato nel fare la volontà del Padre, per appartenere alla sua dinastia regale. Amen.
Sui sette grani bianchi (ripetere 7 volte):
O Maria, Regina degli Angeli, intercedi per noi presso il Signore, per preparare la Sua Venuta Maestosa con i Suoi figli devoti, segnati dal sigillo regale dello Spirito Santo, tuo Sposo divino. Amen.
O Signore Onnipotente, che ti manifesti umilmente nella Santa Eucaristia, per intercessione di Maria Santissima, Rosa Mistica e dei tuoi sette Arcangeli che giorno e notte ti lodano presso il Tuo Trono Santo, ti preghiamo concedici le tue sette sante virtù cristiane per essere fortificati nell’anima con l’unzione regale, di modo che possiamo sconfiggere tutte le cause dei nostri mali e garantirci sempre la tua divina provvidenza ora e sempre. Amen.
APRILE 18, 2015 / PAOLO TESCIONE
https://paolotescione.wordpress.com/2015/04/18/la-corona-angelica-di-dio-e-maria-rosa-mistica/
La veggente MARIA ROSA spiega il valore
delle promesse della corona:
AMDG et DVM
BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Domenica, 6 gennaio 2013
Cari fratelli e
sorelle!
Per la Chiesa credente
ed orante, i Magi d’Oriente che, sotto la guida della stella, hanno trovato la
via verso il presepe di Betlemme sono solo l’inizio di una grande processione
che pervade la storia.
Per questo, la liturgia
legge il Vangelo che parla del cammino dei Magi insieme con le splendide
visioni profetiche di Isaia 60 e del Salmo 72,
che illustrano con immagini audaci il pellegrinaggio dei popoli verso
Gerusalemme. Come i pastori che, quali primi ospiti presso il Bimbo neonato
giacente nella mangiatoia, personificano i poveri d’Israele e, in genere, le
anime umili che interiormente vivono molto vicino a Gesù, così gli uomini
provenienti dall’Oriente personificano il mondo dei popoli, la Chiesa dei
gentili – gli uomini che attraverso tutti i secoli si incamminano verso il
Bambino di Betlemme, onorano in Lui il Figlio di Dio e si prostrano davanti a
Lui.
La Chiesa chiama questa
festa “Epifania” – l’apparizione, la comparsa del Divino. Se guardiamo il fatto
che, fin da quell’inizio, uomini di ogni provenienza, di tutti i Continenti, di
tutte le diverse culture e tutti i diversi modi di pensiero e di vita sono
stati e sono in cammino verso Cristo, possiamo dire veramente che questo pellegrinaggio
e questo incontro con Dio nella figura del Bambino è un’Epifania della bontà di
Dio e del suo amore per gli uomini (cfr Tt 3,4).
Seguendo una tradizione
iniziata dal Beato Papa Giovanni Paolo II, celebriamo la festa
dell’Epifania anche quale giorno dell’Ordinazione episcopale per quattro
sacerdoti che d’ora in poi, in funzioni diverse, collaboreranno al Ministero
del Papa per l’unità dell’unica Chiesa di Gesù Cristo nella pluralità delle
Chiese particolari. Il nesso tra questa Ordinazione episcopale e il tema del
pellegrinaggio dei popoli verso Gesù Cristo è evidente.
Il Vescovo ha il
compito non solo di camminare in questo pellegrinaggio insieme con gli altri,
ma di precedere e di indicare la strada. Vorrei,
però, in questa liturgia, riflettere con voi ancora su una domanda più
concreta. In base alla storia raccontata da Matteo possiamo sicuramente farci
una certa idea di quale tipo di uomini debbano essere stati coloro che, in seguito
al segno della stella, si sono incamminati per trovare quel Re che, non soltanto per Israele, ma
per l’umanità intera avrebbe fondato una nuova specie di regalità. Che tipo di
uomini, dunque, erano costoro? E domandiamoci anche se, malgrado la differenza
dei tempi e dei compiti, a partire da loro si possa intravedere qualcosa su che
cosa sia il Vescovo e su come egli debba adempiere il suo compito.
Gli uomini che allora
partirono verso l’ignoto erano, in ogni caso, uomini dal cuore inquieto. Uomini
spinti dalla ricerca inquieta di Dio e della salvezza del mondo. Uomini in
attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro
posizione sociale forse considerevole. Erano alla ricerca della realtà più
grande. Erano forse uomini dotti che avevano una grande conoscenza degli astri
e probabilmente disponevano anche di una formazione filosofica.
Ma non volevano soltanto
sapere tante cose. Volevano sapere soprattutto la cosa essenziale. Volevano
sapere come si possa riuscire ad essere persona umana. E per questo volevano
sapere se Dio esista, dove e come Egli sia. Se Egli si curi di noi e come noi
possiamo incontrarlo. Volevano non soltanto sapere. Volevano riconoscere la
verità su di noi, e su Dio e il mondo. Il loro pellegrinaggio esteriore era
espressione del loro essere interiormente in cammino, dell’interiore
pellegrinaggio del loro cuore. Erano uomini che cercavano Dio e, in definitiva,
erano in cammino verso di Lui. Erano ricercatori di Dio.
Ma con ciò giungiamo
alla domanda: come dev’essere un uomo a cui si impongono le mani per
l’Ordinazione episcopale nella Chiesa di Gesù Cristo? Possiamo dire: egli deve
soprattutto essere un uomo il cui interesse è rivolto verso Dio, perché solo
allora egli si interessa veramente anche degli uomini.
Potremmo dirlo anche
inversamente: un Vescovo dev’essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore,
che è toccato dalle vicende degli uomini. Dev’essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente
soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui l’inquietudine verso Dio è
diventata un’inquietudine per la sua creatura, l’uomo.
Come i Magi d’Oriente,
anche un Vescovo non dev’essere uno che esercita solamente il suo mestiere e
non vuole altro. No, egli dev’essere preso dall’inquietudine di Dio per gli
uomini. Deve, per così dire, pensare e sentire insieme con Dio. Non è solo
l’uomo ad avere in sé l’inquietudine costitutiva verso Dio, ma questa
inquietudine è una partecipazione all’inquietudine di Dio per noi. Poiché
Dio è inquieto nei nostri confronti, Egli ci segue fin nella mangiatoia, fino
alla Croce. “Cercandomi ti sedesti stanco, mi hai redento con il supplizio
della Croce: che tanto sforzo non sia vano!”, prega la Chiesa nel Dies
irae.
L’inquietudine
dell’uomo verso Dio e, a partire da essa, l’inquietudine di Dio verso l’uomo
devono non dar pace al Vescovo. È questo che intendiamo quando diciamo che il
Vescovo dev’essere soprattutto un uomo di fede. Perché la fede non è altro che
l’essere interiormente toccati da Dio, una condizione che ci conduce sulla via
della vita. La fede ci tira dentro uno stato in cui siamo presi
dall’inquietudine di Dio e fa di noi dei pellegrini che interiormente sono in
cammino verso il vero Re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di
verità e di amore. In questo pellegrinaggio, il Vescovo deve precedere,
dev’essere colui che indica agli uomini la strada verso la fede, la speranza e
l’amore.
Il pellegrinaggio
interiore della fede verso Dio si svolge soprattutto nella preghiera. Sant’Agostino ha detto una volta che la
preghiera, in ultima analisi, non sarebbe altro che l’attualizzazione e la
radicalizzazione del nostro desiderio di Dio. Al posto della parola
“desiderio” potremmo mettere anche la parola “inquietudine” e dire che la
preghiera vuole strapparci alla nostra falsa comodità, al nostro essere chiusi
nelle realtà materiali, visibili e trasmetterci l’inquietudine verso Dio,
rendendoci proprio così anche aperti e inquieti gli uni per gli altri.
Il Vescovo, come
pellegrino di Dio, dev’essere soprattutto un uomo che prega. Deve essere in un
permanente contatto interiore con Dio; la sua anima dev’essere largamente
aperta verso Dio. Le sue difficoltà e quelle degli altri, come anche le sue
gioie e quelle degli altri le deve portare a Dio, e così, a modo suo, stabilire
il contatto tra Dio e il mondo nella comunione con Cristo, affinché la luce di
Cristo splenda nel mondo.
Torniamo ai Magi
d’Oriente. Questi erano anche e soprattutto uomini che avevano coraggio, il coraggio e l’umiltà della fede. Ci
voleva del coraggio per accogliere il segno della stella come un ordine di
partire, per uscire – verso l’ignoto, l’incerto, su vie sulle quali c’erano
molteplici pericoli in agguato. Possiamo
immaginare che la decisione di questi uomini abbia suscitato derisione: la
beffa dei realisti che potevano soltanto deridere le fantasticherie di questi
uomini. Chi partiva su promesse così
incerte, rischiando tutto, poteva apparire soltanto ridicolo. Ma per questi uomini toccati
interiormente da Dio, la via secondo le indicazioni divine era più importante
dell’opinione della gente. La ricerca della verità era per loro più importante
della derisione del mondo, apparentemente intelligente.
Come non pensare, in una
tale situazione, al compito di un Vescovo nel nostro tempo? L’umiltà della fede, del
credere insieme con la fede della Chiesa di tutti i tempi, si troverà
ripetutamente in conflitto con l’intelligenza dominante di coloro che si
attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Chi vive e annuncia la fede della
Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche nel
nostro tempo. L’agnosticismo oggi largamente imperante ha i suoi dogmi ed è
estremamente intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette in questione
e mette in questione i suoi criteri. Perciò,
il coraggio di contraddire gli orientamenti dominanti è oggi particolarmente
pressante per un Vescovo. Egli dev’essere
valoroso. E tale valore o
fortezza non consiste nel colpire con violenza, nell’aggressività, ma nel
lasciarsi colpire e nel tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti.
Il coraggio di restare
fermamente con la verità è inevitabilmente richiesto a coloro che il Signore
manda come agnelli in mezzo ai lupi. “Chi teme il Signore non ha paura di
nulla”, dice il Siracide (34,16). Il timore di Dio libera dal
timore degli uomini. Rende liberi!
In questo contesto mi viene in mente un episodio degli inizi del cristianesimo che san Luca narra
negli Atti degli Apostoli. Dopo il discorso di Gamaliele, che
sconsigliava la violenza verso la comunità nascente dei credenti in Gesù, il
sinedrio chiamò gli Apostoli e li fece flagellare. Poi proibì loro di predicare
nel nome di Gesù e li rimise in libertà. San Luca continua: “Essi allora se ne andarono via dal
sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome
di Gesù. E ogni giorno … non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è
il Cristo” (At 5,40ss). Anche
i successori degli Apostoli devono attendersi di essere ripetutamente percossi,
in maniera moderna, se non cessano di annunciare in modo udibile e
comprensibile il Vangelo di Gesù Cristo.
E allora possono essere
lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per Lui. Naturalmente
vogliamo, come gli Apostoli, convincere la gente e, in questo senso, ottenerne
l’approvazione. Naturalmente non provochiamo, ma tutt’al contrario invitiamo
tutti ad entrare nella gioia della verità che indica la strada. L’approvazione
delle opinioni dominanti, però, non è il criterio a cui ci
sottomettiamo. Il criterio è Lui stesso: il Signore. Se difendiamo la sua causa, conquisteremo, grazie a Dio, sempre di
nuovo persone per la via del Vangelo. Ma inevitabilmente saremo anche percossi
da coloro che, con la loro vita, sono in contrasto col Vangelo, e allora possiamo
essere grati di essere giudicati degni di partecipare alla Passione di Cristo.
I Magi hanno seguito la
stella, e così sono giunti fino a Gesù, alla grande Luce che illumina ogni uomo
che viene in questo mondo (cfr Gv 1,9). Come pellegrini della
fede, i Magi sono diventati essi stessi stelle che brillano nel cielo della
storia e ci indicano la strada. I santi sono le vere costellazioni di Dio, che
illuminano le notti di questo mondo e ci guidano. San Paolo, nella Lettera
ai Filippesi, ha detto ai suoi fedeli
che devono risplendere come astri nel mondo (cfr 2,15).
Cari amici, ciò
riguarda anche noi. Ciò riguarda soprattutto voi che, in quest’ora, sarete
ordinati Vescovi della Chiesa di Gesù Cristo. Se vivrete con Cristo, a Lui
nuovamente legati nel Sacramento, allora
anche voi diventerete sapienti. Allora
diventerete astri che precedono gli uomini e indicano loro la via giusta della
vita.
In quest’ora noi tutti
qui preghiamo per voi, affinché il Signore vi ricolmi con la luce della fede e
dell’amore. Affinché
quell’inquietudine di Dio per l’uomo vi tocchi, perché tutti sperimentino la
sua vicinanza e ricevano il dono della sua gioia. Preghiamo per voi, affinché il Signore vi doni sempre il coraggio e
l’umiltà della fede. Preghiamo Maria
che ha mostrato ai Magi il nuovo Re del mondo ( Mt 2,11),
affinché ella, quale Madre amorevole, mostri Gesù Cristo anche a voi e vi aiuti
ad essere indicatori della strada che porta a Lui. Amen.
AMDG et DVM