sabato 7 gennaio 2023

Purgatorio

 


https://tucristo.com/noticias/leeme-o-lamentalo-es-un-libro-aprobado-por-el-cardenal-de-lisboa-que-nos-ensena/

https://www.marialuzdivina.com/paginas/purgatorio/libro1/cap00.php



SPE SALVI


Dio non può patire, ma può compatire. 


39. Soffrire con l'altro, per gli altri; soffrire per amore della verità e della giustizia; soffrire a causa dell'amore e per diventare una persona che ama veramente – questi sono elementi fondamentali di umanità, l'abbandono dei quali distruggerebbe l'uomo stesso. Ma ancora una volta sorge la domanda: ne siamo capaci? È l'altro sufficientemente importante, perché per lui io diventi una persona che soffre? È per me la verità tanto importante da ripagare la sofferenza? È così grande la promessa dell'amore da giustificare il dono di me stesso? 

Alla fede cristiana, nella storia dell'umanità, spetta proprio questo merito di aver suscitato nell'uomo in maniera nuova e a una profondità nuova la capacità di tali modi di soffrire che sono decisivi per la sua umanità. La fede cristiana ci ha mostrato che verità, giustizia, amore non sono semplicemente ideali, ma realtà di grandissima densità. Ci ha mostrato, infatti, che Dio – la Verità e l'Amore in persona – ha voluto soffrire per noi e con noi.

Bernardo di Chiaravalle ha coniato la meravigliosa espressione: Impassibilis est Deus, sed non incompassibilis [29] – Dio non può patire, ma può compatire. L'uomo ha per Dio un valore così grande da essersi Egli stesso fatto uomo per poter com-patire con l'uomo, in modo molto reale, in carne e sangue, come ci viene dimostrato nel racconto della Passione di Gesù. Da lì in ogni sofferenza umana è entrato uno che condivide la sofferenza e la sopportazione; da lì si diffonde in ogni sofferenza la con-solatio, la consolazione dell'amore partecipe di Dio e così sorge la stella della speranza. 

Certo, nelle nostre molteplici sofferenze e prove abbiamo sempre bisogno anche delle nostre piccole o grandi speranze – di una visita benevola, della guarigione da ferite interne ed esterne, della risoluzione positiva di una crisi, e così via. Nelle prove minori questi tipi di speranza possono anche essere sufficienti. 

Ma nelle prove veramente gravi, nelle quali devo far mia la decisione definitiva di anteporre la verità al benessere, alla carriera, al possesso, la certezza della vera, grande speranza, di cui abbiamo parlato, diventa necessaria. Anche per questo abbiamo bisogno di testimoni, di martiri, che si sono donati totalmente, per farcelo da loro dimostrare – giorno dopo giorno. Ne abbiamo bisogno per preferire, anche nelle piccole alternative della quotidianità, il bene alla comodità – sapendo che proprio così viviamo veramente la vita. 

Diciamolo ancora una volta: la capacità di soffrire per amore della verità è misura di umanità. Questa capacità di soffrire, tuttavia, dipende dal genere e dalla misura della speranza che portiamo dentro di noi e sulla quale costruiamo. I santi poterono percorrere il grande cammino dell'essere-uomo nel modo in cui Cristo lo ha percorso prima di noi, perché erano ricolmi della grande speranza.

*

da: LETTERA ENCICLICA SPE SALVI DEL SOMMO PONTEFICE BENEDETTO XVI

AI VESCOVI AI PRESBITERI E AI DIACONI ALLE PERSONE CONSACRATE

E A TUTTI I FEDELI LAICI

SULLA SPERANZA CRISTIANA

AMDG et DVM

Siamo i figli della Speranza

 NOI SIAMO LO STUPORE DI DIO

A Charles Péguy


Caro Péguy,

il tuo spirito entusiastico, la passione di suscitatore e condottiero

d’anime, mi sono sempre piaciuti; meno certe tue ridondanze

letterarie ora amare, ora ironiche, ora eccessivamente

appassionate nella battaglia condotta contro gli uomini erranti

del tuo tempo.

Nelle tue pagine religiose c’è qualche tratto poeticamente

(non dico teologicamente) felice: là, dove introduci Dio a parlare

della speranza, per esempio.

«La fede degli uomini non mi stupisce – dice Dio –, non

è cosa sorprendente: io risplendo talmente nella mia creazione,

che per non vedermi, questa povera gente dovrebb’esser cieca. La

carità degli uomini non mi stupisce – dice Dio –, non è cosa sorprendente:

queste povere creature sono così infelici, che, se non

hanno un cuore di sasso, non possono che aver amore le une per

le altre. La speranza, ecco quello che mi stupisce!».

D’accordo con te, caro Péguy, che la speranza stupisce. D’accordo

con Dante ch’essa è uno attender certo. D’accordo su ciò

che la Bibbia racconta di coloro che sperano.

Abramo non sapeva proprio perché Dio gli avesse ordinato

di uccidere l’unico figlio; non vedeva da dove, morto Isacco,

potesse venire la posterità numerosa che gli era stata promessa,

eppure attendeva con certezza.

Davide, avanzando contro Golia, sapeva benissimo che cinque

sassi erano troppo poco di fronte a un gigante bardato di

ferro. Eppure attendeva con certezza e intimava al colosso blindato:

«Vengo da parte di Dio. Tra poco ti spiccherò la testa dal

busto!».

Pregando con i salmi, anch’io, caro Péguy, mi sento trasformato

in uomo che attende con certezza: Dio è la mia luce e la

mia salvezza, di chi temerò?... Anche se si accampa contro di me

un esercito, non temerà il mio cuore. Anche se si leva contro di

me la battaglia, anche allora io sono fiducioso!

* * *

Come sbagliano, Péguy, quelli che non sperano! Giuda ha

fatto un grosso sproposito il giorno in cui vendette Cristo per

trenta denari, ma ne ha fatto uno molto più grosso quando pensò

che il suo peccato fosse troppo grande per essere perdonato.

Nessun peccato è troppo grande: una miseria finita, per quanto

enorme, potrà sempre essere coperta da una misericordia infinita.

E non è mai troppo tardi: Dio non solo si chiama Padre,

ma Padre del figlio prodigo, che ci scorge quando siamo ancora

lontano, che si intenerisce e, correndo, viene a gettarsi al nostro

collo e a baciarci teneramente.

E non deve spaventare un eventuale passato burrascoso. Le

burrasche, che furono male nel passato, diventano bene nel presente

se spingono a rimediare, a cambiare; diventano gioiello, se

donate a Dio per procurargli la consolazione di perdonarle.

Il Vangelo ricorda tra gli antenati di Gesù quattro donne, di

cui tre non del tutto commendabili: Rahab aveva fatto la cortigiana;

Thamar aveva avuto il figlio Phares da suo suocero Giuda

e Betsabea era stata adultera con Davide. Mistero di umiltà che

queste parenti siano state accettate da Cristo, che siano incluse

nella sua genealogia, ma anche – opino – in mano di Dio, mezzo

per poterci assicurare: voi potete diventare dei santi, qualunque

sia la storia della vostra famiglia, il temperamento e il sangue

ereditato, la vostra situazione passata!

Caro Péguy, sarebbe però sbagliato attendere, rimandare di

continuo. Chi si mette sulla strada del poi sbocca nella strada del

mai. Conosco qualcuno, che sembra fare della vita una perpetua

«sala d’aspetto». Vengono e partono i treni e lui: «Partirò un’altra

volta! Mi confesserò in fin di vita!».

Del «prode Anselmo» diceva il Visconti-Venosta:

«Passa un giorno, passa l’altro,

mai non torna il prode Anselmo».

Qui abbiamo il rovescio: un Anselmo che mai non parte.

La cosa non è senza rischio. Supponi, caro Péguy, che i barbari

stiano invadendo l’Italia e avanzino distruggendo e ammazzando.

Tutti scappano: gli aerei, le auto, i treni sono presi d’assalto:

«Vieni! – grido io all’Anselmo – c’è ancora un posto sul treno,

sali subito!». E lui: «Ma è proprio certo che i barbari mi faranno

fuori, se resto qui?».

«Certo no, potrebbero risparmiarti, potrebbe anche darsi

che, prima del loro arrivo, passasse un altro treno. Ma sono possibilità

lontane e si tratta della vita. Aspettare ancora è imperdonabile

imprudenza!».

«Non mi potrò convertire anche più tardi?». «Certo, ma sarà

forse più difficile di adesso: i peccati ripetuti diventano abitudini

e catene, ch’è più difficile rompere. Adesso, subito, per favore!».

* * *

Tu lo sai, Péguy. L’attendere si basa sulla bontà di Dio, che

traluce specialmente nel comportamento di Cristo, chiamato nel

Vangelo «amico dei peccatori». Quale sia la dimensione di questa

amicizia è noto: perduta una pecora, il Signore va in cerca fin che

la trova: trovatala, se la pone tutto lieto sulle spalle, la riporta a

casa e dice a tutti: «Vi sarà più grande gioia in cielo per un solo

peccatore che si pente che per novantanove giusti che non hanno

bisogno di penitenza».

La samaritana, l’adultera, Zaccheo, il ladrone crocifisso a destra,

il paralitico e noi stessi siamo stati cercati, ritrovati, trattati

così. E questo è un altro stupore!

* * *

Ma ce n’è un altro ancora: l’attender certo della gloria futura,

come dice ancora Dante. Fa stupore quella certezza messa accanto

alla futurità, cioè alla lontananza sfumata. Eppure questa è,

Péguy, la situazione di noi speranti.

Ci troviamo sulla linea di Abramo, che, avuta da Dio la promessa

di un paese fertilissimo, obbedì, e «partì – dice la Bibbia

– senza sapere dove andasse», ma sicuro lo stesso e abbandonato

a Dio. Ci troviamo nello stato descritto da Giovanni evangelista:

«Già da adesso noi siamo figli di Dio, ma ciò che noi saremo

non è stato ancora manifestato». Ci troviamo, come il Napoleone

manzoniano, «avviati pei floridi sentier de la speranza», anche

se non conosciamo bene la regione in cui i sentieri sboccano.

La conosciamo almeno vagamente? O farneticava Dante,

quando tentò di descriverla come luce, amore e letizia? «Luce intellettuale», perché la nostra mente vedrà lassù chiarissimamente

quello che quaggiù aveva intravisto appena: Dio. «Amor di vero

bene», perché i beni che amiamo qui sono un bene, goccioline,

briciole, frammenti di bene, mentre Dio è il bene. «Letizia che

trascende ogni dolore», perché non c’è paragone tra quella e le

dolcezze di questo mondo.

Concorda Agostino, che chiama Dio «bellezza sempre antica

e sempre nuova». Concorda Manzoni: lassù... «è silenzio e

tenebra la gloria che passò». Concorda Isaia nel famoso dialogo:

«Grida! – Che cosa griderò? – Grida così: ogni uomo è come

erba e tutta la sua gloria è come fiore del campo. Si secca l’erba e

appassisce il fiore!».

Con questi grandi concordiamo anche noi, caro Péguy.

Qualcuno ci chiamerà «alienati» poetizzanti e non pratici? Noi

risponderemo: «Siamo i figli della speranza, lo stupore di Dio!».

Agosto 1971

AMDG et DVM

venerdì 6 gennaio 2023

LA CORONA ANGELICA e IL VALORE DELLE SUE PROMESSE

 

LA CORONA ANGELICA DI DIO E MARIA, ROSA MISTICA

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

O Dio vieni a salvarmi con i tuoi angeli, Signore vieni presto in mio aiuto.

Per la Croce:

Credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra. E in Gesù Cristo, Suo Figlio unigenito, Signore nostro; il quale fu concepito di Spirito Santo, nato dalla vergine Maria; soffrì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò dai morti; ascese al cielo; siede alla destra di Dio Padre onnipotente; da dove verrà per giudicare i vivi ed i morti. Io credo nello Spirito Santo; la santa Chiesa cattolica; la comunione dei santi; la remissione dei peccati; la risurrezione della carne; la vita eterna. Amen.

Primo grano a forma di rosa:

Padre Nostro

Per i primi tre grani bianchi:

Ave Maria – per ottenere più fede

Ave Maria – per ottenere più speranza

Ave Maria – per ottenere più carità

Primo grano, Maria prima rosa mistica:

O Santo Arcangelo MICHELE, “Chi è come Dio?”, guidaci nell’umiltà per combattere il demone della superbia, affinché noi diventiamo a somiglianza di Gesù eucaristico, umile e mite di cuore, per appartenere alla sua dinastia regale. Amen.

Sui sette grani bianchi (ripetere 7 volte):

O Maria, Regina degli Angeli, intercedi per noi presso il Signore, per preparare la Sua Venuta Maestosa con i Suoi figli devoti, segnati dal sigillo regale dello Spirito Santo, tuo Sposo divino. Amen.

Secondo grano a forma di rosa:

O Santo Arcangelo GABRIELE, “Potenza di Dio”, insegnaci a dare con generosità per combattere il demone dell’avidità, affinché noi diventiamo a somiglianza di Gesù, donatore di vita eterna, per appartenere alla sua dinastia regale. Amen.

Sui sette grani bianchi (ripetere 7 volte):

O Maria, Regina degli Angeli, intercedi per noi presso il Signore, per preparare la Sua Venuta Maestosa con i Suoi figli devoti, segnati dal sigillo regale dello Spirito Santo, tuo Sposo divino. Amen.

Terzo grano a forma di rosa:

O Santo Arcangelo RAFFAELE, “Medicina di Dio”, guariscici da tutte le malattie e da tutti i peccati di impurità per combattere il demone della lussuria, affinché noi diventiamo a somiglianza di Gesù, santo e puro di cuore, per appartenere alla sua dinastia regale. Amen.

Sui sette grani bianchi (ripetere 7 volte):

O Maria, Regina degli Angeli, intercedi per noi presso il Signore, per preparare la Sua Venuta Maestosa con i Suoi figli devoti, segnati dal sigillo regale dello Spirito Santo, tuo Sposo divino. Amen.

Quarto grano a forma di rosa:

O Santo Arcangelo URIELE, “Fuoco di Dio”, insegnaci ad essere pazienti per combattere il demone dell’ira, affinché noi diventiamo a somiglianza di Gesù, agnello paziente, per appartenere alla sua dinastia regale. Amen.

Sui sette grani bianchi (ripetere 7 volte):

O Maria, Regina degli Angeli, intercedi per noi presso il Signore, per preparare la Sua Venuta Maestosa con i Suoi figli devoti, segnati dal sigillo regale dello Spirito Santo, tuo Sposo divino. Amen.

Quinto grano a forma di rosa:

O Santo Arcangelo GEUDIELE, “Lode a Dio”, guidaci nell’accettare i decreti divini per combattere il demone dell’invidia, affinché noi diventiamo a somiglianza di Gesù, esecutore perfetto dei decreti del Padre, per appartenere alla sua dinastia regale. Amen.

Sui sette grani bianchi (ripetere 7 volte):


O Maria, Regina degli Angeli, intercedi per noi presso il Signore, per preparare la Sua Venuta Maestosa con i Suoi figli devoti, segnati dal sigillo regale dello Spirito Santo, tuo Sposo divino. Amen.

Sesto grano a forma di rosa:

O Santo Arcangelo SEALTIELE, “Preghiera a Dio”, insegnaci ad essere temperanti per combattere il demone della gola, affinché noi diventiamo a somiglianza di Gesù, perfetto in ogni azione, per appartenere alla sua dinastia regale. Amen.

Sui sette grani bianchi (ripetere 7 volte):

O Maria, Regina degli Angeli, intercedi per noi presso il Signore, per preparare la Sua Venuta Maestosa con i Suoi figli devoti, segnati dal sigillo regale dello Spirito Santo, tuo Sposo divino. Amen.

Settimo grano a forma di rosa:

O Santo Arcangelo BARACHIELE, “Benedizione di Dio”, guidaci nello zelo per il Signore, per combattere il demone dell’accidia, affinché noi diventiamo a somiglianza di Gesù, impegnato nel fare la volontà del Padre, per appartenere alla sua dinastia regale. Amen.

Sui sette grani bianchi (ripetere 7 volte):

O Maria, Regina degli Angeli, intercedi per noi presso il Signore, per preparare la Sua Venuta Maestosa con i Suoi figli devoti, segnati dal sigillo regale dello Spirito Santo, tuo Sposo divino. Amen.

PREGHIAMO:

O Signore Onnipotente, che ti manifesti umilmente nella Santa Eucaristia, per intercessione di Maria Santissima, Rosa Mistica e dei tuoi sette Arcangeli che giorno e notte ti lodano presso il Tuo Trono Santo, ti preghiamo concedici le tue sette sante virtù cristiane per essere fortificati nell’anima con l’unzione regale, di modo che possiamo sconfiggere tutte le cause dei nostri mali e garantirci sempre la tua divina provvidenza ora e sempre. Amen.

APRILE 18, 2015


https://paolotescione.wordpress.com/2015/04/21/maria-rosa-la-veggente-della-rosa-mistica-e-della-prossima-apocalisse-spiega-il-valore-delle-promesse-della-corona/

“Epifania” – l’apparizione, la comparsa del Divino. Omelia


 

BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Domenica, 6 gennaio 2013

Cari fratelli e sorelle!

Per la Chiesa credente ed orante, i Magi d’Oriente che, sotto la guida della stella, hanno trovato la via verso il presepe di Betlemme sono solo l’inizio di una grande processione che pervade la storia.

Per questo, la liturgia legge il Vangelo che parla del cammino dei Magi insieme con le splendide visioni profetiche di Isaia 60 e del Salmo 72, che illustrano con immagini audaci il pellegrinaggio dei popoli verso Gerusalemme. Come i pastori che, quali primi ospiti presso il Bimbo neonato giacente nella mangiatoia, personificano i poveri d’Israele e, in genere, le anime umili che interiormente vivono molto vicino a Gesù, così gli uomini provenienti dall’Oriente personificano il mondo dei popoli, la Chiesa dei gentili – gli uomini che attraverso tutti i secoli si incamminano verso il Bambino di Betlemme, onorano in Lui il Figlio di Dio e si prostrano davanti a Lui.

La Chiesa chiama questa festa “Epifania” – l’apparizione, la comparsa del Divino. Se guardiamo il fatto che, fin da quell’inizio, uomini di ogni provenienza, di tutti i Continenti, di tutte le diverse culture e tutti i diversi modi di pensiero e di vita sono stati e sono in cammino verso Cristo, possiamo dire veramente che questo pellegrinaggio e questo incontro con Dio nella figura del Bambino è un’Epifania della bontà di Dio e del suo amore per gli uomini (cfr Tt 3,4).

Seguendo una tradizione iniziata dal Beato Papa Giovanni Paolo II, celebriamo la festa dell’Epifania anche quale giorno dell’Ordinazione episcopale per quattro sacerdoti che d’ora in poi, in funzioni diverse, collaboreranno al Ministero del Papa per l’unità dell’unica Chiesa di Gesù Cristo nella pluralità delle Chiese particolari. Il nesso tra questa Ordinazione episcopale e il tema del pellegrinaggio dei popoli verso Gesù Cristo è evidente.

Il Vescovo ha il compito non solo di camminare in questo pellegrinaggio insieme con gli altri, ma di precedere e di indicare la strada. Vorrei, però, in questa liturgia, riflettere con voi ancora su una domanda più concreta. In base alla storia raccontata da Matteo possiamo sicuramente farci una certa idea di quale tipo di uomini debbano essere stati coloro che, in seguito al segno della stella, si sono incamminati per trovare quel Re che, non soltanto per Israele, ma per l’umanità intera avrebbe fondato una nuova specie di regalità. Che tipo di uomini, dunque, erano costoro? E domandiamoci anche se, malgrado la differenza dei tempi e dei compiti, a partire da loro si possa intravedere qualcosa su che cosa sia il Vescovo e su come egli debba adempiere il suo compito.

Gli uomini che allora partirono verso l’ignoto erano, in ogni caso, uomini dal cuore inquieto. Uomini spinti dalla ricerca inquieta di Dio e della salvezza del mondo. Uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale forse considerevole. Erano alla ricerca della realtà più grande. Erano forse uomini dotti che avevano una grande conoscenza degli astri e probabilmente disponevano anche di una formazione filosofica.

Ma non volevano soltanto sapere tante cose. Volevano sapere soprattutto la cosa essenziale. Volevano sapere come si possa riuscire ad essere persona umana. E per questo volevano sapere se Dio esista, dove e come Egli sia. Se Egli si curi di noi e come noi possiamo incontrarlo. Volevano non soltanto sapere. Volevano riconoscere la verità su di noi, e su Dio e il mondo. Il loro pellegrinaggio esteriore era espressione del loro essere interiormente in cammino, dell’interiore pellegrinaggio del loro cuore. Erano uomini che cercavano Dio e, in definitiva, erano in cammino verso di Lui. Erano ricercatori di Dio.

Ma con ciò giungiamo alla domanda: come dev’essere un uomo a cui si impongono le mani per l’Ordinazione episcopale nella Chiesa di Gesù Cristo? Possiamo dire: egli deve soprattutto essere un uomo il cui interesse è rivolto verso Dio, perché solo allora egli si interessa veramente anche degli uomini.

Potremmo dirlo anche inversamente: un Vescovo dev’essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini. Dev’essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui l’inquietudine verso Dio è diventata un’inquietudine per la sua creatura, l’uomo.

Come i Magi d’Oriente, anche un Vescovo non dev’essere uno che esercita solamente il suo mestiere e non vuole altro. No, egli dev’essere preso dall’inquietudine di Dio per gli uomini. Deve, per così dire, pensare e sentire insieme con Dio. Non è solo l’uomo ad avere in sé l’inquietudine costitutiva verso Dio, ma questa inquietudine è una partecipazione all’inquietudine di Dio per noi. Poiché Dio è inquieto nei nostri confronti, Egli ci segue fin nella mangiatoia, fino alla Croce. “Cercandomi ti sedesti stanco, mi hai redento con il supplizio della Croce: che tanto sforzo non sia vano!”, prega la Chiesa nel Dies irae.

L’inquietudine dell’uomo verso Dio e, a partire da essa, l’inquietudine di Dio verso l’uomo devono non dar pace al Vescovo. È questo che intendiamo quando diciamo che il Vescovo dev’essere soprattutto un uomo di fede. Perché la fede non è altro che l’essere interiormente toccati da Dio, una condizione che ci conduce sulla via della vita. La fede ci tira dentro uno stato in cui siamo presi dall’inquietudine di Dio e fa di noi dei pellegrini che interiormente sono in cammino verso il vero Re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e di amore. In questo pellegrinaggio, il Vescovo deve precedere, dev’essere colui che indica agli uomini la strada verso la fede, la speranza e l’amore.

Il pellegrinaggio interiore della fede verso Dio si svolge soprattutto nella preghiera. Sant’Agostino ha detto una volta che la preghiera, in ultima analisi, non sarebbe altro che l’attualizzazione e la radicalizzazione del nostro desiderio di Dio. Al posto della parola “desiderio” potremmo mettere anche la parola “inquietudine” e dire che la preghiera vuole strapparci alla nostra falsa comodità, al nostro essere chiusi nelle realtà materiali, visibili e trasmetterci l’inquietudine verso Dio, rendendoci proprio così anche aperti e inquieti gli uni per gli altri.

Il Vescovo, come pellegrino di Dio, dev’essere soprattutto un uomo che prega. Deve essere in un permanente contatto interiore con Dio; la sua anima dev’essere largamente aperta verso Dio. Le sue difficoltà e quelle degli altri, come anche le sue gioie e quelle degli altri le deve portare a Dio, e così, a modo suo, stabilire il contatto tra Dio e il mondo nella comunione con Cristo, affinché la luce di Cristo splenda nel mondo.

Torniamo ai Magi d’Oriente. Questi erano anche e soprattutto uomini che avevano coraggio, il coraggio e l’umiltà della fede. Ci voleva del coraggio per accogliere il segno della stella come un ordine di partire, per uscire – verso l’ignoto, l’incerto, su vie sulle quali c’erano molteplici pericoli in agguato. Possiamo immaginare che la decisione di questi uomini abbia suscitato derisione: la beffa dei realisti che potevano soltanto deridere le fantasticherie di questi uomini. Chi partiva su promesse così incerte, rischiando tutto, poteva apparire soltanto ridicolo. Ma per questi uomini toccati interiormente da Dio, la via secondo le indicazioni divine era più importante dell’opinione della gente. La ricerca della verità era per loro più importante della derisione del mondo, apparentemente intelligente.

Come non pensare, in una tale situazione, al compito di un Vescovo nel nostro tempo? L’umiltà della fede, del credere insieme con la fede della Chiesa di tutti i tempi, si troverà ripetutamente in conflitto con l’intelligenza dominante di coloro che si attengono a ciò  che  apparentemente è sicuro. Chi vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche nel nostro tempo. L’agnosticismo  oggi largamente imperante ha i suoi dogmi ed è estremamente intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette in questione e mette in questione i suoi criteri. Perciò, il coraggio di contraddire gli orientamenti dominanti è oggi particolarmente pressante per un Vescovo. Egli dev’essere valoroso. E tale valore o fortezza non consiste nel colpire con violenza, nell’aggressività, ma nel lasciarsi colpire e nel tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti.

Il coraggio di restare fermamente con la verità è inevitabilmente richiesto a coloro che il Signore manda come agnelli in mezzo ai lupi. “Chi teme il Signore non ha paura di nulla”, dice il Siracide (34,16). Il timore di Dio libera dal timore degli uomini. Rende liberi!

 

In questo contesto  mi viene in mente un episodio degli inizi del cristianesimo che san Luca narra negli Atti degli Apostoli. Dopo il discorso di Gamaliele, che sconsigliava la violenza verso la comunità nascente dei credenti in Gesù, il sinedrio chiamò gli Apostoli e li fece flagellare. Poi proibì loro di predicare nel nome di Gesù e li rimise in libertà. San Luca continua: “Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù. E ogni giorno … non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo” (At 5,40ss). Anche i successori degli Apostoli devono attendersi di essere ripetutamente percossi, in maniera moderna, se non cessano di annunciare in modo udibile e comprensibile il Vangelo di Gesù Cristo.

E allora possono essere lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per Lui. Naturalmente vogliamo, come gli Apostoli, convincere la gente e, in questo senso, ottenerne l’approvazione. Naturalmente non provochiamo, ma tutt’al contrario invitiamo tutti ad entrare nella gioia della verità che indica la strada. L’approvazione delle opinioni dominanti, però, non è il criterio a cui ci sottomettiamo. Il criterio è Lui stesso: il Signore. Se difendiamo la sua causa, conquisteremo, grazie a Dio, sempre di nuovo persone per la via del Vangelo. Ma inevitabilmente saremo anche percossi da coloro che, con la loro vita, sono in contrasto col Vangelo, e allora possiamo essere grati di essere giudicati degni di partecipare alla Passione di Cristo.

I Magi hanno seguito la stella, e così sono giunti fino a Gesù, alla grande Luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr Gv 1,9). Come pellegrini della fede, i Magi sono diventati essi stessi stelle che brillano nel cielo della storia e ci indicano la strada. I santi sono le vere costellazioni di Dio, che illuminano le notti di questo mondo e ci guidano. San Paolo, nella Lettera ai Filippesi, ha detto ai suoi fedeli che devono risplendere come astri nel mondo (cfr 2,15).

Cari amici, ciò riguarda anche noi. Ciò riguarda soprattutto voi che, in quest’ora, sarete ordinati Vescovi della Chiesa di Gesù Cristo. Se vivrete con Cristo, a Lui nuovamente legati nel Sacramento, allora anche voi diventerete sapienti. Allora diventerete astri che precedono gli uomini e indicano loro la via giusta della vita.

In quest’ora noi tutti qui preghiamo per voi, affinché il Signore vi ricolmi con la luce della fede e dell’amore. Affinché quell’inquietudine di Dio per l’uomo vi tocchi, perché tutti sperimentino la sua vicinanza e ricevano il dono della sua gioia. Preghiamo per voi, affinché il Signore vi doni sempre il coraggio e l’umiltà della fede. Preghiamo Maria che ha mostrato ai Magi il nuovo Re del mondo ( Mt 2,11), affinché ella, quale Madre amorevole, mostri Gesù Cristo anche a voi e vi aiuti ad essere indicatori della strada che porta a Lui. Amen.

AMDG et DVM