martedì 29 novembre 2022

Una riflessione serena sulla continenza perfetta per il regno dei cieli.

 «ECCO, LA VERGINE CONCEPIRÀ…»

Riflessioni sul celibato sacerdotale e la verginità consacrata
di P. Raniero Canatalamessa O.F.M cap.
6 dicembre 2002

"VI SONO ALCUNI CHE NON SI SPOSANO 

PER IL REGNO DEI CIELI"

"L'angelo del Signore fu mandato da Dio a una vergine" (Lc 1, 26): così comincia il vangelo di domenica prossima, festa dell'Immacolata Concezione. Si ha un bel discutere sul senso e l'origine della parola "vergine", parthenos; essa sta lì, nella Bibbia, piantata come una roccia. È vero che il racconto lucano dipende, in questo punto, dalla profezia di Isaia 7, 14:
"Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio", questo però non diminuisce,
ma accresce il valore del testo evangelico, mostrandone la lunga preparazione profetica e il radicamento nella storia della salvezza.


La verginità è il mezzo scelto da Dio per dare un nuovo inizio al mondo. Come nella prima creazione, anche ora Dio crea "dal nulla", cioè dal vuoto delle possibilità umane, senza bisogno di alcun concorso e di alcun appoggio, ex nihilo sui et subiecti, come si diceva nella Scolastica. E questo "nulla", questo vuoto, questa assenza di spiegazioni e di cause naturali, è rappresentato appunto dalla verginità di Maria. Essa è un segno grandioso che non si può eliminare senza scompaginare tutto il tessuto del racconto evangelico e svisarne il significato.


In questo Avvento, vorrei partire dalla verginità di Maria per una riflessione serena sulla continenza perfetta per il regno dei cieli. Oggi si tende a riservare il termine "vergine" alle donne consacrate, ma per il Nuovo Testamento esso designa anche quelli "che non si sono macchiati con donne" (Ap 14,4), dunque anche gli uomini che scelgono la continenza perfetta. A questo uso mi attengo anch'io.
Celibato e verginità sono diventati ai nostri giorni un'istituzione, oggetto, dentro la Chiesa, di innumerevoli dibattiti, guardato con sospetto e, talvolta, con commiserazione, fuori di essa, da parte di molti rappresentanti delle cosiddette scienze umane. Uno di essi – per citare il più famoso di tutti, Freud – ha detto che "la nevrosi sostituisce, nella nostra epoca, il convento nel quale solevano ritirarsi tutte le persone che la vita aveva deluso o che si sentivano troppo deboli per affrontarla"1 . La verginità e il celibato sarebbero, secondo lui, l'equivalente antico della moderna nevrosi!


In questa atmosfera è molto facile che le parole celibato e verginità evochino subito l'idea di un problema irrisolto, di una materia "che scotta", anziché quella di un impegno liberamente assunto e di un dono di grazia. Non si vive serenamente il celibato e non se ne sfruttano tutte le potenzialità spirituali, perché si è frastornati dal chiasso che c'è intorno ad esso, o magari perché si pensa che, chissà, un giorno la legislazione a suo riguardo potrebbe cambiare. Ci fu un momento dopo il concilio di Trento in cui in alcune aree di Europa si era diffusa la convinzione che il celibato obbligatorio del clero sarebbe stato presto abolito; l'attesa servì da pretesto al vescovo-principe di Salisburgo, Wolf Dietrich von Reitenau, per portarsi avanti e avere nel frattempo ben undici figli, come viene a sapere chiunque oggi visita, a Salisburgo, il castello Mirabell da lui costruito per ospitare la numerosa famiglia.


È necessario dunque un rovesciamento di mentalità, e questo può avvenire soltanto con un rinnovato contatto con le radici bibliche di questa istituzione. Viviamo ormai in un contesto sociale in cui, nella difesa della propria castità, non si può più far leva su protezioni di tipo esterno, come la separazione dei sessi, un rigoroso filtro dei contatti con il mondo e tutte le dettagliate precauzioni con cui le Regole monastiche e il diritto canonico circondavano l'osservanza di questo voto.
La facilità delle comunicazioni e degli spostamenti ha creato una situazione nuova; TV, internet, pubblicità e giornali ci riversano a fiotti il mondo dentro casa, ce lo cacciano a forza negli occhi. La custodia della propria castità è affidata ormai, in massima parte, all'individuo stesso e non può riposare che su forti convinzioni personali, attinte dalla parola di Dio. A questo scopo vorrebbero servire le riflessioni che mi accingo a fare, prescindendo volutamente da ogni preoccupazione polemica o apologetica.


"Vi sono alcuni che non si sposano per il regno dei cieli"
La proposta della continenza perfetta è contenuta nel Vangelo di Matteo, al capitolo 19: "Gli dissero i discepoli: Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi. Egli rispose loro: Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini; e vi sono alcuni che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca" (Mt 19, 10-12).
La parola eunuco era dura e offensiva a quel tempo, non meno che per noi oggi. Se Gesù la usa, in questo contesto, probabilmente è perché i suoi avversari accusavano lui di essere un eunuco per non essersi sposato, come lo accusavano di essere un mangione e un beone. Nel riprendere, però, la parola dagli avversari, egli le conferisce un senso del tutto nuovo, spirituale non fisico. Così lo ha sempre compreso la tradizione cristiana, eccetto il noto caso di Origene che, contrariamente alla sua abitudine di spiegare tutto spiritualmente, interpretò questo passo alla lettera e si mutilò, pagando in seguito un caro prezzo per il suo errore.
Nasce così un secondo stato di vita nel mondo e questa ne è la "magna charta". Non esisteva infatti, prima di Gesù, una condizione di vita paragonabile a questa, almeno nelle motivazioni, se non nel fatto. Essa non annulla l'altra possibilità, il matrimonio, ma la relativizza. Avviene come per l'idea di stato, nell'ambito politico: esso non è abolito, ma radicalmente relativizzato dalla rivelazione della contemporanea presenza, nella storia, di un regno di Dio.


La continenza perfetta sta di fronte al matrimonio un po' come il regno di Dio sta di fronte al regno di Cesare: non lo elimina, ma lo fa apparire in una posizione diversa da prima. Esso non è più l'unica istanza nel suo campo. Siccome il regno di Dio è di un ordine di grandezza diverso dal regno di Cesare, l'uno non ha bisogno di negare l'altro per sussistere. Allo stesso modo, la continenza volontaria non ha bisogno che sia rinnegato il matrimonio, per essere riconosciuta nella sua validità. Essa, anzi, non prende senso che dalla contemporanea affermazione del matrimonio. Se il matrimonio fosse qualcosa di negativo, rinunciare ad esso non sarebbe una scelta libera, ma un obbligo e nulla più.


La dimensione profetica della verginità e del celibato
Per capire questa nuova forma di vita e la sua intima ragion d'essere, bisogna partire dalla motivazione addotta da Gesù: "per il regno dei cieli". Il regno di Dio ha una caratteristica che oggi viene espressa mediante i due avverbi "già" e "non ancora", dejà et pas encore, already and not yet, schon und noch nicht, secondo le varie lingue. Esso è "già" qui; è venuto, è presente. Il regno dei cieli – proclama Gesù – è vicino, è in mezzo a voi. Ma, in un altro senso, il regno dei cieli non è ancora venuto, è in cammino, ed è per questo che preghiamo: "Venga il tuo Regno".
Poiché il regno dei cieli è già venuto, poiché con Cristo la salvezza finale è già operante nel mondo, dunque – ecco la conseguenza che ci riguarda – è possibile che alcune persone, chiamate da Dio, scelgano, fin d'ora, di vivere come si vive nella condizione finale del Regno. E come si vive nella condizione finale del Regno? Lo dice lo stesso Gesù nel Vangelo di Luca: "I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito, ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio" (Lc 20, 34-36; cf anche Mt 22, 30).


In ciò risiede propriamente la dimensione profetica della verginità e del celibato per il Regno. Questa forma di vita mostra, con la sua semplice esistenza e senza bisogno di parole, quale sarà la condizione finale dell'uomo, quella destinata a durare in eterno. Si è tanto discusso, in passato, se la verginità sia uno stato più perfetto del matrimonio e, se sì, in che senso. Io credo che essa non è uno stato ontologicamente più perfetto (ognuno dei due stati è perfetto per chi vi è chiamato), ma è uno stato escatologicamente più avanzato, nel senso che è più simile a quello definitivo, al quale tutti siamo incamminati. "Voi avete cominciato a essere ciò che noi tutti un giorno saremo", scriveva san Cipriano alle prime vergini cristiane"2 .


Una tale profezia, lungi dall'essere contro gli sposati, è invece anzitutto per loro, a loro beneficio. Ad essi ricorda che il matrimonio è santo, è bello, è creato da Dio e redento da Cristo, è immagine dello sposalizio tra Cristo e la Chiesa, ma che non è tutto. È una struttura legata a questo mondo e perciò transitoria. Quando non si potrà più morire, non ci si dovrà più sposare.



Agli sposati, la verginità ricorda perciò che non si può fare, del matrimonio e della famiglia, l'idolo a cui sacrificare tutto e tutti, una specie di assoluto nella vita. Tutti sanno quanto è facile fare di un buon matrimonio l'ideale e lo scopo supremo della vita, misurando dalla sua riuscita la riuscita stessa dell'esistenza. E siccome il primo a soffrire di questa indebita assolutizzazione è proprio il matrimonio, che è come schiacciato da queste attese sproporzionate, ecco perché dico che la verginità viene in soccorso degli stessi sposati. Essa libera il matrimonio e ognuno dei due coniugi dal peso insopportabile di dover essere il tutto e sostenere le veci di Dio.


La riserva escatologica, che la verginità pone al matrimonio, non ne offusca la gioia, ma la preserva anzi dalla disperazione, perché apre a essa un orizzonte anche dopo la morte. Proprio perché esiste l'eternità e una Gerusalemme celeste, i coniugi che si amano sanno che la loro comunione non è destinata a finire con questo mondo che passa e a dissolversi nel nulla ma, trasfigurata e spiritualizzata, durerà in eterno.
Partendo da questo carattere profetico della verginità e del celibato, possiamo capire quanto sia ambigua e falsa la tesi secondo cui questo stato sarebbe contro natura e impedirebbe all'uomo e alla donna di essere pienamente se stessi, cioè uomo o donna. Il dubbio pesa terribilmente sull'animo dei giovani ed è uno dei motivi che più li distoglie dal rispondere alla vocazione. Non si è tenuto sempre conto che, essendosi la psicologia moderna costituita sulla base di una visione materialistica e atea dell'uomo, quello che essa dice, in questo campo, può avere un certo peso per chi non crede nell'esistenza di Dio e di una vita dopo morte, mentre non ne ha alcuno per chi ha una visione di fede, o semplicemente spiritualista, dell'uomo.


All'amico Jacques Rivière, convinto che scegliere la castità fosse un tagliarsi fuori dalla corrente della vera vita, Paul Claudel rispose con queste illuminanti parole: "Noi viviamo ancora nel vecchio pregiudizio romantico che la felicità suprema, il grande interesse, l'unico romanzo dell'esistenza, consistono nei nostri rapporti con la donna e nelle soddisfazioni dei sensi che ne ricaviamo. Si dimentica solo una cosa: che l'anima e lo spirito sono realtà altrettanto forti, altrettanto esigenti che la carne – lo sono ben di più! – e che, se accordiamo a quest'ultima tutto ciò che essa chiede, è a detrimento di altre gioie, di altre regioni meravigliose, che ci resteranno precluse per sempre. Svuotiamo un bicchiere di cattivo vino in una bettola o in un salotto [qui affiora il poeta] e ci dimentichiamo di questo mare verginale che altri contemplano al levarsi del sole" 3.


La verginità e il celibato non rinnegano la natura, ma soltanto la realizzano a un livello più profondo. Per sapere cos'è l'uomo e cosa è "naturale" per lui, il pensiero umano (specie quello influenzato dalla filosofia greca) si è sempre basato sull'analisi della sua natura, intendendo per natura – secondo il significato etimologico di questa parola – ciò che l'uomo è per nascita: un animale che ragiona, animal rationale.
La Bibbia si basa invece sul concetto di vocazione: l'uomo non è solo ciò che è determinato ad essere dalla sua nascita, ma anche ciò che è chiamato a divenire con l'esercizio della sua libertà, nell'obbedienza a Dio. L'uomo perfetto è Gesù risorto, "l'Adamo ultimo" (cf 1 Cor 15, 45-47), dicevano i Padri della Chiesa. Più un uomo si avvicina a questo modello di umanità, più è lui stesso veramente e pienamente uomo.


Se non ci fosse che la natura, non ci sarebbe un motivo valido per opporsi alle tendenze e agli impulsi naturali, ma c'è anche la vocazione. In un certo senso, potremmo dire perciò che lo stato più "naturale" dell'uomo è proprio la verginità, perché noi non siamo "chiamati" a vivere in un eterno rapporto di coppia, ma a vivere in un eterno rapporto con Dio. È quello che riconosce lo stesso Goethe nei celebri versi finali del suo Faust, riferendosi proprio all'amore terreno tra Faust e Margherita: "Tutto ciò che passa / non è che un simbolo; / solo in cielo l'irraggiungibile / diventa realtà 4.

La dimensione missionaria del celibato e della verginità
Questa è la prima motivazione della verginità e del celibato, derivante dal fatto che il Regno è "già" venuto. Il regno di Dio, però, in un altro senso, dicevamo, "non è ancora" venuto, ma è in cammino. Deve venire in intensità all'interno della Chiesa e delle anime e deve venire in estensione, fino ad arrivare ai confini del mondo.
Ed ecco la motivazione che scaturisce da ciò. Poiché il regno di Dio non è ancora venuto, ma è in cammino, occorrono uomini e donne che, a tempo pieno e a cuore pieno, si dedichino alla venuta di questo Regno. Siamo così alla dimensione missionaria, o apostolica, della verginità e del celibato. Essa non riguarda soltanto i consacrati che di fatto vanno in terre lontane ad annunciare il Vangelo, ma tutti i vergini e le vergini. La Chiesa lo ha riconosciuto, proclamando una claustrale, santa Teresa di Gesù Bambino, compatrona delle missioni.


È difficile immaginare come sarebbe oggi il volto della Chiesa, se non ci fosse stata lungo i secoli questa schiera di uomini e di donne che hanno rinunciato a "casa, moglie e figli", per il regno dei cieli (cf Lc 18, 29). L'annuncio del Vangelo e la missione hanno riposato in gran parte sulle loro spalle. All'interno della cristianità, essi hanno fatto avanzare la conoscenza della parola di Dio coltivando gli studi; hanno aperto vie nuove al pensiero e alla spiritualità cristiani; all'esterno, hanno portato l'annuncio del Regno ai popoli lontani. Sono essi che hanno fatto sorgere quasi tutte le istituzioni caritative che hanno tanto arricchito la Chiesa e il mondo.


Da quanto si è detto, appare che la verginità non significa sterilità, ma, al contrario, fecondità massima, s'intende su un piano diverso da quello fisico. La prima volta che la verginità compare nella storia della salvezza, è associata alla nascita di un bambino: "Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio…" (Is 7, 14). La tradizione ha colto questo legame, associando costantemente il titolo di vergine a quello di madre. Maria è la vergine madre; la Chiesa è vergine e madre. "Uno è il Padre di tutti – scrive Clemente Alessandrino – uno anche il Verbo di tutti, uno e identico è lo Spirito Santo e una sola è la vergine madre: così io amo chiamare la Chiesa" 5. Infine, ogni anima, e in particolare ogni anima consacrata, è vergine e madre: "Ogni anima credente, sposa del Verbo di Dio, madre, figlia e sorella di Cristo, viene ritenuta, a suo modo, vergine e feconda"6 .


Si tratta, dicevo, di una fecondità diversa, spirituale, non carnale; ma siccome l'uomo è anche spirito, e non solo carne, si tratta di una fecondità anch'essa squisitamente umana. È lo stesso tipo di fecondità che permetteva a san Paolo di dire, rivolto ai cristiani da lui istruiti nella fede: "Sono io che vi ho generati in Cristo Gesù" (1 Cor 4, 15) e ancora: "Figlioli miei che io di nuovo partorisco nel dolore" (Gal 4, 19).
Lo sa bene il popolo cristiano che, in ogni cultura, ha spontaneamente attribuito ai vergini il titolo di padre e alle vergini il titolo di madre. Quanti missionari e quanti fondatori di opere sono ricordati semplicemente come "il Padre" e quante donne, semplicemente come "la Madre". Esempi recenti: Padre Pio da Pietrelcina e Madre Teresa di Calcutta. (Anche dopo la sua canonizzazione, si stenta ad abbandonare il titolo di Padre Pio per quello di San Pio, e così avverrà probabilmente anche per Madre Teresa).


Tante crisi affettive nella vita dei sacerdoti, con le conseguenze disastrose che tutti conosciamo, dipendono, penso, dall'assenza di queste esperienze forti di paternità spirituale, dall'"impotenza" a generare figli nella fede, mediante l'annuncio del Vangelo.
Oggigiorno si parla molto della "qualità della vita". Si dice che la cosa più importante non è aumentare la quantità della vita sul nostro pianeta, ma elevarne la qualità. Ma esiste anche una qualità spirituale della vita ed è la più importante perché riguarda l'anima dell'uomo, ciò che di lui resta in eterno. I vergini per il Regno sono chiamati a spendersi per elevare questa qualità spirituale della vita, senza contare che gli stessi hanno lavorato e lavorano per elevare anche la qualità igienica, sanitaria, sociale e culturale della vita.


San Gregorio Nazianzeno ha creato un verso stupendo a lode della verginità. Quando lo lessi, pensai, sulle prime, che si trattasse di un'espressione un po' enfatica. Esso infatti viene a dire che la verginità ha un modello più alto della Chiesa, più alto perfino di Maria: la Trinità! "La prima vergine – dice – è la Santa Trinità" 7. Ma ho dovuto costatare, ancora una volta, riflettendoci meglio, che i Padri non dicono mai nulla senza una ragione oggettiva e profonda. Sì, la "prima vergine" è davvero la Santa Trinità e non solo perché verginale è la generazione eterna del Verbo dal Padre, ma anche perché la Trinità ha creato l'universo da sola, senza concorso di alcun altro principio, fosse pure quello di una "materia preesistente" come pensavano i greci e gli gnostici. Ha creato dal nulla, verginalmente.
In ogni generazione di tipo sessuale c'è un elemento di egoismo e di concupiscenza. L'uomo e la donna, nel generare un figlio, fanno dono, ma anche "si fanno" dono; realizzano, ma anche "si realizzano", avendo bisogno dell'incontro con l'altro per completarsi e arricchirsi. Ma la Trinità, quando crea, realizza, non "si realizza", essendo già in se stessa perfettamente felice e completa. "Hai dato origine all'universo – dice la Preghiera eucaristica IV – per effondere il tuo amore su tutte le creature e allietarle con gli splendori della tua luce".


Si rimprovera talvolta alla Chiesa cattolica di aver dato un'interpretazione troppo estesa alla parola di Gesù sul celibato per il Regno, imponendolo a tutti i suoi preti. Ora è vero che Gesù non impose la scelta del celibato, ma neppure la Chiesa la impone, né tanto meno impedisce ad alcuno di sposarsi. La Chiesa cattolica ha solo stabilito questo come uno dei requisiti per quelli che desiderano esercitare il ministero sacerdotale, che resta una scelta libera. È lo stesso identico principio, in base al quale la Chiesa ortodossa riserva l'episcopato ai non sposati. Tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa la differenza è solo nell'estensione dell'applicazione, non nel principio.
A me pare che sia molto più seria la mancanza per difetto di quelle Chiese cristiane che si propongono di predicare il "pieno Vangelo", ma mancano di qualsiasi forma di realizzazione di questa proposta evangelica del celibato per il Regno, come pure di quella di vendere tutto per seguire Cristo in povertà volontaria. Sono stato per oltre dieci anni membro della delegazione cattolica per il dialogo con le chiese pentecostali. Visto il clima sereno e di amicizia che c'era tra noi, ho potuto una volta permettermi una battuta nei loro confronti. "Voi -ho detto loro sorridendo- non fate che parlare di Full Gospel, del "pieno vangelo" da voi predicato; a me sembra che il vostro Vangelo è, sì, pieno, ma pieno di… buchi, full of holes".


Non essendo di origine divina, la legge del celibato obbligatorio dei preti può certamente essere cambiata dalla Chiesa, se a un certo punto lo ritiene necessario (mi astengo dal discutere questo aspetto del problema, non essendo questo il luogo per farlo), ma nessuno può negare onestamente che, nonostante tutti gli inconvenienti e le defezioni, esso abbia favorito enormemente la causa del Regno e della santità e sia anche oggi un segno efficacissimo del Regno in mezzo al popolo cristiano.


La Vergine Maria
Torniamo con il pensiero alla Vergine Maria da cui siamo partiti. In Maria appare, in tutto il suo fulgore, la motivazione biblica della verginità, espressa dalle parole: "per il regno dei cieli". Ella è stata scelta; il Regno si è impadronito di lei; l'ha "requisita" e lei si è lasciata requisire (Geremia direbbe: si è lasciata "sedurre").
Maria ha corrisposto perfettamente, con fede assoluta, alla chiamata alla verginità; ne ha accettato, senza discutere e gioiosamente, tutte le conseguenze, dicendo: "Eccomi!" e divenendo, così, modello per tutta l'innumerevole schiera di giovani e di ragazze che, lungo i secoli, avrebbero ricevuto in sorte la sua stessa chiamata a essere "vergini e madri", "vergini e padri".
San Gregorio Nisseno mette in luce la profonda affinità che esiste tra Maria e ogni vergine cristiana e che si fonda su un analogo rapporto con Cristo: "Quello – scrive – che si verificò fisicamente in Maria immacolata, quando la pienezza della divinità risplendette in Cristo attraverso la verginità, si ripete anche in ogni anima che resta vergine seguendo la ragione, anche se il Signore non si fa presente in essa materialmente" 8.


Maria non è solo modello, ma anche "avvocata" e difesa dei vergini. Non si limita ad additare loro la via della verginità, ma li aiuta anche a percorrerla con la sua intercessione e vigile custodia. San Basilio scrive: "Come i corpi limpidi e trasparenti, quando un raggio li colpisce, diventano essi stessi splendenti e riflettono un altro raggio, così le anime pneumatofore, illuminate dallo Spirito, diventano esse stesse pienamente spirituali e rinviano sugli altri la grazia" 9. Maria è, per eccellenza, l'anima "pneumatofora", portatrice dello Spirito, è il corpo luminoso che riflette sugli altri la luce. Lo stesso Lutero ha dovuto scrivere di lei: "Nessuna immagine di donna dà all'uomo pensieri così puri come questa vergine"10. Per questo una costante attenzione e devozione a Maria è tra i mezzi più efficaci per vivere bene e serenamente il celibato e la verginità per il regno.
Dopo il titolo di Theotókos, di Genitrice di Dio, quello di Aeiparthenos, "Semprevergine", è il titolo con cui Maria è più spesso invocata nella liturgia, sia latina che ortodossa. Quest'ultima non si stanca di salutarla, nel suo inno mariano più bello, l'Akáthistos, con il titolo di "vergine sposa": "Ave, di vergini madre e nutrice. Ave, che anime porti allo Sposo. Ave, vergine sposa". E anche noi la salutiamo così: "Ave, Vergine Sposa".

NOTE

1 S. FREUD, Cinque conferenze sulla psicoanalisi, 1909, in Opere, VI, Boringhieri, Torino 1974, pp. 129-173.
2 S. CIPRIANO, Sulle Vergini, 22 (PL 4, 475).
3 J. RIVIÈRE – P. CLAUDEL, Correspondance, Paris 1926, p. 261 s.
4 "Alles vergängliche / ist nur ein Gleichnis; / Das Unzulängliche, / Hier wird Ereignis"
5 CLEMENTE ALESSANDRINO, Pedagogo, I, 6.
6 B. ISACCO DELLA STELLA, Sermo 51 (PL 194, 1863).
7 S. GREGORIO NAZIANZENO, Carmi I, 2 (PG 37, 523 A).
8 S. GREGORIO NISSENO, Sulla verginità, 2.
9 S. BASILIO MAGNO, Sullo Spirito Santo, IX, 210 M. LUTERO, Sermoni sui Vangeli (ed. Weimar, 10, 1, p. 68).

AVE MARIA!

lunedì 28 novembre 2022

L'UNIONE A GESÙ CRISTO

 SILVIO MARIA GIRAUD, MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA



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LIBRO TERZO

LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO

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CAPITOLO DODICESIMO. LA SANTA MESSA

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La sublimità cui il Sacerdote viene innalzato dall'Ordinazione sacra è assolutamente superiore ad ogni pensiero umano. Neppure gli Angeli potrebbero giungere a intendere perfettamente la dignità, lo stato santo, o meglio per usare il linguaggio di san Dionigi (541), lo stato deiforme al quale viene elevato il Sacerdote. È questo il profondo segreto di Dio. Il Sacerdote è sacerdote in tutta la sua persona e in tutto il suo essere; nell' anima come nella carne: Sacerdote sempre, sia che adempia qualche ministero, ovvero che si presenti come uomo privato. In lui tutto è sacerdotale e quindi tutto è divino; egli pensa e ama divinamente; egli vive, ma non più lui; Dio medesimo vive in lui, quei Dio che lo ha fatto il suo Sacerdote e un altro se stesso. Epperò quando il Sacerdote umile e modesto, Si avvia all'altare rivestito dei gloriosi abiti sacerdotali, tutto s'inchina al suo passaggio, la Chiesa della terra come gli Angeli del Cielo. In quell'anima che per la sacra ordinazione è divenuta un altro CRISTO, vi è una gloria celeste e divina; se fossero visibili i raggi che circondano la sua fronte, il suo volto, il suo cuore e il suo corpo medesimo, tutto nell'universo resterebbe impallidito. Se la grandezza del Sacerdote potesse comparire visibilmente nella sua vera realtà, i re e le regine getterebbero ai suoi piedi le loro corone. Quando si potesse vedere quale inesauribile sorgente di ogni bene si apra per tutte le creature, ogni volta che il Sacerdote alza la mano per benedire e consacrare, ne risulterebbe dappertutto sulla faccia della terra un immenso tripudio di gioia. In cielo avviene un tale tripudio quando il Sacerdote va all'altare, perché quaggiù egli è il concittadino deI Cielo; avviene pure in Purgatorio, poiché il Sacerdote è l'amico, l'aiuto, il liberatore delle anime purganti; avviene anche in una moltitudine di anime, le quali secondo la parola di sant'Ambrogio, «vedendo CRISTO nel Sacerdote, stanno nella luce vera ed infallibile» (542). Ma un tale tripudio di gioia, avviene nell’Ostia in una maniera incomprensibile, più profonda e più amorosa… O Sacerdote! l'Ostia vivente trasalisce, l'Ostia vivente ti aspetta perché vuol venire nelle tue mani; nelle tue mani soprattutto essa si compiace: Essa è tua, e tu sei suo. L'Ostia sempre richiede il suo Sacerdote, e sempre il Sacerdote è una cosa sola con l'Ostia; non possono star separati. La gioia dell'Ostia è di aver il suo Sacerdote; la gioia del Sacerdote è di aver la sua Ostia, mistero bello e delizioso! O impenetrabile abisso di grazia, di pace e di gioia che rimane il segreto del Sacerdote e dell'Ostia!

«Il mondo non ci ama, scriveva san Paolino da Nola, ma GESÙ CRISTO ci ama: Mundus nos non amat, sed amat nos Christus» (543), GESÙ CRISTO ci ama e ogni mattina ci accorda il sublime onore di salire all'altare e celebrare la santa Messa; e allora cosa importa che il mondo non ci ami? La santa Messa è tutto per il Sacerdote, è il suo gran tesoro, la sua consolazione, la sua gloria, la vita della sua vita, il centro dove tutto in lui trova il suo riposo, dove lo spirito, il cuore, l'anima intera trova tutto quanto può essere oggetto dei più ardenti desideri: luce, dolcezza, pace. sicurezza, felicità, forza, grandezza, e, per dire tutto con una parola sola, unione e unità con Dio e in Dio, per mezzo di CRISTO Ostia del Padre, fattosi Ostia nostra. La santa Messa è propriamente l'azione, la grande Azione del Sacerdote; all'altare, e solamente all'altare, il Sacerdote è veramente tale: quando tiene nelle sue mani l'Ostia santa, la innalza, la divide, ne dispone secondo il suo diritto per se medesimo e per le anime; qui sta il fine supremo del suo ministero; qui si rivela la sostanza del suo misterioso Sacerdozio. Per questa azione, infatti, il Sacerdote è particolarmente segnato con un sigillo indelebile; il carattere ricevuto nell'Ordinazione si riferisce tutto all'Ostia. Perciò, di tutto lo si può privare, fuorché del suo potere sopra l'Ostia. Ministero dolcissimo insieme e terribile! Il Sacerdote e l'Ostia: unità così indissolubile che neppure la degradazione la può rompere. Neppure la dannazione potrebbe togliere, nel disgraziato Sacerdote che precipitasse nell'inferno, la relazione con l'Ostia; il carattere sacerdotale sarebbe «quel sale, col quale sarà salata ogni vittima» (Mc 9, 47-48). Disgrazia terribile! La Chiesa, nella preghiera Hanc igitur, immediatamente prima della Consacrazione, ci fa domandare di esserne preservati. Si verifichi piuttosto per noi la bella parola di sant'Ambrogio: «La nostra Ostia si compiaccia di riconoscere in noi la sua gloriosa impronta. Oblatio sicut hostia pura, in vobis semper suum signaculum recognoscat!» (544).

Celebriamo sempre degnamente ogni santa Messa, perciò ricordiamo questa parola di san Giovanni Eudes: «La Messa è cosa così grande che ci vorrebbero tre eternità per celebrarla degnamente: la prima per la preparazione, la seconda per la celebrazione, la terza per il ringraziamento».

I. Preparazione alla santa Messa. – Probet autem seipsum homo(1 Cor 11, 28).

Pervulgatum apud sanctos Patres axioma est, dice il Card. Bona, quod talem se animae exhibet Deus, qualem se illa praeparat Deo. Ideo Christus in Eucharistia, aliis quidem est fructus vitae… aliis vero panis insipidus… Pauci sunt qui admirables hujus sacri convivii in se sentiant effectus, quia pauci sunt qui se ad illos recipendos rite disponant… Instante itaque celebratione, totis viribus curare debet (Sacerdos), ut in ara cordis ignem divini amoris succendat, actusque eliciat diversarum virtutum… tanto Sacrificio, quantum fieri poterit, convenientes (545). E san Bonaventura: Abstractus et divinus factus, nihil aliud videat, nihil aliud sentiat, quam Deum (546).

La preparazione deve essere particolarmente interna; ma pure non si trascuri l'esterno, ossia l'esatta pulitezza in ogni cosa che si avvicina all'altare; soprattutto si osservi il silenzio. Vespere praecedenti, dice ancora il Card. Bona, cogite Sacerdos se, die crastina, hostiam salutarem Deo omnipotenti oblaturum, eique cagitationi indormiat; sequenti die, in eadem cogitatione invigilet, etc. (547). Vi sono Sacerdoti che, ad imitazione di san Carlo, han la fortuna di confessarsi ogni giorno prima della santa Messa, non per scrupolo, ma per amore.

Il Sacerdote fervente prende con fede i sacri paramenti, e questi gli ricordano come debba essere Vittima con GFSÙ Ostia. Il Card. Bona dice che essi rappresentano le varie circostanze della Passione; l'amitto, è figura del velo con cui i soldati coprirono il volto di GESÙ nel cortile di Caifasso; il camice ricorda la veste bianca di cui lo rivestì Erode; e così degli altri. La Messa è la memoria della Passione, quindi tutto quanto ci ricorda la Passione è mezzo efficace per disporre l'anima al divin Sacrificio. Rivestito degli abiti sacri, il Sacerdote va all'altare, tutto assorto in Dio, come GESÙ quando si avviava all'Orto (548); egli, allora soprattutto, è un altro CRISTO e gli Angeli si prostrano riverenti al suo passaggio. È necessario che abbia i sentimenti e le disposizioni di GESÙ, e sia esso pure Sacerdote e Vittima del Padre. Ma una tale disposizione «non è l'effetto di un semplice preparamento attuale, durasse pure un'ora intera; non può essere l'effetto che della grazia di GESÙ CRISTO in noi, e del lavoro magari di parecchi anni nella mortificazione dei sensi e nella crocifissione di noi stessi per essere conformi a GESÙ CRISTO in qualità di Vittime, prima di essere associati a Lui come Sacerdote. GESÙ, prima di entrare nella perfezione, nei diritti e nelle funzioni del suo Sacerdozio eterno nel Santuario del Cielo, ha dovuto essere Vittima sulla Croce; così coloro che sono destinati ad essere partecipi della potenza e grandezza del suo Sacerdozio per offrire il terribile Sacrificio del suo Corpo, debbono aver lavorato e lavorare continuamente a crocefiggere in se stessi l'uomo vecchio. GESÙ risorto è il Sacerdote del Cielo: così, per compiere su la terra la celeste funzione del suo Sacerdozio, bisogna essere uomini rinnovati, e per così dire, risorti. Per essere sacerdoti con GESÙ CRISTO, bisogna essere Vittime con Lui, Vittime celesti infiammate» (549).

II. Durante la Santa Messa. – Il Sacerdote, nella Messa, è GESÙ CRISTO, quindi Sacrificatore e Vittima come GESÙ CRISTO.

1°) GESÙ CRISTO, come Sacrificatore, è tutto assorto nel sentimento della Maestà del Padre, cui offre se stesso e tutto il creato: il Sacerdote deve rendersi partecipe di questo sentimento, e rimanere nel più profondo raccoglimento. Si è sempre ammirato nei Santi quando stavano all'altare, quel contegno raccolto, calmo e tranquillo, espressione del raccoglimento e della pace dell'anima che riusciva di somma edificazione per chiunque assisteva alla loro Messa. Bossuet osserva che GESÙ CRISTO medesimo ci ha dato l'esempio, nella sua oblazione; ecco le sue parole: «Perché GESÙ appare così tranquillo sul Calvario mentre nell'Orto era così turbato? il motivo più evidente sta in questo che sul Calvario Egli era nell'azione medesima del suo Sacrificio, e nessuna azione deve essere compiuta con maggior tranquillità. E Voi che assistete al santo Sacrificio, vi lasciate distrarre!… Ah! non avete ancora compreso ciò che è il Sacrificio.

«Il Sacrificio è un'azione con la quale rendete a Dio i vostri omaggi; orbene, chi non sa che tutte le azioni che esprimono il rispetto esigono un contegno, calmo e dimesso? L'olio che si spandeva sulla testa del Pontefice per consacrarlo (Lv 8, 12), era appunto il simbolo sacro della tranquillità dello spirito ottenuta con l'allontanamento di ogni pensiero estraneo… O GESÙ, Pontefice mio divino! per questo senza dubbio vi dimostrate così tranquillo nella vostra Agonia (sulla Croce). Nell'Orto lo veggo turbato, sia pur volontariamente, perché si considerava come Vittima, voleva operare come Vittima e prendere l'azione e il contegno di una Vittima che si lascia trascinare per compiere la funzione Sacerdotale, appena le sue mani si sono elevate per offrire la Vittima al Cielo corrucciato, non vuol più provare nessun turbamento… e in mezzo a tanti dolori, Egli «muore, dice sant'Agostino, con maggior dolcezza e tranquillità che noi nell'addormentarci» (550).

Quale lezione per noi che ci lasciamo così facilmente, distrarre da vani pensieri! All'altare, con tutto il nostro contegno e con l'osservanza esatta e modesta di ogni rubrica, dobbiamo essere l'immagine fedele di GESÙ CRISTO crocefisso. Nella santa Messa, dice san Gregorio, qui Passionis Dominicae mysteria celebralmus; debemus imitari quod agimus (Dialog., IV).

Su l'altare, come già su la Croce, GESÙ offre e abbandona se stesso al Padre e con sé offre tutto il creato, così il Sacerdote deve pure offrirsi e abbandonarsi completamente con GESÙ CRISTO. Ad ogni parola, ad ogni movimento, quando prende l'Ostia fra le mani, o bacia l'altare vicino all'Ostia, quando la innalza, soprattutto quando dice: Per ipsum, et cum ipso et in ipso est tibi omnis honor et gloria, deve innalzarsi lui pure al Padre, come il fumo dell'incenso e la fiamma dell'Olocausto. Quando l'incenso è consumato, non ne resta che un po’ di cenere, tutta la sostanza è scomparsa e si è innalzata davanti a Dio; così il fervente Sacerdote, nella santa Messa, vuole, per così dire, svanire e perdersi davanti alla Gloria e alla Maestà del Padre, dimodochè in lui l'io non abbia più consistenza e neppure realtà.

Il Sacerdote all'altare dà e offre tutto quanto può dare; ha diritto di offrire e consacrare tutto il creato, perché offre e consacra persino il Creatore. Quale sconvenienza e indecenza se, in quei momenti, egli rivolgesse il pensiero e l'intenzione a qualche miserabile interesse materiale! Non potest Sacerdos illa intentione celebrare… ut ex hoc pecuniam consequatur, quia peccaret mortaliter (551).

2°) GESÙ CRISTO nel santo Sacrificio, in quanto Vittima, è in uno stato di morte e di annientamento, di espiazione e di penitenza per le anime; si dà alle anime per comunicar loro il suo stato di Ostia. Il Sacerdote, quando celebra, deve mettersi, come Lui, in istato di morte, di espiazione e di penitenza a pro delle anime, con la disposizione di darsi totalmente alle anime ed anche morire per esse. San Gregorio dice di san Cassio, Vescovo di Narni, che quando doveva offrire il santo Sacrificio, Velut totus in lacrymis defluens, semetipsum, et cum magna contritione, mactabat (552). Tale dovrebbe essere ogni Sacerdote.

Cosa degna di attenzione, nella Liturgia della Messa occupano un posto notevole le espressioni di umiltà, di penitenza e di contrizione; ciò indica che tra i fini del Sacrificio, il più sensibile ed evidente è l'espiazione; è quello che maggiormente risalta. Tutti i Sacramenti parlano di penitenza e di morte; ma il Sacramento dell'altare «annuncia particolarmente la morte del Signore» (1 Cor 11, 26). Perciò la sostanza della vita cristiana sta nella contrizione, nell'odio del peccato e nella volontà ferma di esserne liberi e distruggerne in noi le minime tracce, come pure di offrirne a Dio una conveniente riparazione. Sarebbe sommamente deplorevole che il Sacerdote non intendesse praticamente questa dottrina.

Se il Sacerdote non ha questo spirito, tutto il disegno di Dio nel chiamarlo al Sacerdozio diventa inutile. Lo spirito di GESÙ Vittima penitente ed espiatrice, deve essere il carattere dell'intera vita del Sacerdote, ma soprattutto quando oltre all'altare la Vittima della Croce. Per questo appunto la Chiesa, in quell'azione, gli mette sulle labbra tante parole che si addicono alla condizione di peccatore, affinché l'espiazione diventi il carattere principale di tutta la sua vita sacerdotale.

Con questo spirito di espiazione, il Sacerdote deve darsi alle anime. Nostro Signore si è dato alle anime, nelle umiliazioni, nelle sofferenze, nella Croce, con la morte; nella sua Passione e morte Egli manifestò più sensibilmente questo fine dell'espiazione. Il Sacerdote deve attingere nella sua unione con GESÙ Vittima penitente all'altare, quello spirito di espiazione e portarlo sempre e dappertutto. E non deve dimenticare che è questo il mezzo potente di attirare sulle opere dello zelo la benedizione di Dio. Tutti gli uomini apostolici furono Vittime espiatrici. Così, il Sacerdote nella santa Messa, abbandonandosi con amore alla grazia di GESÙ CRISTO Sacrificatore e Ostia, nell'intento di essere unito con Lui nelle medesime disposizioni come lo è nel Sacerdozio, si stabilisce sempre più in quello stato che GESÙ, nel Cenacolo prima di incamminarsi al suo Sacrificio, domandava al Padre principalmente per i suoi Sacerdoti: Ut sint unum, sicut et nos… Ut sint consummati in unum!

III. Dopo la Messa, il ringraziamento. – Nella Liturgia della Messa, il ringraziamento incomincia subito dopo la Comunione: quid retribuam?… Ricevuto il Corpo di GESÙ CRISTO, è necessario un atto di riconoscenza per un dono sì grande, e il Sacerdote, a questo fine, prende il prezioso Sangue di GESÙ CRISTO; questo indica che GESÙ CRISTO, e GESÙ CRISTO solo, è la nostra lode e il nostro ringraziamento. Qual dono, infatti, potremo noi offrire all'Eterno Padre? «Nel ricevere GESÙ CRISTO, dice il Padre de Condren, il Sacerdote ha ricevuto tutto… Siccome non abbiamo nulla che non riceviamo da Dio, anche la nostra lode e il nostro ringraziamento devono essere un dono di Dio. Orbene qual è questo dono di Dio? GESÙ CRISTO, il Calice della salvezza, il tesoro dei poveri; quando abbiamo ricevuto questo nostro tesoro, possiamo dire per ringraziare: In me sunt Deus, vota tua, quae reddam, laudationes tibi (Ps. 55, 12). Possiedo tutto ciò che può esservi offerto, per la lode e il ringraziamento che vi sono dovuti» (Op. cit., parte IV).

Le Orazioni dopo la Comunione, anche se esprimono domande, sono di ringraziamento. Implorando che quel rimedio divino sia permanente in noi, noi domandiamo la grazia della vita di GESÙ CRISTO in noi e, una vita che operi gli atti che le sono proprii, vita che ci renda somiglianti a Lui; è questo il vero frutto della comunione, ma è pure il modo di far onore a GESÙ CRISTO; il miglior ringraziamento è una vita santa. L’ultima parola, Deo gratias, al termine dell'ultimo Vangelo è ancora una parola di azione di grazie.

Il Sacerdote, mentre il popolo si ritira, continua il ringraziamento e, invitando tutte le creature a benedire e lodare Colui ch'egli porta nel Cuore, le chiama tutte attorno a questo o gran Re e Sacerdote: universale, che è il centro della Religione di ogni creatura, l'Ostia nella quale e con la quale ogni creatura deve offrirsi ed immolarsi a Dio. Deposti in silenzio i sacri Paramenti, il Sacerdote si guarderà bene, in quei momenti preziosi, dalle chiacchiere e dalle distrazioni. Lo spirito della Chiesa è che si osservi il silenzio nella Sagrestia tanto come in Chiesa; il Sacerdote, se appena intende il suo dovere e l'interesse dell'anima sua, sa circondarsi dopo la Messa di un ambiente di silenzio e di raccoglimento, onde trattenersi con GESÙ nell'effusione intima dei suoi affetti. Potrà talvolta accadere che la carità imponga di differire il ringraziamento, ma il buon Sacerdote procurerà che tale sacrificio sia eccezione e non frequenza, altrimenti che ne sarebbe della sua vita interiore? «Un Sacerdote privo di vita interiore, dice Monsignor Gay, è una terra senz'acqua e un cielo senza sole» (Mysteres du Rosaire).

Il Card. Bona raccomanda quattro atti principali nel ringraziamento: azione di grazie propriamente detta, offerta di se stesso, domanda e proponimenti. Per l'offerta così si esprime: Sequitur oblatio, qua par pari Deo reddere Sacerdos potest, Filium ejus unigenitum et consubstantialem ei offerendo, seipsum quoque offerat Patri et Christo holocaustum acceptabile in odorem suavitatis (De celebratione Missae). Preghiamo pure la Madonna, Madre e insieme Ostia di Colui che abbiamo nel nostro cuore, perché si unisca a noi. Ricordiamo anche le anime del Purgatorio, applicando loro l'indulgenza plenaria annessa alla preghiera: En ego, o bone Jesu.

Che se talora, in quei momenti così preziosi, 1'anima si sente stanca, distratta e incapace, sia nostro conforto quella verità di fede: GESÙ è tutto, è tutta la Religione dovuta al Padre e a Lui medesimo; in ogni dovere di religione Egli è il nostro supplemento. Dunque, in tutta verità, farà Egli stesso, in noi e per noi, il nostro ringraziamento; noi ci uniremo a Lui, pregandolo di supplire alla nostra debolezza e incapacità.

Il Sacerdote che ha celebrato, porta in se stesso una nuova santificazione che rapisce gli Angeli ed è per la Chiesa una feconda sorgente di ogni benedizione. Ugone da San Vittore, quel santo mistico del secolo XII, stava per morire; essendo venuto a visitarlo un suo discepolo ed avendogli domandato come stava, rispose: «Benissimo, e nel corpo e nell'anima». Poi disse: «Voi avete celebrato la santa Messa; avvicinatevi e soffiate sul mio volto in forma di croce, per comunicarmi lo Spirito Santo». Avendolo obbedito il discepolo, egli esclamò: Os meum aperui et attraxi spiritum. Così apprezzava quel santo uomo, il soffio di una bocca che aveva ricevuto il Sangue di GESÙ. Quale meravigliosa influenza non deve avere il Sacerdote che porta in sé, in virtù del santo Sacrificio, lo spirito e la vita di GESÙ CRISTO?

NOTE

(540) S. AUG., De bono viduitatis

(541) Sacrosancte ad uniformem deiformitatem pro captu nostro, et ad Deum divinamque virtutem promovemur. De Ecel. Hierarch., cap. I. ­ Si verum sit (Sacerdotem) virum esse prorsus divinum,… pro suo modulo ad deiformitatis fastigium perfectissimis perfectivisque deificationibus evectum, etc. Ibid.. cap. III.

(542) Omnis anima, quae Christum cogitat, in lumine semper est; dies lucet, tibi semper Christus aspirat. In Psalm., CXVIII, Serm. XIX.

(543) Epist. ad Severum.

(544) De Sacram. (in fine),

(545) De Sacrificio Missae.

(546) De praepar. ad Missam.

(547) Ibid.

(548) Sciens (Jesus) quia omnia dedit ei Pater in manus, et quia a Deo exivit et ad Deum vadit, Joann XIII, 3.

(549) CONDREN, Idea del Sacerdozio, ecc., parte IV.

(550) I Sermon sur la Compassion

(551) S. TH., Opusc., LXV.

(552) Homil., XXXVII

AMDG et DVM

domenica 27 novembre 2022

Supplica alla Madonna della Medaglia Miracolosa

 

SUPPLICA ALLA MADONNA DELLA MEDAGLIA MIRACOLOSA

Da recitarsi alle 17 del 27 novembre, festa della Medaglia Miracolosa, in ogni 27 del mese e in ogni urgente necessità.

O Vergine Immacolata, noi sappiamo che sempre ed ovunque sei disposta ad esaudire le preghiere dei tuoi figli esuli in questa valle di pianto, ma sappiamo pure che vi sono giorni ed ore in cui ti compiaci di spargere più abbondantemente i tesori delle tue grazie. Ebbene, o Maria, eccoci qui prostrati davanti a te, proprio in quello stesso giorno ed ora benedetta, da te prescelta per la manifestazione della tua Medaglia.

Noi veniamo a te, ripieni di immensa gratitudine ed illimitata fiducia, in quest'ora a te sì cara, per ringraziarti del gran dono che ci hai fatto dandoci la tua immagine, affinché fosse per noi attestato d'affetto e pegno di protezione. Noi dunque ti promettiamo che, secondo il tuo desiderio, la santa Medaglia sarà il segno della tua presenza presso di noi, sarà il nostro libro su cui impareremo a conoscere, seguendo il tuo consiglio, quanto ci hai amato e ciò che noi dobbiamo fare, perché non siano inutili tanti sacrifici tuoi e del tuo divin Figlio. Sì, il tuo Cuore trafitto, rappresentato sulla Medaglia, poggerà sempre sul nostro e lo farà palpitare all'unisono col tuo. Lo accenderà d'amore per Gesù e lo fortificherà per portar ogni giorno la propria croce dietro a Lui.

Salve Regina

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi 

Questa è l'ora tua, o Maria, l'ora della tua bontà inesauribile, della tua misericordia trionfante, l'ora in cui facesti sgorgare per mezzo della tua Medaglia, quel torrente di grazie e di prodigi che inondò la terra. Fai, o Madre, che quest'ora, che ti ricorda la dolce commozione del tuo Cuore, la quale ti spinse a venirci a visitare e a portarci il rimedio di tanti mali, fai che quest'ora sia anche l'ora nostra: l'ora della nostra sincera conversione, e l'ora del pieno esaudimento dei nostri voti.
Tu che hai promesso, proprio in quest'ora fortunata, che grandi sarebbero state le grazie per chi le avesse domandate con fiducia: volgi benigna i tuoi sguardi alle nostre suppliche. Noi confessiamo di non meritare le tue grazie, ma a chi ricorreremo, o Maria, se non a te, che sei la Madre nostra, nelle cui mani Dio ha posto tutte le sue grazie? Abbi dunque pietà di noi.
Te lo domandiamo per la tua Immacolata Concezione e per l'amore che ti spinse a darci la tua preziosa Medaglia. 

Salve Regina

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi

O Consolatrice degli afflitti, che già ti inteneristi sulle nostre miserie, guarda ai mali da cui siamo oppressi. Fai che la tua Medaglia sparga su di noi e su tutti i nostri cari i tuoi raggi benefici: guarisca i nostri ammalati, dia la pace alle nostre famiglie, ci scampi da ogni pericolo. Porti la tua Medaglia conforto a chi soffre, consolazione a chi piange, luce e forza a tutti.
Ma specialmente permetti, o Maria, che in quest'ora solenne ti domandiamo la conversione dei peccatori, particolarmente di quelli, che sono a noi più cari. Ricordati che anch'essi sono tuoi figli, che per essi hai sofferto, pregato e pianto. Salvali, o Rifugio dei peccatori, affinché dopo di averti tutti amata, invocata e servita sulla terra, possiamo venirti a ringraziare e lodare eternamente in Cielo. Cosi sia.  

Salve Regina

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi

*

Non limitiamoci a meditare solo la prima venuta, ma viviamo in attesa della seconda.

 


Le due venute di Cristo

   Noi annunziamo che Cristo verrà. Infatti non è unica la sua venuta, ma ve n'è una seconda, la quale sarà molto più gloriosa della precedente. La prima, infatti, ebbe il sigillo della sofferenza, l'altra porterà una corona di divina regalità. Si può affermare che quasi sempre nel nostro Signore Gesù Cristo ogni evento è duplice. Duplice è la generazione, una da Dio Padre, prima del tempo, e l'altra, la nascita umana, da una vergine nella pienezza dei tempi. 
   Due sono anche le sue discese nella storia. Una prima volta è venuto in modo oscuro e silenzioso, come la pioggia sul vello. Una seconda volta verrà nel futuro in splendore e chiarezza davanti agli occhi di tutti.
   Nella sua prima venuta fu avvolto in fasce e posto in una stalla, nella seconda si vestirà di luce come di un manto. Nella prima accettò la croce senza rifiutare il disonore, nell'altra avanzerà scortato dalle schiere degli angeli e sarà pieno di gloria.
   Perciò non limitiamoci a meditare solo la prima venuta, ma viviamo in attesa della seconda. E poiché nella prima abbiamo acclamato: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Mt 21, 9), la stessa lode proclameremo nella seconda. Così andando incontro al Signore insieme agli angeli e adorandolo canteremo: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Mt 21, 9).
   Il Salvatore verrà non per essere di nuovo giudicato, ma per farsi giudice di coloro che lo condannarono. Egli, che tacque quando subiva la condanna, ricorderà il loro operato a quei malvagi, che gli fecero subire il tormento della croce, e dirà a ciascuno di essi: «Tu hai agito così, io non ho aperto bocca» (cfr. Sal 38, 10).
   Allora in un disegno di amore misericordioso venne per istruire gli uomini con dolce fermezza, ma alla fine tutti, lo vogliano o no, dovranno sottomettersi per forza al suo dominio regale.
   Il profeta Malachìa preannunzia le due venute del Signore: «E subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate» (Ml 3, 1). Ecco la prima venuta. E poi riguardo alla seconda egli dice: «Ecco l'angelo dell'alleanza, che voi sospirate, ecco viene... Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare» (Ml 3, 1-3).
   Anche Paolo parla di queste due venute scrivendo a Tito in questi termini: «È apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo» (Tt 2, 11-13). Vedi come ha parlato della prima venuta ringraziandone Dio? Della seconda invece fa capire che è quella che aspettiamo.
   Questa è dunque la fede che noi proclamiamo: credere in Cristo che è salito al cielo e siede alla destra del Padre. Egli verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti. E il suo regno non avrà fine.
   Verrà dunque, verrà il Signore nostro Gesù Cristo dai cieli; verrà nella gloria alla fine del mondo creato, nell'ultimo giorno. Vi sarà allora la fine di questo mondo, e la nascita di un mondo nuovo.

ORAZIONE
   O Dio, nostro Padre, suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene, perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria a possedere il regno dei cieli. Egli è Dio e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo
(Cat. 15, 1. 3; PG 33, 870-874)
  

AVE MARIA!

"Io credo in Dio: il Creatore del cielo e della terra, il Creatore dell'essere umano"


Benedetto XVI

 Udienza Generale, 6 febbraio 2013

Aula Paolo VI Mercoledì, 6 febbraio 2013. 

"Io credo in Dio: il Creatore del cielo e della terra, il Creatore dell'essere umano"

Cari fratelli e sorelle,

il Credo, che inizia qualificando Dio come “Padre Onnipotente”, come abbiamo meditato la settimana scorsa, aggiunge poi che Egli è il “Creatore del cielo e della terra”, e riprende così l’affermazione con cui inizia la Bibbia. Nel primo versetto della Sacra Scrittura, infatti, si legge: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1): è Dio l’origine di tutte le cose e nella bellezza della creazione si dispiega la sua onnipotenza di Padre che ama.

Dio si manifesta come Padre nella creazione, in quanto origine della vita, e, nel creare, mostra la sua onnipotenza. Le immagini usate dalla Sacra Scrittura al riguardo sono molto suggestive (cfr Is 40,12; 45,18; 48,13; Sal 104,2.5; 135,7; Pr 8, 27-29; Gb 38–39). Egli, come un Padre buono e potente, si prende cura di ciò che ha creato con un amore e una fedeltà che non vengono mai meno, dicono ripetutamente i salmi (cfr Sal 57,11; 108,5; 36,6). Così, la creazione diventa luogo in cui conoscere e riconoscere l’onnipotenza del Signore e la sua bontà, e diventa appello alla fede di noi credenti perché proclamiamo Dio come Creatore. «Per fede, - scrive l’autore della Lettera agli Ebrei - noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile» (11,3). La fede implica dunque di saper riconoscere l’invisibile individuandone la traccia nel mondo visibile. Il credente può leggere il grande libro della natura e intenderne il linguaggio (cfr Sal 19,2-5); ma è necessaria la Parola di rivelazione, che suscita la fede, perché l’uomo possa giungere alla piena consapevolezza della realtà di Dio come Creatore e Padre. È nel libro della Sacra Scrittura che l’intelligenza umana può trovare, alla luce della fede, la chiave di interpretazione per comprendere il mondo. In particolare, occupa un posto speciale il primo capitolo della Genesi, con la solenne presentazione dell’opera creatrice divina che si dispiega lungo sette giorni: in sei giorni Dio porta a compimento la creazione e il settimo giorno, il sabato, cessa da ogni attività e si riposa. Giorno della libertà per tutti, giorno della comunione con Dio. E così, con questa immagine, il libro della Genesi ci indica che il primo pensiero di Dio era trovare un amore che risponda al suo amore. Il secondo pensiero è poi creare un mondo materiale dove collocare questo amore, queste creature che in libertà gli rispondono. Tale struttura, quindi, fa sì che il testo sia scandito da alcune ripetizioni significative. Per sei volte, ad esempio, viene ripetuta la frase: «Dio vide che era cosa buona» (vv. 4.10.12.18.21.25), per concludere, la settima volta, dopo la creazione dell’uomo: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (v. 31). Tutto ciò che Dio crea è bello e buono, intriso di sapienza e di amore; l’azione creatrice di Dio porta ordine, immette armonia, dona bellezza. Nel racconto della Genesi poi emerge che il Signore crea con la sua parola: per dieci volte si legge nel testo l’espressione «Dio disse» (vv. 3.6.9.11.14.20.24.26.28.29). E' la parola, il Logos di Dio che è l'origine della realtà del mondo e dicendo: “Dio disse”, fu così, sottolinea la potenza efficace della Parola divina. Così canta il Salmista: «Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera…, perché egli parlò e tutto fu creato, comandò e tutto fu compiuto» (33,6.9). La vita sorge, il mondo esiste, perché tutto obbedisce alla Parola divina.

Ma la nostra domanda oggi è: nell’epoca della scienza e della tecnica, ha ancora senso parlare di creazione? Come dobbiamo comprendere le narrazioni della Genesi? La Bibbia non vuole essere un manuale di scienze naturali; vuole invece far comprendere la verità autentica e profonda delle cose. La verità fondamentale che i racconti della Genesi ci svelano è che il mondo non è un insieme di forze tra loro contrastanti, ma ha la sua origine e la sua stabilità nel Logos, nella Ragione eterna di Dio, che continua a sorreggere l’universo. C’è un disegno sul mondo che nasce da questa Ragione, dallo Spirito creatore. Credere che alla base di tutto ci sia questo, illumina ogni aspetto dell’esistenza e dà il coraggio di affrontare con fiducia e con speranza l’avventura della vita. Quindi, la scrittura ci dice che l'origine dell'essere, del mondo, la nostra origine non è l'irrazionale e la necessità, ma la ragione e l'amore e la libertà. Da questo l'alternativa: o priorità dell'irrazionale, della necessità, o priorità della ragione, della libertà, dell'amore. Noi crediamo in questa ultima posizione.

Ma vorrei dire una parola anche su quello che è il vertice dell’intera creazione: l’uomo e la donna, l’essere umano, l’unico “capace di conoscere e di amare il suo Creatore” (Cost. past. Gaudium et spes, 12). Il Salmista guardando i cieli si chiede: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (8,4-5). L’essere umano, creato con amore da Dio, è ben piccola cosa davanti all’immensità dell’universo; a volte, guardando affascinati le enormi distese del firmamento, anche noi abbiamo percepito la nostra limitatezza. L’essere umano è abitato da questo paradosso: la nostra piccolezza e la nostra caducità convivono con la grandezza di ciò che l’amore eterno di Dio ha voluto per lui.

I racconti della creazione nel Libro della Genesi ci introducono anche in questo misterioso ambito, aiutandoci a conoscere il progetto di Dio sull’uomo. Anzitutto affermano che Dio formò l’uomo con la polvere della terra (cfr Gen 2,7). Questo significa che non siamo Dio, non ci siamo fatti da soli, siamo terra; ma significa anche che veniamo dalla terra buona, per opera del Creatore buono. A questo si aggiunge un’altra realtà fondamentale: tutti gli esseri umani sono polvere, al di là delle distinzioni operate dalla cultura e dalla storia, al di là di ogni differenza sociale; siamo un’unica umanità plasmata con l’unica terra di Dio. Vi è poi un secondo elemento: l’essere umano ha origine perché Dio soffia l’alito di vita nel corpo modellato dalla terra (cfr Gen 2,7). L’essere umano è fatto a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26-27). Tutti allora portiamo in noi l’alito vitale di Dio e ogni vita umana – ci dice la Bibbia – sta sotto la particolare protezione di Dio. Questa è la ragione più profonda dell’inviolabilità della dignità umana contro ogni tentazione di valutare la persona secondo criteri utilitaristici e di potere. L’essere ad immagine e somiglianza di Dio indica poi che l’uomo non è chiuso in se stesso, ma ha un riferimento essenziale in Dio.

Nei primi capitoli del Libro della Genesi troviamo due immagini significative: il giardino con l’albero della conoscenza del bene e del male e il serpente (cfr 2,15-17; 3,1-5). Il giardino ci dice che la realtà in cui Dio ha posto l’essere umano non è una foresta selvaggia, ma luogo che protegge, nutre e sostiene; e l’uomo deve riconoscere il mondo non come proprietà da saccheggiare e da sfruttare, ma come dono del Creatore, segno della sua volontà salvifica, dono da coltivare e custodire, da far crescere e sviluppare nel rispetto, nell’armonia, seguendone i ritmi e la logica, secondo il disegno di Dio (cfr Gen 2,8-15). Poi, il serpente è una figura che deriva dai culti orientali della fecondità, che affascinavano Israele e costituivano una costante tentazione di abbandonare la misteriosa alleanza con Dio. Alla luce di questo, la Sacra Scrittura presenta la tentazione che subiscono Adamo ed Eva come il nocciolo della tentazione e del peccato. Che cosa dice infatti il serpente? Non nega Dio, ma insinua una domanda subdola: «È vero che Dio ha detto “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?”» (Gen 3,1). In questo modo il serpente suscita il sospetto che l’alleanza con Dio sia come una catena che lega, che priva della libertà e delle cose più belle e preziose della vita. La tentazione diventa quella di costruirsi da soli il mondo in cui vivere, di non accettare i limiti dell’essere creatura, i limiti del bene e del male, della moralità; la dipendenza dall’amore creatore di Dio è vista come un peso di cui liberarsi. Questo è sempre il nocciolo della tentazione. Ma quando si falsa il rapporto con Dio, con una menzogna, mettendosi al suo posto, tutti gli altri rapporti vengono alterati. Allora l’altro diventa un rivale, una minaccia: Adamo, dopo aver ceduto alla tentazione, accusa immediatamente Eva (cfr Gen 3,12); i due si nascondono dalla vista di quel Dio con cui conversavano in amicizia (cfr 3,8-10); il mondo non è più il giardino in cui vivere con armonia, ma un luogo da sfruttare e nel quale si celano insidie (cfr 3,14-19); l’invidia e l’odio verso l’altro entrano nel cuore dell’uomo: esemplare è Caino che uccide il proprio fratello Abele (cfr 4,3-9). Andando contro il suo Creatore, in realtà l’uomo va contro se stesso, rinnega la sua origine e dunque la sua verità; e il male entra nel mondo, con la sua penosa catena di dolore e di morte. E così quanto Dio aveva creato era buono, anzi, molto buono, dopo questa libera decisione dell'uomo per la menzogna contro la verità, il male entra nel mondo.

Dei racconti della creazione, vorrei evidenziare un ultimo insegnamento: il peccato genera peccato e tutti i peccati della storia sono legati tra di loro. Questo aspetto ci spinge a parlare di quello che è chiamato il “peccato originale”. Qual è il significato di questa realtà, difficile da comprendere? Vorrei dare soltanto qualche elemento. Anzitutto dobbiamo considerare che nessun uomo è chiuso in se stesso, nessuno può vivere solo di sé e per sé; noi riceviamo la vita dall’altro e non solo al momento della nascita, ma ogni giorno. L’essere umano è relazione: io sono me stesso solo nel tu e attraverso il tu, nella relazione dell’amore con il Tu di Dio e il tu degli altri.  Ebbene, il peccato è turbare o distruggere la relazione con Dio, questa la sua essenza: distruggere la relazione con Dio, la relazione fondamentale, mettersi al posto di Dio. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che con il primo peccato l’uomo “ha fatto la scelta di se stesso contro Dio, contro le esigenze della propria condizione creaturale e conseguentemente contro il proprio bene” (n. 398). Turbata la relazione fondamentale, sono compromessi o distrutti anche gli altri poli della relazione, il peccato rovina le relazioni, così rovina tutto, perché noi siamo relazione. Ora, se la struttura relazionale dell’umanità è turbata fin dall’inizio, ogni uomo entra in un mondo segnato da questo turbamento delle relazioni, entra in un mondo turbato dal peccato, da cui viene segnato personalmente; il peccato iniziale intacca e ferisce la natura umana (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 404-406). E l’uomo da solo, uno solo non può uscire da questa situazione, non può redimersi da solo; solamente il Creatore stesso può ripristinare le giuste relazioni. Solo se Colui dal quale ci siamo allontanati viene a noi e ci tende la mano con amore, le giuste relazioni possono essere riannodate. Questo avviene in Gesù Cristo, che compie esattamente il percorso inverso di quello di Adamo, come descrive l’inno nel secondo capitolo della Lettera di San Paolo ai Filippesi (2,5-11): mentre Adamo non riconosce il suo essere creatura e vuole porsi al posto di Dio, Gesù, il Figlio di Dio, è in una relazione filiale perfetta con il Padre, si abbassa, diventa il servo, percorre la via dell’amore umiliandosi fino alla morte di croce, per rimettere in ordine le relazioni con Dio. La Croce di Cristo diventa così il nuovo albero della vita.

Cari fratelli e sorelle, vivere di fede vuol dire riconoscere la grandezza di Dio e accettare la nostra piccolezza, la nostra condizione di creature lasciando che il Signore la ricolmi del suo amore e così cresca la nostra vera grandezza. Il male, con il suo carico di dolore e di sofferenza, è un mistero che viene illuminato dalla luce della fede, che ci dà la certezza di poterne essere liberati: la certezza che è bene essere un uomo.

Saluti:

Je salue cordialement les pèlerins francophones, en particulier les Frères du Sacré-Cœur et les élèves venus de Paris et de Lilles ! Vivre de la foi veut dire confesser la grandeur de Dieu et accepter notre condition de créature. En reconnaissant votre petitesse, Dieu vous comblera de son amour et de sa lumière ! Affrontez alors l’aventure de votre vie avec confiance et espérance ! Bon pèlerinage !

I offer a warm welcome to all the English-speaking visitors present at today’s Audience, including those from England, Ireland and the United States. May your visit to the tombs of the Apostles Peter and Paul inspire you never to place anything before the love of Christ. Upon all of you, I invoke God’s blessings of joy and peace.

Ganz herzlich grüße ich alle Brüder und Schwestern deutscher Sprache, heute besonders die Gruppe der Seminare von Eisenstadt, Wien und St. Pölten mit Weihbischof Anton Leichtfried. Ich freue mich, daß Sie da sind! Lassen wir uns im Wort Gottes und in den Sakramenten immer neu von der Liebe Christi einholen, mit der er uns in die Gemeinschaft mit dem Schöpfer und mit dem Nächsten zurückführen will. Der Herr schenke euch inneres Wachstum und sein Geleit auf allen euren Wegen. Danke.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular al grupo y a la Delegación de la Guardia Civil, con el Arzobispo castrense, el Señor Ministro del Interior y el Director General de ese Cuerpo, que ruega a la Virgen del Pilar la fuerza espiritual necesaria para su importante servicio a la sociedad española. Y saludo igualmente a los peregrinos venidos de España, Chile, México y otros países latinoamericanos. Que la fe en Dios, Padre y Creador, sea para todos fuente de serenidad y esperanza. Muchas gracias.

De coração, saúdo os peregrinos de Guaratinguetá e todos os presentes de língua portuguesa. Sede bem-vindos! Que nada vos impeça de viver e crescer na amizade de Deus Pai criador, e testemunhar a todos a sua bondade e misericórdia! Desça a sua Bênção generosa sobre vós e vossas famílias.

Saluto in lingua araba:

البَابَا يُصْلِي مِنْ أَجَلِ جَمِيعِ النَّاطِقينَ بِاللُّغَةِ العَرَبِيَّةِ. لِيُبَارِك الرَّبّ جَمِيعَكُمْ.

Traduzione italiana:

Il Papa prega per tutte le persone di lingua araba. Dio vi benedica tutti.

Saluto in lingua polacca:

Witam polskich pielgrzymów. Drodzy siostry i bracia, żyć wiarą oznacza uznawać wielkość Boga stwórcy i, akceptując naszą małość, pozwalać, aby On wypełniał ją swoją miłością. Światło wiary demaskuje każde zło i daje pewność, że możemy być od niego uwolnieni. Niech ta pewność będzie dla nas źródłem nadziei i radości! Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus!

Traduzione italiana:

Do il benvenuto ai pellegrini polacchi. Cari fratelli e sorelle, vivere di fede vuol dire riconoscere la grandezza di Dio Creatore e, accettando la nostra piccolezza, lasciare che il Signore la ricolmi del suo amore. La luce della fede smaschera ogni male e ci dà la certezza di poterne essere liberati. Questa certezza sia per noi fonte di speranza e di gioia! Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Srdečne pozdravujem spoločenstvo Kňazského seminára svätého Karola Boromejského z Košíc, vedené emeritným arcibiskupom Alojzom Tkáčom. Milí seminaristi, prajem vám, aby púť k hrobom svätých Apoštolov počas Roka viery posilnila vašu vernosť Kristovi a veľkodušnú odpoveď na jeho volanie. Rád žehnám vás i vašich drahých. Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente la comunità del Seminario arcidiocesano di San Carlo Borromeo di Košice guidata dall’Arcivescovo Emerito S.E. Mons. Alojz Tkáč. Cari seminaristi, vi auguro che il pellegrinaggio alle tombe dei Santi Apostoli nell’Anno della Fede rafforzi la vostra fedeltà a Cristo e la generosa risposta alla sua chiamata. Volentieri benedico voi ed i vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua russa:

Я рад приветствовать делегацию из Казахстана во главе с господином Кайратом Мами, Председателем Сената Парламента Республики. Да благословит Всемогущий Бог вашу страну и ваши усилия для диалога между религиями и для всеобщего блага!

Traduzione italiana:

Sono lieto di salutare una delegazione del Kazakhstan, capeggiata dal Signor Kairat Mami, Presidente del Senato della Repubblica. Dio Onnipotente benedica il vostro Paese e il vostro impegno per il dialogo tra le religioni e per il bene comune!

Saluto in lingua bulgara:

Приветствам сърдечно говорещите български език поклонници. По-специално поздравявам членовете от Атлантическия клуб в България: нека посещението във Вечния град да укрепи вашето доверие в Бог и нека небесното застъпничество на Блажен Йоан Павел ІІ да подкрепя вашите желания за добро. Нека бъдат хвалени Исус и Мария!

Traduzione italiana:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua bulgara. In particolare saluto i membri dell’Atlantic Club in Bulgaria: la visita alla Città Eterna accresca la vostra fiducia in Dio e la celeste intercessione del Beato Giovanni Paolo II sia sostegno ai vostri desideri di bene. Siano lodati Gesù e Maria!

* * *

Cari amici, sono lieto di accogliere i Vescovi che prendono parte al convegno «Cristiani e Pastori per la Chiesa di domani», promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, in coincidenza con l’anniversario della sua fondazione. Benvenuti! Auguro a voi, cari Confratelli, e a tutti i membri di questa Comunità di ravvivare la fede nel Signore e di testimoniare con rinnovato entusiasmo la carità evangelica, in particolare per i deboli e i poveri. Un caloroso saluto rivolgo anche ai Frati Minori Conventuali, che celebrano il loro duecentesimo Capitolo Generale. Cari Fratelli, testimoniate agli uomini di oggi la bellezza di seguire il Vangelo in semplicità e fraternità.

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai partecipanti al Corso di formazione umana per il sacerdozio e la vita consacrata, accompagnati dal Card. Elio Sgreccia, al Gruppo dello Studio Teologico Interdiocesano di Camaiore, con l’Arcivescovo di Pisa, Mons. Benotto e alla Pia Opera Croce Verde di Padova, nel centenario della sua attività. Grazie per tutto.

Infine, un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. L’odierna memoria di San Paolo Miki e dei compagni martiri giapponesi, stimoli voi, cari giovani, in particolare gli studenti dell’Istituto Francescano “Faà di Bruno” di Torino, nel 150° anniversario di fondazione, e quelli delle Scuole Regnum Christi di Roma, a spendere le vostre energie per la causa del Vangelo; aiuti voi, cari ammalati, ad accettare la croce in spirituale unione con il cuore di Cristo; e incoraggi voi, cari sposi novelli, ad avere sempre fiducia nella Provvidenza, anche nei momenti difficili della vostra vita coniugale.


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