domenica 27 novembre 2022

I Santi Luisa de Marillac, Caterina Labouré e Vincenzo de Paoli

                                          Storia di una famiglia



San Vincenzo de Paoli

Alla Rue du Bac, ci può stupire di vedere San Vincenzo di Paoli

 accoglierci. Ma che cosa c'è di più normale che 

onorare i propri antenati? Questa è la casa Madre 

della Compagnia, fondata nel 1633 da Vincenzo e Luisa!



E poi si sa, i santi sono molto attivi in ​​cielo. San Vincenzo è stato importante nella vocazione di Caterina, attraverso un sogno misterioso. Inoltre, il trasferimento solenne delle reliquie del Santo ha avuto luogo proprio il 25 Aprile 1830 , qualche giorno soltanto, dopo l'arrivo di Caterina nel Noviziato di Parigi. Quale felicità per lei accompagna il sacerdote della sua vocazione! Infine, San Vincenzo manifestò il suo cuore a Caterina, mentre è in preghiera nella Cappella della rue du Bac, tre giorni di seguito, tre colori diversi per annunciarle che l'ora della sua missione si stava avvicinando.
Arrivò il grande giorno: la vigilia della festa di San Vincenzo, il 18 giugno 1830, Caterina partecipò alla conferenza di una suora sull'amore del Signor Vincenzo per la Vergine Immacolata. Queste parole suscitano in Caterina l'ardente desiderio di vedere la Madonna. La giovane novizia si addormenta, pregando San Vincenzo, che ammira molto, perchè interceda in modo da esaudire il suo ardente desiderio. Dopo questa audacia prega Caterina si addormenta. Un angelo la risveglia…


Luisa de Marillac

Santa Luisa era animata da un grande amore per la Madonna:
“Sono tutta tua, vergine Maria per essere più perfettamente di Dio. “
A dispetto delle controversie sorte nella Chiesa, Luisa era convinta 
della Concezione Immacolata della Madre di Dio e 
si augurava che questa pit riconosciuta e celebrata, perché
“Maria è l'unica creatura pura sempre gradita a Dio”.
Per questo le Figlie della Carità si aggiunge ad ogni decina del 
rosario una preghiera, che è scritta in lettere d'oro 
attorno alla cupola della Cappella:
"Santissima Vergine, credo e confesso la tua santa e 
Immacolata Concezione".

Nel 1644 Santa Luisa consacrò alla Madonna la Compagnia delle 
Figlie della Carità, durante un pellegrinaggio a Chartres. 
L'ultima parola del suo testamento spirituale esprime 
la sua devozione mariana:
“Abbiate molta cura del servizio dei poveri, e soprattutto 
di ben vivere insieme con grande unione e cordialità, amandovi 
reciprocamente, per imitare l'unione e la vita di Nostro 
Signore. Pregate molto la Santissima Vergine 
affinché sia ​​la vostra Unica Madre. »


 Caterina Labouré

Caterina Labouré nacque il 2 maggio 1806 in un villaggio 
della Borgogna, Fain les Moutiers. Era l'ottava di dieci figli
 di Pierre e Madeleine Labouré, 
proprietari di una fattoria. La morte di Madeleine, 
a 46 anni, immerge la famiglia nel lutto. Caterina, in lacrime, 
salì su una sedia per baciare la statua della Madonna e 
dirle: “Adesso, sarai tu mia madre”.
A ventiquattro anni, Caterina, dopo aver superato molti 
ostacoli, entrò come novizia alla Casa madre delle 
Figlie della Carità, rue du Bac a Parigi. È qui, nella cappella, 
che la Madonna le apparve alcuni 
mesi più tardi, la prima volta fu per il 19 luglio 1830, per annunciarle 
una missione; la seconda volta, il 27 novembre seguente, per 
affidarle la medaglia che Caterina sarà incaricata di fare coniare. 
L'anno seguente, compiuto il seminario, suor Caterina è destinata a 
Reuilly, allora sobborgo povero a sud est di Parigi. 

Fino alla fine della vita servià i poveri anziani, nel più totale 

nascondimento, mentre la medaglia si diffondeva 

miracolosamente in tutto il mondo. 

Caterina Labouré morì in pace il 31 dicembre 1876: 

“Parto per il cielo… vado a vedere Nostro Signore, 

sua Madre e san Vincenzo”. Nel 1933, in occasione di 

questa beatificazione, si aprì il loculo nella cappella 

di Reuilly. Il corpo di Caterina fu ritrovato intatto e trasferito 

nella cappella della rue du Bac; qui venne installato 

sotto l'altare della Vergine al Globo.

********************

Alla fine del 1858

correvano a Parigi notizie sulle apparizioni della 

Madonna a una contadina dei Pirenei, a Lourdes, un angolo 

di scarsa rilevanza del territorio francese. Si scambiavano

 impressioni sulle straordinarie guarigioni constatate dopo che 

erano state utilizzate le acque della miracolosa fonte della 

Grotta di Massabielle e, soprattutto, si commentava la celebrità 

della giovane veggente, Bernadette Soubirous, la cui semplicità e

 incrollabile fede suscitavano l'ammirazione del popolo, che già la

 venerava come santa.

Diffondendosi velocemente per la capitale francese, le notizie 

giunsero all'orecchio anche delle Figlie della Carità di San 

Vincenzo de' Paoli, che servivano gli anziani dell'ospizio 

di Enghien. Intavolarono n'animata discussione, nella quale 

si udì un'esclamazione uscita dalle labbra di una religiosa che, 

sebbene discretamente, si mostrava presa da veemente entusiasmo

 in quel momento: "E' la stessa!".1 Nessuna delle presenti 

comprese il significato di quelle parole. Guardandosi tra loro 

con stupore, continuarono a parlare, come se non avessero udito nulla.


"Un arcobaleno mistico tra Rue du Bac e Lourdes"

Nel 1830, una novizia della Casa Madre della Compagnia 

delle Figlie della Carità, situata a Parigi in Rue du Bac, 

era stata anche lei privilegiata con apparizioni della Madonna, 

le quali avevano già acquistato fama mondiale. 

Oltre a fare importanti rivelazioni sul futuro della Congregazione 

e della Francia, la Madre di Dio aveva affidato alla veggente la 

missione di far coniare una medaglia attraverso cui Lei avrebbe 

versato abbondanti grazie sul mondo. 

La distribuzione dei primi esemplari avvenne a causa dell'epidemia 

di colera che infuriava a Parigi, furono talmente tante e così 

sorprendenti le guarigioni attribuite all'uso di questa medaglia

 - non senza motivo denominata dal popolo Miracolosa -, 

che in poco tempo essa si era già diffusa in diversi paesi.

Il nome della veggente, tuttavia, rimaneva incognito, 

anche tra le sue sorelle d'abito. 

Fu rivelato soltanto dopo la sua morte: era la silenziosa, 

diligente e sempre ben disposta Suor Caterina Labouré! 

I suoi occhi azzurri, sereni e limpidi, brillavano di gioia 

sentendo parlare per la prima volta delle recenti apparizioni di 

Lourdes, un'eco di quelle avvenute in Rue du Bac. 

Era un'altra luce che spuntava nello stesso cammino di misericordia 

tracciato dalla Regina del Cielo per condurre l'umanità a 

una nuova era di grazie mariane.

Non c'era dubbio, era "la stessa"! Alla novizia di Parigi, la Vergine 

aveva insegnato la formula per invocarLa: "O Maria, concepita 

senza peccato". A Bernadette, così Si era presentata: 

"Io sono l'Immacolata Concezione". Esultante di contentezza, 

Suor Caterina cominciò a nutrire una profonda ammirazione 

per la nuova veggente, malgrado non la conoscesse. 

Non sapeva che, a Lourdes, Bernadette portava al collo la 

Medaglia Miracolosa quando vide la Madre di Dio, 

e probabilmente nutriva nel suo cuore nobili sentimenti di 

venerazione per la sconosciuta veggente della Vergine della Medaglia... 

Secondo un'ottica soprannaturale, c'era una stretta unione di animo 

tra le due sante, che formava "come un arcobaleno 

mistico tra Rue du Bac e Lourdes".2

Santa Bernadette dava prove di eroica umiltà, 

restituendo alla Regina del Cielo gli onori e le lodi che il popolo 

le tributava. Santa Caterina praticava in modo differente 

una pari umiltà: dedita alle più modeste funzioni 

nell'ospizio di Enghien, dove serviva 

gli anziani e i poveri da oltre quarant'anni.


Infanzia avvolta da fede e serietà

Quando Caterina nacque, il 2 maggio 1806, in Francia erano 

ancora aperte le ferite dell'irreligione provocate 

dalla Rivoluzione del 1789. 

Nel piccolo villaggio borgognone di Fain-lès-Moutiers, dove la famiglia 

Labouré risiedeva, non c'era un sacerdote. Per battezzare la neonata, 

fu necessario chiamare il parroco della cittadina vicina. 

Nonostante la generalizzata negligenza religiosa del tempo, 

da cui non era esente suo padre, Pietro Labouré, la fede di 

Caterina e dei suoi nove fratelli fu salvaguardata e rafforzata 

grazie all'impegno della madre, Maddalena Gontard, 

la cui principale preoccupazione nell'educazione dei figli fu 

quella di infondere in loro un'illimitata fiducia nella Santissima Vergine.

I primi anni di Zoe - così si chiamava la nostra santa, prima 

dell'ingresso nella vita religiosa - trascorsero senza nubi, 

nelle gioie di un'infanzia profumata dall'innocenza. 

Acquistò ben presto il gusto per la preghiera e non esitava 

ad abbandonare gli infantili divertimenti quando la madre 

la chiamava per pregare insieme davanti alla semplice 

statua della Madonna intronizzata in una sala della sua casa.

Dotata di un precoce senso di responsabilità e serietà, 

Zoe capì presto le difficoltà della madre nell'esecuzione 

degli ardui compiti di manutenzione della casa, 

e decise di aiutarla. Prima di compiere otto anni, 

sapeva già cucire, mungere le mucche, preparare la minestra 

e spazzare il pavimento. La convinzione che la spingeva ad abbracciare 

con gioia il monotono lavoro quotidiano - tanto in famiglia, durante 

l'infanzia e la gioventù, quanto nell'ospizio di Enghien, nel corso di 

più di quattro decenni - fu da lei stessa spiegata con parole 

semplici e piene di luce: "Quando si fa la volontà di Dio, 

non si sente mai fastidio".3


Una grazia trasformante

A nove anni di età, la piccola Zoe vide l'orizzonte della sua vita 

oscurarsi per una tragedia: nell'ottobre 1815, morì sua madre. 

Contemplando il suo corpo inerte, pianse copiosamente, ma non 

per molto tempo, poiché lei stessa le aveva insegnato a chi ricorrere 

nei momenti di afflizione. Passato il primo choc, si diresse alla sala, 

dove si trovava la statua della Madonna, davanti alla quale 

tante volte aveva pregato in compagnia della madre. 

Risoluta, salì su una sedia per porsi all'altezza della statua, 

l'abbracciò ed esclamò, tra i singhiozzi: "D'ora in poi, 

Tu sarai mia Madre!".4 La risposta della Regina del Cielo 

fu immediata. La bambina, che lì era giunta debole e 

disfatta in lacrime, si ritirò forte e disposta ad affrontare 

le avversità. Fu questa l'ultima volta che pianse 

nella vita, poiché la virtù della fortezza l'accompagnò 

in un crescendo fino alla fine dei suoi giorni.


Nel 1871, quando già era una religiosa di 65 anni di età, 

il movimento rivoluzionario della Comune di Parigi le offrì 

diverse occasioni per di manifestare, con eroismo, questa virtù. 

Un giorno, per esempio, prese l'iniziativa di dirigersi al 

quartier generale degli insorti per difendere la sua superiora, 

contro cui era stato pronunciato un ordine di detenzione. 

Espose i suoi argomenti con tale fermezza davanti a quasi 

sessanta comunardi lì presenti che finì per uscirne vittoriosa. 

Impressionati, i rivoluzionari cominciarono a trattarla 

con molta deferenza; arrivarono anche a chiederle di deporre 

nel processo di una prigioniera, e considerarono la 

sua deposizione, favorevole all'imputata, come l'ultima parola nel caso.


Una dimostrazione concreta di questa grazia ricevuta 

nell'infanzia fu la costanza d'animo con la quale sopportò 

le numerose manifestazioni d'impazienza e incredulità del suo 

confessore quando, per ordine della Madonna, gli raccontava 

le visioni avute. Pochi mesi prima di morire, confidò alla superiora 

che l'atteggiamento di questo sacerdote aveva costituito per lei 

un vero martirio. Lei patì con la fortezza dei martiri quest'olocausto

 silenzioso, che le era stato annunciato dalla stessa Santissima 

Vergine, nella prima delle sue apparizioni: 

"Figlia mia, il Buon Dio vuole incaricarti di una missione. 

Avrai molte difficoltà, ma le supererai, considerando che 

agisci per la Sua gloria. Saprai discernere quello che

 proviene dal Buon Dio. Sarai tormentata fino a che lo 

dirai a colui che è incaricato di condurti. Sarai contraddetta, 

ma otterrai la grazia. Non temere. Di' tutto con fiducia 

e semplicità. Abbi fiducia".5


Una vera figlia di San Vincenzo de' Paoli

"Sarai felice di venire a me. Dio ha disegni a tuo riguardo".6 

Quando aveva circa 14 anni, Caterina sentì in sogno queste 

parole dirette a lei da un sacerdote sconosciuto, 

il cui sguardo penetrante e pieno di luce si incise per sempre 

nella sua memoria. Alcuni anni più tardi, visitando una casa 

delle Figlie della Carità, s'imbatté su un quadro del fondatore 

della Congregazione, San Vincenzo de' Paoli, nella cui 

fisionomia riconobbe il sacerdote del sogno. Le fu chiara, allora, 

la vocazione cui già si era sentita tante volte 

attratta: sarebbe stata figlia di San Vincenzo!


Tuttavia, quando nel suo 21º compleanno, 

il 2 maggio 1827, annunciò in casa la sua decisione, 

il padre si oppose tassativamente. Dopo aver tentato,

 invano, di dissuaderla dall'abbracciare la vita religiosa, 

il padre la inviò a Parigi, a lavorare nel ristorante di un suo 

fratello, nella speranza che lì lei avrebbe finito per

 incontrare un buon partito e sposarsi.


Quell'ambiente, però, frequentato da operai rudi e molte 

volte sfrontati, non fece che rafforzare la purezza 

illibata della giovane. Tale era il suo amore per 

la vocazione che già si comportava come un'autentica 

Figlia della Carità, compiendo alla perfezione le raccomandazioni 

fatte dal Santo alle sue figlie spirituali, tra cui questa: 

"Se alle religiose [di clausura] è preteso un grado 

di perfezione, alle Figlie della Carità ne devono esser pretesi due".7


Caterina non desiderava altra cosa che abbracciare 

per intero quest'ardita meta, 

e perseverò nel suo proposito fino a vincere l'ostinazione del padre. 

"Se osserviamo bene le piccole cose, faremo bene le 

grandi",8 avrebbe lei scritto, decenni più tardi, 

al termine di un periodo di esercizi spirituali.


La fiducia e la semplicità di un'anima innocente

Finalmente, il 21 aprile 1830, Caterina arrivò al Convento 

di Rue du Bac. Il Consiglio delle Superiore subito vide in lei 

un'autentica vocazione: "Ha 23 anni ed è perfetta per la 

nostra comunità: ha una buona devozione, buon carattere, 

temperamento forte, amore del lavoro ed è molto gioiosa",9 

fu il parere scritto a suo riguardo. Inoltre, era una genuina 

contadina, proprio come desiderava San Vincenzo, che aveva 

assunto i buoni attributi delle contadine come base naturale 

per profilare l'ideale di virtù delle Figlie della Carità. Sia nella 

vita comunitaria, sia nel servizio dei poveri, e anche durante 

le manifestazioni soprannaturali di cui fu oggetto, 

sempre brillò in Suor Caterina una delle virtù più 

amate dal Santo Fondatore: la semplicità di cuore.


"Lo spirito delle contadine è semplicissimo: 

nessuna traccia di fingimento né parole di doppio senso;

 non sono testarde né attaccate alle loro opinioni. [...] Così, figlie mie, 

devono essere le Figlie della Carità, e sappiate che lo sarete 

se siete semplici, non recalcitranti, sottomesse al parere 

degli altri e candide nelle vostre parole, e se i vostri cuori 

non penseranno una cosa mentre le vostre bocche 

ne pronunciano un'altra".10 Questo ideale delineato

 da San Vincenzo ha trovato, quasi due secoli dopo, 

una perfetta realizzazione nell'anima di questa diletta figlia.


La settimana successiva al suo arrivo al convento, 

le apparve tre volte, in giorni consecutivi, il cuore di 

San Vincenzo, che le preannunciava le imminenti 

disgrazie che si sarebbero abbattute sulla Francia, 

con la promessa che le due Congregazioni da lui fondate 

non sarebbero scomparse. La fortunata novizia ebbe

 la grazia di vedere anche Cristo presente nella Sacra Ostia, 

durante tutto il tempo del suo seminario, "tranne tutte le volte 

in cui io dubitavo",11 confidò lei.


Imbevuta della Fede che muove le montagne e attrae la 

benevolenza di Dio, Caterina non esitò a chiedere 

di più: voleva vedere la Madonna. Alla vigilia della festa del 

Fondatore - che allora si commemorava il 19 luglio -, le confidò 

il un suo desiderio in una breve orazione e andò a 

dormire speranzosa: "Andai a dormire con l'idea che in quella 

stessa notte sarebbe venuta la mia buona Madre. Era da tanto 

che volevo vederLa". 12 E fu generosamente esaudita, non 

solo "quella stessa notte", ma anche in altre due apparizioni, 

una in novembre e un'altra in dicembre dello stesso anno 1830.

Col passar degli anni, s'intensificò in lei la fiducia filiale 

e illimitata che depositava in questi tre pilastri di devozione, 

a tal punto che, poco prima di morire, non poté nascondere lo 

stupore quando la superiora le chiese se non aveva paura 

della morte: "Perché dovrei temere di andare a vedere 

Nostro Signore, sua Madre e San Vincenzo?".13


"La Santissima Vergine scelse bene"

Santa Caterina non violò mai il segreto sulla sua condizione 

di veggente e messaggera delle apparizioni della Medaglia 

Miracolosa. Tuttavia, molte persone giunsero a scorgere in lei 

la prediletta della Regina del Cielo, tale era il suo amore a Dio, 

non solo affettivo, poiché innegabile era la sua ardente pietà,

 ma anche effettivo, come testimoniò una delle sue 

contemporanee: "Le sue azioni, in se stesse ordinarie, 

lei le faceva in maniera straordinaria". 14 C'era in lei 

qualcosa di discreto, irraggiungibile e ineffabile.


La sua santità era la principale custode del segreto. 

Alle suore che osarono interpellarla in questo senso, 

la sua risposta consistette sempre in un assoluto silenzio. 

Un silenzio nato dall'umiltà, senza nulla di taciturno né di 

scontroso; al contrario, un silenzio sacro, che arrivava 

a suscitare venerazione.

Quando, dopo la sua morte, fu annunciato alle Figlie della Carità 

il nome della veggente di Rue du Bac, esse ebbero una reazione 

caratterizzata più dall'ammirazione che dalla sorpresa. 

Non era difficile associare l'esemplare suora alla figura 

- già un po' mitizzata - della veggente ignota. 

Era impossibile non restare meravigliati nel costatare l'eccellenza 

della sua umiltà, che l'aveva mantenuta nell'anonimato, 

pur esercitando una missione di portata universale.

Forse in quel momento sarà venuto in mente alle suore

 l'ingenuo detto che i bambini dell'orfanatrofio, diretto dalle Figlie 

della Carità, erano soliti ripetere tra loro, osservando da lontano 

Suor Caterina Labouré: "La Santissima Vergine ha scelto bene".

15 Sarebbero state queste parole, così vere, mero frutto 

dell'immaginazione infantile o avrà Dio, ancora una volta 

nella Storia, rivelato ai piccoli i misteri nascosti ai sapienti e intenditori?

Senza dubbio, più luminosa dell'eroico silenzio è la lezione di fiducia 

filiale lasciata da Santa Caterina nella Madre che mai ci abbandona. 

"La fiducia ottiene sempre questo premio. Chiedendo con fiducia, 

si riceve di più, con più certezza e più abbondantemente. 

La fiducia ci apre il Sapienziale e Immacolato Cuore di Maria".16

1 LAURENTIN, René. Vie de Catherine Labouré. Paris: Desclée de Brouwer, 1980, p.197.
2 CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Conferenza. San Paolo, 12 nov. 1980.
3 SANTA CATERINA LABOURÉ, apud LAURENTIN, op. cit., p.377.
4 CLÁ DIAS, EP, João Scognamiglio. A Medalha Milagrosa. História e celestiais
promessas. São Paulo: Takano, 2001, p.7.
5 LAURENTIN, op. cit., p.85.
6 Idem, p.40.
7 SAN VINCENZO DE' PAOLI. Correspondence, Entretiens, Documents, apud HERRERA, CM, 

José; PARDO, CM, Veremundo. San Vicente de Paúl. Biografía y 

selección de escritos. 2.ed. Madrid: BAC, 1955, p.271.
8 SANTA CATERINA LABOURÉ, apud LAURENTIN, op. cit., p.156.
9 LAURENTIN, op. cit., p.50.
10 SAN VINCENZO DE' PAOLI, op. cit., p.260.
11 SANTA CATERINA LABOURÉ, apud LAURENTIN, op. cit., p.78.
12 Idem, p.81.
13 Idem, p.289.
14 LAURENTIN, op. cit., p.375.
15 BERNET, Anne. La vie cachée de Catherine Labouré. Mesnil-sur-l'Estrée: Perrin, 2001, p.225.
16 CORRÊA DE OLIVEIRA, op. cit.

Rivista Araldi del vangelo, Decembre 2012, nº 116, p 22 - 25


AVE MARIA PURISSIMA!

ALFONSO RATISBONNE

 

LA CONVERSIONE


Una apparizione mariana troppo dimenticata
LA CONVERSIONE DELL’EBREO RATISBONNE

 

LA MADONNA E LA CHIESA

Secondo la teologia cattolica tradizionale, esiste un intimo e profondo rapporto tra la Madonna e la Chiesa, Corpo Mistico di Cristo. La mediazione universale di Maria è – per volontà di Dio – ordinariamente necessaria alla salvezza e alla santificazione degli uomini come quella della Chiesa. E, se alla Chiesa è stato affidato da Dio il compito di custodire e diffondere le verità della fede nella loro integrità e purezza, alla Madonna è stata riservata la missione di combattere e vincere il demonio, supremo ispiratore e fautore di tutti gli errori e di tutte le eresie (1).

Il trionfo della Chiesa è la vittoria sugli errori e sulle eresie: e questa vittoria è stata riservata a Maria, di cui la Chiesa canta: «Tu sola sterminasti le eresie di tutto l’universo». Maria ha sempre avuto una parte decisiva «nella diffusione, nelle battaglie, nei trionfi della fede cattolica» (2) e anzi, «la storia dei trionfi della Chiesa è la storia dei trionfi di Maria» (3). «Ogniqualvolta che parve quasi per scendere la notte sul mondo, si vide spuntare nel cielo Maria, stella del mattino» (4).

In questa prospettiva, brillano di luce straordinaria le grandi apparizioni mariane degli ultimi tempi. Rue du Bac, La Salette, Lourdes, Fatima, sono nomi che dovrebbero essere familiari a ogni cattolico fedele. Mentre, con il dilagare della Rivoluzione, si faceva notte sul mondo, la Madonna apriva gli occhi degli uomini sulla gravità della situazione con una luminosa costellazione di messaggi mariani che avevano il loro culmine nell’apparizione di Fatima, giustamente definita l’avvenimento più importante del secolo ventesimo.

Anche l’Italia ha avuto il privilegio di una grande apparizione mariana: meno conosciuta, ma non meno significativa delle altre per il profondo insegnamento che ancora trasmette al tempo presente. Fu la miracolosa conversione, il 20 gennaio 1842, dell’ebreo Alfonso Ratisbonne, al quale la Madonna apparve nella chiesa romana di Sant’Andrea delle Fratte.

Una lapide posta in uno dei pilastri della cappella dell’apparizione, dove ancora oggi si venera l’immagine di quella che il popolo romano chiamò la «Madonna del Miracolo», così ricorda l’avvenimento: «Il 20 gennaio 1842, Alfonso Ratisbonne, venne qui ebreo indurito. La Vergine gli apparve come tu la vedi. Cadde ebreo si rialzò cristiano. Straniero: porta con te questo prezioso ricordo della misericordia di Dio e del potere della SS. Vergine» (5).

ALFONSO RATISBONNE

Alfonso Ratisbonne, nato a Strasburgo nel 1814 da una famiglia di ricchi banchieri ebrei (il padre era presidente del Concistoro ebraico di Strasburgo), era cresciuto in un clima di odio anticristiano, acuito dalla conversione al cattolicesimo del fratello maggiore Teodoro (6). Fidanzato con una cugina, per migliorare il suo malfermo stato di salute aveva deciso di intraprendere un lungo viaggio che dalla Francia, attraverso la Costa Azzurra, l’Italia, Malta, l’Egeo, avrebbe dovuto condurlo a Costantinopoli. Capitò a Roma, per un breve soggiorno fuori programma, il giorno dell’Epifania del 1842. Tra le persone che vi incontrò fu un amico d’infanzia, il barone Gustavo de Buissières, protestante pietista. Il fratello di questi, Teodoro, nel corso di un’animata discussione religiosa, sfidò Ratisbonne a portare una medaglia con l’effigie dell’Immacolata, come era apparsa quattro anni prima a santa Caterina Labouré, e a recitare, o almeno a trascrivere il «Memorare, piissima Virgo Maria… », l’antica preghiera mariana tradizionalmente attribuita a san Bernardo. Ratisbonne, per mostrare la sua superiorità sulle «superstizioni» cattoliche, accettò ridendo la sfida. «Ora eccomi cattolico, apostolico, romano», commentò sarcasticamente, mentre cingeva al collo la medaglietta. 

Nei giorni successivi, mentre l’ebreo alsaziano continuava la sua vita di scettico gaudente, il Buissières si diede a pregare intensamente per la sua conversione, raccomandandolo inoltre alle orazioni di alcuni amici. Tra questi era il conte Augusto de La Ferronays, già ministro di Carlo X, che morì però improvvisamente il 17 gennaio. Un imprevisto aveva intanto costretto il Ratisbonne a rinviare la sua partenza da Roma. Si giunse così al 20 gennaio 1842, una giornata di cui vale la pena seguire la descrizione lasciataci dallo stesso Ratisbonne (7).

IL 20 GENNAIO 1842

«Il giovedì 20 gennaio, dopo aver fatto colazione all’albergo e aver imbucato le mie lettere alla posta, mi recai a casa del mio amico Gustavo, il pietista, che era tornato dalla caccia, escursione che lo aveva tenuto lontano per alcuni giorni.

«Si stupiva molto di ritrovarmi a Roma. Gliene spiegai il motivo: avevo voglia di vedere il papa. “Ma andrò via senza vederlo, – gli dissi, – giacché non ha assistito alle cerimonie della Cattedra di San Pietro, dove mi avevano fatto sperare che ci sarebbe stato”.

«Gustavo mi consolò ironicamente, parlandomi di un’altra cerimonia davvero curiosa che doveva svolgersi, credo, a Santa Maria Maggiore. Si trattava della benedizione degli animali. E su tutto questo, gara di freddure e lazzi del tipo che si può immaginare tra un ebreo e un protestante.

«Parlammo di caccia, di piaceri, dei divertimenti del carnevale, della brillante serata che il duca Torlonia aveva dato il giorno prima. Né ci si poteva dimenticare delle feste del mio matrimonio: invitai de Lotzbeck, che mi promise di partecipare.

«Se in quell’istante (era mezzogiorno) un terzo interlocutore mi si fosse avvicinato, e mi avesse detto: “Alfonso, fra un quarto d’ora adorerai Gesù Cristo, tuo Dio tuo Salvatore, sarai prosternato in una povera chiesa, ti batterai il petto dinanzi a un sacerdote, in un convento di Gesuiti dove trascorrerai il carnevale per prepararti al battesimo, pronto ad immolarti per la fede cattolica; e rinuncerai al mondo, alle sue pompe, ai suoi piaceri, alla tua fortuna, alle tue speranze, al tuo avvenire; e, se sarà necessario, rinuncerai anche alla tua fidanzata, all’affetto della tua famiglia, alla stima dei tuoi amici, all’attaccamento degli ebrei … e non aspirerai più che a seguire Gesù Cristo e a portare la sua croce fino alla morte!…”. Dico che se qualche profeta mi avesse fatto una predizione simile, avrei giudicato solo un uomo più insensato di lui: l’uomo che avesse creduto possibile una simile follia! Eppure, èproprio questa follia che costituisce oggi la mia sapienza e la mia felicità.

«Uscendo dal caffè, mi imbatto nella carrozza di Teodoro de Buissières. Si ferma, e sono invitato a salire per un tratto di passeggiata. Il tempo era splendido, e accettai con piacere. Ma de Buissières mi chiese la cortesia di fermarsi pochi minuti alla chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, che si trovava quasi di fianco a noi, per un affare che doveva sbrigare; mi suggerì di aspettarlo in carrozza; io preferii scendere, per vedere la chiesa. Vi si facevano dei preparativi per un funerale e mi informai del defunto che doveva ricevere le estreme onoranze. De Buissières mi rispose: È un mio amico, il conte de La Ferronays; la sua morte improvvisa – aggiunse – è la causa di quella tristezza che avrete notata in me da due giorni”.

«Non conoscevo de La Ferronays; non lo avevo mai visto, e non provavo altra impressione che quella d’una pena alquanto vaga che sempre si prova alla notizia d’una morte improvvisa. De Buissières mi lasciò per andare a prenotare una tribuna destinata alla famiglia del defunto. “Non vi impazientite, – mi disse entrando nel chiostro, – sarà questione di due minuti …”.

«CADDE EBREO SI RIALZÒ CRISTIANO»

«La chiesa di Sant’Andrea è piccola, povera e deserta; … credo di essere stato quasi solo; … nessuna opera d’arte attirava la mia attenzione. Camminavo, meccanicamente, con lo sguardo in giro, senza soffermarmi su nessun pensiero; mi ricordo soltanto di un cane nero che saltellava e balzava dinanzi a me… Non appena scomparso il cane, la chiesa intera disparve, non vidi più nulla … o piuttosto, Dio mio, vidi una sola cosa!

«Come potrei parlarne? Oh! no, la parola umana non deve tentare d’esprimere l’inesprimibile; ogni descrizione, per quanto sublime possa essere, non sarebbe che una profanazione dell’ineffabile verità. Ero là, prosternato, bagnato nelle mie lacrime, col cuore fuori di me stesso, quando de Buissières mi richiamò alla vita.

«Non potevo rispondere alle sue domande precipitose; ma presi la medaglia che avevo al petto e baciai con effusione l’immagine della Vergine, raggiante di grazia … Oh!, era davvero Lei!

«Non sapevo dove mi trovavo; non sapevo se ero Alfonso o un altro; sentivo un così totale mutamento, che mi credevo un altro me stesso … Tentavo di ritrovarmi e non mi ritrovavo … La gioia più ardente si sprigionava dal fondo della mia anima; non potei parlare; non volli rivelare nulla; sentivo in me qualcosa di solenne e di sacro che mi fece chiamare un sacerdote … Vi fui condotto, e solo dopo avuto l’ordine positivo ne parlai, per quanto mi era possibile, in ginocchio e col cuore tremante.

«Le mie prime parole furono di riconoscenza per de La Ferronays e per l’Arciconfraternita della Madonna delle Vittorie. Sapevo con certezza che de La Ferronays aveva pregato per me; ma non saprei dire come lo seppi, così come non potrei fare un resoconto delle verità di cui avevo acquisito la fede e la conoscenza. Tutto ciò che posso dire è che al momento del fatto la benda mi cadde dagli occhi; non una sola, ma tutta la moltitudine di bende che mi avevano avvolto, scomparvero una dopo l’altra rapidamente, come la neve e il fango e il ghiaccio sotto l’azione di un sole cocente.

«Uscivo da una tomba, da un abisso di tenebre, ed ero vivo, perfettamente vivo … Ma piangevo! Vedevo nel fondo dell’abisso le miserie estreme dalle quali ero stato strappato da una misericordia infinita; rabbrividivo alla vista di tutte le mie iniquità, ed ero stupito, intenerito, sprofondato in ammirazione e riconoscenza … Pensavo a mio fratello con una indicibile gioia; ma alle lacrime d’amore si univano lacrime di compassione. Oh! quanti discendono tranquillamente in questo abisso con gli occhi chiusi dall’orgoglio o dalla spensieratezza! Vi discendono, s’inabissano vivi nelle orribili tenebre! E la mia famiglia, la mia fidanzata, le mie povere sorelle! Oh! straziante ansietà! Penso a voi, voi che io amo! A voi dono le prime preghiere … Non alzerete voi gli occhi verso il Salvatore del mondo, il cui sangue ha cancellato il peccato originale? Oh, che l’impronta di questa macchia è orribile! Rende completamente irriconoscibile la creatura fatta a immagine di Dio.

«Mi si domanda come appresi queste verità, poiché è accertato che non ho mai aperto un libro di religione, non ho mai letto una pagina della Bibbia, e che il dogma del peccato originale, totalmente dimenticato o negato dagli Ebrei dei nostri giorni, non aveva mai occupato un istante il mio pensiero; dubito anche di averne sentito il nome. Come sono arrivato dunque a questa conoscenza? Non saprei dirlo.

«Tutto ciò che so, è che entrando in chiesa ignoravo tutto; uscendone, vedevo chiaro. Non posso spiegare questo cambiamento che con l’immagine di un uomo il quale si risvegliasse da un sonno profondo, o con quella di un cieco nato che vedesse la luce tutto d’un colpo; vede, ma non può definire la luce che lo illumina e nella quale contempla gli oggetti della sua ammirazione».

L’APOSTOLATO TRA GLI EBREI

Avuta notizia del miracolo, Papa Gregorio XVI ordinò al suo cardinale vicario Costantino Patrizi di istruire immediatamente un processo canonico. Questo si svolse in 17 sessioni, dal 17 febbraio al 1º aprile dello stesso anno 1842, con la severa procedura propria dei tribunali ecclesiastici. Al termine deliberò «che constava pienamente la verità dell’insigne miracolo operato da D.O.M. per intercessione della B. Maria Vergine, cioè l’istantanea e perfetta conversione di Alfonso Maria Ratisbonne dall’Ebraismo».

Lo stesso cardinale Patrizi aveva solennemente battezzato Ratisbonne, col nuovo nome di Alfonso Maria, il 31 gennaio 1842 nella chiesa del Gesù. Sacerdote nel 1847, Ratisbonne appartenne per qualche tempo alla Compagnia di Gesù che lasciò, con il permesso di Pio IX, per entrare nella Congregazione delle Figlie e dei Missionari di Nostra Signora di Sion fondata dal fratello. Come il fratello Teodoro, anche Alfonso Maria Ratisbonne volle infatti dedicare la propria vita all’apostolato tra gli ebrei. Nel 1855 partì per Gerusalemme, dove riuscì ad acquistare le rovine del Pretorio di Pilato, su cui fondò il Santuario dell’«Ecce Homo». A Gerusalemme rimase fino alla morte, il 6 maggio del 1884 (8).

La notizia del miracolo si sparse intanto rapidamente in tutta la Cristianità. Essa infiammò la pietà popolare nei confronti della Medaglia miracolosa di Rue du Bac e contribuì ad affrettare la proclamazione del dogma dell’Immacolata.

Tra i santi e i servi di Dio che pregarono nella cappella dell’apparizione, basti ricordare i nomi di san Giovanni Bosco, santa Teresa di Lisieux, il beato Massimiliano Kolbe. Fu il 20 gennaio 1917, 75esimo anniversario dell’apparizione, che quest’ultimo, nell’ascoltare la rievocazione della conversione di Ratisbonne, concepì l’istituzione della sua Milizia dell’Immacolata, col fine di «cercare la conversione dei peccatori, eretici, scismatici, giudei. ecc. e specialmente dei massoni; e la santificazione di tutti sotto il patrocinio ex e mediante la B.V.M. Immacolata» (9).

VERSO IL REGNO DI MARIA

A Rue du Bac, a La Salette, a Lourdes, a Fátima, la Madonna scelse anime innocenti per trasmettere i suoi messaggi al mondo. A Roma la Madonna apparve a un peccatore, a un cuore indurito dall’orgoglio, a un nemico della Chiesa. Ebreo di origine, rivoluzionario di mentalità, Ratisbonne sembra prefigurare il mondo moderno, incredulo, duro di cuore, ostinato nei suoi errori. Eppure basta l’apparizione della Madonna, un suo gesto, perché Ratisbonne cada in ginocchio e comprenda istantaneamente, secondo quanto egli stesso dichiarò, nella sua esposizione al processo canonico, «l’orrore del suo stato, la deformità del peccato, la bellezza della Religione Cattolica». La sua conversione è perfetta e istantanea come quella di san Paolo: le tenebre dell’incredulità e del giudaismo sono improvvisamente squarciate, dal fulgore della verità. La Madonna «viva, grande, maestosa, bellissima, misericordiosa» manifesta i suoi attributi tradizionali di Regina e di Madre: la potenza e la misericordia. Ma la Madonna esige, per intervenire, la collaborazione degli uomini: la Medaglia miracolosa, il Memorare, le preghiere insistenti del barone de Buissières e del conte de La Ferronays, forse per un impercettibile gesto di buona volontà da parte di Ratisbonne, sono gli elementi da non trascurare nel grande quadro di questa conversione.

Nulla è impossibile alla Madonna, regale dispensatrice di grazie, quando essa è pregata da cuori ardenti e devoti. «Quando gli uomini decidono di collaborare con la grazia di Dio, allora nella storia accadono cose meravigliose: la conversione dell’Impero romano, la formazione del Medio evo, la riconquista della Spagna a partire da Covadonga, sono tutti avvenimenti di questo tipo, che accadono come frutto delle grandi resurrezioni dell’anima, di cui anche i popoli sono suscettibili» (10).

Di fronte al flagello del comunismo ateo che minaccia oggi l’umanità, preghiamo dunque la Madonna perché voglia manifestare ancora una volta la sua potenza e la sua misericordia: allo stesso modo in cui convertì l’ebreo Ratisbonne e regnò nel suo cuore, conceda ai nostri giorni la conversione del mondo, l’instaurazione del Suo regno, il trionfo della Chiesa sulla Rivoluzione.

ROBERTO DE MATTEI


Note:

(1) Per una recente riproposta di questa prospettiva cfr., tra l’altro, il bel volume dedicato alla mariologia del venerabile Pio Brunone Lanteri di p. PAOLO CALLIARI O.M.V., Maria vincitrice di tutte le eresie, Editrice Lanteriana, Torino 1976.

(2) LEONE XIII, Enciclica Adiutricem populi, del 5-9-1895, in Maria SS., Insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes, trad. it., 2ª ed. aggiornata, Edizioni Paoline, Roma 1964, p. 140.

(3) PIO XII, Discorso Il vostro IV Convegno, alle Giovani delle Congregazioni Mariane d’Italia, del 26-4-1958, in Maria SS., cit., p. 519.

(4) Ibidem.

(5) Si tratta della versione italiana del testo francese della lapide. La migliore monografia sull’apparizione è quella di p. ALFREDO BELLANTONIO, La Meraviglia romana dell’Immacolata, 2ª ed., Roma 1973. Il processo canonico è consultabile, in due volumi manoscritti, presso l’Archivio storico del Vicariato di Roma.

(6) Théodore-Marie Ratisbonne (Strasburgo 1802-Parigi 1884) era stato battezzato nel 1827 e collaborava con mons. Dufriche-Desgenettes presso la chiesa parigina di Nostra Signora delle Vittorie, uno dei più vivi centri spirituali di Parigi.

(7) Si tratta di una lettera che Alfonso Ratisbonne scrisse dal collegio di Juilly, il 20 gennaio 1842, a mons. Dufriche-Desgenettes. Abbiamo parzialmente attinto, integrandole, alla traduzione italiana riportata nell’opuscolo La Madonna del miracolo, a cura della Postulazione Generale dei Minimi, Roma 1971 e al testo riportato in JEAN GUITTON, La Vergine a Rue du Bac, trad. it., Edizioni Paoline, Roma 1977.

Charles-Eléonore Dufriche-Desgenettes (Almson 1778-Parigi 1860), fondatore dell’Arciconfraternita di Nostra Signora delle Vittorie, aveva fatto della sua chiesa il centro propulsore della diffusione della Medaglia miracolosa. Nel 1825 era stato tra coloro che più si erano battuti per la consacrazione a Reims di Carlo X (cfr. MARC BLOCH, I re taumaturghi, tr. it., Einaudi 1973, p. 313).

(8) «Si inginocchiò su quelle rovine e pregò; gli pareva di udire ancora l’eco di quella condanna, e del grido esecrando dei padri suoi: “Crucifige Eum!”. “Non ho mai dimenticato – diceva – ciò che provai davanti alle rovine del tribunale di Ponzio Pilato”. Colà era risuonato il grido: “Il Sangue di Lui cada su di noi e sui nostri figli”. “Cada, sì, – pensava Alfonso – ma cada non in maledizione, bensì in rigenerazione, come era caduto su di lui il 20 gennaio in S. Andrea delle Fratte». Cfr. p. ANTONIO BELLANTONIO, op. cit., p. 153.

(9) Fu all’altare dell’apparizione che il 29 aprile 1918 Massimiliano Kolbe volle celebrare la sua prima messa. Padre Ricciardi ha trascritto, nella traduzione italiana, questo particolare, dal registro personale delle intenzioni: «Altare del miracolo, Chiesa di Sant’Andrea delle Fratte: per la conversione di p. Petkow [Gran Maestro della Massoneria polacca], degli scismatici, degli acattolici, dei massoni ecc. » Cfr. p. ANTONIO RICCIARDI, Beato Massimiliano Maria Kolbe OFM, Edizioni agiografiche, a cura della Postulazione generale dell’Ordine dei Frati Minori conventuali, Roma 1971, p. 57.

(10) PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3ª ed. it., Cristianità, Piacenza 1977, p. 152

AMDG et DVM

ORAZIONI DI SANTA BRIGIDA



Finsta (Svezia) 1302 – Roma (Italia) 1373
Rivelate da nostro Signore, Gesù Cristo

Gesù, per intercessione di Santa Brigida, ha voluto fare delle stupende Promesse a tutti coloro che reciteranno queste Orazioni, per la durata di 12 anni.



COSA PROMETTE GESÙ, IN MODO SPECIALE?


1. L’Anima, che recita queste Orazioni, non andrà in Purgatorio.

2. L’Anima, che recita queste Orazioni, sarà accolto tra i Martiri, come se avesse versato il suo sangue per la Fede.

3. L’Anima, che recita queste Orazioni, può scegliere altre tre persone, che Gesù manterrà in uno stato di Grazia, sufficiente per diventare Sante.

4. Nessuna persona, delle quattro Generazioni successive all’Anima che recita queste Orazioni, si dannerà.

5. L’Anima, che recita queste Orazioni, verrà a conoscenza della sua morte un mese prima che questa avvenga.


     · Qualora una persona non riuscisse a concludere il ciclo di queste Orazioni, nell’arco dei 12 anni, a causa di “morte” prematura, Gesù assicura, ugualmente, valide queste preghiere, come se fossero state dette o completate.

     · Se, invece, coloro che hanno avuto qualche impedimento a recitare queste Orazioni, per alcuni giorni, è concessa la possibilità di recuperarle in seguito.

     · È anche giusto ed onesto precisare che queste Orazioni, chiunque le dicesse, non sono “matematicamente” la garanzia totale per ottenere un “posto” in Paradiso!

     · Le Preghiere, le Novene, i Tridui e quant’altro sono “colloqui” che rivolgiamo a coloro cui abbiamo chiesto un aiuto diretto od una “intercessione”, per alleviare le nostre sofferenze, una Grazia particolare od un sostegno morale, fisico e spirituale nella vita di tutti i giorni.

     · Non dobbiamo pregare, unicamente, per chiedere un qualcosa quando fa più comodo a noi, bensì è giusto ed edificante essere sempre in contatto con il Cielo, perché è là che un giorno andremo, e troveremo il frutto delle nostre preghiere, oltre al premio delle nostre buone opere, fatte nell’arco della nostra vita terrena.



RICONOSCIMENTI ECCLESIASTICI

Questa Devozione fu riconosciuta come cosa buona, utile, raccomandabile dal Sacro Collegio per la Propaganda della Fede e, quindi, ritenne autentiche le Rivelazioni di Santa Brigida di Svezia

 

Queste orazioni vanno recitate, ogni giorno, per la durata di 12 anni

 

PREGHIERA INIZIALE

O Gesù, desidero rivolgere al Padre questa tua Orazione, unendomi all’Amore con cui la santificasti nel tuo Cuore.
Portala dalle mie labbra nel tuo Cuore Divino.
Migliorala e completala, in modo perfetto, così che io possa offrire alla Santissima Trinità lo stesso onore e gioia che Tu hai dimostrato recitandola sulla terra.
Possano l’onore e la gioia scorrere sulla tua Sacra Umanità, per la glorificazione delle tue Sante Piaghe e del tuo Preziosissimo Sangue che da esse sgorgò.




1. LA CIRCONCISIONE DI GESÙ

Eterno Padre, per le mani purissime di Maria e per il Cuore Divino di Gesù, Ti offro le prime ferite, i primi dolori e il primo Sangue che Egli ha versato in espiazione dei miei peccati e di quelli di tutti i giovani, quale protezione contro il primo peccato mortale, in particolare dei miei consanguinei.

Padre nostro…      Ave Maria…



2. LE SOFFERENZE DI GESÙ SUL MONTE DEGLI ULIVI

Eterno Padre, per le mani purissime di Maria e per il Cuore Divino di Gesù, Ti offro le terribili sofferenze del Cuore Divino di Gesù sul Monte degli Ulivi, Ti offro ogni goccia del suo Sangue, in espiazione di tutti i miei peccati del cuore e di tutti quelli dell’Umanità, quale protezione contro tali peccati e per la diffusione dell’Amore Divino e fraterno.

Padre nostro…      Ave Maria…



3. LA FLAGELLAZIONE DI GESÙ

Eterno Padre, per le mani purissime di Maria e per il Cuore Divino di Gesù, Ti offro i mille e mille colpi, i dolori atroci e il Prezioso Sangue della Flagellazione, in espiazione di tutti i miei peccati della carne e di tutti quelli dell’Umanità, quale protezione contro di essi e per la salvaguardia dell’innocenza, in particolare tra i miei consanguinei.

Padre nostro…      Ave Maria…



4. LA CORONAZIONE DI SPINE DI GESÙ

Eterno Padre, per le mani purissime di Maria e per il Cuore Divino di Gesù, Ti offro le ferite, i dolori e il Preziosissimo Sangue sceso dal Capo di Gesù, quando fu coronato di spine, in espiazione dei miei peccati dello Spirito e quelli di tutta l’Umanità, quale protezione contro di essi e per la costruzione del Regno di Dio su questa Terra.

Padre nostro…      Ave Maria…



5. LA SALITA DI GESÙ VERSO IL CALVARIO, CARICATO DELLA CROCE

Eterno Padre, per le mani purissime di Maria e per il Cuore Divino di Gesù, Ti offro le sofferenze patite da Gesù lungo la salita del Monte Calvario e, in particolare, la Santa Piaga della Spalla e il Prezioso Sangue, che da essa uscì, in espiazione dei miei e altrui peccati di ribellione alla Croce, di rifiuto dei tuoi santi Disegni e di ogni altro peccato della lingua, quale protezione contro di essi e per un Amore autentico alla Santa Croce.

Padre nostro…      Ave Maria…



6. LA CROCIFISSIONE DI GESÙ

Eterno Padre, per le mani purissime di Maria e per il Cuore Divino di Gesù, Ti offro tuo Figlio, inchiodato sulla Croce e innalzato su essa, le sue Ferite alle Mani e ai Piedi e il Prezioso Sangue, che da essa uscì per noi, i suoi terribili tormenti del Corpo e dello Spirito, la sua preziosa Morte e l’incruento suo Rinnovarsi in tutte le Sante Messe celebrate sulla Terra.
Ti offro tutto questo, in espiazione di tutte le mancanze fatte ai Voti e alle Regole negli Ordini Religiosi, in riparazione di tutti i miei ed altrui peccati, per i malati e i moribondi, per i Sacerdoti e per i Laici, per le intenzioni del Santo Padre riguardanti la costruzione della Famiglia Cristiana, il rafforzamento della Fede, il nostro Paese, l’unità in Cristo fra le Nazioni e all’interno della sua Chiesa, e per la Diaspora.

Padre nostro…      Ave Maria…



7. LA FERITA AL COSTATO DI GESÙ

Eterno Padre, accetta, per le necessità della Santa Chiesa e in espiazione dei peccati di tutta l’Umanità, l’Acqua e il Sangue Preziosissimi usciti dalla ferita inflitta al Cuore Divino di Gesù e gli infiniti meriti che essi effondono.
Ti supplichiamo, sii Buono e Misericordioso verso di noi!
Sangue di Cristo, ultimo prezioso Contenuto del Sacro Cuore di Gesù, purificami e purifica tutti i fratelli da ogni colpa!
Acqua di Cristo, liberami da ogni pena meritata per i miei peccati e spegni le fiamme del Purgatorio, per me e per tutte le Anime purganti.
Amen.

Padre nostro…      Ave Maria…      Gloria…      Angelo di Dio...

AVE MARIA!

Cari fratelli e sorelle!

 BENEDETTO XVI

ANGELUS

I Domenica di Avvento, Piazza San Pietro Domenica, 29 novembre 2009


 

Cari fratelli e sorelle!

In questa domenica iniziamo, per grazia di Dio, un nuovo Anno liturgico, che si apre naturalmente con l’Avvento, tempo di preparazione al Natale del Signore. Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla liturgia, afferma che la Chiesa “nel ciclo annuale presenta tutto il mistero di Cristo, dall’Incarnazione e Natività fino all’Ascensione, al giorno di Pentecoste e all’attesa della beata speranza e del ritorno del Signore”. 

In questo modo, “ricordando i misteri della Redenzione, essa apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, così che siano resi in qualche modo presenti in ogni tempo, perché i fedeli possano venirne a contatto ed essere ripieni della grazia della salvezza” (Sacrosanctum Concilium, 102). Il Concilio insiste sul fatto che il centro della liturgia è Cristo, come il sole intorno al quale, al modo dei pianeti, ruotano la Beata Vergine Maria – la più vicina – e quindi i martiri e gli altri santi che “in cielo cantano a Dio la lode perfetta e intercedono per noi” (ivi, 104).


Questa è la realtà dell’Anno liturgico vista, per così dire, “dalla parte di Dio”. E dalla parte – diciamo - dell’uomo, della storia e della società? Che rilevanza può avere? La risposta ce la suggerisce proprio il cammino dell’Avvento, che oggi intraprendiamo

Il mondo contemporaneo ha bisogno soprattutto di speranza: ne hanno bisogno i popoli in via di sviluppo, ma anche quelli economicamente evoluti. Sempre più ci accorgiamo che ci troviamo su un’unica barca e dobbiamo salvarci tutti insieme. 

Soprattutto ci rendiamo conto, vedendo crollare tante false sicurezze, che abbiamo bisogno di una speranza affidabile, e questa si trova solo in Cristo, il quale, come dice la Lettera agli Ebrei, “è lo stesso ieri e oggi e per sempre” (13,8). 


Il Signore Gesù è venuto in passato, viene nel presente, e verrà nel futuro. Egli abbraccia tutte le dimensioni del tempo, perché è morto e risorto, è “il Vivente” e, mentre condivide la nostra precarietà umana, rimane per sempre e ci offre la stabilità stessa di Dio. 

E’ “carne” come noi ed è “roccia” come Dio. Chiunque anela alla libertà, alla giustizia, alla pace può risollevarsi e alzare il capo, perché in Cristo la liberazione è vicina (cfr Lc 21,28) – come leggiamo nel Vangelo di oggi. Possiamo pertanto affermare che Gesù Cristo non riguarda solo i cristiani, o solo i credenti, ma tutti gli uomini, perché Egli, che è il centro della fede, è anche il fondamento della speranza. E della speranza ogni essere umano ha costantemente bisogno.

Cari fratelli e sorelle, la Vergine Maria incarna pienamente l’umanità che vive nella speranza basata sulla fede nel Dio vivente. Lei è la Vergine dell’Avvento: è ben piantata nel presente, nell’“oggi” della salvezza; nel suo cuore raccoglie tutte le promesse passate; ed è protesa al compimento futuro. Mettiamoci alla sua scuola, per entrare veramente in questo tempo di grazia e accogliere, con gioia e responsabilità, la venuta di Dio nella nostra storia personale e sociale.

Dopo l'Angelus

Il 1° dicembre prossimo ricorre la Giornata mondiale contro l’AIDS. Il mio pensiero e la mia preghiera vanno ad ogni persona colpita da questa malattia, in particolare ai bambini, ai più poveri, a quanti sono rifiutati. La Chiesa non cessa di prodigarsi per combattere l’AIDS, attraverso le sue istituzioni e il personale a ciò dedicato. Esorto tutti a dare il proprio contributo con la preghiera e l’attenzione concreta, affinché quanti sono affetti dal virus HIV sperimentino la presenza del Signore che dona conforto e speranza. Auspico infine che, moltiplicando e coordinando gli sforzi, si giunga a fermare e debellare questa malattia.

Chers pèlerins francophones, en ce premier dimanche de l’Avent, nous sommes invités à tenir bon et à relever la tête car la venue de Dieu parmi nous est toute proche. Le Christ notre Espérance, notre présent et notre avenir vient à toute heure. Veillons donc afin de l’attendre! Gardons notre cœur disponible et accueillant à cette venue et confions à la Vierge Marie notre désir de découvrir que son Fils est tout proche de nous dans chacune de nos vies ! A tous je souhaite de vivre une bonne Année liturgique!

I welcome all the English-speaking pilgrims and visitors present for the Angelus. On this First Sunday of Advent let us join with Mary in prayerful trust, watchful for the presence of Jesus in our world, mindful of our need to grow in compassion and mercy, and ready to embrace God’s will as a sign of hope. Upon you and your families I invoke God’s abundant blessings of joy and peace.

Mit Freude heiße ich alle Pilger und Besucher deutscher Sprache willkommen. Mit diesem Sonntag treten wir in die liturgische Zeit des Advents ein. Advent bedeutet aufstehen, wach werden, aus der Nacht heraustreten. So lädt uns diese Zeit besonders ein, das Dunkel der Sorgen und der Lieblosigkeit hinter uns zu lassen und uns im Gebet, im Hören auf Gottes Wort und durch den Empfang des Sakraments der Versöhnung dem Licht Christi zu öffnen und die Welt mit seiner Liebe hell zu machen. Gott schenke euch und euren Familien eine gnadenreiche Adventszeit.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana, así como a quienes se unen a ella a través de la radio y la televisión. Al comenzar el Adviento, invito a todos a avivar el deseo de salir al encuentro de Cristo, que viene, intensificando la oración, participando frecuentemente en la Eucaristía y dando un testimonio elocuente de caridad. Que a ello os ayude la intercesión de la Virgen Santísima, a cuyas manos de Madre encomendamos el compromiso por la paz y la justicia entre los pueblos. Feliz Domingo.

W adwentowym duchu pozdrawiam Polaków. Moi drodzy, Chrystus przychodzi do każdego z nas i do całej ludzkości jako Zbawca. Dlatego Ewangelia dzisiejszej liturgii wzywa: „nabierzcie ducha i podnieście głowy, ponieważ zbliża się wasze odkupienie” (Łk 21, 28). Niech ta myśl towarzyszy nam w czasie radosnego oczekiwania na przyjście Pana. Niech Bóg wam błogosławi!

[Nello spirito dell’Avvento saluto i polacchi. Miei cari, Cristo viene ad ognuno di noi e a tutta l’umanità come Salvatore. Ecco perché il Vangelo della liturgia odierna ci invita: “Alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (Lc 21, 28). Questo pensiero ci accompagni nel tempo della gioiosa attesa della venuta del Signore. Dio vi benedica!]

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare coloro che hanno preso parte alla marcia promossa dal Movimento dell’Amore Familiare per manifestare profondo amore al Crocifisso, riconoscendone il valore religioso, storico e culturale. Saluto inoltre l’associazione “Insieme per crescere” di Durazzano e il gruppo “Regina della Pace” di Andria. A tutti auguro una buona domenica e un fruttuoso cammino di Avvento.

AVE MARIA!

sabato 26 novembre 2022

DAVVERO MOLTO INTERESSANTE

 Intervista al professor Alfred Lapple, "istitutore" di Papa Benedetto XVI

Intervista esclusiva al suo “istitutore” Alfred Lapple

La formazione culturale di Joseph Ratzinger era, a ventiquattro anni, completa. Classici latini e greci, leggevo Goethe con entusiasmo”, dice, mentre Schiller gli pareva troppo moralista. Amava gli scrittori del XIX secolo: Eichendorff, Morike, Storm, Stifter. Lo appassionavano i romanzi di Gertrud von Le Fort, Elisabeth Langgasser, Ernst Wiechert, Dostoevskij; i grandi francesi Claudel, Bernanos, Mauriac.

Persino le opere di eminenti scienziati come Plance, Heienberg, Einstein. In campo filosofico e teologico: Romano Guardini, Josef Pieper, Theodor Hacher, Peter Wust, il cardinale Newman, Heiddeger, Jaspers. Nietzsche, Klages, Bergson, Husserl. Come in fisica si poteva constatare l’abbandono dell’immagine meccanicistica del mondo, così si riteneva di poter osservare anche in filosofia un ritorno alla metafisica. Il cammino iniziava con Kant e gli studi su Hegel per sfociare nel nuovo movimento di pensiero del personalismo, che -scrive Ratzinger- nel mio caso si legò quasi da sé con il pensiero di Sant’Agostino.

Nelle Confessioni mi venne incontro in tutta la sua passionalità e profondità umane.
Ebbi, invece, delle difficoltà nell’accesso al pensiero di San Tommaso d’Aquino, la cui logica cristallina mi pareva troppo chiusa in se stessa, impersonale e preconfezionata”.

Gli studi di teologia a Monaco danno a Ratzinger la possibilità di entrare ancora più nella cogitatio fidei, nella intelligenza della fede. L’esegesi diventa il centro del lavoro teologico del giovane Joseph. E’ una sorta di colpo di fulmine favorito dalla star della facoltà di teologia, Friedrich Wilhelm Majer, professore di esegesi del Nuovo Testamento.

Durante il seminario di Frisinga, come prefetto della sala di studio, viene assegnato un teologo da poco rientrato dalla prigionia inglese: Alfred Lapple, uno dei più fecondi scrittori religiosi del nostro tempo. Novantadue anni, da oltre sessanta è amico del Papa bavarese.
Raggiunto a Monaco da Elena Balestri, coordinatrice editoriale della struttura Rai-Vaticano, ha ricostruito le stagioni del dopoguerra in una Germania ricoperta di macerie materiali e spirituali.

La lacerazione delle coscienze, gli orrori del conflitto, la pena per i scomparsi, il senso di colpa che la fede solo a fatica leniva. Un popolo inchiodato dalla storia davanti alle proprie terribili responsabilità. Da carnefice a vittima di se stesso. Il ricordo di Lapple è nitido ed aiuta a cesellare la personalità di Benedetto XVI. Scontornandolo ne evidenzia la singolarità e la grandezza.



Quando, professor Lapple, ha conosciuto Joseph Ratzinger?

“Solo dopo la guerra, nel 1946. Il rettore del seminario filosofico di Frisinga mi nominò prefetto di cinquanta giovani seminaristi. Nella sala rossa, fra cinquanta banchi di legno, erano seduti i due fratelli Ratzinger: Georg, più grande e Joseph, il più piccolo. Fu Jospeh ad avvicinarsi: “Potrebbe spiegarmi che cosa significa la meditazione e la spiritualità di cui ha parlato ieri sera il padre spirituale? Da quella domanda e da una infinità di altre è nata l’amicizia di una vita”.

Aveva il compito di seguire una generazione che aveva visto in faccia la guerra. Irrequieta e afflitta da tormenti.

"Un giorno Joseph Ratzinger mi domandò come avevo potuto resistere all’intero periodo della guerra. Dove avevo trovato la forza interiore. Risposi che soltanto la fede in Dio mi aveva salvato. La fede in Dio e le preghiere di mia madre. A Frisinga i seminaristi erano circa centoventi. Le differenze erano evidenti. Io, allora, avevo trentuno anni, Joseph Ratzinger diciannove. Una differenza di età enorme, il che equivaleva ad una differenza dei ruoli ricoperti in guerra. Lui, arruolato di forza nella contraerea , io sul fronte. Gradi militari diversi. Il cardinale Michael von Faulhaber celebrò una messa di requiem un memoria dei sacerdoti, degli studenti di teologia e dei seminaristi caduti. “Siete tornati a casa. Dio vi ha donato una seconda vita. Ringraziatelo studiando per diventare buoni sacerdoti”. Ci insegnò la gratitudine".

Non volevate guardare indietro?

“No. Durante la guerra avevamo saputo dei campi di concentramento. Il nuovo rettore del seminario, Michael Hock era stato internato cinque anni a Dachau. Non parlavamo mai fra noi degli ordini ricevuti né dei ruoli militari ricoperti. Nessuno sapeva dove era stato l’altro. Io, per esempio, ero alle porte di Leningrado nell’inverno 1941-42. volevamo studiare su un’isola di pace, dimenticare che, sotto il nazismo, alcuni preti avevano scambiato l’abito talare con l’uniforme marrone”.

Ci sono stati probabilmente seminaristi sui trent’anni, che si sono confidati con Lei. Erano stati al fronte, magari avevano ucciso. Potevano diventare buoni preti?

“Ricordo che fra il 1948 e il 1952 feci parte della commissione decisionale. Decidere se un giovane poteva diventare prete. Uno di loro mi disse: “Non posso andare dal rettore, lui è stato in un campo di concentramento e non potrà capire”. Fra i docenti del seminario di Frisinga io ero il solo ad essere stato in guerra. Questo seminarista continuò: “In Russia, durante un’azione di partigiani, ho fucilato venti persone. Non so dire se sia stato necessario. Crede che potrò diventare sacerdote?"

E Lei che cosa rispose?

“Sta a te decidere. Se senti però questo peso interiore e hai la sensazione di una colpa irrimediabile, allora devi riflettere. Salire sull’altare ed iniziare la Santa Messa col dominus vobiscum col terrore che qualcuno si alzi e ti gridi: “Sei un assassino…”

E come andò a finire?

"Quel giovane lasciò il seminario. Il figlio poi è diventato sacerdote. Un altro che aveva vissuto la lotta partigiana nell’Italia centrale ebbe un approccio diverso: “Voglio diventare sacerdote, voglio espiare per tutto quello che è successo laggiù”. E’ diventato sacerdote e, in seguito, vescovo. Era un uomo straordinario”.

Torniamo a Joseph Ratzinger. Come lo descriverebbe?

“Era il beniamino della sua famiglia. Tranquillo, riservato, mai inopportuno. Un giovane di buon cuore che aveva bisogno di confidarsi. Era curioso di verità. Faceva continuamente domande. Era un intellettuale col cuore. Tradusse come me la Quaestio disputate de caritate di Tommaso d’Aquino ed apprezzò il mio lavoro su “La Teologia come crisi ed impresa del teologo”, frutto di alcune lezioni tenute in un campo di prigionia americano. Si avvicinò, grazie a me, al pensiero del cardinale Newman e fu colpito dal suo motto episcopale “Cor ad cor loquitur”, il cuore parla al cuore. Tale espressione era il paradigma del pensiero di Joseph Ratzinger”.

Oltre a Lei ha coltivato in quel periodo altre amicizie?

“Non aveva molte amicizie. Solo quando fu ordinato sacerdote e cominciò ad insegnare in varie università si creò una grande cerchia di amici. Con gli anni Ratzinger ha continuato a pensare con il cuore, ad essere una persona leale. Lo ha dimostrato nel 2006 in Polonia, al campo di concentramento di Auschiwitz-Birkenau: “Sono figlio del popolo tedesco, sono un papa tedesco e sono qui per pregare”.
In Baviera ha scelto come motto del viaggio pastorale “Chi crede non è mai solo”. Questa non è una scelta teologica, è la sua vita. In quel motto c’è tutto Ratzinger".

Lei lo ha seguito nei primi passi da sacerdote alla Parrocchia del Preziosissimo Sangue di Monaco, poi come docente e Vescovo…

“Diventato prete gli dissi: “Dedicati alla pastorale, così ti renderai conto se fa per te oppure no. Un anno dopo l’ordinazione si trovò a prendere la decisione di proseguire gli studi di teologia. Non esitai: “Joseph, la tua strada è quella accademica”. E nella mia stanza al secondo piano del seminario ci salutammo dopo la sua prima Messa. Fu lui a prendere il mio posto come docente; fu sulla stessa scrivania dove sedevo io che scrisse la tesi di dottorato e preparò l’esame di abilitazione. Quando Dofner, l’arcivescovo di Monaco, morì all’improvviso, fra i candidati episcopabili c’eravamo io, Ratzinger e Karl Forster. In un colloquio notturno gli dissi: “Joseph, accetta, è la cosa più giusta per te." Come Lei sa, aveva dato più volte le dimissioni da Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Voleva raccogliere tutti i suoi lavori. Gli avevo persino fatto avere due contratti con case editrici tedesche che lui firmò. Era tutto sistemato, ma le cose sono andate diversamente”.

Oltre a Lei, chi sono stati i punti di riferimento intellettuali?

"Sono stati l’Henri de Lubac di Cattolicesimo e il professor Gottlieb Sohnger di Colonia che amava, fra l’altro, profondamente la musica e spesso portava lo studente Ratzinger all’Opera di Monaco.
Una cosa che fino ad oggi nessuno sapeva. Alcuni discorsi di Sohnger rivelano quello che questo teologo è stato per Ratzinger, quali siano state le sue radici.- 
Penso al legame strettissimo con la famiglia. Più volte Ratzinger ha confessato: “E’ nella mia famiglia che ho imparato a pregare, a fare musica dai libri religiosi”. Solo pochi giorni fa il fratello del Papa, monsignor Georg, mi ha detto: “Mentre lavavamo i piatti cantavamo l’Ave Maria”. Atteggiamenti che vengono dal cuore. - Joseph era dispiaciuto per certe liturgie arbitrarie. “A Gesù – ripeteva – non si fa una cosa simile”, per la confusione in campo religioso.

“La libertà di religione – affermava – può diventare facilmente uguaglianza di religione”; per come veniva considerata la Chiesa”.

Un conservatore o un progressista?

“E’ strano. In Italia Ratzinger è stato considerato per lo più un progressista; in Francia un conservatore. Questo fa capire che, in base alla posizione, la stessa identica persona possa essere considerata progressista o conservatrice. In realtà, Joseph Ratzinger è sempre rimasto fedele ad un’unica linea: lasciar parlare il cuore al cuore. Sono convinto che a tale proposito non abbia mai abdicato, che sia diventato il progetto della sua vita, della sua preghiera e della sua fede”.
 

La fonte: Radiocorriere TV /  https://papst.pro/it/1382/

AVE MARIA!