martedì 22 novembre 2022

Spettacolare luminosità del quadro di Natalia Tsarkova

dipinto Tsarkova

 PRESENTATO A ROMA IL DIPINTO DI BENEDETTO XVI REALIZZATO DA NATALIA TSARKOVA



(3/11/22) “Ritratto di Sua Santità il Papa emerito Benedetto XVI con la sua famiglia pontificia” è il titolo del dipinto realizzato dalla pittrice russa Natalia Tsarkova, che è stato presentato questa mattina a Roma, nel corso della conferenza stampa del XXI Festival internazionale di Musica e Arte Sacra.

L’opera, di grandi dimensioni (200 cm X 180 cm), ritrae il Papa emerito insieme al suo segretario l’arcivescovo Georg Gänswein, le quattro Memores Domini che si dedicano al suo servizio al Monastero Mater Ecclesiae, Carmela, Loredana, Cristina e Rossella, il fratello maggiore monsignor Georg Ratzinger e suor Christine, che ha sempre assistito quest’ultimo nei periodi della sua permanenza a Roma.

 

La scorsa settimana, la pittrice ha potuto presentare la sua opera al Papa emerito nel Monastero Mater Ecclesiae, dove il quadro è poi rimasto per alcuni giorni.

“La composizione dinamica del quadro si sviluppa in un movimento circolare con un assetto tridimensionale, focalizzando su vari piani la crescita dell’operato del Santo Padre – si legge in una nota –. In tale movimento sono presenti contrasti di luce e di ombre, che si possono percepire dalla posizione e dalle pose dei personaggi. 

Ciascun elemento del quadro ha un significato simbolico particolare, per esempio la luminosità dorata dell’alba disperde le ombre della notte. Infatti, il Papa emerito, che è seduto nell’ombra, sembra quasi sporgersi dalla tela con un volto luminoso ed espressivo, come a offrire al mondo un messaggio spirituale forte e insieme pieno di carità, illuminato dalla Spirito Santo che appare sopra la sua figura sotto forma di una colomba bianca”. 

Da parte sua, l’artista ha spiegato: “Ho sempre vissuto la mia arte, oltre che come una grande passione, proprio come una ‘missione’. Durante tutto il pontificato di Benedetto XVI, ho seguito il Santo Padre con la mia arte. Ho avuto il privilegio di realizzare il suo ritratto ufficiale e per ispirarmi facevo disegni durante le celebrazioni liturgiche. 

Quando Papa Benedetto ha rinunciato al pontificato e si è ritirato, ho sentito fortemente nel mio cuore il dovere artistico di immortalare questo periodo storico straordinario su una grande tela, anche per la storia dell’arte. È il periodo, tuttora in corso, in cui Benedetto XVI sta continuando la sua missione da Papa emerito. A Papa Benedetto l’idea è piaciuta molto e così ho iniziato il lavoro, felicissima, piena di entusiasmo e di gioia, sentendo un grandissimo onore insieme a una forte responsabilità”.

 AVE MARIA!

domenica 20 novembre 2022

Vi ho qui voluti per farvi conoscere Maria.

 


CCCXLVIII. Mannaen riferisce su Erode Antipa e da Cafarnao va con Gesù a Nazareth. Svelate le trasfigurazioni della Vergine.


   2 dicembre 1945.

   348.1Quando pongono piede sulla spiaggetta di Cafarnao, sono accolti dal gridìo dei bambini che emulano le rondini indaffarate alla costruzione dei nidi novelli, tanto scorrono veloci, garrendo con le loro vocette, dalla spiaggia alle case, ilari della semplice gioia dei fanciulli, per i quali è spettacolo meraviglioso e magico oggetto un pesciolino trovato morto sulla riva, o un sassetto che l’onda ha levigato e che, per il suo colore, sembra una pietra preziosa, o il fiore scoperto fra due sassi, o lo scarabeo cangiante catturato a volo. Tutti prodigi da far vedere alle mamme, perché prendano parte alla gioia del loro figliolino.
   Ma ora queste rondinelle umane hanno visto Gesù e tutti i loro voli convergono verso di Lui, che sta per porre piede sulla spiaggetta. Ed è una tepida valanga viva di carni fanciulle, è una catena soave di manine tenerelle, è un amore di cuori infantili quello che si abbatte su Gesù, che ne è stretto, legato, riscaldato come da un dolce fuoco.


   «Io! Io!».
   «Un bacio!».
   «A me!».
   «Anche io!».
   «Gesù! Ti voglio bene!».
   «Non andare più via per tanto!».
   «Venivo tutti i giorni qui a vedere se venivi».
   «Io andavo alla tua casa».
   «Tieni questo fiore, era per la mamma, ma te lo do».
   «Ancora un bacio a me, bello forte. Quello di prima non mi ha toccato perché Giaele mi ha spinto indietro…».
   E le vocette continuano mentre Gesù tenta camminare fra quella rete di tenerezze.
   «Ma lasciatelo un poco stare! Via! Basta!», gridano discepoli e apostoli cercando di allentare la stretta. Ma sì! Sembrano liane munite di ventose! Di qui vengono staccate, di là si appiccicano.
   «Lasciate! Lasciate fare! Con pazienza arriveremo», dice sorridendo Gesù, e fa passi inverosimilmente piccoli per potere procedere senza calpestare piedini nudi.


   348.2Ma quello che lo libera dall’amorosa stretta è il sopraggiungere di Mannaen con altri discepoli, fra i quali i pastori che erano in Giudea.
   «La pace a Te, Maestro!», tuona l’imponente Mannaen nel suo splendido abito, senza più ori alla fronte e alle dita, ma con una magnifica spada al fianco che suscita l’ammirazione venerabonda dei bambini, i quali, davanti a questo magnifico cavaliere vestito di porpora e con una così stupenda arma al fianco, si scansano intimoriti.
   E così Gesù può abbracciarlo e abbracciare Elia, Levi, Mattia, Giuseppe, Giovanni, Simeone e non so quant’altri.


   «Come mai sei qui? E come hai saputo che ero sbarcato?».
   «Saputo, lo si è saputo dai gridi dei bambini. Hanno trapassato i muri come frecce di gioia. Ma qui sono venuto pensando che è prossimo il tuo viaggio in Giudea e che certo vi prenderanno parte le donne… Ho voluto esserci anche io… Per proteggerti, Signore, se non è troppa superbia il pensarlo. Vi è molta effervescenza in Israele contro di Te. Dolorosa cosa a dirsi. Ma Tu non la ignori».


   348.3Parlando così, raggiungono la casa e vi entrano. Mannaen continua il suo discorso dopo che il padrone di casa e la moglie hanno venerato il Maestro.


   «Ormai l’effervescenza e l’interessamento su di Te ha pervaso ogni luogo, scuotendo e richiamando l’attenzione anche dei più ottusi e distratti da cose molto diverse da ciò che Tu sei. Le notizie di ciò che Tu operi sono penetrate persino dentro alle sozze muraglie di Macheronte o nei lussuriosi rifugi di Erode, siano essi il palazzo di Tiberiade o i castelli di Erodiade o la splendida reggia degli Asmonei presso il Sisto. Superano come ondate di luce e di potenza le barriere di tenebre e di bassezza, abbattono i cumuli del peccato messi a fare da trincea e da riparo ai sozzi amori della Corte e ai truci delitti, saettano come strali di fuoco scrivendo parole ben più gravi di quelle del convito di Baldassarre[89] sulle licenziose pareti delle alcove e delle sale del trono e dei banchetti. Urlano il tuo Nome e la tua potenza, la tua natura e la tua missione. E Erode ne trema di paura; ed Erodiade si convelle nei letti, paurosa che Tu sia il Re vendicatore che le leverà ricchezze e immunità, se pur non anche la vita, gettandola in balìa delle turbe che faranno vendetta dei suoi molti delitti. Si trema a Corte. E per Te. Si trema di paura umana e di paura sovrumana. Da quando la testa di Giovanni è caduta mozzata, sembra che un fuoco arda le viscere dei suoi uccisori. Non hanno più neppure la loro misera pace di prima, pace da porci sazi di crapule, che trovano silenzio ai rimproveri della coscienza nell’ubbriachezza o nella copula. Non c’è più nulla che li pacifichi… Sono perseguitati… E si odiano dopo ogni ora di amore, sazi l’uno dell’altra, incolpandosi l’un l’altro di aver commesso il delitto che turba, che ha passato la misura; mentre Salome, come presa da un demonio, è scossa da un erotismo che degraderebbe una schiava delle macine. La Reggia è fetente più di una cloaca. Erode mi ha interrogato più volte su Te. Ed io ogni volta ho risposto: “Per me è il Messia, il Re d’Israele dell’unica stirpe regale, quella di Davide. È il Figlio dell’uomo detto dai Profeti, è il Verbo di Dio, Colui che, per essere il Cristo, l’Unto di Dio, ha il diritto di regnare su ogni vivente”. Ed Erode sbianca di paura sentendo in Te il Vendicatore. E respinge la paura, l’urlo della coscienza che il rimorso sbrana, dicendo — poiché i cortigiani per confortarlo dicono che Tu sei Giovanni falsamente creduto morto, e con ciò lo fanno basire più che mai di orrore, oppure Elia, o qualche altro profeta dei tempi passati — dicendo: “No, non può essere Giovanni! Quello io l’ho fatto decapitare, e la sua testa l’ha Erodiade in sicura custodia. E non può essere uno dei profeti. Non si rivive, una volta morti. Ma non può essere neppure il Cristo. Chi lo dice? Chi lo dice che lo è? Chi osa dirmi che Egli è il Re dell’unica stirpe regale? Io sono il Re! Io! E non altri. Il Messia è stato ucciso da Erode il Grande: in un mare di sangue è stato affogato, appena nato. Sgozzato è stato come un agnellino… e aveva pochi mesi… Lo senti come piange? Il suo belato mi grida sempre dentro alla testa insieme al ruggito di Giovanni: ‘Non ti è lecito’… Non mi è lecito?! Sì. Tutto mi è lecito, perché io sono ‘il re’. Qua vino e donne, se Erodiade si rifiuta ai miei amplessi, e che danzi Salome per svegliare il mio senso spaurito dai tuoi paurosi racconti”. E si ubbriaca fra le mime della Corte, mentre nelle sue stanze ulula la femmina folle le sue bestemmie al Martire e le sue minacce a Te, e nelle sue Salome conosce cosa è essere nata dal peccato di due libidinosi e avere aderito ad un delitto, ottenendolo con l’abbandono del corpo alle smanie lubriche di un sozzo. Ma poi torna in sé Erode e vuole sapere di Te, e vorrebbe vederti. E per questo favorisce le mie venute a Te, nella speranza che io ti porti a lui. Cosa che non farò mai, per non portare la tua santità in un antro di fiere immonde. E vorrebbe averti Erodiade per colpirti. E lo grida col suo stilo fra le mani… E vorrebbe averti Salome, che ti ha visto, a tua insaputa, a Tiberiade lo scorso etamim, e che insania di Te… Questa è la Reggia, Maestro! Ma io vi resto, perché sorveglio così le intenzioni su Te».


   «Io te ne sono grato, e l’Altissimo te ne benedice. È anche questo servire l’Eterno nei suoi decreti».
   «L’ho pensato. E per questo sono venuto».


   «Mannaen, Io ti prego di una cosa, poiché sei venuto. Non con Me ma con le donne scendi verso Gerusalemme. Io vado con questi per via ignota e non potranno farmi del male. Ma esse sono donne e indifese, e chi le accompagna è di animo mite e ammaestrato ad offrire la guancia a chi già l’ha percosso. La tua presenza sarà protezione sicura. Un sacrificio, comprendo. Ma staremo insieme in Giudea. Non negarmelo, amico».
   «Signore, ogni tuo desiderio è legge per il tuo servo. Sono al servizio della Madre tua e delle condiscepole da questo momento fino a quando Tu vorrai».
   «Grazie. Anche questa tua ubbidienza sarà scritta in Cielo.


   348.4Ora dedichiamo l’attesa delle barche per tutti curando i malati che mi attendono».
   E Gesù scende nell’orto dove sono barelle o infermi e li sana rapidamente, mentre accoglie l’ossequio di Giairo e degli amici, pochi, di Cafarnao.
   Le donne, intanto — e sono Porfirea e Salome, più l’anziana moglie di Bartolomeo e quella meno anziana di Filippo con le figlie giovinette — si occupano delle vivande per la numerosa turba di discepoli, che saranno sfamati con le corbe di pesce che Betsaida e Cafarnao hanno offerto. E un gran sventrare di ventri argentati, ancora palpitanti, un gran sciaquare di pesci nei catini, un grande sfrigolio degli stessi sulle graticole, avviene in cucina, mentre Marziam, con altri discepoli, alimenta i fuochi e porta brocche d’acqua in aiuto delle donne.


   Il pasto è presto pronto e presto consumato. Ed essendo ormai reclutate le barche per il trasporto di tanti, non resta che imbarcarsi per Magdala, su un lago d’incanto, tanto è sereno, angelico nel castone smeraldino delle rive.
   I giardini e la casa di Maria di Magdala si aprono ospitali nel meriggio solare ad accogliere il Maestro e i suoi discepoli, e tutta Magdala si riversa a salutare il Rabbi che va verso Gerusalemme.


   348.5E le fresche pendici dei colli galilei sentono la marcia solerte e lieta della turba fedele, seguita da un comodo carro dove sono Giovanna con Porfirea, Salome, le mogli di Bartolomeo e Filippo e le due giovinette figlie di quest’ultimo, più i ridenti Maria e Mattia, irriconoscibili nell’aspetto da quello che erano cinque mesi addietro. Marziam marcia bravamente con gli adulti, anzi, per volere di Gesù, è proprio nel gruppo apostolico, fra Pietro e Giovanni, e non perde parola di quanto dice Gesù.
   Il sole splende in un cielo purissimo e folate tiepide portano odore di bosco, di mentucce, di viole, dei primi mughetti, dei rosai sempre più fioriti e, sovrano su tutti, quell’odore fresco, lievemente amarognolo, dei fiori delle piante da frutto, che da ogni dove spargono neve di petali sulle zolle erbose. Tutti ne hanno fra i capelli mentre procedono in un continuo cinguettio d’uccelli, fra canti di seduzione e trepidi richiami da folto a folto, tra i maschi audaci e le femmine pudiche, mentre le pecore brucano, pingui di maternità, e i primi agnellini urtano il musetto rosato nella tonda mammella per aumentare la secrezione del latte, oppure caroleggiano sui prati d’erba tenerella come bambini felici.


   348.6Come viene presto Nazaret dopo Cana, dove Susanna si unisce alle altre donne portando seco i prodotti della sua terra in ceste e vasi, e un intero tralcio di rose rosse tutte in bocci, prossimi a schiudersi, «da offrirsi a Maria», dice.
   «Io pure, vedi?», dice Giovanna scoprendo una specie di cassa dove sono adagiate rose e rose fra muschi umidi. «Le prime e le più belle. Sempre un nulla per Lei, tanto cara!».
   Vedo che ogni donna ha portato derrate per il viaggio pasquale, e con le derrate chi questo fiore, chi quella pianta per l’orto di Maria; e Porfirea si scusa di non avere portato che un vaso di canfora, splendido nelle minute foglioline glauche che sprigionano il loro aroma solo a sfiorarle. «Maria la desiderava questa pianta balsamica…», dice. E tutte la elogiano per la bellezza rigogliosa dell’arboscello. «Oh! l’ho vegliato tutto l’inverno, tenendolo al riparo dal gelo e dalla grandine nella mia stanza. Marziam mi aiutava a portarlo al sole ogni mattina, a ritirarlo ogni sera… E quel caro fanciullo, se non ci fosse stata la barca e ora il carro, se lo sarebbe caricato sulle spalle per portarlo a Maria, facendo cortesia a Lei e a me», dice l’umile donna, che si rinfranca sempre più per la bontà di Giovanna e che non sta in sé dalla gioia di essere in viaggio per Gerusalemme, e col Maestro, il suo uomo e il suo Marziam.


   «Non ci sei mai stata?».
   «Finché visse mio padre, ogni anno. Ma poi… La madre non vi andò più… I fratelli mi ci avrebbero portata, ma facevo comodo alla madre e non mi lasciava andare. Dopo ho sposato Simone… e non sono stata più molto bene in salute. Simone avrebbe dovuto stare molto in viaggio e si annoiava… Rimanevo perciò a casa ad attenderlo… Il Signore vedeva il mio desiderio… ed era come facessi il sacrificio nel Tempio…», dice la mite donna.
   E Giovanna, che l’ha vicina, le mette la mano sulle splendide trecce dicendole: «Cara!». E in quell’aggettivo c’è tanto amore, tanta comprensione e tanto significato.


   348.7Ecco Nazaret… ecco la casa di Maria d’Alfeo, che è già fra le braccia dei figli, e con le mani, gocciolanti e rosse del bucato che sta facendo, se li carezza, e poi corre, asciugandosele nel grembiule grossolano, ad abbracciare Gesù… Ed ecco la casa di Alfeo di Sara, immediatamente precedente quella di Maria. E Alfeo che ordina al nipotino più grande di correre ad avvertire Maria, e intanto sgamba a passi da gigante verso Gesù con una bracciata di nipotini fra le braccia, e lo saluta insieme a quella nidiata stretta fra le braccia come un mazzo di fiori offerto a Gesù.


   Ed ecco Maria farsi sulla porta, nel sole, nel suo abito da casa di un chiaro azzurro un poco stinto, l’oro dei capelli splendente vaporoso sulla fronte verginale e massiccio nel pesante nodo delle trecce sulla nuca, e cadere sul petto del Figlio che la bacia con tutto il suo amore. Gli altri si fermano prudenti per lasciarli liberi nel primo incontro.
   Ma Ella subito si stacca e volge il viso, inattaccabile all’età, ora tutto roseo per la sorpresa e luminoso di sorriso, e saluta con la sua voce d’angelo: «La pace a voi, servi del Signore e discepoli del Figlio mio. La pace a voi, sorelle nel Signore», e con le discepole, scese dal carro, scambia un bacio fraterno.


   «Oh! Marziam! Ora non potrò più tenerti fra le braccia! Sei un uomo ormai. Ma vieni dalla Mamma di tutti i buoni, che un bacio te lo darò ancora. Caro! Dio ti benedica e ti faccia crescere nelle sue vie, robusto come cresce il tuo corpo giovinetto, e più ancora. Figlio mio, dovremo portarlo a suo nonno. Sarà felice di vederlo così», dice poi volgendosi a Gesù.
   E poi abbraccia Giacomo e Giuda d’Alfeo. E dà loro la notizia che certo essi amano: «Quest’anno Simone viene con me, come discepolo del Maestro. Me lo ha detto».
   E uno per uno saluta i più noti, i più influenti, avendo per ognuno una parola di grazia. Mannaen viene condotto a Lei da Gesù e presentato come sua scorta nel viaggio verso Gerusalemme.
   «Tu non vieni con noi, Figlio?».
   «Madre, ho altri luoghi da evangelizzare. Ci vedremo a Betania».
   «La tua volontà sia fatta ora e sempre. Grazie, Mannaen. Tu: angelo umano; i nostri custodi: angeli del Cielo; e noi saremo sicure come fossimo nel Santo dei Santi». E offre la sua manina a Mannaen in segno di amicizia. E il cavaliere, cresciuto nel fasto, si inginocchia per baciare la mano gentile che si offre a lui.


   348.8Intanto sono stati scaricati i fiori e quanto deve restare a Nazaret. Poi il carro va al suo destino in qualche scuderia della città.
   La piccola casa pare un roseto per le rose sparse ogni dove dalle discepole. Ma la pianta di Porfirea, posata sulla tavola, raccoglie la più viva ammirazione di Maria, che la fa portare in luogo acconcio secondo le indicazioni della moglie di Pietro.
   Non possono certo entrare tutti nella minuscola casa, nell’orto che non è una tenuta né un podere, ma che sembra salire verso il cielo sereno, farsi aereo, tante sono le nuvole dei fiori sulle piante del brolo.


   E Giuda d’Alfeo, sorridendo, chiede a Maria: «Hai colto anche oggi il tuo ramo per la tua anfora?».
   «Senza dubbio, Giuda. E quando siete venuti lo contemplavo…».
   «E risognavi, Mamma, il tuo mistero lontano», dice Gesù abbracciandola col braccio sinistro e attirandosela contro il cuore.
   Maria alza il viso imporporato e sospira: «Sì, Figlio mio… e risognavo il primo palpito del tuo cuore in me…».
   Gesù dice: «Restino le discepole, gli apostoli, Marziam, i discepoli pastori, il sacerdote Giovanni, Stefano, Erma e Mannaen. Gli altri si spargano in cerca di alloggio…».
   «Molti possono stare in casa mia…», urla dalla soglia, sulla quale è bloccato, Simone d’Alfeo. «Sono loro condiscepolo e li reclamo».
   «Oh! fratello, vieni avanti, che ti possa baciare», dice espansivo Gesù, mentre Alfeo di Sara e Ismaele e Aser, i due discepoli, ex-asinai, di Nazaret, a loro volta dicono: «A casa nostra. Venite, venite!».


   I discepoli non prescelti se ne vanno e può essere chiusa la porta… per essere riaperta però subito dopo per la venuta di Maria d’Alfeo, che non può stare lontana anche se si sciupa il suo bucato. Sono quasi quaranta persone e perciò si spargono nell’orto tiepido e quieto, finché sono distribuiti i cibi, che ognuno trova con sapori celesti tanto è felice di consumarli nella casa del Signore, distribuiti da Maria.
   Torna Simone, che ha sistemato i discepoli, e dice: «Non mi hai chiamato come gli altri, ma io ti sono fratello e ci sto lo stesso».
   «Bene vieni, Simone.

*


   348.9Vi ho qui voluti per farvi conoscere Maria. Molti di voi conoscete la “madre” Maria, alcuni la “sposa” Maria. Ma nessuno conosce la “vergine” Maria. Io ve la voglio fare conoscere in questo giardino in fiore, nel quale il vostro cuore viene col desiderio nelle lontananze forzate e come ad un riposo nelle fatiche dell’apostolato.


   Vi ho ascoltato parlare, voi apostoli, discepoli e parenti, ed ho sentito le vostre impressioni, i vostri ricordi, le vostre asserzioni sulla Madre mia. Io vi trasfigurerò tutto questo, molto ammirativo ma ancora molto umano, in un soprannaturale conoscere. Perché mia Madre, prima di Me, va trasfigurata agli occhi dei più meritevoli, per mostrarla quale Essa è. Voi vedete una donna. Una donna che per la sua santità vi pare diversa dalle altre, ma che in realtà vedete come un’anima fasciata dalla carne, come quella di tutte le sue sorelle di sesso. Ma Io ora vi voglio scoprire l’anima di mia Madre. La sua vera ed eterna bellezza.


   Vieni qui, Madre mia. Non arrossire. Non ritrarti intimidita, colomba soave di Dio. Tuo Figlio è la Parola di Dio e può parlare di te e del tuo mistero, dei tuoi misteri, o sublime Mistero di Dio. Sediamoci qui, in quest’ombra leggera di alberi in fiore, presso la casa, presso la tua stanza santa. Così! Alziamo questa tenda ondeggiante e ne escano onde di santità e di Paradiso da questa stanza verginale, a saturare di te tutti noi… Sì. Io pure. Che Io mi profumi di te, Vergine perfetta, per potere sopportare i fetori del mondo, per potere vedere candore avendo saturata la pupilla del tuo Candore… Qui Marziam, Giovanni, Stefano, e voi discepole, bene di fronte alla porta aperta sulla dimora casta della Casta fra tutte le donne. E dietro voi, amici miei. E qui, al mio fianco, tu, diletta Madre mia.


   348.10Vi ho detto poc’anzi “l’eterna bellezza dell’anima di mia Madre”. Sono la Parola e perciò so usare della parola senza errore. Ho detto “eterna”, non “immortale”. E non senza scopo l’ho detto. Immortale è chi, essendo nato, non muore più. Così l’anima dei giusti è immortale in Cielo, l’anima dei peccatori è immortale nell’inferno, perché l’anima, creata che sia, non muore più che alla grazia. Ma l’anima ha vita, esiste dal momento che Dio la pensa. È il Pensiero di Dio che la crea[90]. L’anima di mia Madre è da sempre pensata da Dio. Perciò è eterna nella sua bellezza, nella quale Dio ha riversato ogni perfezione per averne delizia e conforto.


   È detto nel libro del nostro avo Salomone[91], che ti antevide e perciò profeta tuo può essere detto: “Dio mi possedette all’inizio delle sue opere, fin dal principio, avanti la Creazione. Ab eterno io fui stabilita, al principio, prima che fosse fatta la Terra. Non erano ancora gli abissi ed io ero concepita. Non ancora le sorgenti delle acque sgorgavano, non ancora le montagne erano fermate sulla loro grave mole, ed io già ero. Prima delle colline io ero partorita. Egli non aveva ancora fatto la Terra, i fiumi, né i cardini del mondo, ed io già ero. Quando preparava i cieli e il Cielo, io ero presente. Quando con legge inviolabile chiuse sotto la volta l’abisso, quando rese stabile in alto la volta celeste e vi sospese le fonti delle acque, quando fissò al mare i suoi confini e dette legge alle acque di non passare il loro termine, quando gettava i fondamenti della Terra, io ero con Lui a ordinare tutte le cose. Sempre nella gioia io scherzavo dinanzi a Lui continuamente. Scherzavo nell’universo”.


   Sì, o Madre di cui Dio, l’Immenso, il Sublime, il Vergine, l’Increato, era gravido, e ti portava come il suo dolcissimo pondo, giubilando di sentirti agitarti in Lui, dandogli i sorrisi dei quali fece il Creato! Tu che a dolore partorì per darti al Mondo, anima soavissima, nata dal Vergine per essere la “Vergine”, Perfezione del Creato, Luce del Paradiso, Consiglio di Dio, che guardandoti poté perdonare la Colpa perché tu sola, da te sola, sai amare come tutta l’Umanità messa insieme non sa amare. In te il Perdono di Dio! In te il Medicamento di Dio, tu, carezza dell’Eterno sulla ferita dall’uomo fatta a Dio! In te la Salute del mondo, Madre dell’Amore incarnato e del concesso Redentore!


   L’anima della Madre mia! Fuso nell’Amore col Padre, Io ti guardavo dentro di Me, o anima della Madre mia!… E il tuo splendore, la tua preghiera, l’idea di essere da te portato, mi consolavano in eterno del mio destino di dolore e di esperienze disumane di ciò che è il mondo corrotto per il Dio perfettissimo. Grazie, o Madre! Io sono venuto già saturo delle tue consolazioni, Io sono sceso sentendo te sola, il tuo profumo, il tuo canto, il tuo amore… Gioia, gioia mia!

   348.11Ma udite, voi che ora sapete che una sola è la Donna nella quale non è macchia, una sola la Creatura che non costa ferita al Redentore, udite la seconda trasfigurazione di Maria, l’Eletta di Dio.


   Era un sereno pomeriggio di adar ed erano in fiore gli alberi nell’orto silenzioso, e Maria, sposa a Giuseppe, aveva colto un ramo di albero in fiore per sostituirlo all’altro che era nella sua stanzetta. Da poco era venuta a Nazaret, Maria, presa dal Tempio per ornare una casa di santi. E con l’anima tripartita fra il Tempio, la casa e il Cielo, Ella guardava il ramo in fiore, pensando che con uno simile, sbocciato insolitamente, un ramo reciso in questo brolo nel colmo dell’inverno e fioritosi come per primavera davanti all’Arca del Signore — forse lo aveva scaldato il Sole-Iddio raggiante sulla sua Gloria — Dio le aveva significato la sua volontà… E pensava ancora che nel giorno delle nozze Giuseppe le aveva portato altri fiori, ma mai simili al primo che portava scritto sui petali leggeri: “Ti voglio unita a Giuseppe”… Tante cose pensava… E pensando salì a Dio. Le mani erano solerti fra la rocca e il fuso, e filavano un filo più sottile d’uno dei capelli del suo capo giovinetto…


   L’anima tesseva un tappeto d’amore, andando solerte, come spola sul telaio, dalla Terra al Cielo. Dai bisogni della casa, dello sposo, a quelli dell’anima, di Dio. E cantava, e pregava. E il tappeto si formava sul mistico telaio, si srotolava dalla Terra al Cielo, saliva a sperdersi lassù… Formato di che? Dai fili sottili, perfetti, forti, delle sue virtù, dal filo volante della spola che Ella credeva “sua”, mentre era di Dio: la spola della Volontà di Dio sulla quale era avvolta la volontà della piccola, grande Vergine d’Israele, la Sconosciuta al mondo, la Conosciuta da Dio, la sua volontà avvolta, fatta una con la Volontà del Signore. E il tappeto si infiorava di fiori d’amore, di purezza, di palme di pace, di palme di gloria, di mammole, di gelsomini… Ogni virtù fioriva sul tappeto dell’amore che la Vergine di Dio svolgeva, invitante, dalla Terra al Cielo. E poiché il tappeto non bastava, Ella lanciava il cuore cantando[92]: “Venga il * mio Diletto nel suo giardino e mangi il frutto dei suoi pomi… Il mio Diletto discenda nel suo giardino, all’aiuola degli aromi, a pascersi tra i giardini, a coglier gigli. Io son del mio Diletto, e il mio Diletto è mio, Egli che si pasce fra i gigli!”.
  

 E da lontananze infinite, fra torrenti di Luce, veniva una Voce quale orecchio umano non può udire, né gola umana formare. E diceva: “Quanto sei bella, amica mia! Quanto sei bella!… Miele stillano le tue labbra… Un giardino chiuso tu sei, una fonte sigillata, o sorella, mia sposa…”, e insieme le due voci si univano per cantare l’eterna verità: “L’amore è forte più della morte. Nulla può estinguere o sommergere il ‘nostro’ amore”. E la Vergine trasfigurava così… così… così… mentre scendeva Gabriele e la richiamava, col suo ardere, alla Terra, le riuniva lo spirito alla carne, perché Ella potesse intendere e comprendere la richiesta di Colui che l’aveva chiamata “Sorella” ma che la voleva “Sposa”.
   Ecco, là avvenne il Mistero… E una pudica, la più pudica di tutte le donne, Colei che neppure conosceva lo stimolo istintivo della carne, tramortì davanti all’Angelo di Dio, perché anche un angelo turba l’umiltà e la verecondia della Vergine, e solo si placò udendolo parlare, e credette, e disse la parola per cui il “loro” amore divenne Carne e vincerà la Morte, né nessun’acqua potrà estinguerlo, né malvagità sommergerlo…».

   348.12Gesù si china dolcemente su Maria che gli è scivolata ai piedi quasi estatica, nella rievocazione dell’ora lontana, luminosa di una luce speciale che pare le esali dall’anima, e le chiede sommessamente: «Quale la tua risposta, o Purissima, a chi ti assicurava che divenendo Madre di Dio non avresti perduto la tua perfetta Verginità?».
   E Maria, quasi in sogno, lentamente, sorridendo, con gli occhi dilatati per un pianto felice: «Ecco l’Ancella del Signore! Si faccia di me secondo la sua Parola», e reclina la testa sui ginocchi del Figlio, adorando.
   Gesù la vela col suo manto, nascondendola agli occhi di tutti, e dice: «E fu fatto. E si farà sino alla fine. Sino all’altra e all’altra ancora delle sue trasfigurazioni. Sarà sempre “l’Ancella di Dio”. Farà sempre come dirà “la Parola”. Mia Madre! Questa è mia Madre. Ed è bene che voi cominciate a conoscerla in tutta la sua santa Figura… Madre! Madre! Rialza il tuo viso, Diletta… Richiama i tuoi devoti alla Terra dove per ora siamo…», dice scoprendo Maria dopo qualche tempo, durante il quale non era rumore oltre al ronzio delle api e al chioccolio della piccola fonte.
   Maria alza il viso molle di pianto e sussurra: «Perché, Figlio, mi hai fatto questo? I segreti del Re sono sacri…».
   «Ma il Re li può svelare[93] quando vuole. Madre, l’ho fatto perché sia compreso il detto di un Profeta: “Una Donna chiuderà in sé l’Uomo”, e l’altro dell’altro Profeta: “La Vergine concepirà e partorirà un Figlio”. E anche perché essi, che inorridiscono di troppe cose, per loro avvilenti, del Verbo di Dio, abbiano a contrappeso tante altre cose che li confermino nella gioia di essere “miei”. Così non si scandalizzeranno mai più e conquisteranno anche per ciò il Cielo…

   348.13Ora chi deve andare alle case ospitali vada. Io resto con le donne e Marziam. Domani all’alba siano qui tutti gli uomini, ché voglio condurvi qui vicino. Poi torneremo a salutare le discepole per poi tornare a Cafarnao a radunare altri discepoli e inviarli dietro a queste»…

([89] quelle del convito di Baldassarre, in: Daniele 5
.
[90] Ma l’anima ha vita, esiste dal momento che Dio la pensa. È il Pensiero di Dio che la crea. Siffatte espressioni sono
 state così

 modificate da MV su una copia dattiloscritta: Ma l’anima ha in realtà già una vita dal momento che Dio la pensa. Il pensiero
 di Dio la crea,

 poi, quando è il momento di infonderla. L’anima di Maria Ss., dunque, è ab eterno non creata ma concepita nel Pensiero divino,
 che la creòquando venne il momento di infonderla nel corpo concepito. La creazione e l’infusione di un’anima sono due atti che si
 compiono nello stesso momento, come è spiegato in nota a 290.9.

[91] È detto nel libro del nostro avo Salomone, cioè in: Proverbi 8, 22-31. Come già nelle prime pagine dell’opera (in 5.8,

 con nota), le

 parole della Sapienza creatrice dell’universo vengono applicate all’anima di Maria Ss., che era presente nel pensiero di Dio
 Creatore. Qui

 MV aggiunge la seguente nota su una copia dattiloscritta: La Rivelazione, la Chiesa e i santi Padri la chiamano perciò
 “primogenita”. Si

 può dunque dire che Maria Ss., che all’inizio dell’opera (in 1.2) è stata chiamata “secondogenita” in rapporto a Gesù
 (Primogenito in

 assoluto del Padre) è “primogenita” in rapporto ad ogni altra umana creatura, perché la sua anima precede tutte le altre, sia nel
 pensiero e

 nella predilezione del Padre, sia nella perfezione propria.

[92] cantando… Le espressioni del mistico dialogo sono tratte da: Cantico dei cantici 5, 1; 6, 2-3; 4, 1.11.12; 8, 6-7.

[93] li può svelare, come è detto in: Tobia 12, 7; il detto di un ProfetaGeremia 31, 22; e l’altro dell’altro

 ProfetaIsaia 7, 14)





AVE MARIA PURISSIMA!





mercoledì 16 novembre 2022

San Francesco ed il Sultano

 

Apotegma  53. 

- Che non si può facilmente disputare intorno alla Fede coi Gentili. 


Predicando lui -Francesco- in Egitto, il Soldano gli disse che disputasse sulla Fede co' suoi sacerdoti. Egli  gli rispose, che 

« intorno alla Fede non si poteva disputare colla ragion naturale, perchè ella è sopra la ragione; né per mezzo della Scrittura, perchè i sacerdoti non l'ammettevano. Ma -soggiunse-, si faccia un rogo, ed io in testimonianza della nostra Fede mi getterò nelle fiamme ardenti; affinchè - non rimanendone io offeso - apparisca la verità della Fede ».

AMDG et DVM

AMMONIZIONI

Della vera e perfetta letizia

dei Frati Minori

Quantunque i Frati Minori in ogni luogo diano buon esempio di gran santità ed edificazione, quivi però non è perfetta letizia. 

E benché il Frate Minore illumini i ciechi, distenda gli attratti, scacci i démonii, renda l'udire ai sordi, l'andare ai zoppi,il parlare ài muti, e, che è maggior cosa, risusciti un morto di quattro di; in ciò non è perfetta letizia. 

Sebbene il Frate Minore sapesse le lingue di tutte le nazioni, e tutte le scienze e le scritture, sicché sapesse profetare, e rivelare non solamentele cose future, ma ancora i segreti delle altrui coscienze; non è ivi perfetta letizia. 

Se il FrateMinore parli con lingua d'Angelo, e sappia i corsi delle stelle, e le virtù delle erbe, e siangli rivelati tutti i tesori della terra ; e se conoscesse le virtù e le proprietà degli uccelli, de' pesci, degli animali, degli uomini, delle radici, delle pietre, degli alberie delle acque; ivi non è perfetta letizia. 

E se il Frate Minore sapesse cosi solennemente predicare,che convertisse alla Fede tutti gl'infedeli; in ciò non è perfetta letizia.  

Ma quando arriveremo a S. Maria degli Angeli cosi bagnati per la pioggia,e agghiacciai;i dal freddo , imbrattati ancora di fango e atìitti dalla fame , e picchieremo alla porta del luogo; e il portinaio verrà adirato, dicendo: Ghi siete voi? E noi risponderemo: Siamo due de' vostri Frati. E quegli al contrario dicesse: Anzi siete due ribaldi, che andate girando pel móndo, rubando le limosine de' poveri; - e non ci aprisse, ma ci facesse stare alla neve e all'acqua, allegrezza nel patir volentieri obbrobri! e dolori par amor di Dio, col freddo e colla fame insino a notte: 

allora senói pazientemente tollereremo tante ripulse ed ingiurie senza turbarcene e mormorarne; e penseremo umilmente e con carità, che quél portinaio ci conosce davvero, è che Dio il muove a parlare contro di noi: scrivi, che qui è perfetta letizia.

E se noi continueremo a picchiare, e quél "portinaio esca fuori contro di noi come importuni, ed asprissimamente ci schiaffeggi, dicendo : Partitevi di qua, poltroni vilissimi, e andate all'ospedale: che chi siete voi? qui. nulla affatto mangerete. -E se noi sopporteremo pazientemente queste cose, e ingiuriati perdoneremo con amore e di  tuttocuore; scrivi, che quivi è perfetta letizia.


E se noi angustiati da ogni parte, stimolando la fame, affliggendo il freddo, avvicinandosi dì più la notte, picchieremo, grideremo, e col pianto faremo istanza, che ci apra; e quegli andatone incollera dirà :' Costoro sono uomini sfacciatissimi e protervi; gli acquieterò io. Ed uscendo fuori con un nodoso bastone e prendendoci pel cappùccio ci getterà a terrà sopra il fango e la neve, e così fieramente ci batterà col predetto bastone, da ricoprirci tutti  di  piaghe; se tanti mali trattamenti, se tante ingiurie e percosse sopportiamo con allegrézza, pensando che dobbiamo tollerare e soffrire le pene di Cristo benedetto; scrivi, e nota con diligenza, che qui è perfetta letizia: ed ascolta la conclusione. 

Fra tutti i doni dello Spirito Santo,che Cristo ha concèsso e concederà a' suoi servi, il principale è di vincere se stesso, e di sostenere volentieri gli obbrobrii per Iddio e per amor di Dio. Perocché in tutte le cose ammirabili sopraddette noi non possiamo gloriarci; perchè non sono nostre, ma di Dio. Infatti  « che hai tu, che non lo abbi, ricevuto? E se lo hai ricevuto , perchè tene gìorii, come se non l'avessi ricevuto? » 1 Cor. 4, 7

Ma nella croce della tribolazione e dell' afflizione ci pssiamo .gloriare , perocchè questo è nostro. E perciò disse l'Apostolo : <Lungi, da me il gloriarmi di altro, che della croce del nostro Signore> Galat. VI, 11



AMDG et DVM