lunedì 13 giugno 2022

San Vincenzo Martire Tra legende e verità

 San Vincenzo Martire

San Vincenzo è senza dubbio fra i martiri maggiormente conosciuti e venerati nel mondo cattolico e il suo culto, sin dai tempi più remoti, si è tramandato in molti paesi e non solo della Spagna sua patria. A tal proposito Sant'Agostino scriveva: "Qual è oggi la contrada, qual è la provincia dove si estendono l'impero romano e il nome di Cristo che non celebri con gioia 1'anniversario del martirio di San Vincenzo" ? Sant’Agostino, dal 410 al 413 ogni 22 Gennaio pronunciava, dalla basilica Restituta di Cartagine, discorsi in onore del diacono martire Vincenzo. Il Santo si festeggia ancora il 22 Gennaio in diverse località dell’Europa, dell’Africa e perfino delle lontane Americhe. In Italia 91 tra parrocchie e chiese venerano il suo nome; sin dal Trecento è protettore della città di Vicenza che, secondo una vecchia leggenda, ne porta il nome.

La fama di santità di Vincenzo fu grande fin da quando era in vita a tal punto che tre città spagnole si mostrarono da sempre piamente rivali nel rivendicare il titolo di sua patria: Valencia, Saragozza e Huesca; secondo la tradizione più attendibile egli nacque a Huesca, alle propaggini dei Pirenei.
Di nobile famiglia, figlio del console Eutichio e della matrona Enola, Vincenzo ebbe un'educazione pari al suo stato: destinato alle lettere, venne ben presto affidato dal padre a Valerio, vescovo di Saragozza, perché provvedesse alla sua formazione spirituale. Vincenzo corrispose pienamente agli insegnamenti del suo maestro e crebbe nella pietà e nella virtù tanto che il vescovo lo nominò arcidiacono considerandolo suo braccio destro; conquistò tanta fiducia in Valerio che gli affidò anche il compito di predicare in sua vece.

Intanto Diocleziano scatenava la persecuzione contro i cristiani. Gli editti dell'imperatore non lasciavano dubbi: dovevano essere distrutti gli edifici, i libri e gli arredi cristiani; i cristiani che ricoprivano cariche pubbliche sarebbero stati esautorati e sottoposti a torture; tutti i sudditi dell'impero prima di compiere una qualsiasi azione pubblica dovevano offrire sacrifici agli dei.

In questo clima terribile il vescovo Valerio e l'arcidiacono Vincenzo non si sottrassero ai loro doveri e continuarono a testimoniare la loro fede. Così quando Daciano, il prefetto della provincia spagnola nella quale vivevano, ordinò il loro arresto Valerio e Vincenzo non fecero nulla per sfuggire al persecutore. Condotti a Valencia, dove Daciano teneva il tribunale, furono fustigati e torturati. Ma il crudele prefetto tentò invano di piegare la loro volontà e fiaccare i loro corpi anzi si meravigliò, quando vennero portati al suo cospetto, di trovarli ancora in buone condizioni fisiche. Daciano si adirò con le guardie, accusate di essere state troppo tenere con i due cristiani, poi cercò di adoperare le armi della persuasione. Queste furono le parole di Vincenzo anche a nome di Valerio: "La nostra fede è una sola. Gesù è il vero Dio: noi siamo suoi servi e testimoni. Nulla noi temiamo nel nome di Gesù Cristo e vi stancherete prima voi a tormentarci che noi a soffrire. Non credere di piegarci né con la promessa di onori né con la minaccia di morte, perché dalla morte che tu ci avrai dato saremo condotti alla vita".

Daciano mandò il vescovo in esilio e riversò la sua ira su Vincenzo. Il primo supplizio a lui riservato fu quello del cavalletto: uno strumento di tortura terribile che slogava tutte le ossa del corpo. Vincenzo rimaneva con gli occhi al cielo in preghiera, come se il supplizio non lo riguardasse. Daciano, pensando che la tortura fosse troppo lieve, comandava di arpionare il corpo con uncini di ferro. II Santo conservava lo stesso atteggiamento. Anzi cosi parlava rivolgendosi al carnefice: "Tu mi fai proprio un servizio da amico perché ho sempre desiderato suggellare con il sangue la mia fede in Cristo. Vi è un altro in me che soffre, ma che tu non potrai mai piegare. Questo che ti affatichi a distruggere con le torture è un debole vaso di argilla che deve ad ogni modo spezzarsi. Non riuscirai mai a lacerare quello che resta dentro e che domani sarà il tuo giudice".

II prefetto, con gli occhi fuori dall'orbita per la rabbia, ordinava le ultime atrocità: lIl martiriograticola e le lamine infuocate. Vincenzo continuava a sopportare le torture impassibile. Daciano allora decideva di sospendere quel genere di torture. Vincenzo veniva portato in una oscura prigione e disteso sopra cocci di vasi rotti perché gli si rinnovassero le piaghe e i dolori.
A quel punto avveniva il miracolo: le catene si spezzavano e i cocci si trasformavano in fiori, mentre uno splendore di luce celestiale illuminava la cupa prigione. Gli angeli scendevano dal cielo per consolare Vincenzo e prepararlo a godere del Paradiso. II carceriere del Santo si convertiva.
Daciano si apprestava all'ultimo tentativo: convincere Vincenzo non più con le torture ma con favori. Lo faceva trasferire su un morbido letto e gli concedeva di ricevere i suoi amici cercando invano di piegarlo con le lusinghe.

Reso forte dalla fede in Cristo, Vincenzo moriva il 22 gennaio del 304 e veniva portato in cielo da un coro di angeli festanti.La leggenda racconta che dopo la morte Daciano ordinò che il corpo del Martire venisse gettato in un campo deserto e dato in pasto alle fiere. Dio però intervenne mandando un corvo a vegliare le spoglie del Santo e a difenderle.

Successivamente il prefetto ordinò che il cadavere fosse rinchiuso in un sacco e gettato in mare, legandovi un grosso sasso in modo da trascinarlo in fretta al fondo. Ma il sasso galleggiò e la brezza trasportò le sacre spoglie verso una spiaggia dove furono raccolte in seguito ad una doppia apparizione, ad un cristiano e ad una vedova: lo stesso Santo indicava il luogo dove giaceva il suo corpo e in quel luogo accorrevano i fedeli per dargli onorata sepoltura. Intanto, con l'avvento dell'imperatore Costantino che si era convertito al cristianesimo, a Valencia veniva eretta una basilica in onore di San Vincenzo e sotto l'altare principale venivano composte le sue reliquie. Tuttavia, in seguito all'invasione dei Mori, i cristiani di Valencia trafugavano il corpo del Martire per metterlo al sicuro in Portogallo, in una chiesetta fatta appositamente costruire in località del promontorio oggi detto Capo San Vincenzo. Finita la guerra contro i Mori, le sante spoglie furono imbarcate in una nave che fece rotta verso Lisbona. Narra la leggenda che durante il viaggio alcuni corvi si posarono sulla prua e sulla poppa di tale nave quasi a voler significare la loro rinnovata protezione al Santo martire che già un giorno avevano salvato dalle fiere. Giunto in città, il corpo venne deposto nella chiesa di San Giusto e Santa Rufina e dopo qualche tempo, esattamente il 15 Settembre del 1173, trasportato solennemente in cattedrale. In ricordo vennero coniate delle monete dAltare di San Vincenzo nel nostro Monastero'oro con l'immagine di Vincenzo su di una nave in compagnia di due corvi.

Numerosi e straordinari miracoli si operavano ovunque e si operano tuttora all'invocazione del santo nome benedetto dal cielo. Gregorio di Tours narra di come gli abitanti di Saragozza vennero salvati dall'assedio posto da Childeberto re dei Franchi grazie all'intercessione di San Vincenzo la cui tunica custodivano e veneravano. Fatta la pace lo stesso Childeberto portava a Parigi un'altra reliquia che si venerava a Saragozza: una stola del Santo.

Protettore in particolare degli orfani, delle vedove e dei poveri, San Vincenzo porta un nome che, da Vincens, vuole essere per noi un simbolo e un augurio di vittoria. Vincenzo è il vincente, colui che vince il male, qualunque esso sia, ed è accanto a noi tutte le volte che con fiducia illimitata gli chiediamo di aiutarci a vivere secondo la legge di Dio.

Don Cleto Tuderti, OSBsil


ASCOLTIAMO LA SAPIENZA DI SANT'ANTONIO

 e  AUGURI A TUTTI I SUOI DEVOTI

Sant' Antonio

Antonio

Scritti

Sono i poveri, i semplici, gli umili, che hanno sete della parola di Vita e dell'acqua della Sapienza.

Al contrario, i mondani che si inebriano con il calice d'oro del vizio, i saputi, i consiglieri dei potenti, credetemi, non si lasciano annunciare il Messaggio divino.


Scritti da Antonio

È un grande segno di predestinazione l'ascoltare volentieri la Parola di Dio. Come l'esule, il quale cerca e sente con piacere le notizie provenienti dalla sua terra, dimostra di amare la sua patria, così si può dire che abbia già il cuore rivolto al Cielo il cristiano che ascolta con interesse chi gli parla della Patria celeste.

La preghiera.

"L'orazione è un'effusione di affetto verso Dio, un devoto e familiare colloquio con Lui, un riposo della mente illuminata dall'alto che cerca di godere di Lui quanto più è possibile. La preghiera è anche il sollecitare i beni temporali necessari alla vita presente, ma quelli che ne fanno domanda al Signore con vero spirito cristiano, subordinano sempre la propria alla sua volontà, anche se a pregare li spinge unicamente il bisogno: solo il Padre celeste sa che cosa veramente ci è necessario nell'ordine temporale. La preghiera è infine azione di grazie, cioè riconoscere i benefici ricevuti e offrire in cambio a Dio tutte le nostre opere, cosicché la nostra preghiera sia continua".

La contrizione.

"Come deve essere la contrizione per il peccato? Ascolta il salmista: «Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato. Dio, tu non disprezzi» (Sal 51,19). In queste parole sono indicate la compunzione di spirito per i peccati, la riconciliazione del peccatore, la contrizione universale per tutti i peccati e l'umiliazione continua del peccatore pentito. Lo spirito del penitente, quand'è lacerato e coperto di ferite, è un olocausto gradito a Dio. Egli si riconcilia con il peccatore e il peccatore con Lui".
"Con la grazia è lo stesso Spirito Santo che come uno sposo si unisce all'anima che l'amore penitente ha purificato. Nozze divine da cui nasce il cristiano, erede della vita eterna. Perciò possiamo dire al Figlio di Dio: "Ecco, noi siamo tue ossa e tua carne".
Signore Gesù, pietà della nostra debolezza, perdono per i nostri peccati! Pietà di noi, membra tue, o Signore; tendici la mano fraterna, affinché ogni giorno della vita terrena sia un passo avanti nel nostro pellegrinare verso la Casa celeste. Fa' che noi peccatori ci avviciniamo a Tè, che Ti ascoltiamo. Degnati di accoglierci con Tè e ristorarci alla Mensa della vita eterna!".

La Fede.

"La fede è la virtù principale e chi non crede è simile a quegli Ebrei che nel deserto si ribellarono a Mosè. Senza la fede non si entra nel regno di Dio, essa è la vita dell'anima. II cristiano è colui che, con l'occhio del cuore illuminato dalla fede, intuisce i misteri di Dio e ne fa pubblica professione.
La fede vera è accompagnata dalla carità. Credere in Dio. per il cristiano, non significa tanto credere che Dio esiste e neppure credere che Egli è verace, significa credere amando, credere abbandonandosi in Dio, unendosi e uniformandosi a Lui".

La speranza.

"La speranza è l'attesa dei beni futuri... Alla disperazione manca la forza per progredire perché chi ama il peccato non può tendere alla gloria futura. Tuttavia bisogna che la speranza non diventi presunzione, ma sia accompagnata dal timore, che e principio di sapienza. Nessuno infatti può giungere a gustare la dolcezza della sapienza se prima non assaggia l'amarezza del timore. Finché l'uomo spera. Dio gli concede il perdono, la grazia; se l'uomo si pente dei suoi peccati, può sperare la dolcezza del perdono".

L'Amore.

"C'è un solo amore verso Dio e il prossimo: è lo Spirito Santo, perché Dio è amore. L'amore, dice Sant'Agostino, ha avuto da Dio questa norma: che noi amiamo Dio per Se stesso con tutto il cuore e il prossimo come noi stessi; cioè per lo stesso fine e per lo stesso motivo per cui amiamo noi stessi, quindi nel bene.
Com'è grande l'amore di Dio per noi! Egli ci manda il suo Figlio unigenito affinchè noi amiamo Lui, senza il quale vivere è morire poiché chi non ama rimane nella morte. Se Dio ci ha amati a tal punto da darci il suo Figlio diletto, per cui tutto è stato fatto, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri".
"Dobbiamo fermamente credere e apertamente confessare che quello stesso corpo che nacque dalla Vergine, fu appeso alla croce, giacque nel sepolcro, risuscitò il terzo giorno, salì alla destra del Padre, è lo stesso corpo dato da Gesù come cibo agli Apostoli e lo stesso che la Chiesa consacra ogni giorno e distribuisce ai fedeli.
Sull'altare, sotto i segni del pane e del vino, è presente Gesù stesso, rivestito dell'umana carne con la quale si offrì al Padre divino e anche ora quotidianamente si offre. Chi lo riceve è ricolmato di ogni bene: le tentazioni sono smorzate, le amarezze si cambiano in gioie e la pietà trova il suo alimento".

La Croce.

"II cristiano deve appoggiarsi alla Croce di Cristo come il viandante si appoggia al bastone quando intraprende un lungo viaggio. Deve aver ben impressa nella mente e nel cuore la Passione di Cristo perché soltanto da tale sorgente deriva la parola della vita e della pace, della grazia e della verità. Volgiamo i nostri occhi a Gesù, al Signore nostro inchiodato alla Croce di salvezza! Crocifiggiamo la nostra carne alla sua Croce mortificando i sensi; piangiamo per le iniquità che abbiamo commesso noi e per quelle del nostro prossimo".

L'anima.

"A contatto con lo Spirito Santo l'anima perde via via le sue macchie, la freddezza, la durezza e si trasforma tutta nel fuoco che la brucia; lo Spirito Santo, infatti, è ispirato all'uomo per infondergli una sua somiglianzà, per quanto è possibile. Sotto la sua azione l'uomo si purifica, si riscalda, arriva all'amore di Dio, come dice l'Apostolo: «L'Amore divino è stato riversato nei nostri cuori, per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). Sì, l'anima del giusto, nella quale lo Spirito Santo abita con i suoi doni ineffabili, diviene fragrante di divinità come una stanza in cui si conserva un balsamo prezioso".

La luce del mondo.

"Voi siete la luce del mondo! Ecco, il sole è fonte di calore e di luce. Ebbene, come dalla loro Sorgente, così dai testimoni di Cristo devono sgorgare vita e dottrina a beneficio degli altri. Sia ardente di carità la tua vita, sia chiara la tua dottrina. Il cristallo, percosso dai raggi del sole, li riverbera. Cosi il credente, illuminato dal fulgore di Cristo deve emettere scintille di parole e di esempi e accendere il prossimo".

Anima mia.

"O anima cristiana, se sarai fedele nella prova terrena, un giorno vedrai quel che mai occhio umano contemplò. Per tè, infatti, è detto nella Scrittura: «Quelle cose che occhio non vide, ne orecchio udì, ne mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano» (1 Cor 2.9)... Allora sarà veramente sazio il tuo occhio, perché vedrai Colui che tutto vede. Allora sarai veramente regina tu, che ora sei schiava in esilio; sarai piena di delizia nel corpo e nell'anima glorificati. Il tuo cuore si dilaterà in una gioia indicibile. Ora, come pellegrini del Cielo, posiamo stanchi la testa sulla pietra che è la costanza nella fede... ma un giorno reclineremo il capo sul petto di Gesù, come Giovanni apostolo nell'ultima Cena.
Quanto grande è la tua dolcezza, o Signore! Tu la tieni nascosta per coloro che Ti onorano. Si, la tieni nascosta perché più ferventemente la cerchiamo, perché cercandola la troviamo, perché amandola la gustiamo in eterno!".

L'umiltà.

Alla base dell'ascesi, il santo pone l'umiltà, radice e madre di tutte le virtù. L'umiltà fa conoscere all'uomo se stesso e Dio. Come il fuoco riduce in cenere e abbassa le cose alte, così l'umiltà costringe il superbo a piegarsi e a umiliarsi, ripetendo le parole del Genesi: "Polvere tu sei e in polvere tornerai" (3,19). Il vero umile si ritiene un verme, un figlio di verme e putredine. Il disprezzo di sé (contemptus sui) è la principale virtù dell'uomo giusto, con la quale egli, verme della terra, si contrae e si allunga per raggiungere i beni celesti. La superbia è il più grave peccato davanti a Dio e l'umiltà è la più nobile delle virtù. Essa sostiene con modestia le cose ignobili e disoneste ed è aiutata dalla grazia divina.
L'umiltà è paragonata a un fiore, poiché come un fiore essa ha la bellezza del colore, la soavità del profumo e la speranza del frutto. "Quando vedo un fiore spero nel frutto; così quando vedo un umile, io spero nella sua beatitudine celeste".
San Antonio pone nel cuore la sede della virtù dell'umiltà. Come il cuore regola la vita del corpo, così l'umiltà presiede alla vita dell'anima Come il cuore è il primo organo a vivere e l'ultimo a cessare di esistere, così la virtù dell'umiltà muore insieme con lui. Se il muscolo cardiaco non può sopportare né un dolore né una grave malattia per non compromettere la vita degli altri organi, la virtù dell'umiltà non può né lamentarsi delle offese ricevute né crucciarsi per l'altrui benessere, perché, se essa vien meno, va in rovina l'edificio delle altre virtù.
L'avanzamento dell'uomo sul cammino della perfezione è proporzionato al suo abbassamento, poiché ogni uomo che si innalza sarà abbassato e chi si umilia sarà innalzato. Viva è in Antonio la preoccupazione di farsi "piccolo", di mettere in ombra i suoi pregi e in luce i suoi difetti, per premunirsi contro ogni assalto della superbia.
"Tu, cenere e polvere, insuperbirti di che? Della santità della vita? Ma è lo spirito che santifica; non il tuo, quello di Dio. Ti infonde forse piacere la lode che il popolo riserva ai tuoi discorsi? Ma è il Signore che dà il dono dell'eloquenza e della sapienza. Che cos'è la tua lingua, se non una penna in mano di uno scrivano?". "Se un adulatore ti dice: "Sei esperto e sai molte cose", è come se ti dicesse: "Sei un indemoniato" (i greci dicono daimonion un profondo conoscitore delle cose). Tu devi rispondergli con il Cristo: "Non sono indemoniato", perché da me stesso non so niente e nulla di buono è in me; glorifico il mio Dio, attribuisco a lui ogni cosa e gli rendo gloria. Egli è il principio di ogni sapienza e di ogni scienza". L'uomo virtuoso "insieme con le belle cose che opera, ritiene per sua umiliazione i difetti. E non saperli vincere, nonostante la loro piccolezza, è per lui un monito continuo a vivere nell'umiltà".

L'Obbedienza.

Intimamente connessa con l'umiltà, quale suo rampollo più immediato, è l'obbedienza. Se il cuore è umile, i sensi del corpo sono obbedienti. Dall'umiltà nasce l'obbedienza". L'obbedienza, scrive il santo, innalza l'uomo al di sopra di se stesso e gli rende luminoso il cammino della santità, anche se fra le sue doti l'obbedienza deve annoverare quella di essere "cieca".
Antonio con singolare intuizione, afferma che con l'obbedienza si aprono per divina grazia le visioni del cielo: "Non riuscirai mai a vedere se non sarai obbediente. Se sarai sordo alla voce di chi comanda sarai anche cieco. Obbedisci dunque con l'affetto del cuore, per poter vedere con l'occhio della contemplazione. Dio pone un occhio nel cuore, quando in chi obbedisce infonde la luce della contemplazione".

La Carità.

La vita del cristiano, osserva poeticamente il santo, si svolge sulla terra come si spiega maestoso l'arcobaleno da un punto all'altro del cielo. Sono vari i colori dell'iride, ma il rosso fuoco e il ceruleo vi predominano. Similmente la vita del buon cristiano si colora di virtù che si fondono avvolte e rischiarate dalla sfavillante fiamma dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo. L'amore deve accompagnarsi a tutte le virtù, poiché, nota sant'Antonio con immagine domestica, "com'è povera e disadorna la mensa senza il pane, così le virtù senza l'amore".

La Povertà.

San Antonio esalta l'importanza della povertà nella vita spirituale. Egli mira soprattutto alla povertà assoluta, vissuta con tanto slancio personale dai primi figli dei Poverello di Assisi. Con la povertà egli intendeva calcare letteralmente le orme di Cristo. La povertà è solo la via a Cristo, una partecipazione al suo regno.
La povertà ha valore salvifico per l'uomo. È la via alla salvezza. Di più: è la via che lo conduce alla partecipazione dell'opera redentrice di Cristo stesso. È la povertà che aveva colpito l'immaginazione e attratto il cuore di Antonio fin da quando aveva visto i figli del Poverello di Assisi elemosinare alla porta del monastero di Coimbra, dove allora risiedeva come canonico agostiniano. Quel vivere alla giornata di lavoro e di carità, quel non possedere niente, né individualmente né comunitariamente, si staccava senza dubbio dalla disciplina degli antichi Ordini monastici e rappresentava un gradino più alto nella scala della perfezione morale.

La povertà è la vera ricchezza, custodisce e genera l'umiltà", è la fonte di gioia spirituale; la povertà libera dai desideri che legano l'uomo alle cose. E di liberazione in liberazione, la povertà conduce l'uomo alla gloria del cielo, dov'egli sprofonda nel mistero ineffabile della divinità.

San Antonio rimase fedele al suo amore per la povertà fino alla morte. Passò gli ultimi giorni a Camposampiero, ospite del conte Tiso, feudatario del luogo, non però in qualche stanza del suo ricco castello, ma nella solitudine di una cella pensile preparata su un noce secolare che gli ricordava le misere capanne dell'eremo di Montepaolo.
Poco prima di morire, intento alla stesura dei suoi Sermones festivi, il santo si lasciò sfuggire un lamento sulla ripugnanza che tanti mostravano per l'ideale della povertà assoluta: "Quanti sono oggi - egli scrisse - coloro che di buon grado e per lungo tempo vivrebbero nella stretta povertà, se sapessero con certezza di poter possedere un giorno in cambio il regno di Francia o di Spagna! E non c'è invece alcuno, oggi, che voglia vivere nella vera povertà di Cristo, per guadagnarsi a regno dei cieli".



ROSA MISTICA. APPARIZIONI DI MONTICHIARI



AVE MARIA!