mercoledì 7 aprile 2021

Trascrizione integrale dell'omelia di Papa Benedetto XVI nella XXIII Giornata Mondiale della Gioventu 16 marzo 2008

 Rileggiamo e riascoltiamo l'omelia che Benedetto XVI tenne il 16 marzo 2008, Domenica delle Palme.  E' la trascrizione integrale dell'omelia.



CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DELLE PALME
E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE
OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Piazza San Pietro
XXIII Giornata Mondiale della Gioventù
Domenica, 16 marzo 2008



  
Cari fratelli e sorelle,
anno dopo anno il brano evangelico della Domenica delle Palme ci racconta l’ingresso di Gesù in Gerusalemme. Insieme ai suoi discepoli e ad una schiera crescente di pellegrini, Egli era salito dalla pianura della Galilea alla Città Santa. Come gradini di questa salita, gli evangelisti ci hanno trasmesso tre annunzi di Gesù relativi alla sua Passione, accennando con ciò allo stesso tempo all’ascesa interiore che si stava compiendo in questo pellegrinaggio. Gesù è in cammino verso il tempio – verso il luogo, dove Dio, come dice il Deuteronomio, aveva voluto "fissare la sede" del suo nome (cfr 12, 11; 14, 23). 
Il Dio che ha creato cielo e terra si è dato un nome, si è reso invocabile, anzi, si è reso quasi toccabile da parte degli uomini. Nessun luogo può contenerLo e tuttavia, o proprio per questo, Egli stesso si dà un luogo e un nome, affinché Lui personalmente, il vero Dio, possa esservi venerato come il Dio in mezzo a noi. 
Dal racconto su Gesù dodicenne sappiamo che Egli ha amato il tempio come la casa del Padre suo, come la sua casa paterna. Ora viene di nuovo a questo tempio, ma il suo percorso va oltre: l’ultima meta della sua salita è la Croce. È la salita che la Lettera agli Ebrei descrive come la salita verso la tenda non fatta da mani d’uomo, fino al cospetto di Dio. L’ascesa fino al cospetto di Dio passa attraverso la Croce. È l’ascesa verso "l’amore sino alla fine" (cfr Gv 13, 1), che è il vero monte di Dio, il definitivo luogo del contatto tra Dio e l’uomo.
Durante l’ingresso a Gerusalemme, la gente rende omaggio a Gesù come figlio di Davide con le parole del Salmo 118 [117] dei pellegrini: "Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!" (Mt 21, 9). 
Poi Egli arriva al tempio. Ma là dove doveva esservi lo spazio dell’incontro tra Dio e l’uomo, Egli trova commercianti di bestiame e cambiavalute che occupano con i loro affari il luogo di preghiera. Certo, il bestiame lì in vendita era destinato ai sacrifici da immolare nel tempio. E poiché nel tempio non si potevano usare le monete su cui erano rappresentati gli imperatori romani che stavano in contrasto col Dio vero, bisognava cambiarle in monete che non portassero immagini idolatriche. 

Ma tutto ciò poteva essere svolto altrove: lo spazio dove ora ciò avveniva doveva essere, secondo la sua destinazione, l’atrio dei pagani. Il Dio d’Israele, infatti, era appunto l’unico Dio di tutti i popoli. E anche se i pagani non entravano, per così dire, nell’interno della Rivelazione, potevano tuttavia, nell’atrio della fede, associarsi alla preghiera all’unico Dio. 
Il Dio d’Israele, il Dio di tutti gli uomini, era in attesa sempre anche della loro preghiera, della loro ricerca, della loro invocazione. 

Ora, invece, vi dominavano gli affari – affari legalizzati dall’autorità competente che, a sua volta, era partecipe del guadagno dei mercanti. I mercanti agivano in modo corretto secondo l’ordinamento vigente, ma l’ordinamento stesso era corrotto. "L’avidità è idolatria", dice la Lettera ai Colossesi (cfr 3, 5). È questa l’idolatria che Gesù incontra e di fronte alla quale cita Isaia: "La mia casa sarà chiamata casa di preghiera" (Mt 21, 13; cfr Is 56, 7) e Geremia: "Ma voi ne fate una spelonca di ladri" (Mt 21, 13; cfr Ger 7, 11). Contro l’ordine interpretato male Gesù, con il suo gesto profetico, difende l’ordine vero che si trova nella Legge e nei Profeti.

Tutto ciò deve oggi far pensare anche noi come cristiani: è la nostra fede abbastanza pura ed aperta, così che a partire da essa anche i "pagani", le persone che oggi sono in ricerca e hanno le loro domande, possano intuire la luce dell’unico Dio, associarsi negli atri della fede alla nostra preghiera e con il loro domandare diventare forse adoratori pure loro? 

La consapevolezza che l’avidità è idolatria raggiunge anche il nostro cuore e la nostra prassi di vita? Non lasciamo forse in vari modi entrare gli idoli anche nel mondo della nostra fede? Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario?

Nella purificazione del tempio, però, si tratta di più che della lotta agli abusi. È preconizzata una nuova ora della storia. Adesso sta cominciando ciò che Gesù aveva annunciato alla Samaritana riguardo alla sua domanda circa la vera adorazione: "È giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori" (Gv 4, 23). 
È finito il tempo in cui venivano immolati a Dio degli animali. Già da sempre i sacrifici di animali erano stati una miserevole sostituzione, un gesto di nostalgia del vero modo di adorare Dio. La Lettera agli Ebrei, sulla vita e sull’operare di Gesù ha posto come motto una frase del Salmo 40 [39]: "Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato" (Ebr 10, 5). 
Al posto dei sacrifici cruenti e delle offerte di vivande subentra il corpo di Cristo, subentra Lui stesso. Solo "l’amore sino alla fine", solo l’amore che per gli uomini si dona totalmente a Dio, è il vero culto, il vero sacrificio. Adorare in spirito e verità significa adorare in comunione con Colui che è la verità; adorare nella comunione col suo Corpo, nel quale lo Spirito Santo ci riunisce.

Gli evangelisti ci raccontano che, nel processo contro Gesù, si presentarono falsi testimoni e affermarono che Gesù aveva detto: "Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni" (Mt 26, 61). Davanti a Cristo pendente dalla Croce alcuni schernitori fanno riferimento alla stessa parola, gridando: "Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso!" (Mt 27, 40). 
La giusta versione della parola, come uscì dalla bocca di Gesù stesso, ce l’ha tramandata Giovanni nel suo racconto della purificazione del tempio. Di fronte alla richiesta di un segno con cui Gesù doveva legittimarsi per una tale azione, il Signore rispose: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere" (Gv 2, 18s). Giovanni aggiunge che, ripensando a quell’evento dopo la Risurrezione, i discepoli capirono che Gesù aveva parlato del Tempio del suo Corpo (cfr 2, 21s). 
Non è Gesù che distrugge il tempio; esso viene abbandonato alla distruzione dall’atteggiamento di coloro che, da luogo d’incontro di tutti i popoli con Dio, l’hanno trasformato in una "spelonca di ladri", in un luogo dei loro affari. Ma, come sempre a partire dalla caduta di Adamo, il fallimento degli uomini diventa l’occasione per un impegno ancora più grande dell’amore di Dio nei nostri confronti. L’ora del tempio di pietra, l’ora dei sacrifici di animali era superata: il fatto che ora il Signore scacci fuori i mercanti non solo impedisce un abuso, ma indica il nuovo agire di Dio. Si forma il nuovo Tempio: Gesù Cristo stesso, nel quale l’amore di Dio si china sugli uomini. Egli, nella sua vita, è il Tempio nuovo e vivente. Egli, che è passato attraverso la Croce ed è risorto, è lo spazio vivente di spirito e vita, nel quale si realizza la giusta adorazione. Così la purificazione del tempio, come culmine dell’ingresso solenne di Gesù in Gerusalemme, è insieme il segno della incombente rovina dell’edificio e della promessa del nuovo Tempio; promessa del regno della riconciliazione e dell’amore che, nella comunione con Cristo, viene instaurato oltre ogni frontiera.
San Matteo, il cui Vangelo ascoltiamo in questo anno, riferisce alla fine del racconto della Domenica delle Palme, dopo la purificazione del tempio, ancora due piccoli avvenimenti che, di nuovo, hanno un carattere profetico e ancora una volta rendono a noi chiara la vera volontà di Gesù. Immediatamente dopo la parola di Gesù sulla casa di preghiera di tutti i popoli, l’evangelista continua così: "Gli si avvicinarono ciechi e storpi nel tempio ed Egli li guarì". Inoltre, Matteo ci dice che dei fanciulli ripeterono nel tempio l’acclamazione che i pellegrini avevano fatto all’ingresso della città: "Osanna al figlio di Davide" (Mt 21, 14s). 
Al commercio di animali e agli affari col denaro Gesù contrappone la sua bontà risanatrice. Essa è la vera purificazione del tempio. Egli non viene come distruttore; non viene con la spada del rivoluzionario. Viene col dono della guarigione. Si dedica a coloro che a causa della loro infermità vengono spinti agli estremi della loro vita e al margine della società. Gesù mostra Dio come Colui che ama, e il suo potere come il potere dell’amore. E così dice a noi che cosa per sempre farà parte del giusto culto di Dio: il guarire, il servire, la bontà che risana.
E ci sono poi i fanciulli che rendono omaggio a Gesù come figlio di Davide ed acclamano l’Osanna. Gesù aveva detto ai suoi discepoli che, per entrare nel Regno di Dio, avrebbero dovuto ridiventare come i bambini. Egli stesso, che abbraccia il mondo intero, si è fatto piccolo per venirci incontro, per avviarci verso Dio. 
Per riconoscere Dio dobbiamo abbandonare la superbia che ci abbaglia, che vuole spingerci lontani da Dio, come se Dio fosse nostro concorrente. Per incontrare Dio bisogna divenire capaci di vedere col cuore. Dobbiamo imparare a vedere con un cuore giovane, che non è ostacolato da pregiudizi e non è abbagliato da interessi. Così, nei piccoli che con un simile cuore libero ed aperto riconoscono Lui, la Chiesa ha visto l’immagine dei credenti di tutti i tempi, la propria immagine.
Cari amici, in questa ora ci associamo alla processione dei giovani di allora – una processione che attraversa l’intera storia. Insieme ai giovani di tutto il mondo andiamo incontro a Gesù. Da Lui lasciamoci guidare verso Dio, per imparare da Dio stesso il retto modo di essere uomini. Con Lui ringraziamo Dio, perché con Gesù, il Figlio di Davide, ci ha donato uno spazio di pace e di riconciliazione che abbraccia il mondo. PreghiamoLo, affinché diventiamo anche noi con Lui e a partire da Lui messaggeri della sua pace, affinché in noi ed intorno a noi cresca il suo Regno. Amen.

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana 

NEL RICORDO DEL 7 aprile 36 dopo Cristo

Amore amoris Tui moriar  Qui amore amoris mei  dignatus es mori 




Cari fratelli e sorelle,

questa notte abbiamo accompagnato nella fede Gesù che percorre l’ultimo tratto del suo cammino terreno, il tratto più doloroso, quello del Calvario. Abbiamo ascoltato il clamore della folla, le parole della condanna, la derisione dei soldati, il pianto della Vergine Maria e delle donne. Ora siamo immersi nel silenzio di questa notte, nel silenzio della croce, nel silenzio della morte. E’ un silenzio che porta in sé il peso del dolore dell’uomo rifiutato, oppresso, schiacciato, il peso del peccato che ne sfigura il volto, il peso del male. Questa notte abbiamo rivissuto, nel profondo del nostro cuore, il dramma di Gesù, carico del dolore, del male, del peccato dell’uomo.

Che cosa rimane ora davanti ai nostri occhi? Rimane un Crocifisso; una Croce innalzata sul Golgota, una Croce che sembra segnare la sconfitta definitiva di Colui che aveva portato la luce a chi era immerso nel buio, di Colui che aveva parlato della forza del perdono e della misericordia, che aveva invitato a credere nell’amore infinito di Dio per ogni persona umana. Disprezzato e reietto dagli uomini, davanti a noi sta l’«uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia» (Is 53,3).






Ma guardiamo bene quell’uomo crocifisso tra la terra e il Cielo, contempliamolo con uno sguardo più profondo, e scopriremo che la Croce non è il segno della vittoria della morte, del peccato, del male ma è il segno luminoso dell’amore, anzi della vastità dell’amore di Dio, di ciò che non avremmo mai potuto chiedere, immaginare o sperare: Dio si è piegato su di noi, si è abbassato fino a giungere nell’angolo più buio della nostra vita per tenderci la mano e tirarci a sé, portarci fino a Lui. La Croce ci parla dell’amore supremo di Dio e ci invita a rinnovare, oggi, la nostra fede nella potenza di questo amore, a credere che in ogni situazione della nostra vita, della storia, del mondo, Dio è capace di vincere la morte, il peccato, il male, e di donarci una vita nuova, risorta. Nella morte in croce del Figlio di Dio, c’è il germe di una nuova speranza di vita, come il chicco che muore dentro la terra.




In questa notte carica di silenzio, carica di speranza, risuona l’invito che Dio ci rivolge attraverso le parole di sant’Agostino: «Abbiate fede! Voi verrete da me e gusterete i beni della mia mensa, com'è vero che io non ho ricusato d'assaporare i mali della mensa vostra... Vi ho promesso la mia vita... Come anticipo vi ho elargito la mia morte, quasi a dirvi: Ecco, io vi invito a partecipare della mia vita... È una vita dove nessuno muore, una vita veramente beata, che offre un cibo incorruttibile, un cibo che ristora e mai vien meno. La meta a cui vi invito, ecco… è l'amicizia con il Padre e lo Spirito Santo, è la cena eterna, è la comunione con me… è partecipare della mia vita» (cfr Discorso 231, 5).

Fissiamo il nostro sguardo su Gesù Crocifisso e chiediamo nella preghiera: Illumina, Signore, il nostro cuore, perché possiamo seguirti sul cammino della Croce, fa’ morire in noi l’«uomo vecchio», legato all’egoismo, al male, al peccato, rendici «uomini nuovi», uomini e donne santi, trasformati e animati dal tuo amore.

 


AMDG et DVM


domenica 4 aprile 2021

La risurrezione è un avvenimento cosmico, che comprende cielo e terra e li associa l’uno all’altra.


SANTI AUGURI 

(sia pure in una Pasqua di silenzio e di tenebre)

Le più belle frasi di Pasqua di papa Benedetto XVI

  • A Pasqua ci rallegriamo perché Cristo non è rimasto nel sepolcro, il suo corpo non ha visto la corruzione; appartiene al mondo dei viventi, non a quello dei morti; ci rallegriamo perché Egli è – come proclamiamo nel rito del Cero pasquale – l’Alfa e al contempo l’Omega, esiste quindi non soltanto ieri, ma oggi e per l’eternità.

  • La resurrezione è – se possiamo una volta usare il linguaggio della teoria dell’evoluzione – la più grande “mutazione”, il salto assolutamente più decisivo verso una dimensione totalmente nuova, che nella lunga storia della vita e dei suoi sviluppi mai si sia avuta: un salto in un ordine completamente nuovo, che riguarda noi e concerne tutta la storia.

  • La risurrezione è un avvenimento cosmico, che comprende cielo e terra e li associa l’uno all’altra.

  • È questo il giubilo della Veglia Pasquale: noi siamo liberi. Mediante la risurrezione di Gesù l’amore si è rivelato più forte della morte, più forte del male.

  • Sì, Signore, fa che diventiamo persone pasquali, uomini e donne della luce, ricolmi del fuoco del tuo amore. Amen.

  • L’annuncio della Pasqua si espanda nel mondo con il gioioso canto dell’Alleluia. Cantiamolo con le labbra, cantiamolo soprattutto con il cuore e con la vita, con uno stile di vita “azzimo”, cioè semplice, umile, e fecondo di azioni buone.

  • Sì, l’erba medicinale contro la morte esiste. Cristo è l’albero della vita reso nuovamente accessibile. Se ci atteniamo a Lui, allora siamo nella vita.

  • Colui che era morto viveva di una vita, che non era più minacciata da alcuna morte. Si era inaugurata una nuova forma di vita, una nuova dimensione della creazione.

  • Pasqua è la festa della nuova creazione. Gesù è risorto e non muore più. Ha sfondato la porta verso una nuova vita che non conosce più né malattia né morte. Ha assunto l’uomo in Dio stesso.

  • Il Signore risorto faccia sentire ovunque la sua forza di vita, di pace e di libertà. A tutti oggi sono rivolte le parole con le quali nel mattino di Pasqua l’angelo rassicurò i cuori intimoriti delle donne: “Non abbiate paura! … Non è qui. E’ risuscitato” (Mt 28,5-6).

  • Gesù è risorto e ci dona la pace; è Egli stesso la pace.

  • Si celebra oggi il grande mistero, fondamento della fede e della speranza cristiana: Gesù di Nazaret, il Crocifisso, è risuscitato dai morti il terzo giorno, secondo le Scritture.

  • Sono risorto, sono sempre con te. Alleluia!”. Cari fratelli e sorelle, Gesù crocifisso e risorto ci ripete oggi quest’annuncio di gioia: è l’annuncio pasquale. Accogliamolo con intimo stupore e gratitudine!

  • Dall’alba di Pasqua una nuova primavera di speranza investe il mondo; da quel giorno la nostra risurrezione è già cominciata, perché la Pasqua non segna semplicemente un momento della storia, ma l’avvio di una nuova condizione: Gesù è risorto non perché la sua memoria resti viva nel cuore dei suoi discepoli, bensì perché Egli stesso viva in noi e in Lui possiamo già gustare la gioia della vita eterna.

  • La Pasqua non opera alcuna magia. Come al di là del Mar Rosso gli ebrei trovarono il deserto, così la Chiesa, dopo la Risurrezione, trova sempre la storia con le sue gioie e le sue speranze, i suoi dolori e le sue angosce.

  • Come i raggi del sole, a primavera, fanno spuntare e schiudere le gemme sui rami degli alberi, così l’irradiazione che promana dalla Risurrezione di Cristo dà forza e significato ad ogni speranza umana, ad ogni attesa, desiderio, progetto.

  • La speranza, in questo mondo, non può non fare i conti con la durezza del male. Non è soltanto il muro della morte a ostacolarla, ma più ancora sono le punte acuminate dell’invidia e dell’orgoglio, della menzogna e della violenza. Gesù è passato attraverso questo intreccio mortale, per aprirci il passaggio verso il Regno della vita.