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"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
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Camminavano. Il lago a pochi passi, il silenzio di uno dei borghi più belli d’Italia. Camminavano. Come avevano fatto mille volte in quegli splendidi pomeriggi d’estate. Uno a fianco all’altro. Come due amici. Come persone qualsiasi. Che hanno voglia di starsene un po’ in disparte. Fuori dalla routine quotidiana.
Era luglio. Un pomeriggio di luglio del 1961, quando accadde.
“Li avevamo sopra le nostre teste. Luci. Erano luci colorate. Azzurro. Arancio. Ambra. Qualche minuto, e poi…”. E poi, accadde. L’imponderabile. L’impossibile. Ciò che è difficile anche da raccontare. E allora tutto d’un fiato. Le luci sono astronavi. Le astronavi sono dischi nel cielo turchino d’un pomeriggio qualunque a Castel Gandolo. Si muovono silenziose. Stanno. Per qualche minuto su quelle due figure inconfondibili che camminano fianco a fianco. Come persone qualsiasi.
Poi il contatto. Una delle astronavi si stacca dalla stormo. Atterra. Si ferma “nel lato sud del giardino”. Il portellone si apre e dalla carlinga viene fuori qualcosa. E’ “assolutamente umano”. Solo che. Solo che… ha una luce intorno. Una luce che lo avvolge.
Caddero in ginocchio. I due. Poi Lui si alzò e andò senza esitare verso l’Uomo. Verso quell’essere “assolutamente umano” avvolto da una luce tenue, delicata. Penetrante.
Parlarono. “Per circa venti minuti”. Ma non si potevano sentire quelle voci. “Non sentii nulla”. Ma parlavano. Gesticolavano. Per venti minuti. 1200, infiniti, secondi. Poi l’Uomo voltò le spalle e se ne ritornò da dove era arrivato.
Lui mi guardò. E pianse.
Sembra l’incipit di un romanzo di fantascienza da quattro soldi. Eppure una ventina d’anni dopo il Sun lo spara in prima pagina. Attribuendo il racconto niente meno che a Loris Francesco Capovilla. L’arcivesco Loris Francesco Capovilla. Il segretario personale di Angelo Giuseppe Roncalli. Papa Giovanni XXIII. Il Papa Buono.
Ed ora, quell’articolo e quello strano silenzio che seguì alla clamorosa rivelazione, sta facendo il giro del mondo. Grazie al Web. Grazie a YouTube.
Angelo Roncalli, riconosciuto formalmente “beato” da papa Giovanni Paolo II il 3 settembre del 2000, incontrò un alieno nella sua residenza di Castel Gandolfo. Alle porte di Roma. Era il luglio del 1961. Testimone di quell’incredibile “contatto” il suo segretario personale. L’uomo che da anni è considerato la memoria vivente di uno dei pontefici più amati della storia. Loris Francesco Capovilla. Arcivescovo di Chieti, prelato di Loreto. Notoriamente apprezzato per la sua serietà e il suo rigore.
“Per anni Roncalli si tenne dentro il ricordo di quel pomeriggio. E anche io ho rispettato il suo silenzio. Loro parlavano. E non mi chiesero di avvicinarmi. Era giusto così. Ma non potrò mai dimenticare le parole di sua santità quando l’Uomo si allontanò e scomparve con la sua astronave: i figli di Dio sono dappertutto. Anche se a volte abbiamo difficoltà a riconoscere i nostri stessi fratelli”. Questo avrebbe detto papa Roncalli all’arcivescovo Capovilla.
Cinquant’anni dopo il racconto di quello strano pomeriggio ritorna in tutto il suo mistero. Lasciando dubbi, perplessità, ma anche un filo di speranza in quanti da anni sono alla caccia di un prova definitiva. Una prova che possa dimostrare l’esistenza di razze aliene.
Noi non commentiamo. Riportiamo i fatti così come li ha raccontati il Sun e come vengono riportati in queste ore su alcuni filmati che girano all’impazzata su YouTube.
Una sola cosa vale la pena ricordare. Dopo la mancata conferenza di Obama su gli Ufo e sulle presenze extraterrestri sul nostro pianeta il Vaticano fu il primo stato ad uscire allo scoperto con una dichiarazione che fece molto scalpore: “nonostante l’astrobiologia sia un campo nuovo e un argomento ancora in fase di sviluppo, le domande riguardanti l’origine della vita e la sua esistenza da qualche altra parte nell’universo sono molto interessanti e meritano seria considerazione. Questi interrogativi hanno molte implicazioni filosofiche e teologiche”. Firmato Josè Fùnes. 46 anni, nato a Cordoba, in Argentina, è da qualche anno il nuovo direttore della Specola Vaticana, l’osservatorio astronomico della Santa Sede.
Articolo scritto da di SONIA T. CAROBI per Gialli.it
FIABE
Passiflora incarnata, quale mirabile leggenda giace silente nello scenario del suo fiore. Quando nel lontano 1610, il missionario agostiniano Emmanuel de Villegas la vide per la prima volta ne rimase fatalmente colpito. Non un solo elemento era in essa lontano dall’eloquente immagine che prepotente s’imprimeva nei suoi occhi.
Un’immagine vivida, profonda: l’istantanea trasmutata in fiore dei simboli della cocente passione e crocifissione di Gesù Cristo.
Sotto, una Passiflora incarnata dl Norfolk Botanical Garden in Virginia. Fotografia via Wikipedia:

Nelle tortuose linee dei febbrili filamenti della raggiera centrale, era infatti possibile riconoscere la corona di spine che era stata posta sul capo di Gesù, nei tre stami affiorava il ricordo dei 3 chiodi coi quali egli era stato messo in croce, nei 5 petali ed nei 5 sepali il rimando ai 10 apostoli rimasti fedeli a Gesù, (lo stesso 5 sarebbe stato inoltre riconducibile alle piaghe, due alle mani, due ai piedi ed una al costato), nell’androginoforo la colonna della flagellazione e nei flessuosi rametti, le fruste con cui egli era stato flagellato.
La voglia di condividere la sorprendente scoperta era pungente. Al suo rientro dal Messico, il missionario mostrò lo stupefacente fiore al suo superiore, Padre Giacomo Bosio, che ne rimase anch’egli grandemente colpito; tanto da scrivere nei seguenti mesi un libro il “Trattato sulla Crocifissione di Nostro Signore” ove veniva fatta menzione del particolareggiato fiore.
Nota anche come il “fiore della passione”, essa è divenuta nei secoli simbolo della passione religiosa. Il suo nome, “Passiflora”, sembra essere stato scelto nel 1696 da Leonard Plukenet. Un nome confermato nel 1753 dal naturalista svedese Linneo che mantenne intatto il nome attribuito dai padri agostiniani (dal latino Flos Passionis, fiore della passione, in riferimento alla passione di Gesù Cristo).
Sotto, una Passiflora caerulea. Fotografia via Wikipedia:

Il termine “incarnata” si rifà alla purpurea e centrale corona e al violetto o rosaceo della sua periferia. La pianta originaria dell’America Centromeridionale, appartiene alla famiglia della passifloraceae, un genere di piante che comprende più di 600 specie.
Ma la sua fama non dipende solo dai suoi portentosi fiori (capaci di raggiungere i 12 centimetri di diametro) o dagli armoniosi, audaci filamenti, capaci di imprimersi nella memoria dell’uomo che ne è testimone, ma anche dalle sue molteplici proprietà benefiche e salutari. Fin dall’antichità gli Aztechi ne utilizzavano infatti l’infuso quale potente rilassante. Basti pensare che ai tempi della Prima guerra mondiale, la Passiflora venne anche impiegata nella cura delle “angosce di guerra”.
Una leggenda di grande bellezza si ancora alla rara bellezza del particolare fiore. Tutto accadde nei giorni lontani, allorquando nel mondo appena creato da Dio, la primavera aveva fatto emergere dalle tenebre, verso il tepore di una ridente sole, tutte le piante della Terra.
Sotto e in copertina, una Passiflora caerulea. Ljubljana Botanical Garden in Slovenia. Fotografia via Wikipedia:

Tutte erano fiorite come per incanto. Tutte tranne una che aveva mancato il dolce richiamo della primavera. Quando ebbe infatti rotto la dura zolla di quella greve terra, la primavera era ormai già lontana e la piantina, rammaricata per il suo mancato sbocciare pregò allora:
“O Signore, fa’ che anch’io fiorisca!”
Ed egli rispose “…anche tu fiorirai”
Ed ella chiese allora “quando?”
Ed un velo di tristezza investì gli occhi del Signore quando egli le disse pensieroso “Un giorno…”
Passarono gli anni e la piccola piantina non vedeva ancora il germoglio di un solo suo fiore. La primavera era giunta per tutte, tranne che per lei: la piantina che non possedeva nome. Ella seguitava attendendo il giorno promesso dal Signore sino a che un dì avvertì un’eco lontana. Era un’eco portata dal vento. Un’eco che si colorava di urla, pianti e gemiti addolorati che riempivano copiosi ogni anfratto dell’aria.
All’improvviso apparve un uomo. Egli avanzava lento tra la folla urlante. Era ricurvo, abbattuto sotto l’ombra della pesante croce che come un macigno lo sovrastava. Il suo volto era contrito in una morsa di dolore e le pieghe del suo viso erano investite dal sangue intriso di un ardente dolore.
Ella allora desiderò di saper piangere come gli uomini per saper esprimere il dolore che un simile volto aveva in essa generato. L’uomo le passò dolorante accanto e mentre egli incespicava nel suo tortuoso percorso una lacrima cosparsa di quella purpurea passione, cadde dagli occhi suoi tristi, sulla piantina ignara. Quando quella goccia la toccò, improvvisamente la piantina fiorì in tutto il suo magnetico splendore offrendo le vesti del suo bel fiore, in memoria degli strumenti di quella passione. E fu così che ella divenne la Passiflora, il fiore a noi oggi noto, erede di una memoria antica e profonda che s’incagliata da sempre silente tra le sfumature del suo maestoso fiore.
APPASSIONATA DI ARTE, LETTERATURA, CINEMA E FOTOGRAFIA, ESPRIMO LA MIA CREATIVITÀ FRA PITTURA, DESIGN E PRODUZIONE DI ABITI. AMO LE “ANTICHITÀ” SOTTO OGNI FORMA E SFACCETTATURA. RICERCO LE STORIE DIMENTICATE DELLA GENTE PIÙ COMUNE E AMMIRO L’UMANITÀ CHE È NELLA PERSONE PIÙ SEMPLICI.