"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
domenica 9 agosto 2020
Il blog degli amici di Papa Benedetto XVI - Joseph Ratzinger: "Senza il Giorno del Signore non possiamo vivere"....
Il blog degli amici di Papa Benedetto XVI - Joseph Ratzinger: Benedetto XVI: "Non sono le coordinate storico-pol...
IL VANGELO COME MI E' STATO RIVELATO. *523: 1 - 3, 4 - 6, 7 - 9.
SPLENDIDO!
VOLUME VIII CAPITOLO 523
DXXIII. A Gerico. La richiesta a Gesù di giudicare su una donna. La parabola del fariseo e del pubblicano dopo un paragone tra peccatori e malati.
Lc 18, 9-14
2 novembre 1946
1 Gesù esce dalla casa di Zaccheo. È mattina inoltrata. È con Zaccheo, Pietro e Giacomo di Alfeo. Gli altri apostoli sono forse già sparsi per la campagna per annunciare che il Maestro è in città.
Dietro al gruppo di Gesù con Zaccheo e gli apostoli ve ne è un altro, molto... variato per fisionomie, età, vesti. Non è difficile dichiarare con sicurezza che questi uomini appartengono a razze diverse, forse anche antagoniste fra di loro. Ma gli eventi della vita hanno portato questi in questa città palestinese e li hanno riuniti perché dal loro profondo risalissero verso la luce. Sono per lo più volti appassiti di chi ha usato e abusato della vita in più modi, occhi stanchi per la più parte; in altri, sguardi che la lunga abitudine ad occupazioni di... rapina fiscale o di comando brutale ha fatto rapaci o duri, e ogni tanto questo loro antico sguardo riaffiora da sotto un velo dimesso e pensoso che vi ha messo la nuova vita. E ciò avviene specialmente quando qualcuno di Gerico li guarda con sprezzo o borbotta qualche insolenza a loro carico. Poi l’occhio torna stanco, dimesso, e le teste si riabbassano avvilite.
Gesù si volta per due volte ad osservarli e, vedendoli indietro, rallentanti il loro passo più si avvicinano al luogo prescelto per parlare, e già pieno di gente, rallenta il suo per attenderli, e infine dice loro: «Passatemi avanti e non temete. Avete sfidato il mondo quando facevate il male; non dovete temerlo ora che vi siete spogliati di esso. Ciò che avete usato per domarlo allora ‑ l’indifferenza al giudizio del mondo, unica arma per stancarlo di giudicare ‑ usatelo anche ora, ed esso si stancherà di occuparsi di voi, e vi assorbirà, seppure lentamente, annullandovi nella grande massa anonima che è questo misero mondo, al quale in verità si dà troppo peso».
Gli uomini, quindici, ubbidiscono e passano avanti.
2 «Maestro, là sono i malati della campagna», dice Giacomo di Zebedeo andando incontro a Gesù e indicando un angolo tiepido di sole.
«Vengo. Gli altri dove sono?».
«Fra la gente. Ma già ti hanno visto e stanno venendo. Con loro sono anche Salomon, Giuseppe di Emmaus, Giovanni d’Efeso, Filippo di Arbela. Sono diretti alla casa di quest’ultimo e vengono da Joppe, Lidda e Modin. Hanno seco loro uomini della costa del mare e donne. Ti cercavano, anzi, perché è discordia fra loro sul giudicare una donna. Ma parleranno con Te...».
Gesù è infatti presto circondato dagli altri discepoli e salutato con venerazione. Dietro ad essi sono i nuovi attirati alla dottrina di Gesù. Ma non c’è Giovanni d’Efeso, e Gesù ne chiede la ragione.
«Si è fermato con una donna e con i parenti della stessa in una casa lontana dalla gente. La donna non si sa se è indemoniata o profetessa. Dice cose meravigliose, a detta di quelli del suo paese. Ma gli scribi che l’hanno ascoltata l’hanno giudicato posseduta. I parenti hanno chiamato gli esorcisti più volte, ma essi non poterono cacciare il demonio parlante che la tiene. (Gli esorcisti avevano la funzione di scacciare demoni e la esercitavano “secondo Israele”, come è detto al Vol 5 Cap 352. Alcuni scribi [Vol 5 Cap 349] dichiarano di non essere esorcisti, mentre uno scriba [al Vol 6 Cap 387] dice: “noi, ornati dei segni d’esorcismo”. La presenza e l’azione di esorcisti in Israele sono affermate da Gesù al Vol 2 Cap 137 e confermate in una famosa disputa con scribi e farisei, segnatamente al Vol 4 Cap 269. Di scribi che fanno esorcismi usando formule si parla nel breve capitolo 350 al Vol 5, dove Gesù avverte che bisogna distinguere il posseduto dal malato, pur non essendo il demonio estraneo alle malattie, e assicura che i demoni si vincono con la preghiera e il digiuno). Però un di loro disse al padre della donna (è una vedova vergine rimasta in famiglia): “Per tua figlia ci vuole il Messia Gesù. Egli capirà le sue parole e saprà donde vengono. Io ho provato di imporre allo spirito che parla in lei di andarsene in nome di Gesù detto il Cristo. Sempre gli spiriti tenebrosi sono fuggiti quando ho usato questo Nome. Questa volta no. Da questo io dico che, o è lo stesso Belzebù che parla e riesce a resistere anche a quel Nome detto da me, o è lo stesso Spirito di Dio, e perciò non teme essendo che è una cosa sola col Cristo. Io sono convinto più di questo che del primo caso. Ma, per esserne certi, solo il Cristo può giudicare. Egli conoscerà le parole e la loro origine”. E fu malmenato dagli scribi presenti, che lo dissero posseduto lui pure come la donna e come Te. Perdona se dobbiamo dirlo... E degli scribi non ci hanno più lasciati, e sono di guardia alla donna perché vogliono stabilire se può essere avvisata del tuo arrivo. Perché essa dice che conosce il tuo volto e la tua voce, e fra mille e mille ti riconoscerebbe, mentre è provato che essa mai è uscita dal paese, anzi, dalla sua casa da quando, quindici anni or sono, le morì lo sposo la vigilia della festa nuziale; ed è anche provato che mai Tu sei passato dal suo paese che è Betlechi. E gli scribi attendono questa ultima prova per dirla indemoniata.
3 Vuoi vederla subito?».
«No. Devo parlare alla gente. E sarebbe troppo chiassoso l’incontro qui, fra le turbe. Va’ a dire a Giovanni d’Efeso e ai parenti della donna, e anche agli scribi, che li attendo tutti all’inizio del tramonto nei boschi lungo il fiume, sul sentiero del guado. Va’».
E Gesù, congedato Salomon, che ha parlato per tutti, va dai malati invocanti guarigione e li guarisce. Sono una donna anziana anchilosata dall’artrite, un paralitico, un giovanetto ebete, una fanciulla che direi etica e due malati agli occhi. La gente ha i suoi trillanti gridi di gioia.
Ma non è finita ancora la serie dei malati. Una madre si avanza, sfigurata dal dolore, sorretta da due amiche o parenti, e si inginocchia dicendo: «Ho il figlio morente. Non può essere portato qui... Pietà di me!».
«Puoi credere senza misura?».
«Tutto, o mio Signore!».
«E allora torna a casa tua».
«A casa mia?... Senza Te?...». La donna lo guarda un momento con affanno, poi comprende. Il povero viso si trasfigura. Grida: «Vado, Signore. E benedetto Te e l’Altissimo che ti ha mandato!». E corre via, più svelta delle stesse sue compagne...
Gesù si volge ad uno di Gerico, ad un dignitoso cittadino. «Quella donna è ebrea?».
«No. Di nascita almeno, no. Viene da Mileto. Sposa però a uno di noi e da allora nella nostra fede».
«Ha saputo credere meglio di molti ebrei», osserva Gesù.
4 Poi, salendo sull’alto gradino di una casa, fa il gesto abituale, di aprire le braccia, che precede il suo parlare e serve ad imporre silenzio. Ottenutolo, raccoglie le pieghe del manto, apertosi sul petto nel gesto, e lo tiene fermo con la sinistra mentre abbassa la destra nell’atto di chi giura, dicendo:
«Ascoltate, o cittadini di Gerico, le parabole del Signore, e ognuno poi le mediti nel suo cuore e ne tragga la lezione per nutrire il suo spirito. Lo potete fare perché non da ieri, né dalla passata luna, e neppure dall’altro inverno, conoscete la Parola di Dio. Prima che Io fossi il Maestro, Giovanni, mio Precursore, vi aveva preparato al mio venire e, dopo che lo fui, i miei discepoli hanno arato questo suolo sette e sette volte per seminarvi ogni seme che Io avevo loro dato. Dunque potete capire la parola e la parabola.
5 A che paragonerò Io coloro che, dopo essere stati peccatori, poi si convertono? Li paragonerò a malati che guariscono. A che paragonerò gli altri che non hanno pubblicamente peccato, o che, rari più di perle nere, non hanno fatto mai, neppur nel segreto, colpe gravi? Li paragonerò a delle persone sane. Il mondo è composto di queste due categorie. Sia nello spirito che nella carne e sangue. Ma, se uguali sono i paragoni, diverso è il modo del mondo di usare coi malati guariti, che erano malati nella carne, da quello che esso usa coi peccatori convertiti, ossia coi malati dello spirito che tornano in salute.
Noi vediamo che quando anche un lebbroso, che è il malato più pericoloso e più isolato perché pericoloso, ottiene la grazia di guarigione, dopo essere stato osservato dal sacerdote e purificato, viene riammesso nel consorzio delle genti, e anzi quelli della sua città lo festeggiano perché guarito, perché risuscitato alla vita, alla famiglia, agli affari. Gran festa in famiglia e in città, quando uno che era lebbroso riesce ad ottenere grazia e a guarire! È una gara fra i famigliari e i cittadini a portargli questo e quello e, se è solo e senza casa o mobili, a offrirgli tetto o mobiglia, e tutti dicono: “È uno prediletto da Dio. Il suo dito lo ha sanato. Facciamogli dunque onore, e onoreremo Colui che lo ha creato e ricreato”. È giusto di fare così. E quando, sventuratamente invece, uno ha i primi segni di lebbra, con che amore angoscioso parenti e amici lo colmano di tenerezze, finché è possibile ancora farlo, quasi per dargli, tutto in una volta, il tesoro di affetti che gli avrebbero dato in molti anni, perché se lo porti seco nel suo sepolcro di vivo.
Ma perché allora per gli altri malati non si fa così? Un uomo comincia a peccare, e famigliari e soprattutto concittadini lo vedono? Perché allora non cercano con amore di strapparlo al peccare? Una madre, un padre, una sposa, una sorella ancora lo fanno. Ma è già difficile che lo facciano i fratelli, e non dico poi che lo facciano i figli del fratello del padre o della madre. I concittadini, infine, non sanno che criticare, schernire, insolentire, scandalizzarsi, esagerare i peccati del peccatore, segnarselo a dito, tenerlo discosto come un lebbroso quelli che sono più giusti, farsi suoi complici, per godere alle sue spalle, quelli che giusti non sono. Ma non c’è che ben raramente una bocca, e soprattutto un cuore, che vada dall’infelice con pietà e fermezza, con pazienza e amore soprannaturale, e si affanni a frenarne la discesa nel peccato.
E come? Non è forse più grave, veramente grave e mortale la malattia dello spirito? Non priva essa, e per sempre, del Regno di Dio? La prima delle carità verso Dio e verso il prossimo non deve essere questo lavoro di sanare un peccatore per il bene della sua anima e la gloria di Dio?
E quando un peccatore si converte, perché quell’ostinatezza di giudizio su di lui, quel quasi rammaricarsi che egli sia tornato alla salute spirituale? Vedete smentiti i vostri pronostici di certa dannazione di un vostro concittadino? Ma dovreste esserne felici, perché Colui che vi smentisce è il misericordioso Iddio, che vi dà una misura della sua bontà a rincuorarvi nelle vostre colpe più o meno gravi.
E perché quel persistere a voler vedere sporco, spregevole, degno di stare nell’isolamento, ciò che Dio e la buona volontà di un cuore hanno fatto netto, ammirevole, degno della stima dei fratelli, anzi della loro ammirazione?
Ma ben giubilate anche se un vostro bue, un vostro asino o cammello, o la pecora del gregge, o il colombo preferito guariscono da una malattia! Ben giubilate se un estraneo, che appena ricordate a nome per averne sentito parlare al tempo in cui fu isolato perché lebbroso, torna guarito! E perché allora non giubilate per queste guarigioni di spirito, per queste vittorie di Dio? Il Cielo giubila quando un peccatore si converte. Il Cielo: Dio, gli angeli purissimi, quelli che non sanno cosa è peccare. E voi, voi uomini, volete essere più intransigenti di Dio?
6 Fate, fate giusto il vostro cuore e riconoscete il Signore non soltanto come presente fra le nuvole d’incenso e i canti del Tempio, nel luogo dove solamente la santità del Signore, nel Sommo Sacerdote, deve entrare, e dovrebbe essere santa come il nome lo indica. Ma anche nel prodigio di questi spiriti risorti, di questi altari riconsacrati, sui quali l’Amore di Dio scende coi suoi fuochi ad accendere il sacrificio».
Gesù viene interrotto dalla madre di prima, che con gridi di benedizione lo vuole adorare. Gesù la ascolta e benedice e la rimanda a casa, riprendendo il discorso interrotto.
«E se da un peccatore, che un tempo vi ha dato spettacolo di scandalo, ricevete ora spettacoli di edificazione, non vogliate schernire ma imitare. Perché nessuno è mai tanto perfetto da essere impossibile che un altro lo ammaestri. E il Bene è sempre lezione che va accolta, anche se colui che lo pratica un tempo era oggetto di riprovazione. Imitate e aiutate. Perché, così facendo, glorificherete il Signore e dimostrerete che avete capito il suo Verbo. Non vogliate essere come quelli che in cuor vostro criticate perché le loro azioni non corrispondono alle loro parole. Ma fate che ogni vostra buona azione sia il coronamento di ogni vostra buona parola. E allora veramente sarete guardati e ascoltati benevolmente dall’Eterno.
7 Udite quest’altra parabola, per comprendere quali sono le cose che hanno valore agli occhi di Dio. Essa vi insegnerà a correggervi da un pensiero non buono che è in molti cuori. I più degli uomini si giudicano da se stessi e, posto che solo un uomo su mille è veramente umile, così avviene che l’uomo si giudica perfetto, lui solo perfetto, mentre nel prossimo nota cento e cento peccati.
Un giorno due uomini, andati a Gerusalemme per affari, salirono al Tempio, come si conviene ad ogni buon israelita ogni qualvolta pone piede nella Città Santa. Uno era un fariseo. L’altro un pubblicano. Il primo era venuto per riscuotere il fitto di alcuni empori e per fare i conti con i suoi fattori, che abitavano nelle vicinanze della città. L’altro per versare le imposte riscosse e per invocare pietà in nome di una vedova che non poteva pagare la tassazione della barca e delle reti, perché la pesca, fatta dal figlio maggiore, le era appena sufficiente per dare da mangiare ai molti altri figli.
Il fariseo, prima di salire al Tempio, era passato dai tenutari degli empori e, gettato uno sguardo in essi empori, vistili pieni di merci e di compratori, si era compiaciuto in se stesso e poi aveva chiamato il tenutario del luogo e gli aveva detto: “Vedo che i tuoi commerci vanno bene”.
“Sì, per grazia di Dio. Sono contento del mio lavoro. Ho potuto aumentare le merci e spero di farlo ancora di più. Ho migliorato il luogo, e l’anno veniente non avrò le spese dei banchi e scaffali, e perciò avrò più guadagno”.
“Bene! Bene! Ne sono felice! Quanto paghi tu per questo luogo?”.
“Cento didramme al mese. È caro, ma la posizione è buona...”.
“Lo hai detto. La posizione è buona. Perciò io ti raddoppio il fitto’’.
“Ma signore”, esclamò il negoziante. “In tal maniera tu mi levi ogni utile!”.
“È giusto. Devo forse io arricchire te? E sul mio? Presto. O tu mi dai duemilaquattrocento didramme, e subito, o ti caccio fuori e mi tengo la merce. Il luogo è mio e ne faccio ciò che voglio” .
Così al primo, così al secondo e al terzo dei suoi affittuari, ad ognuno raddoppiando il prezzo, sordo ad ogni preghiera. E perché il terzo, carico di figli, volle fare resistenza, chiamò le guardie e fece porre i sigilli di sequestro, cacciando fuori l’infelice.
Poi, nel suo palazzo, esaminò i registri dei fattori, trovando di che punirli come fannulloni e sequestrando loro la parte che si erano tenuta di diritto.
Uno aveva il figlio morente, e per le molte spese aveva venduto una parte del suo olio per pagare le medicine. Non aveva dunque che dare all’esoso padrone. “Abbi pietà di me, padrone. Il mio povero figlio sta per morire, e dopo farò dei lavori straordinari per rifonderti ciò che ti sembra giusto. Ma ora, tu lo comprendi, non posso”.
“Non puoi? Io ti farò vedere se puoi o non puoi”. E, andato col povero fattore nel frantoio, lo privò anche di quel resto d’olio che l’uomo si era tenuto per il misero cibo e per alimentare la lampada che permetteva di vegliare il figlio nella notte.
Il pubblicano invece, andato dal suo superiore e versate le imposte riscosse, si sentì dire: “Ma qui mancano trecentosettanta assi. Come mai ciò?”.
“Ecco, ora ti dico. Nella città è una vedova con sette figli. Il primo solo è in età di lavorare. Ma non può andare lontano da riva con la barca, perché le sue braccia sono deboli ancora per il remo e la vela, e non può pagare un garzone di barca. Stando vicino a riva, poco pesca, e il pescato basta appena a sfamare quelle otto infelici persone. Non ho avuto cuore di esigere la tassa”.
“Comprendo. Ma la legge è legge. Guai se si sapesse che essa è pietosa! Tutti troverebbero ragioni per non pagare. Il giovinetto cambi mestiere e venda la barca se non possono pagare” .
“È il loro pane futuro... ed è il ricordo del padre”.
“Comprendo. Ma non si può transigere”.
“Va bene. Ma io non posso pensare otto infelici privati dell’unico bene. Pago io i trecentosettanta assi”.
8 Fatte queste cose, i due salirono al Tempio e, passando presso il gazofilacio, il fariseo trasse con ostentazione una voluminosa borsa dal seno e la scosse sino all’ultimo picciolo nel Tesoro. In quella borsa erano le monete prese in più ai negozianti e il ricavato dell’olio levato al fattore e subito venduto ad un mercante. Il pubblicano invece gettò un pugnello di piccioli, dopo aver levato quanto gli era necessario al ritorno al suo luogo. L’uno a l’altro dettero perciò quanto avevano. Anzi, in apparenza, il più generoso fu il fariseo, perché dette fino all’ultimo dei piccioli che aveva seco. Però occorre riflettere che nel suo palazzo egli aveva altre monete e aveva crediti aperti presso dei ricchi cambiavalute.
Indi andarono davanti al Signore. Il fariseo proprio avanti, presso il limite dell’atrio degli Ebrei, verso il Santo; il pubblicano in fondo, quasi sotto la volta che portava nel cortile delle Donne, e stava curvo, schiacciato dal pensiero della sua miseria rispetto alla Perfezione divina. E pregavano l’uno e l’altro.
Il fariseo, ben ritto, quasi insolente, come fosse il padrone del luogo e fosse lui che si degnasse di ossequiare un visitatore, diceva: “Ecco che sono venuto a venerarti nella Casa che è la nostra gloria. Sono venuto benché senta che Tu sei in me, perché io sono giusto. So esserlo. Però, per quanto sappia che soltanto per mio merito sono tale, ti ringrazio, come è legge, di ciò che sono. Io non sono rapace, ingiusto, adultero, peccatore come quel pubblicano che ha gettato contemporaneamente a me un pugnello di piccioli nel Tesoro. Io, lo hai visto, ti ho dato tutto quanto avevo meco. Quell’esoso, invece, ha fatto due parti e a Te ha dato la minore. L’altra, certamente, la terrà per le gozzoviglie e le femmine. Ma io sono puro. Non mi contamino io. Io sono puro e giusto, digiuno due volte alla settimana, pago le decime di quanto possiedo. Sì. Sono puro, giusto e benedetto, perché santo. Ricòrdatelo, o Signore”.
Il pubblicano, dal suo angolo remoto, senza osare di alzare lo sguardo verso le porte preziose dell’hecal, (luogo santo ed era la sala che nel Tempio di Gerusalemme precedeva il debir [sarà menzionato al capitolo 534] o Santo dei santi [menzionato spesso], dove era custodita l’Arca e dove poteva entrare soltanto il Sommo Sacerdote una volta all’anno), e battendosi il petto, pregava così: “Signore, io non son degno di stare in questo luogo. Ma Tu sei giusto e santo, e me lo concedi ancora perché sai che l’uomo è peccatore e, se non viene da Te, diviene un demonio. Oh! mio Signore! Vorrei onorarti notte e giorno, e devo per tante ore essere schiavo del mio lavoro. Lavoro rude che mi avvilisce, perché è dolore al mio prossimo più infelice. Ma devo ubbidire ai miei superiori, perché è il mio pane. Fa’, o mio Dio, che io sappia temperare il dovere verso i superiori con la carità verso i miei poveri fratelli, perché nel mio lavoro non trovi la mia condanna. Ogni lavoro è santo se operato con carità. Tieni la tua carità sempre presente al mio cuore perché io, miserabile qual sono, sappia compatire i miei soggetti, come Tu compatisci me, gran peccatore. Avrei voluto onorarti di più, o Signore. Tu lo sai. Ma ho pensato che levare il denaro destinato al Tempio per sollevare otto cuori infelici fosse cosa migliore che versarlo nel gazofilacio e poi far versare lacrime di desolazione a otto innocenti infelici. Però se ho sbagliato fammelo comprendere, o Signore, e io ti darò fino all’ultimo picciolo, e tornerò al paese a piedi mendicando un pane. Fammi capire la tua giustizia. Abbi pietà di me, o Signore, perché io sono un gran peccatore”.
9 Questa la parabola. In verità, in verità vi dico che, mentre il fariseo uscì dal Tempio con un nuovo peccato aggiunto a quelli già fatti avanti di salire al Moria, il pubblicano uscì di là giustificato, e la benedizione di Dio lo accompagnò a casa sua e restò in essa. Perché egli era stato umile e misericordioso, e le sue azioni erano state ancor più sante delle sue parole. Mentre il fariseo solo a parole e all’esterno era buono, mentre nel suo interno era e faceva opere da satana per superbia e durezza di cuore, e Dio lo odiava perciò.
Chi si esalta sarà sempre, prima o poi, umiliato. Se non qui nell’altra vita. E chi si umilia sarà esaltato, specie lassù nel Cielo, ove si vedono le azioni degli uomini nella loro vera verità.
Vieni, Zaccheo. Venite voi che siete con lui. E voi, miei apostoli e discepoli. Vi parlerò ancora in privato».
E, avvolgendosi nel mantello, torna alla casa di Zaccheo.
sabato 8 agosto 2020
Colui che vede e sa, dice che Tu hai dato - ........ - hai dato agli uomini lo Spirito Santo.
News
Pubblicato il 08/08/2020
Terzo giorno della Novena per l'Assunzione della Beata Vergine Maria
Preghiera per l'Assunzione della B. V. Maria
O Vergine Immacolata, Madre di Dio e Madre degli uomini,
noi crediamo nella tua assunzione in anima e corpo al cielo,
ove sei acclamata da tutti i cori degli angeli e da tutte le schiere dei santi.
E noi ad essi ci uniamo per lodare e benedire il Signore che ti ha esaltata sopra
tutte le creature e per offrirti l'anelito della nostra devozione e del nostro amore.
Noi confidiamo che i tuoi occhi misericordiosi si abbassino sulle nostre miserie
e sulle nostre sofferenze; che le tue labbra sorridano alle nostre gioie
e alle nostre vittorie; che tu senta la voce di Gesù ripeterti per ciascuno di noi:
Ecco tuo figlio.
E noi ti invochiamo nostra madre e ti prendiamo, come Giovanni, per guida,
forza e consolazione della nostra vita mortale.
Noi crediamo che nella gloria, dove regni vestita di sole e coronata di stelle,
sei la gioia e la letizia degli angeli e dei santi.
E noi in questa terra, ove passiamo pellegrini, guardiamo verso di te,
nostra speranza; attiraci con la soavità della tua voce per mostrarci un giorno,
dopo il nostro esilio, Gesù, frutto benedetto del tuo Seno, o clemente,
o pia, o dolce Vergine Maria. (Pio XII)
7 Ave, Salve, Magnificat
Dalle 'Lezioni di San Paolo Apostolo ai Romani'
13 febbraio 1948 Rm 5, 5
Dice il Divinissimo Autore:
«Ti ho fatto contemplare le due Nature di Gesù, Figliuolo di Dio e dell’Uomo, e come la natura divina, annichilendosi, limitandosi nei brevi confini di una carne umana - essa: infinita - non si sia per questo avvilita, ma anzi abbia divinizzato la natura umana ricreando il novello Adamo, nel novello paradiso terrestre dove tutto è bello e buono - bello a vedersi, buono a gustarsi - dove sono forti e incontaminati da abbracci serpentini l’albero della Vita, ossia della Grazia, e quello della Scienza del Bene e del Male, al quale però non viene tesa avida la mano per cogliere il frutto e divenire “dèi”, secondo la promessa fallace, ma al cui sussurro sapienziale viene porto puro orecchio per apprendere il Bene e fuggire il Male, pregando con compassione per gli incauti che non ascoltano il sussurro delle fronde mosse dal vento buono di Dio ma lo zufolare, presso le radici, del Tentatore.
Due voci. Ma come diverse! L’una viene dalle cime che spaziano nella purezza dell’aere e sono luminose di sole. L’altra viene dal basso, dalla terra, dalla penombra. La voce di Dio: Luce e Sapienza e Verità. La voce di Satana: Tenebra, Fango, Menzogna.
L’Eva prima porse orecchio e abbassò lo sguardo alla voce della tenebra, fango e menzogna. L’Eva seconda - il secondo paradiso terrestre dove Dio si è compiaciuto di conversare con l’Innocenza nel fresco della sera, ossia nella pace di uno spirito che ignora le febbri, il caldo della lussuria - porse orecchio alla voce di Luce, Sapienza, Verità.
O novello terrestre paradiso di Dio! O bello, vago, puro giardino di delizie, dove tutto ciò che è, è dono di Dio, con venerabonda cura d’amore conservato bello e puro per essere aperto a riposo all’Eterno, offerto alla Carità perché sia sua Dimora, giardino irrorato dalla Fonte purissima fertilizzante la terra (gli uomini) che alla sua Acqua - Gesù - si volgono, luogo di delizie dal fiume di grazia che in quattro rami si divide, in quattro braccia: la prima di adorazione all’Eterno; la seconda di amore al prossimo; la terza di pietà per i prodighi o gli smarriti fuor dai confini paterni, i separati dalla Vite benedetta e dalla Vita; la quarta di misericordia per tutte le miserie dei viventi e dei già vivi.
Da Te, o Maria, o Vergine, per un capovolgimento dei fattori fu tratto l’Uomo, il Cristo, senza che fecondazione di seme umano fosse necessaria a far fertile il tuo grembo. Tu sola Generante. Da Te sola concepisti e donasti la Luce alla luce. La Grazia, in Te già piena, in un tripudio d’ardori incontenibili penetrò il tuo seno, e il Verbo prese carne per abitare fra gli uomini e dare loro la Vita.
L’Eva prima, per voler essere “come dio”, perse ciò che fa dell’uomo animale il figlio di Dio. Tu, senza golosità di alcuna maniera, per voler essere soltanto serva, divina fosti per sponsali d’amore divino e per divina Maternità.
A Te che ti sentivi la più piccola e povera fra tutte le donne, e giusto trovavi il dolore che ti fu sollecito compagno nella vita, a Te che giusto trovavi il dover subire le conseguenze del Peccato con le fatiche, le sofferenze, la morte, o Vergine bella, umile, casta, paziente, ubbidiente, amorosa, Eva nuova, per volere di Dio Immacolata, per volere tuo fedele alla Grazia, Dio decretò: “Tu non morrai, non può morire Colei che ha dato alla Terra la Vita”. Ma anzi, per aver dato il Frutto del tuo seno, per averlo dato onde fosse colto, e preso, e mangiato, e spremuto, Pane, Vino, Sangue, Redentore, si apriranno i tuoi occhi, e sarai come Dio, avendo la conoscenza del Bene e del Male, per amare e insegnare ad amare, mirabile Maestra, il primo, e per combattere con le tue armi il secondo.
Per Te l’Adamo nuovo. Per Te l’Ordine ricostruito. Per Te la Grazia agli uomini. Per Te la Redenzione. Per Te il Cristo e, per Te e il Cristo, Io, lo Spirito Santo.
Io ti ho resa feconda e sembra così che Tu agli uomini abbia dato soltanto il Verbo fatto Carne. Ma Colui che vede e sa, dice che Tu hai dato - in una maternità sopraeccelsa, nella quale la tua carne non è neppur argilla a modellarvi la divina Forma - hai dato agli uomini lo Spirito Santo.
Quello Spirito Santo senza il quale gli uomini sono impotenti ad amare, comprendere, vivere l’amore.
Quello Spirito Santo senza il quale non è conoscenza di Dio.
Quello Spirito Santo senza il quale non è figliolanza in Dio.
Quello Spirito Santo suscitatore degli eroismi dei santi.
Quello Spirito Santo teologo divino dei teologi umani.
Quello Spirito Santo che avvalora le preghiere dei mortali gridando “Padre” in nome loro.
Quello Spirito Santo munifico datore di doni che perfezionano e completano le virtù soprannaturali, fertilizzando lo spirito, rendendolo attivo, docile, pronto a vivere la vera vita del cristiano, ossia del figlio di Dio.
Ecco, questo Spirito dello Spirito di Dio, la superessenza del Divino Amore, ve lo [ha] dato il Cristo, e ve lo ha dato per Maria, Madre del Cristo e Madre vostra, non in un senso simbolico ma reale, perché è madre colei che dà la vita, e Maria vi ha dato la Vita e conseguentemente lo Spirito Santo, ossia Colui che mantiene la Vita in voi e, più ancora, fa di voi dei portatori di Cristo, più: degli altri “Cristi”, secondo la frase di Paolo: “Non sono più io che vivo: è Cristo che vive in me”.
Il minore si offusca davanti al maggiore, ne viene assorbito, e il maggiore soverchia e splende annullando il minore, non per sopraffazione ma per elevazione a un grado più alto, assorbendo, assimilando la pochezza alla Pienezza, la debolezza alla Forza, la limitatezza all’Infinito.
Un re che traesse seco sul trono un povero fanciullo nudo, trovato per via, e l’amasse al punto di farlo suo erede e lo facesse acclamare dalle folle tenendolo sotto il suo manto regale, e non potessero le folle schernirlo, questo piccolo povero fanciullo, perché non lo vedono, vedendo solo il re nella sua maestà, il piccolo fanciullo stringendosi beato al re buonissimo sino a scomparire nei paludamenti regali, felice di sparire così, sarebbe il simbolo più esatto di questa condizione del cristiano divenuto altro Cristo.
Non diversamente Maria, incinta di Dio, sentì sé, creatura, annullata dal Tutto chiuso nel suo seno. Non Lei, ma Colui che era in Lei, Lei vedeva, Lei portava, Lei dava alla venerazione degli uomini.
Anche voi, cristiani, lo Spirito feconda del Cristo, e se la volontà vostra seconda la volontà dell’Amore, il Cristo prende vita in voi, e voi uni con Lui divenite, onde “una sol cosa” voi siete col Padre, col Figlio e con lo Spirito che li unisce, così come è chiesto da Gesù nell’orazione dell’Ultima Cena, perché coi Tre, che Uno sono, facciate eterna dimora e godiate dell’amore, e poi della gloria di Dio e della pace gaudiosa che è il premio di coloro che accolsero la Luce e la Parola e vissero nella Carità e Verità, nascendo a Dio e da Dio, e dando testimonianza al Cristo vivente in loro con una vita perfetta, secondo il comando e l’esempio di Gesù.»
DEO GRATIAS et MARIAE IMMACULATAE
venerdì 7 agosto 2020
Perché pregare il Rosario?
Perché pregare il Rosario? Non è una preghiera troppo ripetitiva? Ascoltiamo quel che il Papa Emerito, allora ancora regnante, ci disse su questa bella preghiera.
Ogni giorno sono tanti quelli e quelle che pregano i misteri del Rosario. Dappertutto si diffonde e si trasmette la bella preghiera in cui Maria accompagna e consola il suo popolo. Ecco alcune frasi che Benedetto XVI ci ha detto a proposito:
Perché pregare il rosario?
- […] il santo Rosario non è una pia pratica relegata al passato, come preghiera di altri tempi a cui pensare con nostalgia. Il Rosario sta invece conoscendo quasi una nuova primavera.
- […] è senz’altro uno dei segni più eloquenti dell’amore che le giovani generazioni nutrono per Gesù e per la Madre sua Maria.
- Nel mondo attuale così dispersivo, questa preghiera aiuta a porre Cristo al centro, come faceva la Vergine, che meditava interiormente tutto ciò che si diceva del suo Figlio, e poi quello che Egli faceva e diceva.
- Quando si recita il Rosario si rivivono i momenti importanti e significativi della storia della salvezza; si ripercorrono le varie tappe della missione di Cristo.
- Con Maria si orienta il cuore al mistero di Gesù. Si mette Cristo al centro della nostra vita, del nostro tempo, delle nostre città, mediante la contemplazione e la meditazione dei suoi santi misteri di gioia, di luce, di dolore e di gloria.
- Ci aiuti Maria ad accogliere in noi la grazia che promana da questi misteri, affinché attraverso di noi possa “irrigare” la società, a partire dalle relazioni quotidiane, e purificarla da tante forze negative aprendola alla novità di Dio.
- Il Rosario, quando è pregato in modo autentico, non meccanico e superficiale ma profondo, reca infatti pace e riconciliazione. Contiene in sé la potenza risanatrice del Nome santissimo di Gesù, invocato con fede e con amore al centro di ogni Ave Maria.
- Il Rosario, quando non è meccanica ripetizione di formule tradizionali, è una meditazione biblica che ci fa ripercorrere gli eventi della vita del Signore in compagnia della Beata Vergine, conservandoli, come Lei, nel nostro cuore.
- […] non cessi questa buona abitudine; anzi prosegua con ancor maggiore impegno, affinché, alla scuola di Maria, la lampada della fede brilli sempre più nel cuore dei cristiani e nelle loro case.
- 10. Vi affido le intenzioni più urgenti del mio ministero, le necessità della Chiesa, i grandi problemi dell’umanità: la pace nel mondo, l’unità dei cristiani, il dialogo fra tutte le culture.
Frasi estratte dai discorsi dell’allora Pontefice in occasione dell’apertura e della chiusura del mese di Maria (Maggio 2008)
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]
TRATTO DA https://it.aleteia.org/2020/08/04/benedetto-xvi-rosario/