giovedì 18 giugno 2020

La Libertà di Educare

MONS.CREPALDI: DOPO IL CORONAVIRUS. LA STRADA DELLA VERA LIBERTÀ.


Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, oggi l’Osservatorio Van Thuan sulla Dottrina Sociale della Chiesa pubblica una riflessione del vescovo di Trieste. mons. Giampaolo Crepaldi, sulla stagione che si apre, dopo l’emergenza imposta grazie al Coronavirus. È un intervento che segue a quello del 19 marzo 2020, che potete trovare a questo collegamentoBuona lettura. 

La vera libertà
Il prossimo futuro dovrà essere una fase della vera libertà, ricordando che «la libertà è pienamente valorizzata soltanto dall’accettazione della verità» (Centesimus annus, n. 46). Durante l’emergenza abbiamo vissuto alcune legittime limitazioni della libertà insieme ad altre meno legittime. I dati scientifici non sempre sono stati utilizzati secondo verità, le restrizioni e le sanzioni talvolta non sono state applicate con buon senso, sono emerse anche nuove forme di autoritarismo politico. Il prossimo futuro dovrà essere di vera libertà, non per rivendicare una libertà assoluta, ma per riappropriarsi della libertà da viversi nelle varie realtà naturali, dalla famiglia all’impresa, dal quartiere alla scuola. C’è una grande occasione per superare una libertà artificiale e costruire una libertà reale e naturale, espressione della vera essenza della persona umana e dei fini autentici della comunità politica.
Il ritorno dello statalismo
Per dare concretezza storica ad una vera libertà, bisognerà porre attenzione ad evitare un nuovo statalismo. Certamente lo Stato deve fare la propria parte per garantire la sicurezza nel settore dell’economia e per sorvegliare sulla giustizia. Bisogna però ricordare che un nuovo statalismo potrebbe forse distribuire risorse di tipo assistenzialistico ma difficilmente sarà in grado di promuovere una giusta ripresa economica e sociale (cfr. Centesimus annus, n. 48). Lo Stato dovrà intervenire sui grandi nodi infrastrutturali, ma le risorse dovranno essere messe a disposizione per investimenti e produttività, per la creazione di lavoro vero e non di lavoro assistito. Anche questo fa parte della verità della libertà, in questo caso della libertà economica. Da questo punto di vista ipotesi come il reddito di emergenza, la regolarizzazione in blocco degli immigrati irregolari, le massicce assunzioni nel pubblico impiego condotte senza reali motivi funzionali dovrebbero essere evitate.
Un sistema sanitario sussidiario
Da molte voci si chiede una riappropriazione del sistema sanitario da parte dello Stato centrale. La Dottrina sociale della Chiesa propone a questo riguardo il principio di sussidiarietà: «una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla  a coordinare la sua azione con quella delle altre» (Centesimus annus, n. 48). Credo quindi che la sanità dovrebbe essere ripensata non con il criterio del ri-accentramento ma in chiave sussidiaria, fondandola sul principio di responsabilità sia delle amministrazioni locali sia dei corpi intermedi. L’accentramento in quanto tale, infatti, può deresponsabilizzare. Serve una sussidiarietà responsabile e coordinata, con la partecipazione anche del privato, delle fondazioni, delle istituzioni religiose aventi una vocazione sanitaria e delle comunità locali.
La libertà di educare
Gli aspetti ora visti sono espressione di vera libertà, la libertà organica e non individualistica indicata da sempre dalla Dottrina sociale della Chiesa. Dello stesso tipo è la libertà della scuola, fortemente penalizzata durante la pandemia. Ancora una volta si è seguito l’uso di astratte disposizioni dall’alto incapaci di tenere conto delle diversità sociali e territoriali e dei protagonismi da valorizzare nel Paese. Le scuole paritarie sono state messe in seria difficoltà e questo nuovo statalismo laicista ha suscitato una positiva voglia di scuola parentale veramente libera dallo Stato, che produrrà nel prossimo futuro i suoi frutti. In Italia ci vuole una vera libertà di educazione a tutti i livelli, condizione necessaria per la stessa ripresa economica e civile. Anche in questo caso l’accentramento va superato, mentre occorre dare spazio alle famiglie naturali e alle famiglie spirituali della società civile.
Demolire la macchina del  Leviatano
Nel nostro Paese il centralismo statalista si concretizza in un sistema burocratico molto rigido. Durante la pandemia si è fatta notare la differenza tra i lavoratori del settore privato, in apprensione per il loro futuro, e i lavoratori del settore pubblico. Nella macchina pubblica, così garantita, ancora una volta si sono dovuti registrare errori e lentezze. Infermieri e medici hanno dato il massimo di sé, ma ciò è avvenuto nonostante i difetti del sistema, anzi a loro compensazione. Da decenni la riforma della burocrazia è all’ordine del giorno e mai risolta. Per farlo serve una nuova visione sussidiaria e incentrata sul bene comune. La realtà non è fatta di singoli cittadini, di anonimi uffici pubblici e dallo Stato, come Grande Individuo. Nella società organica di oggi ci sono soggetti dotati di un grande know-how che non trovano spazio per agire, sia in campo economico che educativo che produttivo. La riduzione della burocrazia richiede una grande riforma capace di ripensare il servizio pubblico, distinguendo tra loro i concetti di pubblicoe di statale.
La vera libertà fiscale
La vera libertà per cui bisogna combattere in questa fase di ripresa è anche quella fiscale. Non solo una patrimoniale è da evitare, ma anche il mantenimento di una fiscalità di Stato esosa e oppressiva. Il sistema fiscale va commisurato alle imprese e alle famiglie, non agli individui. Il fisco deve ritrovare i suoi criteri di moralità: deve essere usato per il bene comune e deve essere proporzionato. Già la Rerum novarum auspicava: «la proprietà privata non venga oppressa da imposte eccessive» (n. 35). Durante la pandemia le tasse sono state solo rinviate, bisogna che vengano radicalmente diminuite in concomitanza con la ristrutturazione dell’apparato burocratico e i suoi costi. Per aiutare le famiglie e le imprese non bisogna dare sussidi a pioggia, bisogna abbassare le tasse, riscoprendo il significato fiscale e sociale del diritto naturale della proprietà privata.
Meglio un prestito nazionale
È stato ormai deciso che la ripresa avverrà con un forte aiuto finanziario dall’Europa. Non si tratta di un aiuto gratuito e a fondo perduto, né finanziariamente né politicamente. Dal punto di vista del bene della nazione e del principio  di sussidiarietà sarebbe stato da preferire l’idea caldeggiata da diversi economisti di un prestito nazionale. Ciò non sarebbe stato in contrasto con la critica all’accentramento statalista vista sopra, perché avrebbe riguardato il reperimento delle risorse e non il loro utilizzo. Sussidiariamente parlando, la prima scelta da attuare è di fare da sé e da questo punto di vista l’Italia avrebbe potuto fare da sé, stante la cospicua entità del risparmio privato. Se consideriamo l’ordine naturale delle cose, la famiglia e la nazione vengono prima dello Stato e delle istituzioni sovra-statali. Bisognerà evitare che dietro ai finanziamenti per il dopo-coronavirus si faccia valere nuovamente un europeismo ideologico che schiacci la nazione condizionandone la vita e la libertà.
Nuovi poteri all’orizzonte
Un altro pericolo per la nostra vera libertà e al quale porre molta attenzione nel prossimo futuro è la possibile emergenza di nuovi poteri sovranazionali motivati dalla necessità di fronteggiare le emergenze. Il coronavirus è stato un esperimento mondiale. È possibile che, sulla scorta di questa esperienza, si producano in futuro nuove emergenze, magari di tipo ecologico e ambientalistico, per motivare una stretta delle libertà e per instaurare forme di pianificazione centralizzata e di controllo uniformato. Le forze che spingono per un nuovo globalismo fondato su un “nuovo umanesimo” e anche durante la pandemia ne abbiamo avuto prova.
La libertà o è vera o non è libera
Infine sarà impossibile percorrere la strada della vera libertà senza la libertà di nascere una volta concepiti, di essere procreati e in modo umano, di nascere sotto il cuore di una mamma e di un papà, di non essere costretti a morire per volontà altrui facendoci credere di morire per volontà nostra, senza la libertà vera di poter educare i nostri figli. L’uscita dalla crisi della pandemia ci faccia riscoprire che «oggi il fattore decisivo è sempre l’uomo stesso» (Centesimus annus, n. 32) e non le strutture, e che «lontano da Dio l’uomo è inquieto e malato» (Caritas in veritate, n. 76).

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Ricordati di santificare il sabato

Che cosa significa santificare la festa. Cosa deve fare il fedele?

Molteplici parti del comandamento

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Affinché i fedeli sappiano come debbono comportarsi in quel giorno e da quali azioni si debbano astenere, non sarà male che il parroco spieghi minutamente il precetto, che può dividersi praticamente in quattro parti.

Anzitutto indicherà genericamente quel che prescrivono le parole: "Ricordati di santificare il sabato".

Opportunamente al primo posto è stata collocata l'espressione "Ricordati", poiché il culto di questo giorno appartiene alla legge cerimoniale. Sembrò saggio ammonire formalmente in proposito il popolo, dal momento che la legge naturale, pur insegnando che in un dato tempo qualsiasi si doveva venerare Dio con culto religioso, non prescriveva in quale giorno di preferenza si dovesse fare.

In secondo luogo il parroco mostri ai fedeli come la formula suggerisca il modo ragionevole con cui dobbiamo lavorare durante la settimana, in maniera cioè da non perdere mai di vista il giorno festivo. In questo, dobbiamo quasi render conto a Dio delle nostre azioni e delle nostre opere; è necessario quindi che compiamo sempre azioni tali da non meritare la condanna di Dio e da non lasciare nei nostri spiriti, secondo il motto biblico, tracce di singhiozzi e di rimpianti (1 Sam 25,31).

Infine la formula ci insegna, e dobbiamo ben rifletterci, che non mancheranno le occasioni per dimenticare il precetto, trascinati dall'esempio di coloro che lo trascurano, assorbiti dagli spettacoli e dai giochi che allontanano troppo spesso dal pio e religioso rispetto del santo giorno.

Ma veniamo ormai a parlare del significato del sabato. Sabato, vocabolo ebraico, vuol dire "cessazione"; quindi "sabatizzare" vale "cessare" e "riposarsi". Il settimo giorno ricevette il nome di sabato, appunto perché, compiuto l'universo cosmico, Dio ristette dall'opera già compiuta (Gn 2,3). Così il Signore chiama
questo giorno nell'Esodo (20,8.11). Più tardi tale nome fu conferito non più soltanto al settimo giorno, ma, a causa della sua dignità, a tutta la settimana. Per questo il fariseo dice nel Vangelo di san Luca: "Digiuno due volte nel sabato" (18,12). Questo per quanto riguarda il significato del sabato.

La santificazione del sabato, secondo le indicazioni bibliche, consiste nell'astensione da tutti i lavori e affari
materiali, come indicano apertamente le parole seguenti del precetto: "Non lavorerai". Ma non è qui tutto;
perché in tale ipotesi sarebbe stato sufficiente dire nel Deuteronomio: "Osserva il sabato" (5,12), mentre
invece vi si aggiunge: "Per santificarlo". 

Dunque il giorno del sabato è un giorno religioso, che va consacrato ad azioni divine o a occupazioni sacre. Sicché lo rispetteremo integralmente se adempiremo gli atti di
religione verso Dio. E questo è propriamente il sabato, che Isaia chiama "delizioso" (58,13), poiché i giorni
festivi sono come le delizie del Signore e degli uomini pii. 

Che se al rispetto religioso così intero e santo del sabato aggiungeremo le opere di misericordia, allora, secondo la promessa del medesimo profeta (58,8), ci meriteremo premi inestimabili.
Dunque il pieno valore del comandamento esige che l'uomo ponga tutte le sue energie perché nei giorni fissati, lontano dagli affari e dal lavoro materiale, possa attendere al pio culto del Signore.


CATECHISMO TRIDENTINO (PDF 2.2 MB)
CATECHISMO TRIDENTINO Catechismo ad uso dei parroci, teologi, predicatori, insegnanti di religione
Pubblicato dal Papa San Pio V per Decreto del Concilio di Trento (1545-1563)


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Quanti germi vi inocula il Maligno per creare queste malattie!


 1 Dice Gesù: 
   «Per sostenere le forze fisiche occorre nutrire il corpo. L’indigente che non può acquistare cibo,
lo mendica ai ricchi. Di solito chiede pane. Senza il pane è impossibile la vita. Voi siete dei poveri che avete bisogno di cibo per la vostra anima.Alla vostra povertà Io ho dato il Pane eucaristico. Esso vi nutre le midolla dell’anima, dà vigore allo spirito, sostiene le forze spirituali, aumenta il potere di tutte le facoltà intellettuali, perché dove è vigore di vita è anche vigore di mente. Cibo sano trasfonde sanità. Cibo vero infonde vita vera. Cibo santo suscita santità. Cibo divino dà Dio.

   Ma oltre che poveri voi siete ammalati, deboli non della sola debolezza che dà la mancanza di cibo e che cessa col cibo. Siete deboli per le malattie che vi estenuano. Quante malattie ha la vostra anima! Quanti germi vi inocula il Maligno per creare queste malattie! A chi è debole e ammalato occorre non solo pane ma anche vino.

   Io nella mia Eucarestia vi ho lasciato i due segni di quello che occorre alla vostra natura di uomini poveri e alla vostra debolezza di uomini ammalati. Pane che nutre, vino che corrobora.
Avrei potuto comunicarmi a voi senza segni esterni. Lo posso. Ma siete troppo pesanti per afferrare lo spirituale. I vostri sensi esterni hanno bisogno di vedere.

   La vostra anima, il vostro cuore, la vostra mente, si arrendono soltanto, e a fatica ancora, davanti alle forme visibili e toccabili. Tanto è vero che,se arrivate a credere Me nell’Eucarestia e di ricevere Me nella particola, non ammettete, nella grande maggioranza, l’infusione2 in voi dello Spirito, dal quale vi vengono palpiti, luci, impulsi di opere buone.

   Se credeste con quella forza di cui il Mistero è degno, sentireste, nel ricevermi, entrare in voi una vita. Il mio avvicinarmi a voi vi dovrebbe ardere come l’accostarsi ad una ardente fornace. Il mio stare in voi dovrebbe farvi sommergere in un’estasi che vi astrarrebbe il profondo dello spirito in un rapimento di Paradiso.

   Il fondersi della vostra umanità bacata alla mia Umanità perfetta vi porterebbe salute anche fisica, per cui, malati corporalmente, resistereste alle malattie finché Io dicessi "Basta" per aprirvi il Cielo. Vi porterebbe intelligenza per capire prontamente e giustamente. Vi renderebbe impenetrabili agli assalti sfrenati o alle sottili insidie della Bestia.

   Invece posso fare poco perché entro dove la fede è languida, dove la carità è superficiale, dove la volontà è in abbozzo, dove l’umanità è più forte dello spirito dove, soprattutto, non fate sforzo per reprimere la carne onde emerga lo spirito.
   Non vi sforzate per nulla. Aspettate da Me il miracolo. Nulla mi vieta di compierlo. Ma Io voglio da parte vostra almeno il desiderio di meritarlo.

   A chi si volge a Me gridando di aiutarlo e imitando la fede delle turbe di Galilea, Io mi comunicherò non solo col mio Corpo e il mio Sangue, ma con la mia Carità, col mio Intelletto, con la mia Forza, con la mia Volontà, con la mia Perfezione, con la mia Essenza. Sarò, nell’anima che sa venire a Me, come sono in Cielo, nel seno del Padre da cui procedo generando lo Spirito che è Carità e vertice di perfezione.»

                                                                                                                                                                                                 
   1 In margine, la scrittrice annota a matita: Questi pensieri avanti la Comunione. Gesù me li ripete alle 16 quando 
ricopio lo scritto.  

   2 l’infusione è nostra correzione da all’infusione

Maria Valtorta // QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 31//18 giugno 1943


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